Storia degli Italiani, vol. 08 (di 15) - 39

Venezia per portarli altrove che a Treviso».
[172] Nell’Archivio diplomatico fiorentino, carte del Comune di Colle;
ap. REPETTI.
[173] Reputavasi la più antica incisione in legno il san Cristoforo,
sotto cui è scritto:
_Xtofori faciem die quacumque tueris_
_Illa nempe die morte mala non morieris_
_millesimo_ CCCXX _tertio_.
Ma il signor di Reiffenberg, direttore della biblioteca reale di
Bruxelles, acquistò una Madonna con varj santi, intaglio colla data
1318. Vedi pure W. A. CHATTO, _Treatise on vood engraving historical
and practical_. Londra 1839, con ducento belle vignette.
[174] I Feltrini pretendono che Pamfilo Castaldi, loro concittadino
e buon umanista, conosciuti gli studj del Guttenberg per istampare,
a Faust suo discepolo additasse che si potrebbe far meglio che con
tavolette stereotipe, cioè formar le lettere distinte, come quelle
che già si usavano dai mercanti per far le iniziali e intestazioni
sui loro libri. Si parlò molto questi ultimi anni di tale gloria; ma
l’asserzione del cronista frate Cambiuzzi non è appoggiata a nessun
documento. I meriti del Guttenberg sono chiariti da Ambrogio Firmin
Didot nella _Nouvelle Biographie générale_.
[175] _Annali della stampa in Italia._
1465. Subiaco.
1467. Roma.
1469. Venezia, Parigi, Milano, il poema sacro di Aratore e le
epistole latine di uomini illustri: ma non sono ben sicuri;
bensì _Alchuni miraculi de la gloriosa Verzene
Maria_ per Filippo Lavagna, che portò la stampa a
Milano, con Antonio Zarotto e Cristoforo Valdarser.
1470. Verona, Foligno, Pinerolo, Brescia.
1471. Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze, Napoli, Savigliano.
1472. Mantova, Parma, Padova, Mondovì, Jesi, Fivizzano,
Cremona.
1473. Messina.
1474. Torino, Genova, Como, Savona.
1475. Modena, Piacenza, Barcellona, Cagli, Casole, Perugia,
Pieve di Sacco, Reggio di Calabria.
1476. Pogliano, Udine. Primo libro greco a Milano.
1477. Ascoli, Palermo.
1478. Cosenza, Colle.
1479. Tuscolano, Saluzzo, Novi.
1480. Cividale, Nonantola, Reggio.
1481. Urbino.
1482. Aquila, Pisa.
1484. Soncino, Chambéry, Bologna, Siena, Rimini.
1485. Pescia.
1486. Chivasso, Voghera, Casalmaggiore.
1487. Gaeta.
1488. Viterbo.
1490. Portese.
1495. Scandiano.
1496. Barco.
1497. Carmagnola, Alba.
[176] SERRA, _Discorso_ IV, pag. 215.
[177] Impressa per _magistrum Dionysium Paravisinum_ con caratteri,
dicesi, fusi da Demetrio Cretese. A Milano si stampò nell’80 Esopo e
Teocrito; nell’81 il Psalterio greco. Vedasi HUMPHREYS, _A history of
the art of printing_.
[178] Renouard scrisse, negli _Annales des Aldes_, che _Manuce occupa
et occupera longtemps et sans aucune exception le premier rang parmi
les imprimeurs anciens et modernes._ La lode parve esagerata a Firmin
Didot, che dice doverglisi eterna riconoscenza per l’attività adoprata
a pubblicare tanti classici, e per la bella esecuzione tipografica;
ma lo appunta di scarsa correzione, e allega un passo di lettera,
ove Aldo dice d’essere così occupato, che appena ha tempo, non che
di correggere, di scorrere i libri che stampa: _Vix credas quam sim
occupatus. Non habeo certe tempus, non modo corrigendi, ut cuperem,
diligentius qui excusi emittuntur libri cura nostra, sed ne perlegendi
quidem cursim_. Di lui discorse pienamente esso Ambrogio Firmin Didot
nell’_Alde Manuce et l’Hellenisme à Venise_. Parigi 1875.
