Storia degli Italiani, vol. 06 (di 15) - 34

Hæc omnia supradicta juramus observare et adimplere et firma tenere
perpetuo, ad sanum et planum intellectum consulum Florentiæ remota omni
fraude, et sub hoc intellectu, quod imperator nec papa nec aliquis
clericus vel laicus vel nulla alia persona possit nos absolvere in
aliquo vel de aliquo ab hoc juramento, nec pro aliqua de causa possimus
occasionare hoc juramentum.
Scripta sunt hæc anno_ MCLXXXI, _tertio nonas februar., ind._ XV.
Il più antico documento di sommessione d’una città ad un’altra è quello
di Fano, che, assalita da Ravenna, Pesaro, Sinigaglia nel 1140, accettò
la signoria di Venezia, stipulando che, qualunque volta i Veneziani
farebber oste da Ragusi fin a Ravenna, i Fanesi gli aiuterebbero con
una galea armata a proprie spese: nelle guerre da Ancona fin a Ravenna,
militerebbero con loro: inoltre manderebbero i loro savj al parlamento
comune in Venezia, ogniqualvolta fossero chiamati, siccome usano tutti
gli altri _fedeli_: e di ciò fanno ampio giuramento salvo sempre il
servigio all’imperatore di Germania. AMIANI, _Memorie storiche di
Fano_, tom. II, parte 7ª.
Pergine, grossa borgata sulla via fra Trento e Bassano, godeva
di antichissime libertà sotto la primazia del vescovo Tridentino,
ma molte gliene usurpò il castellano imperiale, che la rese feudo
ereditario di sua famiglia, colle prepotenze consuete. Stanchi delle
quali, e profittando delle guerre del Barbarossa, i Perginesi nel
1166 s’accolsero nel monastero benedettino di Santa Maria in Valdo,
e stesero un atto con cui i rettori e seniori di tutte le gastaldie
di quel Comune si sottoponeano al Comune di Vicenza, obbligandosi con
giuramento ad essergli fedeli servidori e amici, ajutarlo in guerra con
ducento armati, pagar la solita colletta sui fuochi; ne riceveranno un
podestà, che però li lasci viver _secondo le consuetudini che tengono
da cento, ducento e quattrocento anni, tanto a legge salica che a
longobarda:_ essi li libereranno e preserveranno dalla tirannia di
Gundibaldo castellano di quel distretto, aboliranno tutte le angherie
e pesi da esso imposti, e il godimento delle prime notti, e i servigi
di corpo a cui esso li forzava, retribuendogli invece qualvolta
devano prestar opera al podestà in castello. Possano, come in antico,
eleggersi il giudice, soggetto però al podestà; non siano mai per
veruna ragione ceduti a Gundibaldo o alla sua famiglia; nè costretti
guerreggiar contro l’impero o le chiese di Trento e di Feltre. Il
documento è stampato nelle _Notizie storiche intorno al b. m. Adelperto
vescovo di Trento_ di frà BENEDETTO BONELLI, tom. II. Trento 1761.
Nel _Liber jurium_ al 1199 leggonsi i patti con cui il Comune di
Vinguelia, quello di Albenga, quello di Diano si sottoposero al Comune
di Genova; e quelli di Oneglia, San Remo, Porto Maurizio si allearono
con esso: nel 1202 quel di Savona si sottomise.
