Storia degli Italiani, vol. 08 (di 15) - 36

l’avanzo lasciai udire agli altri».
[16] ANDREA GATTARO, pag. 280.
[17] Ecco l’esempio d’una dichiarazione offerta per parte del Caresini,
che continuò la cronaca del Dandolo: — Raffaello Caresini, cancellier
grande, offerisce lui con due buoni compagni al suo salario e spese
e un famiglio d’andare sull’armata, e di pagare la spesa di tutti gli
uomini da remo al mese ducati quattro e a’ balestrieri ducati otto al
mese per uno. Item dona tutti i prò de’ suoi imprestiti e imposizioni,
ch’egli ha e che farà nella presente guerra; e di prestare ducati
cinquecento d’oro a renderseli due mesi dopo finita la guerra». Ap.
SANUTO, pag. 736.
... _Concernentes anxio mentis intuitu magnificus dux, consilium
atque cives januensem patriam, quæ, inter alias catholicas nationes,
oris præsertim maritimis, triumphales sui roboris vires expandit
comerciorum, negociacionibus etiam quam maxime frequentata, et portus
et janua navigationibus et lucrorum agendis, quibus humanum alitur
genus abundans magistra, nunc aliquot jam exactis annis, aut justa
Dei ira ex ingentibus mortalium noxis, aut acerbæ sortis sinistris
auspiciis ferali civilium parcialitatum contagiatam morbo, sic solitis
debilitatam viribus, quod januensis reipublicæ corpus suis artubus
plurimis peste lesis, nisi salubri succurrerentur remedio, flebilis
excidii pernicie damnaretur ipsius equidem remedii medelam ab intimis
anhelantes, diurnis cogitationum curis hinc inde versarunt, tandem
prudentissimis consiliis advertentes serenissimi ac invictissimi
principis domini Francorum regis laudabilem justitiam, qua sua regio
felix floret, incomparabilem potentiam qua quicumque terentur iniqui,
scelesti domitantur raptores, et barbarica reprimitur feritas, ad suam
amplissimam clemenciam suarum deliberationum aciem direxerunt. Ita
demum quod miseranda januensis nationis cimba, quæ jamdiu horrendis
fluctuationum turbinibus agitata, nimia confusione ambitus et odiorum
lacerata dissidiis, seu cautibus non parum allidens formidabile
submersionis periculum vix evasit. Ecce tetris observata nubibus
longe titubans pelago, clarum pietate cœlesti clementiæ regiæ jubar
perspectans etc._
Dopo queste frasi retoriche, vengono i lunghi e chiari patti, che
meritano esser letti nel _Liber juris_: vol. II. p. 1237, per più di 13
colonne.
[18] Ad Enrico VII, a Roberto di Napoli, all’arcivescovo di Milano, e
ora a Carlo.
[19] STELLA, pag. 1176, 1193. _Rer. It. Script_., XVII.
[20] _Rivoluzioni d’Italia_, lib. XIV. c. 8. Egli stesso si contraddice
al cap. 4 del lib. XV.
[21] Spesso egli recitò, o almeno compose sermoni per lauree,
per capitoli di frati, per funzioni ecclesiastiche; e si trovano
manoscritti.
[22] _Suscipe Robertum regem virtute refertum_.
[23] _Rerum memorabilium_, lib. I. c. 1.
[24] Un anello con cinque perle; una trecciuola con ottantasei perle
minute; una ghirlanda d’argento, su cui perle novantasei; una cintola
con perle minute; una coppa di cristallo con coperchio fornito
d’argento, che valse lire cinquantuna; un orcioletto di cristallo
fornito d’argento e perle; una coppa di nacchera (madreperla) fornita
d’argento e perle, furono dati in pegno per fiorini censettantasei a un
mercante fiorentino.
[25] _Fragm. Hist. romanæ_, lib. I. c. 10. — DOM. DE GRAVINA, _Rer. It.
Script_., XII. 572.