[179] Il primo libro in Italia ove il disegno figurasse bene negli
intagli stampati insieme coi caratteri, o, come diciamo oggi,
illustrato, è l’_Ypnerotomachia_, per Aldo, nel 1499, con belle figure
che sono del Mantegna o almeno della sua maniera. Sono a tratti, e
l’ombra è indicata da linee più o men lunghe. Ma già le favole d’Esopo,
stampate a Verona il 1481 e a Venezia il 1490 con intagli, e quelle di
Napoli del 1485 in 4º grande, ne hanno 87, però grossolani. Nel 1497
maestro Lorenzo de’ Rossi di Ferrara stampò molti libri, con figure a
tratti, quali la _Vita et epistole di sancto Jeronimo_; il Boccaccio
_De claris mulieribus_, ecc.
[180] Esiste il contratto tra il celebre frà Jacopo Filippo Foresti
e lo stampatore Bernardino Benaglio di Bergamo per l’edizione del
supplemento alle _Cronache_ d’esso frate, il 7 gennajo 1483. Dovevano
stamparsi in Venezia a non più di seicentocinquanta copie; l’autore
promette rilevarne ducento a novanta marchetti per copia. Egli
intendeva dedicar l’opera al magnifico Marcantonio Morosini nobile
veneto «se lui vole exborsare sedici ducati per lo correctore; et
casu quo non pagasse ditti sedici ducati, non ge la debba intitulare,
sed a chi parerà a ditto frate Jacopo Filippo». Realmente la intitolò
alla città di Bergamo, che gli regalò cinquanta ducati d’oro, da lui
adoperati a vantaggio del proprio convento. TIRABOSCHI, tom. VI. l. c.
IV. §32.
[181] I privilegi concessi ad Aldo furono pubblicati da Armand Baschet.
Venezia 1867.
[182] Nell’archivio di Siena, _Denunzie_ del 1491, Bernardino di
Michelangelo Cignoni scrive: — Pell’arte mia non si fa niente;
pell’arte mia è finita, per l’amore dei libri, che li fanno in forma
che non si miniano più».
[183] _Tachygraphia veterum exposita et illustrata ab_ ULRICO FRED.
KNOPP. Manheim 1817, vol. II. Sì poco sperava nella riconoscenza de’
contemporanei, che vi antepose questa scoraggiata dedica_: Posteris
hoc opusculum, æqualium meorum studiis forte alienum, do, dico atque
dedico._
[184] Tripudiamo anche noi col bibliotecario Maj, allorchè, di sotto
ai versi di Sedulio, gli apparve Cicerone: _O Deus immortalis! repente
clamorem sustuli. Quid demum video? En Ciceronem, en lumen romanæ
facundiæ, indignissimis tenebris circumscriptum! Agnosco deperditas
Tullii orationes; sentio ejus eloquentiam ex his latebris divina quadam
vi fluere, abundantem sonantibus verbis, uberibusque sententiis._
[185] Vedi SACCHETTI, _Nov_. 178; e le canzoni di esso pubblicate nel
_Giornale arcadico_, febbrajo 1819. Della mania d’imitar le foggie
e i parlari stranieri move lamenti anche il Petrarca. Vedi MURATORI,
_Antiq. M. Æ._, diss. XXV.
[186] _Storia fiorentina_, IX.
[187] Historia di Conforto Pulice. _Rer. It. Script_., tom. XIII.
[188] Il gallo era lo stemma di Murano.
[189] _Cronaca veneziana_, § 266. A Venezia era un magistrato
suntuario, i provveditori sopra le pompe.
[190] _Delizie degli eruditi_, XI. 162.
[191] V. DU CANGE _ad vocem_. Egli cavò questo cerimoniale da un
manoscritto di Cambrai.
[192] _Paradiso_, canto XIV. 104.
[193] Lib. II. c. 36.
[194] Vedi PEZZANA, _Storia di Parma_, vol. III. doc. X. XV.
[195] Nelle _Antichità estensi_, vol. II, p, 376, può leggersi la
distinta del ricchissimo corredo che Giulia della Rovere figlia del
duca d’Urbino portò con ventimila scadi d’oro di dote sposando Alfonso
II d’Este nel 1549.