In tal anno gli uomini delle valli d’Arocia, d’Andoria, d’Oneglia, di
Petralata, di Rezio, di Nasco fecero alleanza coi Genovesi; e i primi,
per mezzo de’ loro consoli, promettevano salvare e custodire gli uomini
di Genova e del distretto per mare e per terra; «non proibiremo si
porti a Genova grano o altra vivanda o merce; se quel Comune faccia
oste o cavalcata, daremo all’esercito mercato di grano e vettovaglie;
richiesti faremo esercito a nostre spese, e campeggeremo per tutto il
contado di Ventimiglia, la marca d’Albenga, il vescovado di Savona, a
comando de’ consoli o podestà; se il Comune di Genova guerreggi da Gavi
o da Palodo fin a Portovenere, terremo nell’esercito cento arcieri;
se alcuna città, vescovo o persona della riviera e del contado citerà
in giudizio alcuna di esse valli, gli faremo giustizia nella curia di
Genova; per custodia di Porto Bonifacio daremo ogni anno due uomini
a spese nostre, come ordineranno il podestà e i consoli di Genova;
se il podestà o i consoli ci richiedano di consiglio, gli daremo il
migliore, e gli terremo credenza de’ secreti affidatici; ogni anno
a san Giambattista, in segno di devozione e fedeltà, manderemo alla
chiesa di San Lorenzo un cero di venticinque libbre; non faremo patto
o giuro con verun luogo o terra o persona senza salvare ed eccettuare
questa convenzione, la quale farem giurare da tutti gli uomini di
esse valli e luoghi dai quindici ai settant’anni, e rinnovare ogni
cinque anni». Di rimpatto il podestà di Genova prometteva protezione
e salvezza agli uomini di que’ Comuni; «darò un mercato ad Andoria il
primo d’agosto, e l’altro ad Oneglia l’Ognissanti, dove se nasca alcuna
controversia, sarà definita da quelli che Genova deputerà all’uopo; vi
correranno i pesi e le misure della città, come negli altri mercati del
contado e della riviera; se alcuno di Ventimiglia, d’Albenga, di Savona
voglia forzarvi contro giustizia, appellerete alla curia di Genova, e
noi li citeremo, e se non compajono, vi difenderemo e manterremo nel
diritto vostro; vi concediamo che possiate comprare ed estrarre da
Genova qualunque merce vi occorra, salvi i diritti della città e dei
cittadini». Il cintraco, vogliam dire il gastaldo, a nome e sull’anima
del popolo giurò queste convenzioni in un parlamento, ove ad essi fu
data l’insegna del Comune di Genova, perchè appaja che meritarono la
piena grazia della città. — _Liber jurium_, tom. I. pag. 473.
Segue una stipulazione molto più particolareggiata coi consoli di Naulo.
[193] _Monum. Hist. patriæ_, Chart., I. 861. Il 1183 i consoli di
Casale rimettono ogni pretensione per danni recati al loro Comune da
Vercellesi, confermandolo tutti i cittadini maggiori e minori, radunati
nella solita piazza al campanile di Sant’Evasio.
[194] Ivi, 20 aprile 1212.
[195] _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 1040, 1231.
[196] DANIEL, _Chron. ms._ ap. _Antichità longobardiche milanesi_,
diss. XXI; _Archivio storico_, tom. XV. D’altre più recenti si trova
esempio in Romagna fin nel secolo XVI, come i Pacifici estesi per tatto
il paese, e la Santa Unione a Fano. V. AMIANI, _Mem. di Fano_, II. 146.
[197] CIBRARIO, _St. della monarchia di Savoja_, tom. I. doc. 2º.
[198] CIBRARIO, _Economia politica del medioevo_, 392.
[199] I documenti sono pubblicati dal Minutoli nel vol. X
dell’_Archivio storico_.
[200] Pubblicati nei _Monum. Hist. patriæ_. Vedi pure CIBRARIO,
_Storia di Chieri. — Si quis, qui non sit de societate Sancti Georgii,
percusserit aliquem dicte societatis, vel manum posuerit in persona
alicujus dicte societatis, podestas vel rector dicte societatis, vel
consules teneantur et debeant precise et sine tenore facere sonari
stremitam, et se armare et currere ad arma omnes illos predicte
societatis, et ad se venire armatos facere, et facere cum ipsis
ultionem de maleficio commisso secundum qualitatem maleficii et
personæ; et si incontinenti ultionem non fecerit, potestas vel rector
vel consules habeant plenam licentiam et bayliam ad suam voluntatem
faciendi ultionem in illo qui malificium commiserit, vel coadjutoribus
suis, ita quod ultio fiat, et non possit remanere ullo modo q....
Item statutum est quod si contingeret (quod absit) quod rumor sive
rixa moveretur in aliquo loco inter aliquas personas, quod quilibet
supradicte societatis qui hoc audiverit vel viderit illuc, currat omni
obmisso negocio: et si viderit quod dicta rixa esset inter aliquos
qui essent de dicta societate, quod ille et illi qui ibi erunt de
dicta societate debeant fortiter et robuste prestare illi vel illis
qui essent de dicta societate qui rixam haberent, auxilium, consilium
et favorem totis viribus atque posse cum armis vel sine armis etc._
Statuta Cherii, pag. 774. 776.