[26] Parole di Matteo Villani, lib. II. c. 61, e soggiunge questo
fatto: — Un Catalano, il quale teneva una rôcca, fece a’ suoi compagni
tenere trattato col conte di Ventimiglia, il quale, avendo voglia
d’aver quella rôcca, con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato
entrò nel castello con centoquattro compagni, benchè più ve ne credesse
mettere; ma come con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori
furono chiuse le porte, il conte e i compagni presi; e avendovi
uomini, i quali si volevano ricomperare a grande moneta, ed erano da
riserbare per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo
feroce de’ Catalani, che senza arresto spogliati ignudi i miseri
prigioni, e legati colle mani di dietro, l’un dopo l’altro posto a’
merli della maggior torre della rôcca, sopra un dirupinato grandissimo
furono dirupinati senza niuna misericordia, lacerando i miseri corpi
con l’impeto della loro caduta ai crudeli sassi. Il conte solo fu
riserbato, non per movimento d’alcuna umanità, ma per cupidigia di
avere per la sua testa alcuno suo castello vicino ai crudi nemici».
[27] Il Giannone, colle sue frasi grossolane insieme e gonfie, chiama
«Giovanna la più savia reina che sedesse mai in sede reale», lib.
XXIII. c. 3; e lo ripete nel cap. 5; poco poi scrive che la regina,
«ancora che ella fosse in età di anni quarantasei, era sì fresca che
dimostrava molta attitudine di far figli».
[28] Ap. LÜNIG, tom. I. p. 210. 1215. Alla coronazione di Luigi II
d’Angiò si presentarono in Napoli molti baroni, conducendo più di
millecento cavalli; poi i Sanseverino ne condussero milleottocento
tutti ben in arnese. Al che Angelo di Costanzo, che scriveva ai tempi
di Filippo II, riflette: — Io, vedendo in questi tempi nostri, d’ogni
altra cosa felicissimi, nella patria nostra, tanto abbondante di
cavalieri illustri ed atti all’armi, la difficoltà che saria il porre
in ordine una giostra, per la qual difficoltà si vede che ha più di
trent’anni che non n’è fatta una, e l’impossibilità di poter fare in
tutto il Regno mille uomini d’armi di corsieri grossi, simile a quelli
di quei tempi, sto quasi per non creder a me stesso questo ch’io scrivo
di tanto numero di cavalli, ancorchè sappia che è verissimo; ed oltre
che l’abbia trovato scritto da persone in ogni altra cosa veridiche,
l’ho anco visto nei registri di quelli re che gli pagavano. Ma questo è
da attribuirsi al variar de’ tempi, che fanno ancor variare i costumi.
Allora per le guerre ogni piccolo barone stava in ordine di cavalli
e di genti armigere per timore di non esser affatto cacciato di casa
d’alcun vicino più potente; ed in Napoli i nobili, vivendo con gran
parsimonia, non attendendo ad altro che a star bene a cavallo e bene
in arme, si astenevano da ogni altra comodità; non si edificava, non
si spendeva in paramenti, nelle tavole dei principi non erano cibi di
prezzo, non si vestiva, tutte le entrate andavano a pagar valent’uomini
ed a nutrir cavalli. Or per la lunga pace s’è voltato ognuno alla
magnificenza nell’edificare ed alla splendidezza e comodità del
vivere, e si vede ai tempi nostri la casa che fu del gran siniscalco
Caracciolo, che fu assoluto del Regno, a’ tempi di Giovanna II regina,
ch’è venuta in mano di persone senza comparazione di stato e di
condizione inferiore; vi hanno aggiunte nuove fabbriche, non bastando
a loro quell’ospizio, ove con tanta invidia abitava colui che a sua
volontà dava e toglieva le signorie e gli stati. Delle tappezzerie e
paramenti non parlo, poichè già è noto che molti signori a paramenti
di un par di camere hanno speso quel che avria bastato per lo soldo
di dugento cavalli per un anno; ed avendo parlato della magnificenza
de’ principi, con questo esempio non lascerò di dire dei privati che
si vede di cinque case di cavalieri nobilissimi fatta una casa di un
cittadino artista. Tal che credo certo, che, se fosse noto agli antichi
nostri questo modo di vivere, si maraviglierebbono, non meno di quel
che facciamo noi di loro».