[196] Del 1192, nel _Codice Eceliniano_ del Verci.
[197] _Conto de’ tesorieri generali di Savoja_.
[198] _Dummodo prædicta Lucia marito suo per carnalem copulam se non
commisceat, sine speciali licentia in scriptis; nec cum alio viro rem
habeat, nobis exceptis, si forte cum ea coire libuerit aliquando_.
Manoscritto dell’archivio Trivulzio.
[199] GHIRARDACCI, _St. di Bologna_ al 1313.
[200] DI COSTANZO, _St. di Napoli_, lib. IX.
[201] Anche quando Carlo V volle nel 1536 salire all’apertura della
cupola del Panteon a Roma, un tal Crescenzi, che ve l’accompagnò, disse
a suo padre essergli venuto il pensiero di buttarlo giù, per vendetta
del sacco di Roma. E il padre: — Figliuol mio, queste cose si fanno
e non si dicono». _Relazione del sacco di Roma_, manoscritto nella
Vaticana.
[202] BLANQUI, _Hist. de l’économie politique_, introd. — Vedi
l’_Appendice_ IX.
[203] LANDINO, _Apologia de’ Fiorentini_; VARCHI, _Storia_, lib. IX.
Secondo il Dati, _Cronaca_, p. 128, i Fiorentini nella guerra
col papa dal 1395 al 68 spesero fiorini d’oro 2,500,000
nella seconda contro il conte
di Virtù dal 1375 al 98 » 1,800,000
nella terza dal 1401 al 4 » 2,500,000
nella guerra di Pisa del 1405 » 1,500,000
laonde in dieci anni di guerra avrebbero speso centrentotto milioni de’
nostri.
[204] _Elogio storico_, nella _Serie di uomini illustri toscani_.
[205] Presso MANNI, _Illustrazione del Decamerone_, pag. 431.
[206] _Archivio storico_, IV.
[207] Vedi i _Ricordi storici_ di F. RINUCCINI. Firenze 1841. — Perchè
queste cifre avessero significato positivo, bisognerebbe paragonarle
con quelle d’altri paesi: ora nulla è più incerto nelle storie che
le cifre, nè più difficile che il depurarle. In un’altra opera noi
offrimmo de’ paragoni; qui diremo come un atto del parlamento inglese
del 1496 regolasse il salario del contadino in scellini sedici, soldi
otto all’anno, oltre quattro pel vestito. In quell’anno a lady Anna,
sorella del re Edoardo IV, sposata al figlio del conte di Surrey, fu
assegnato per suo «mantenimento, decoro e tavola conveniente; e per un
gentiluomo, una dama, una donzella, una gentildonna, una guardia, tre
mozzi, ottanta lire sterline l’anno, e ventisei pel mantenimento di
sei cavalli»; sicchè a una famiglia così ben montata bastavano circa
duemilaseicento franchi d’oggi.
Secondo Fortescue, a metà del 1400 i Francesi «non bevono che acqua;
mangiano pomi e pane di riso, non carne, o al più un po’ di lardo o le
interiora e la testa degli animali macellati pei nobili e pei mercanti;
non vestono lana, o al più una ruvida giubba, e così i calzoni che
arrivano appena alle ginocchia, lasciando nude le gambe. Donne e
fanciulli vanno scalzi». Vedi F. M. EDEN, _Storia dei poveri_, vol. I.
p. 70 e seg.
[208] GIOVANNI VILLANI, cap. X. p. 164.
[209] _Cronaca_ del GRAZIANI al 1448.
[210] _Antonii Astesani carmen_, cap. VIII. IX.
[211] _Archivio storico_, XIII. 316.
[212] _Archivio storico_, XIII. 53, Appendice IX. 234.
[213] _Cronaca_ del GRAZIANI.
[214] _Circulus Pisanus_, 25.
[215] La sentenza motivata, del 1327, porta ch’egli confessò che
un uomo poteva nascere sotto una costellazione che necessariamente
lo costringeva a peccare, ed altre eresie che toglievano a Dio la
potenza e all’uomo il libero arbitrio. «E ciò reiterando ed affermando
e credendo, disse di più che Firenze era fondata sotto il regno
dell’ariete, e Lucca sotto quello del granchio; e che per ciò, se i
Fiorentini andassero contro, sarebbe avverata la sua profezia ecc.».