[29] RYMER, _Acta_, tom. IV. part. II. pag. 45. A tutti questi fatti
era presente Teodorico da Niem, che scrisse la vita di Giovanni XXIII.
[30] Questa vittoria, che il Sismondi chiama _la plus importante,
la plus glorieuse, qui de tout le siècle eût été remportée sur la
Méditerranée_, secondo i _Giornali napolitani_ fu dovuta ad uno
stratagemma, che sembra pueril cosa quando già si conoscevano le
artiglierie. «Fu combattuto con sapone, olio, pignatelli artificiali,
pietre di calce, le quali buttando sopra le navi nemiche dalle gabbie
loro, le redussero che l’uno non vedeva l’altro, et alcuna volta
offendevano li loro medesimi credendoli nemici». E più distesamente
Giovanni Cavalcanti: «L’arte dei Genovesi che usarono, fu di
maraviglioso scaltrimento: conciossiacosachè portarono infinito numero
di vasi di terra, come pignatte e orciuoli, e quelli di calcina viva
e di cenere di vagello empierono; e nel cominciare della battaglia,
i Genovesi si cercarono che a loro nelle reni ferisse il vento, e a’
nemici nella faccia soffiasse. I Genovesi non meno alle vasa correvano
che all’armi, e i nemici erano nella faccia percossi dalle cocenti e
ardenti ceneri dal vento soffiate; per il sudore e per l’affaticare
della battaglia, i pori erano aperti: la qual calcina dava tanta
passione, che l’arme abbandonavano, e a stropicciarsi gli occhi
ciascuno attendeva». _Rer. It. Script._, XXI. 1101.
[31] VESPASIANO BISTICCI.
[32] S. ANTONINI _Chron_., part. III. tit. 22. not. _b_.
[33] L’arringa del doge è riferita dal Sanuto, che dice averla tratta
dal manoscritto proprio d’esso principe: noi la compendiammo; alcune
partite, imbarazzate nell’edizione del Muratori, si sono racconcie
alla meglio. Si sarà avvertito che il doge mette un eccesso di attivo
veneto, giacchè bisogna dedurne un milione per l’importo dei panni e
frustagni.
[34] ANDREA BILLII, _Historia Mediol_., pag. 78.
[35] Secondo un conto prodotto da ser Cambi, i Veneziani teneano
in campo ottomila ottocentrenta cavalli, e ottomila fanti, quelli a
fiorini quattro il mese ciascuno, questi a fiorini tre; e i Fiorentini
seimila cavalli e seimila fanti; sicchè fra essi e i Veneziani
spendeano al mese centoduemila fiorini. Il duca di Milano area ottomila
cinquecentocinquanta cavalli del costo di venticinquemila fiorini il
mese, e ottomila fanti e balestrieri di fiorini ventiquattromila. Nel
conto sono divisati tutti i condottieri e gli uomini di ciascuno. Vedi
_Delizie degli eruditi_, XX. 170.
[36] Da un dialogo manoscritto di Paolo Giovio; dove pure leggo che,
pel terrore causato dalle prime armi a fuoco, si troncava la destra
a quanti fucilieri si coglievano; e che Bartolomeo Coleone generale
dei Veneziani, e Federico d’Urbino, nella zuffa della Riccardina
sul Bolognese, essendo tra il combattere discesa la notte, fecero ai
donzelli apparecchiar fiaccole, al cui chiarore continuarono la pugna.
[37] SANUTO, pag. 1029. Frà Paolo Sarpi, lodatore di tutto ciò che è
tirannico, scrive «esser antico vanto della circospezione veneziana
l’aver tenuta celata scrupolosamente per otto mesi la risoluzione della
morte del conte Carmagnola».
[38] CRISTOFORO DA SOLDO.
[39] SABELLICO, _Deca_ III, lib. 5.
[40] ROSSI, _Elogi storici_, pag. 150; CAPRIOLO, _Storie bresciane_;
RIZZARDI, _Storia Asolana_ manoscritta.
[41] Filippo Borromeo di Lazzaro, coll’ajuto de’ Milanesi cacciò da
San Miniato sua patria i Fiorentini; ma poi da un capitano tradito
a questi, fu ucciso il 1350. La Talda, sorella di Beatrice Tenda,
ebbe quattro maschi. Andrea, dottorato in Padova e cavaliere aurato;
Borromeo tesoriere di Padova al tempo de’ Carraresi, i quali temendolo
ed invidiandolo gli cercarono cagione addosso e lo arrestarono, nè
potè uscire di carcere che pagando ventiduemila scudi d’oro: egli
per vendicarsene istigò Visconti e Veneziani finchè abbatterono il
Carrarese. Borromeo coi fratelli Alessandro e Giovanni si piantò a
Milano, e v’ebbero la cittadinanza il 1394, e tennero casa a Santa
Maria Podone. Borromeo nel 1400 stette mallevadore per dodicimila
scudi del marchese di Monferrato, in un accordo di questi coi Visconti.
Giovanni fu consigliere e capitano di Gian Galeazzo; da Gian Maria nel
1403 ebbe in feudo Castell’Arquato e tutta la val di Taro col titolo
di conte; e fu principale autore del matrimonio di Filippo Maria
con Beatrice Tenda. Esso Filippo diè pure la cittadinanza milanese
a Vitaliano Vitelliani, nipote per sorella di Giovanni, e diritto
di conseguirne l’eredità e il cognome; lo fe tesoriere generale e
consigliere nel 1439; nel 42 l’investì della rôcca d’Arona, come
conte di Canobbio e sua valle; nel 46 di Ugogna e Margozzo: ed è lo
stipite de’ Borromei di Milano, Galeazzo, Antonio, Giovanni, figlio del
Giovanni suddetto, si mutarono a Venezia, dove sono ricordati nella
chiesa di Santa Elena, da essi eretta ed arricchita. V. CORONELLI,
_Bibl. universale_, tom. VI. p. 790.
[42] Anche nel 1689 Pietro Ottobon dal prozio Alessandro VIII fu fatto
cardinale, e prestò molti servizj alla Serenissima; e ottenne da questa
fosse rimesso in grazia il proprio padre Antonio, disgradato perchè era
divenuto generale di Santa Chiesa. Ma essendo stato eletto protettore
della corona di Francia alla Corte pontifizia, il senato si oppose; e
avendo egli non ostante spiegato le insegne di Francia, fu abraso dal
libro d’oro, confiscatogli il patrimonio, sospesa ogni rendita de’ suoi
beni ecclesiastici nel dominio veneto.
[43] _Mutilasti Imperium Mediolano et provincia Longobardiæ, quæ
juris S. B. Imperii fuerant, redeuntibus inde ad imperium amplissimis
emolumentis; in qua ditione mediolanensi veluti minister S. B. Imperii
partibus fungebatur, cum tu contra, accepta pecunia, Mediolani ducem et
comitem papiensem creasti._ Così gli elettori nel deporre Venceslao.
[44] _Jus, quod ex dictis concessionibus et citationibus in feudo
dictorum ducatuum et comitatum habemus, nobis et nostris successoribus
in Imperio salvum maneat et illesum._ LÜNIG, Italia dipl., I. 480.
[45] Quella Repubblica fu censurata dal Corio per blandire i duchi,
e dal Verri per stizzosa allusione alla Cisalpina; ma più che alle
ironiche declamazioni di questo, credo ai documenti del Rosmini. Il
Leo, tra gli errori onde ribocca la sua _Storia d’Italia_, dice che il
Rosmini, «per biasimare la repubblica, produce molte ordinanze sulla
religione, le scienze, la politica». Lo fa pel preciso contrario.