[216]
_Quis tecum consulet astra_
_Fatorum secreta movens, aut ante notabit_
_Successus belli dubios, mundique tumultus,_
_Fortunasque ducum varias?_
[217] _Storie fiorentine_, X. 83.
[218] Vedi le sue prediche, edite dal Manni, pag. 99-105, e
specialmente quella del 7 gennajo 1303. Sta nella biblioteca Estense un
breviario manoscritto del 1480, d’elegantissima lettera e miniatura,
cui precede un calendario dove sono notati i giorni infausti
(_ægyptiaci_) e le ore, con versi a ciascun mese. Per esempio, al
gennajo:
_Prima dies Jani timor est, et septima vanis,_
_Nona parit bellum, sed quinta dat hora flagellum._
[219] _Ex conjunctione saturni et jovis in principio arietis, quod
quidem circa finem novemcentum et sexaginta contingit annorum,...
totus mundus inferior commutatur, ita quod non solum regna, sed et
leges et prophetæ consurgunt in mundo... sicut apparuit in adventu
Nabuchodonosor, Moysis, Alexandri Magni, Nazarei, Machometi_.
Conciliator controv., fasc. XV.
[220] Nell’_Istoria miscella di Bologna_. Rer. It. Script., XVIII, al
1422.
[221] FACIO, lib. IX; PANORMITA, lib. IV.
[222] TARGIONI TOZZETTI, _Relazione di viaggi_, XI. 266.
[223] VESPASIANO, _Vita di Pietro Pazzi_.
[224] TRISTANI CALCHI, _Nuptiæ Mediol. Ducum_, VI.
[225] _Diario dell_’INFESSURA. _Rer. It. Script_., part. II. p. 1143.
[226]
_Heu nequam gens judaica,_
_Quam dira præsens vesania._
_Plebs execranda!_
[227] Per esempio, un _Giudizio di Vulcano, Clitennestra_, ecc. Vedi
principalmente MAGNIN, _Origini del teatro_, 1839.
[228] _Antiq. M. Æ._, diss. XXIX.
[229] NOSTRADAMUS, _Vite de’ poeti provenzali_; CRESCIMBENI, _Storia
della vulgare poesia_, tom. II. part. I. p. 44.
[230] Quali il don Pasquale e il Cassandrino de’ Romani, la Bonissima
e il Sandrone di Modena, la Mariola di Ravenna, lo Stenterello e le
Pasquelle de’ Fiorentini, i Travaglini de’ Siciliani, i Giovannelli
de’ Messinesi, il Gianguigiolo de’ Calabresi, il Beltrame de’ Milanesi,
cambiato poi nel Meneghino, il Girolamo e il Gianduja dei Piemontesi,
ecc.
[231] Dai _Diarj_ mss. di Marin Sanuto, vol. XXXII, fol. 341, si vede
il lotto usato a Venezia, e disapprovato. Sotto il 22 febbrajo 1522
egli scrive: — La mattina non fu nulla da conto nè lettera alcuna,
solum si attende a serar un altro lotto di ducati seimila, posti per
Zuane Manenti sanser con ducati dieci per uno, e a lui tre per cento di
utile. Li mazor precj sono ducati cinquecento l’uno, et sono precj...
et fo serato; posto uno di cinquemila, et do di quattromila l’uno: et
domenica poi disnar si caverà nel monastero di san Zuan e Polo... Et
nota, il predicator di san Zuan e Polo, ozi a la predica, qual è di
grandissimo onor e nome, fece assai parole su questi lotti, parlando
non è lecito, et si dovria proveder che non vadi drio. Ed io Marin
Sanuto _palam locutus sum omnibus_, che se fossi in loco che potesse,
provederia a questi lotti, e fin al serenissimo principe mandai dir
ecc. ecc.».
Tonti, banchiere italiano stabilitosi in Francia il 1650, immaginò
una lotteria, alimentata dal ricavo del pedaggio che pagavasi sul
ponte reale di Parigi, costruito da azionisti, e il cui ricavo
distribuivasi fra i sopravviventi di essi, fino alla morte dell’ultimo.