Nell’archivio del duomo è un’ordinanza de’ capitani del 14 agosto,
nella quale, poichè _Altissimi clementia ineffabili.... antiquissimam
auream et sanctam libertatem urbs hæc feliciter reassumpsit_,
stabiliscono un’oblazione annua; e sotto l’11 agosto, in riconoscenza a
Dio _quod ad dulcissimum reipublicæ et libertatis statum nos reduxit_,
ordinano una processione a Sant’Ambrogio.
[46] Nella battaglia di Morat servivano al duca di Borgogna
quindicimila Lombardi, il cui capitano Antonio Corradi di Lignana
vercellese vi perì.
[47] _Arch. storico_, XIII. 311.
[48] _Historia desponsationis et coronationis Friderici III et conjugis
ipsius, auctore_ NICOLAO LANKMANO DE FALKENSTEIN. Ap. PEZ, II. 569-602.
[49] SPINO, _Vita di Bartolomeo Coleone_, pag. 255. La costui biografia
fu scritta in latino da Antonio da Cornazzano, che con altri letterati
e artisti vivea nel castello di lui; onde il ritrasse con colori
lusinghieri che la storia smentisce.
Del Cornazzano abbiamo pure manoscritta la vita di Francesco Sforza in
terzine, e un trattato _De la integrità de la militare arte_, oltre
un poema più volte stampato sul soggetto stesso: _Opera nuova de Mr.
Ant. Cornazzano, la quale tratta de modo regendi, de motu fortunæ,
de integritate, rei militaris, et qui in re militari imperatores
excelluerint_. D’altri due condottieri, Attendolo Sforza e Braccio di
Montone, scrissero le gesta Lodrisio Crivelli e Gianantonio Campano,
rozzi ma interessanti.
[50] Del 1467 fu pubblicata a Milano la seguente grida di guerra: —
Si fa poto e manifesto a caduna persona de quale grado e conditione
se sia, per parte del nostro M. signor duca di Milano ecc. in tutte
le terre del dominio suo, che qualunche soldato, o che sia pratico al
soldo, così de cavallo come de pede, tanto terriero quanto forastero,
che al presente se trovasse habitare nel dominio ducale, che voglia
venire in campo dove el prelibato ill. signor duca nostro se ritrovarà;
venga in ordine ed armato, che averà buona e grossa guerra in lo
parti de Piemonte, presentandose, subito che sia in campo, ad Petro,
Francesco Visconte, conductero et marescallo del campo, et ulterius che
porteno la banda bianca, come fanno gli altri».
[51] Paolo Santini, che, sulla metà del secolo XV, scrisse un trattato
di cose militari rimasto manoscritto, e pare fosse al servizio dei
Veneziani, dice: _Qui in Italiam vincere desiderat, ista instruet:
primo, cum summo pontifice semper sit; secundo, dominetur Mediolanum;
tertio, quod habeat astronomos bonos; quarto, habeat ingegnerios qui
sciant plurima; quinto, quod tot navigia conducantur plena lapidibus
in canalibus.... impleantur canalia multitudine navium, navigiorum,
barcarumque suffundatarum, etc._
[52] La sentenza si esprime: _Videtur, propter obstinatam mentem suam,
non esse possibile extraere ab ipso illam veritatem, quæ clara est per
scripturas et per testificationes, quoniam in fune aliquam nec vocem
nec gemitum, sed solum intra dentes voces ipse videtur et auditur infra
se loqui.... tandem non est standum in istis terminis, propter honorem
status nostri..._
[53] Del discorso recitato da Nicola Oremme in concistoro porge
l’estratto De Sade, _Vie du Pétrarque_, tom. II. I. 692. È nota la
risposta che il Petrarca vi fece.
[54] Ella stessa nel _Tratt. della Provvidenza._ E vedi BOLLAND, ad 30
apr.; HAGEN, _Die Wunder der h. Catharina von Siena_. Lipsia 1840.
[55] «Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che, più tosto che
potete, voi n’andiate al luogo vostro dei gloriosi Pietro e Paolo; e
sempre dalla parte vostra cercate d’andare sicuramente, e Dio dalla
parte sua vi provvederà di tutte quelle cose che saranno necessarie a
voi.