Erano cinquantamila viglietti da quarantotto lire ciascuno, e da ciò
cominciarono quelle assicurazioni fortuite sulla vita, che si dissero
_tontine_. Con combinazioni del modo stesso si fabbricarono San Luigi,
San Rocco, San Nicola, la cupola del Panteon ed altre chiese.
[232] San Pier Damiani, lib. I. ep. 10, rimprovera agli ecclesiastici
la caccia, la furia di fare a dadi e a scacchi, che mutano un sacerdote
in mimo. Il Cortusio (_Rer. It. Script_., XII. 73) dice che il nobil
uomo signor Rizardo di Camino, _alla foggia de’ nobili_, giocava
per sollazzo agli scacchi. Galvano Fiamma scrive che i nobili si
tratteneano giocando a dadi e scacchi. Nello _Statuto dell’arte di
Calimala_, al lib. II. § 6: — Niuno tintore, affettatore o riveditore
lasci giucare di dì nè di notte ad alcuno giuoco di dado o d’altro,
dove alcuna cosa si possa perdere, in sua bottega; salvo che di dì
si possa giucare a tavole o a scacchi palesemente; o a pena di lire
dieci per ogni volta». Anche lo statuto di Pisa del 1284 proibisce ogni
giuoco, eccetto che in pubblico le tavole, gli scacchi e il trucciare
(_ad pistellandum ova_) in quaresima. Pascasio Giudico, medico
viaggiatore del XVI secolo, passando da Pavia vi scrisse un trattato
_De’ giuochi di rischio e della malattia di giocar danaro_; opera ove
tentava guarir se stesso, ma invano. Riferisce molti aneddoti, fra cui
d’un Veneziano che giocò la propria moglie; d’un altro che, giocato
tutta la sua vita, volle continuare anche dopo morto, ordinando che
della sua pelle si rivestisse un tavolino da giuoco, e delle sue ossa
si facessero dadi.
[233] _Fabulas scriptas in libris, qui Romanzi vocantur, vitare
debeant, quos semper odio habui_. Rer. It. Script., XI.
[234] Lib. VIII. ep. 2, 3, 5 ecc.
[235] Leonardo Bruno scrive che Nicolò Niccoli _nunquam verba duo
latina, ob inscitiam linguæ stuporemque cordis ac enervatam adulteriis
mentem, conjungere potuit_. La prima e più solita ingiuria che usavano
tra loro, era il chiamarsi bastardi e figli di preti.
[236] Vedasi DU CANGE alle voci _Avaria, Anchoragium, Carratura,
Exclusaticum, Foraticum, Gabella, Teranium, Hansa, Haulla,
Mensuraticum, Modiaticum, Nautaticum, Passagium, Pedagium, Plateaticum,
Palifictura, Ponderagium, Pontaticum, Portaticum, Portulaticum,
Pulveraticum, Ripaticum, Rotaticum, Teloneum, Transitura, Viaticum_. —
MURATORI, _Antiq. M.Æ.,_ tom. II. col. 4. e seg. e 866. — WERDENHAGEN,
_De rebus publicis Hanseaticis_, part. III. c. 20. — MARQUARD, _De
jure mercatorum_, lib. II. c. 6. — FISCHER, _Geschichte des deutschen
Handels_, tom. I. p. 526 e seg. — PEGOLOTTI ap. Pagnini, _Della
decima_, tom. III. p. 301.
[237] Nel 1233 i frati Minori di Spagna aveano scomunicato i mercanti
genovesi perchè portavano merci agli infedeli. Gregorio IX ne li
rimprovera, _cum non sit precipitanda excommunicationis sententia, sed
preambula discretione ferenda_; e vuole non s’abbiano a considerare
scomunicati se non quelli che portano ai Saracini ferro, legnami ed
altre munizioni contro i Cristiani; solo in tempo di guerra s’ha a
negar ad essi ogni cosa. _Liber jurium_, I. 930.
[238] _Storia fiorentina_, lib. III. c. 80.
[239] CIBRARIO, _Economia politica del medioevo_, pag. 82. — Fin ai
tempi di Giovanni da Uzzano, cioè del 1440, un corriere di commercio
impiegava
da Genova ad Avignone 7 in 8 giornate
» a Parigi 18 in 22 »
da Firenze a Milano 10 in 12 »
» a Roma 5 in 6 »
» a Napoli 11 in 12 »
» a Parigi 20 in 23 »
» a Genova 5 in 6 »
» a Londra 25 in 30 »
[240] L’albinaggio durò fin a jeri, e in qualche paese non è tolto
interamente. Al 2 agosto 1817 l’abolirono fra loro la Toscana e Parma;
al 5 gennajo 1818 e 12 gennajo 1836 essa Toscana colla Sardegna; al 3
maggio 1816 colle Due Sicilie, colla Svezia e Norvegia; poi nel luglio
1821 con Lucca, nell’aprile 1829 colla Prussia, nell’aprile 1848 col
Belgio; ecc.; al 10 luglio e 5 agosto 1854 la Sardegna col granducato
di Baden.
[241] _Nova consuetudo de statutis et consuetudinibus contra Ecclesiæ
libertatem editis, tollendis._
Le costituzioni di Sicilia del 1231 comminavano pene contro chi
togliesse le robe dei naufraghi, e condannavano a restituire: pure
Carlo d’Angiò confiscò le navi de’ Crociati naufragate nel 1270.
Corradino suo competitore, in un trattato del 1268 con Siena,
rinunziava al diritto di naufragio. Uno statuto a Venezia del 1232
proibiva di porre le mani sui naufraghi di qualunque nazione fossero,
e puniva chi non restituisse entro tre giorni: ciò non pertanto questa
medesima repubblica fece un trattato con san Luigi nel 1268 per abolire
il diritto di naufragio nei due Stati; e nel 1454 i magistrati di
Barcellona erano ancora costretti a negoziare con quei di Venezia per
ottenere lo stesso favore.
D’ugual passo andavano le cose in Oriente: la stessa inutile protezione
delle leggi, la stessa usanza degli abitanti delle rive, la stessa
necessità di esenzioni imperiali. Il capo 46 dell’Assisa dei cittadini
del regno di Gerusalemme, attribuita al re Amalrico II montato in trono
nel 1197, non apportò che incompiuto rimedio all’abuso, circoscrivendo
la confisca ad una parte della nave naufragata. Se i Musulmani
lo praticavano contro i Cristiani, e questi contro loro, era una
conseguenza delle reciproche ostilità. Trattati del 1265, 82, 83, 85,
90... contengono scambievoli rinunzie.
[242] Rodoano Papanticola di Genova riceve da Otton Bono fiorini
quindici, pei quali dà in ipoteca una casa in Garignano: _Locum de
Galignano pignori; intrare, estimare facias, et nomine vendicionis
possidere sine decreto et cetera; et si ibi defuerit, in aliis bonis
meis adimpleatur._ 16 giugno 1158, cartulario del notajo Giovanni
Scriba, dov’è accennato un altro modo sommario, qual è l’andare in
possesso senza formole giuridiche e sentenza: che trovasi pure altre
volte. Ciò è più chiaro in un atto del 1º agosto anno stesso, ove
Baldo Pulpo e sua moglie danno a Guglielmo Vento _locum Vulturis_
(Voltri) _pignori; et si ibi defuerit, alia bona nostra; et nisi sic
observaverimus, tua auctoritate et sine decreto consulum et nostra
contradictione in eis pro duplo intrare posse..._; e la moglie rinunzia
al senato-consulto Vellejano, al diritto d’ipoteca, alla legge Giulia
dei poderi inestimati. Altrettanto si stipula il 7 novembre 1158. Vedi
esso cartulario nei _Monum. Hist. patriæ_.
[243] Buonaccorso Pitti fiorentino, dovendo avere mille fiorini dal
conte di Savoja nel 1409, fece arrestare in Firenze Giovanni Marchiandi
figlio del cancelliere di Savoja, nè lo rilasciò se non dopo ch’ebbe
dato mallevadori. Nel 1393 Amedeo VIII di Savoja pagava milleottocento
fiorini di un debito, pel quale si erano offerti di star prigionieri i
tre più grandi baroni di Savoja; nel 1409 pagava un’indennità a Pietro
Colombet, ch’era stato prigione per lui. Ap. CIBRARIO, pag. 403. Perciò
gli uomini di Racconigi stipulavano con Manfredo marchese di Saluzzo
al 12 dicembre 1198: _Si ipse marchio aliquem hominem Racunisii in
fidejussione ponere voluerit, et ipse intrare noluerit, non inde eum
causare debeat_. Monum. Hist. patriæ. _Chart_. II.