«Poniamo che abbiate ricevute grandissime ingiurie, avendovi fatto
vituperio e toltovi il vostro; nondimeno, padre, io vi prego che
non ragguardiate alle loro malizie, ma alla vostra benignità, e non
lasciate però d’oprare la nostra salute. La salute loro sarà questa,
che voi torniate a pace con loro, perocchè il figliuolo che è in
guerra col padre, mentre che vi sta, egli il priva dell’eredità sua.
Oimè, padre, pace per l’amore di Dio, acciocchè tanti figliuoli non
perdano l’eredità di vita eterna; che voi sapete che Dio ha posto
nelle vostre mani il dare, il togliere questa eredità, secondo che
piace alla benignità vostra. Voi tenete le chiavi, ed a cui voi aprite
si è aperto, ed a cui voi serrate è serrato; così disse il dolce e
buono Gesù a Pietro, il cui loco voi tenete. Adunque imparate dal vero
padre e pastore; perocchè vedete che ora è il tempo da dare la vita
per le pecorelle che sono escite fuora del gregge. Convienvele dunque
cercare e racquistare con la pazienza, e con la guerra andare sopra
gl’infedeli, rizzando il gonfalone dell’ardentissima e dolcissima
croce: al qual rizzare non si convien più dormire, ma destarsi e
rizzarlo virilmente.
«Rizzate, babbo, tosto il gonfalone della santissima croce, e vedrete i
lupi diventare agnelli. Pace, pace, pace, acciocchè non abbia la guerra
a prolungare questo dolce tempo: ma se volete far vendetta e giustizia,
pigliatela sopra di me miserabile, e datemi ogni pena e tormento
che piace a voi insino alla morte. Credo che per la puzza delle mie
iniquità sieno venuti molti difetti e molti inconvenienti e discordie:
dunque sopra me, misera vostra figliuola, prendete ogni vendetta che
volete. Ohimè, padre, io muojo di dolore e non posso morire. Venite,
venite, e non fate più resistenza alla volontà di Dio che vi chiama;
e l’affamate pecorelle v’aspettano, che veniate a tenere e possedere
il luogo del vostro antecessore e campione apostolo Pietro; perocchè
voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi nel luogo vostro proprio.
Venite dunque, venite, e non più indugiate, e confortatevi e non temete
di alcuna cosa che avvenire potesse, perocchè Dio sarà con voi».
[56] Brigida andò poi pellegrina in Terrasanta, e reduce morì a Roma
il 1373. Le rivelazioni ch’essa ebbe e scrisse, furono riprovate
dall’insigne Gerson, approvate dal cardinale Torquemada, tradotte in
tutte le lingue, e le valsero d’essere canonizzata da Bonifazio IX,
benchè siasi avventata gagliardissimamente contro la corte pontifizia
fino a dire: — Il papa è l’assassino delle anime; disperde e strazia il
gregge di Cristo; più crudele che Giuda, più ingiusto che Pilato, più
abbominevole che gli Ebrei, peggiore dello stesso Lucifero. Convertì
i dieci comandamenti in un solo, _Portate denaro_. Roma è un baratro
d’inferno, e il diavolo presiede, e vende il bene che Cristo acquistò
colla sua passione, onde passa il proverbio
_Curia romana non petit ovem sine lana;_
_Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit;_
invece di convocar tutti, dicendo, _Venite e troverete il riposo delle
anime_, il papa esclama: _Venite alla mia corte, vedetemi nella mia
magnificenza maggior di Salomone; venite, vuotate le vostre borse, o
troverete la perdita delle vostre anime_».