[244] _Et si civitas, communitas, castrum vel villa, post dictam
requisitionem non fecerint satisfieri... dummodo de valore rerum
habitatorum faciat plenam fidem, vel saltem per unum testem de visu et
scientia, et duos de publica fama, senator vel ejus judices debeant
dare et concedere eis represaliam et licentiam et potestatem liberam
capiendi de bonis et rebus civitatis et hominum illius terræ. Et
teneatur senator ad petitionem illius qui privilegium represaliarum
habere meruit, facere stagiri et sequestrari personas et bona illorum
qui sunt de terris et locis._ Senatus populique romani statuta, lib. I.
c. 143.
[245] CALVI, _Efemer_., tom. II. p. 613.
[246] _Monum. Hist. patriæ_, Leges municipales, pag. 206.
[247] _Una cum hospitibus, qui per colles Alpium siti sunt pro
peregrinorum susceptione_. Ep. 39ª di papa Adriano a Carlo Magno ap.
BOUQUET.
[248] _Antiq. M. Æ._, dias XXX. — Qui i mercanti sono considerati
come un corpo, e di fatto a Lucca fondavano nel 1262 l’ospedale della
Misericordia.
[249] _Apud_ CARLI, _Zecche d’Italia_, tom. II, p. 173. — Nel
1308, i Fiorentini al Comune di Lucca scriveano: _Quia desideramus
quod comune nostrum desiderium, quod inest nobis et vobis, felicem
sortiatur effectum, tractatum est sæpe sæpius de concordia cum nostris
mercatoribus per vos faciendo, circa spectantia ad passagia et gabellas
etc_. Archivio storico, tom. VI, p. 16. Di là (p. 20) appare che in
quell’anno gli Ugolotti e i Nerli fiorentini aveano fatto una società a
Ala di Svevia per batter la moneta di quel paese.
L’anno stesso, venendo da Venezia a Reggio cinque balle di panni
dorati, e una di perle, anelli, panni, _libri_ ed altre preziosità,
spettanti a mercanti fiorentini, furono prese da Ilo di Cannela e
Nicolò da Luni e complici. Laonde il Comune di Firenze interessava il
Comune di Reggio a procurarne la restituzione, riflettendo quanto onore
e vantaggio traesse dal passaggio delle merci fiorentine (p. 24) Altre
querele simili sono a leggervi.
[250] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I.
[251] Ivi, 1501.
[252] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. II. 1378. Vi sono pure le promesse
che altri feudatarj fanno al marchese, di tener essa strada in buon
essere.
I Tortonesi e Genovesi nel 1233 stipulano di conservar la strada da
Gavi a Serravalle, _ita quod non rumpetur, nec in ea offendetur per
homines jurisdictionis Terdone... et si contrafieret, comune Terdone
faciet damnum emendari, vel illud emendabit, et hoc donec contraria
voluntas comunis Terdone appareret per denuntiationem factam comuni
Janue per dies xv antea. Quod si strata rumpetur infra dicta loca Gavii
et Serravallis per extraneos homines, qui non essent in jurisdictione
Terdone, nec de habitantibus vel reductum habentibus in terra Janue,
comune Terdone damnum illud pro dimidia emendabit. Et comune Terdone
salvabit et assecurabit dictam stractam a Serravalle usque Terdonam, et
a Terdona usque in districtum Papiæ etc_. Liber juris, tom. I. 955.
Manfredo, marchese di Saluzzo, aveva preso le merci dei mercanti di
Alba, col pretesto di salvarla dalle insidie degli Astigiani: onde
quelli il supplicarono a restituirle, ed esauditi pagarono trecento
lire e trecento soldi d’Asti, promettendo far che l’arcivescovo
ritirasse la scomunica lanciata per questo eccesso, e ajutarlo nelle
guerre contro gli Astigiani. 1181.