[57] — Pregovi da parte di Cristo crocifisso, che piaccia alla santità
vostra di spacciarvi tosto. Usate un santo inganno, cioè parendo di
prolungare più dì, e farlo poi subito e tosto; che quanto più presto,
meno starete in queste angustie e travagli. Anco mi pare che essi
v’insegnino, dandovi l’esempio delle fiere, che quando campano dal
lacciuolo, non vi ritornano più. Per infino a qui siete campato dal
lacciuolo de’ consigli loro, nel quale una volta vi fecero cadere
quando tardaste la venuta vostra; il quale lacciuolo fece tendere il
demonio perchè ne seguitasse il danno e il male che ne seguitò: voi
come savio, spirato dallo Spirito Santo, non vi cadrete più. Andianci
tosto, babbo mio dolce, senza verun timore; se Dio è con voi, veruno
sarà contra voi. Dio è quello che vi move, sicchè egli è con voi;
andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita,
perchè li poniate il colore.
«Sia in voi un ardore di carità per sì fatto modo, che non vi lasci
udir le voci dei demonj incarnati e non vi faccia temere il consiglio
de’ perversi consiglieri fondati in amore proprio, che intendo vi
vogliono metter paura per impedire l’avvenimento vostro dicendo, _Voi
sarete morto_. E io vi dico da parte di Cristo crocifisso, dolcissimo
e santissimo padre, che voi non temiate per veruna cosa che sia. Venite
sicuramente, confidatevi in Cristo dolce Gesù; chè, facendo quello che
voi dovete, Dio sarà sopra di voi, e non sarà veruno che sia contra
voi. Su virilmente, padre, ch’io vi dico che non vi bisogna temere:
se non faceste quello che doveste fare, avreste bisogno di temere. Voi
dovete venire; venite dunque, venite dolcemente senza verun timore.
«Su dunque, padre, e non più negligenza; drizzate il gonfalone della
santissima eroce, perocchè coll’odore della croce acquisterete la
pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi gl’invitiate ad
una santa pace, sicchè tutta la guerra caggia sopra gl’infedeli.
Spero per l’infinita bontà di Dio, che tosto manderà l’ajutorio suo.
Confortatevi, confortatevi, e venite, venite a consolare i poveri e
servi di Dio e figliuoli vostri; aspettiamovi con affettuoso e amoroso
desiderio...»
Di santa Caterina abbiamo tre lettere a Gregorio XI, nove a Urbano VI,
otto a varj cardinali, due a Carlo V di Francia, quattro alla regina
Giovanna, le altre a prelati, a religiosi, a laici.
[58] Vedi principalmente la parte II. cc. 16, 17, 21, 25 del _Defensor
pacis_, stampato poi nel 1523. Al c. 28 è chiamata esecrabile la
pienezza del potere invocato dai papi.
[59] Colla costituzione _Exiit qui seminat_, nel VI delle Decretali,
tit. _De verb. signif._ — Vedi tom. VI, pag. 353.
[60] Quorum exigit, nelle _Estravaganti_, tit. _De verb. signif._
[61] Ap. CIBRARIO, _Economia_, 163.
[62] FEO BELCARI, _Vita del b. Colombino_.
[63] Possono aggiungersi Corrado d’Offida e Francesco Veninbene di
Fabriano francescani; Gentile da Matelica che, dopo tante conversioni
in patria, cercò più largo campo in Oriente, ove cadde assassinato;
il beato Rigo di Treviso secolare; il beato Ugolino Zefirini di
Cortona (-1370); il beato Giovanni da Rieti (-1347); Gregorio Celli da
Verruchio; il beato Oddino Barotto curato di Fossano in Piemonte, tutto
carità nella peste del 400. Angela da Foligno i disordini di gioventù
pianse in severa penitenza e indefessa meditazione. Chiara da Rimini le
dissipazioni di sua vedovanza espiò nell’austerità, nell’umiliazione, e
nel soccorrere gli altrui bisogni spirituali e temporali per trent’anni
(-1306). Chiara Gambacorti di Pisa volle mangiar il pane dell’assassino
di sua famiglia. Angelina, figlia del conte di Corbara, malgrado il
voto di castità, sposato per obbedienza il conte di Civitella, seppe
indurre anche lui ad egual voto; poi vedova, si professò francescana
e molt’altre indusse, e stabilì il terz’ordine di san Francesco a
Foligno. Rita di Cascia ebbe ad esercitar la pazienza in diciott’anni
d’infelice matrimonio, poi mortificando la carne e lo spirito.
Nomineremo ancora la beata Michelina da Pesaro, vedova d’un Malatesta;
e la beata Imelda de’ Lambertini di Bologna.
[64] BARTOLOMEO FAZIO. Il quaresimale di san Bernardino da Siena fu
raccolto da Benedetto di mastro Bartolomeo, cimatore di panni senese,
che sarebbe uno de’ più antichi stenografi ricordati. Vedi _Sopra un
codice cartaceo del secolo XV... osservazioni critiche dell’abate_
LUIGI DEANGELIS. Colle 1820.
[65] _Ed. Moreni,_ 1831, I. 187, 252. Declamò novamente contro l’andare
al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando sotto la loggia
d’Or San Michele nel 21 settembre 1309, cioè parecchi anni appresso
(II. 50). Forse questi luoghi delle prediche di frà Giordano furono
presenti al beato Giovanni Delle Celle quando dissuase Domitilla dal
pellegrinaggio di Terrasanta, nella IXª delle sue lettere.
[66] «Dicetemi, dicetemi un poco o signori; donde nascono tante e
diverse infermitade in gli corpi umani, gotte, doglie di fianchi,
febre, catarri? non d’altro se non da troppo cibo et esser molto
delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, e non te basta; ma cerchi
a’ toi conviti vino bianco, vino negro, malvagie, vino de tiro, rosto,
lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole, fichi, uva passa,
confetione, et empi questo tuo sacco di fecce. Émpite, sgònfiate,
allàrgate la bottinatura, et dopo el mangiare va et bottati a dormire
come un porco». _Predica_ I. Venezia 1530.
[67] BURLAMACHI, _Vita di frà Savonarola._
[68] È a vedere anche il BARBERINO, _Documenti d’amore_, part. VIII. d.
2.
[69] Nel 1379 Urbano VI sollecitava Rainero de’ Grimaldi, consignore di
Mentone, per mezzo di Giovanni Serra giureconsulto genovese, a tenersi
fedele a lui, e correr sopra i seguaci del suo competitore, facendogli
dono di quanto avesse sorpreso, eccetto reliquie, libri, vasi, gioje o
altro appartenenti alla camera apostolica. Dicesi ch’ei v’ascoltasse, e
molta preda facesse sovra prelati aderenti a Clemente VII; e che fra il
resto trovasse la verga di Mosè e altre sacre reliquie, ch’ei restituì
a Urbano. GIOFFREDO, _St. delle Alpi Marittime_, II. 869.
[70] Sant’Antonino di Firenze dice: — Benchè siam tenuti a credere che,
come una sola Chiesa, così v’ha un solo pastore, però, qualora accada
scisma, non pare necessario il credere che l’eletto canonicamente sia
piuttosto l’uno che l’altro: basta sapere che un solo potè esserlo,
senza arrogarsene la decisione».
[71] Gian Galeazzo domandò che il giubileo potesse acquistarsi da’
suoi sudditi senza andare a Roma, ma visitando quattro basiliche di
Milano. Con ciò voleva ed evitare i pericoli causati dalla guerra coi
Fiorentini, e tener in paese il denaro, e fare che le obbligazioni
fruttassero per la fabbrica del duomo. Bonifazio IX gli assentì la
supplica, e il Corio dice che «se anche non fosse contrito nè confesso,
fosse assoluto da ogni peccato in questa città dimorando dieci giorni
continui». Menzogna, poichè la bolla data il 12 febbrajo 1391 vuole che
sieno _vere pœnitentes et confessi_.
[72] Così il dipinge l’anonimo romano. Antonio Flaminio forocorneliense
dice che aveano veste bianca, sopra cui una cerulea tirante al
nero, una croce bianca, e una rossa di panno; a sinistra la colomba
coll’ulivo, in fronte il tau, in mano bastone senza puntale a modo dei
pellegrini; e funi con sette nodi.
[73] Su quelli di Firenze abbiamo un capitolo di Franco Sacchetti.