[253] SCIPIONE AMMIRATO, _St. fiorentina._ I.
[254] Valuto il tarì a franchi 2.20; la salma, a ettolitri 2.76.
Vedasi il _Regestum Friderici_ nell’archivio di Napoli, pag. 309-356;
CIBRARIO, _Economia_; BIANCHINI, _Storia delle finanze del regno di
Napoli_.
[255] L’importanza di questo vegetale è attestata dai regolamenti
di tutti i paesi mercantili. Lo _Statuto di Lucca_, rub. CXXI (ap.
TOMMASI, _Sommario_), proibisce di venderne, se non sia stato
riconosciuto dai deputati sopra ciò. In Genova al falsatore di
zafferano la prima volta si taglia la sinistra, la seconda è bruciato
vivo con esso zafferano.
[256] Il riso proviene dall’India e dalla Cina, ma è incertissimo il
quando fu introdotto in Italia. Da un documento del _Codice diplomatico
arabo-siculo_ di monsignor Airoldi, tom. II. part. II. p. 94, risulta
che nell’880 in Sicilia si fece tal raccolto di riso, che bisognò
stabilire un magazzino apposito. Il trattato di agricoltura di Pier
Crescenzi non ne fa cenno; bensì ve lo introdusse il traduttore, che
però fu di poco posteriore, cioè del 1300 cominciante. Le tariffe di
Giovanni e Luchino Visconti mettono ancora il riso fra le spezierie; e
lo importavano dall’Egitto e dalla Spagna i Veneziani nel secolo XV.
Nel reame di Napoli pare introdotto dagli Aragonesi; e singolarmente
abbiamo notizia che i duchi d’Atri ne fecero coltivare nel piano tra
gli sbocchi del Tronto e del Pescara. Vogliono che Lodovico II di
Saluzzo recasse da Napoli il riso nel Saluzzese, dove molto produceva
nel 1525. Nel Novarese vuolsi introdotto nel 1521 dai soldati di Carlo
V. Nel Vercellese accennano la sua coltivazione al 1552: quando anche
nel basso Veronese Teodoro Trivulzio l’introdusse nelle terre di Zevio
e Palu. Nella seconda metà del xvi secolo Lobelio vedeva vegetare il
riso nella campagna milanese mediante le acque del lago Maggiore; ma
già prima il Mattioli lo diceva «famigliarissimo nelle mense di tutta
Italia». Vedi CAPSONI, _Della influenza delle risaje sulla salute
umana,_ Milano 1851.
[257] Pazientissimi computi fece il Pagnini, poi dietro ad esso il
Cibrario nell’opera citata; pure vacilla anch’esso, nè sempre si
appone, massime ne’ ragguagli; basti vedere la pag. 528. E tutti gli
economisti versano in somma incertezza sul valore delle merci, perchè
non si conosce bene la moneta di conto su cui valutavano i prezzi.
Nel _Liber jurium_ di Genova, vol. I. p. 1170, è un inventario
delle rendite di Andora, venduta dai marchesi di Clavesana al
comune di Genova nel 1252; e vi sono specificati i frutti che i
differenti villani devono in natura; i servizj di corpo, col valore
approssimativo. Meriterebbe un commento, donde sarebbe illustrata
la condizione de’ campagnuoli, al tempo stesso che il valore delle
derrate.
[258] Cioè Santhià. _Monum. Hist. patriæ_. Chart. I. 341.
Amedeo V di Savoja, cadente il secolo xiii, affidava a cavatori
fiorentini o lucchesi la ricerca de’ minerali del suo Stato; ed oro
traevasi, nel 1279, da Champorcher in val d’Aosta; nel secolo seguente
lavavansi le sabbie aurifere dell’Orco e dell’Amalone; argento si
cavava a Groscavallo e ad Ala in val di Lanzo; argento e rame a
Usseglio e Lemie. Nel 1496 Giovanni Swerstab di Norimberga pagava al
duca Filippo III trecento fiorini d’oro l’anno per usar le miniere di
val di Lanzo, e quelle di Montjouet in val d’Aosta, e di Macot e Aime