[201] _Cronaca di Neri di Donato_. Rer. It. Scrip., XV. 224-294.
[202] Vedi, per Genova, CUNEO, _Mem. sopra l’antico debito pubblico
ecc._, pag. 258; per Firenze G. VILLANI, lib. XI; per Napoli ANDREA
D’ISERNIA, _Commento alle Costituz._, I. — In Bologna ogni forestiere
che entrasse dovea farsi porre un suggello di cera rossa sull’ugna del
pollice. Michelangelo non conoscendo quest’uso, fu multato in cinquanta
lire di bolognini, come narra A. Condivi nella Vita di esso.
[203] In Milano la prima menzione di tale gabella è del 1271; poi
Filippo Maria Visconti sostituì il sale forzato alla tassa dei
focolari. In Genova la gabella del sale è accennata nel 1214 (CAFFARO,
IV. 406); in Reggio nel 1261 (_Mem. potest. reg._ Rer. It. Scrip.,
VIII. 1172); in Parma il 1292 (_Chron. parm._, ib. IX. 823).
[204] Stima il Giulini che l’imposta diretta sui fondi siasi
primamente stabilita sotto il duca Filippo Maria, circa il 1423; e che
nell’immunità accordata al convento di Pontida (ann. 1129 ap. TRISTANO
CALCO, _quibus pergravari interdum prædia solent_) quell’_interdum_
mostri appunto che non era costante. Il fatto da noi riferito secondo
il Fiamma e il Corio al 1240, lo contraddice. Vedi CORIO e GIULINI,
_passim._; G. VILLANI, X. 17; CAFFARO, IV. 17; PAGNINI, _Della decima
fiorentina_, I. 25.
[205] GIULINI, lib. LIV — INNOCENTII IV, _Ep._ 24 settembre 1250 —
CAFFARO, VIII. 541 — _Ant. M. Æ._, diss. XL.
[206] Fra i Turchi d’oggi i pesi pubblici decretati sono più leggeri
che in qualunque dipendenza europea: ma noi, pagata l’imposta, siam
garantiti del resto, e possiamo goderlo o accumularlo a volontà;
colà invece può venire il bascià o un suo satellite a spogliarvi.
Manca dunque la sicurezza: perciò si fabbrica il men possibile; non
si restaura; se un muro minaccia cadere, si puntella; se cade, è una
camera di meno; se cade tutta la casa, si ritirano il più presso che
possono per valersi dei materiali ed erigerne un’altra.
[207] _Nullus audiatur de jure suo, qui dare aliquid teneatur communi_.
Stat. Fior., lib. IV. _Tract. de extimis_, rubr. 33. Altrettanto
portavano gli statuti di Chieri, di Casale, ecc.
[208] Vedine gli statuti nei _Monum. hist. patriæ. — Anno etc.
presentia etc. Rainerius de Monbello obligavit consulibus Vercellarum
nomine communis casam quam emit a Manifredo Caroso, ita quod sit aperta
communi si ullo tempore habitaculum Vercellarum relinquerent_. Chart.
I. 995. E prima e dopo vi ha moltissimi patti di cittadinanza assunta
in Vercelli, sempre con questa convenzione della casa. I Vercellesi,
volendo avere il cittadinatico in Milano, vi comprarono una casa nel
1221 al prezzo di 210 lire di terzoli. Nei tante volte citati _Monum.
Hist. patriæ_, Chart. I al 1199 e seguenti, stanno le divisioni degli
uomini di Biandrate, fatte tra i Comuni di Vercelli e Novara; poi nel
1201 divisero i territorj di Biandrate, Vicolungo, Casalbertrando; e
gli uomini ammessi al Comune danno tutti la garanzia d’una casa.
[209] Il diritto di zecca era talmente ritenuto regio, che Venezia nel
1285, cioè quando era indipendente da otto secoli, chiese al papa ed
all’imperatore il diritto di battere gli zecchini (SANUTO, _Vite dei
dogi_; ZANETTI, _Delle monete e zecche d’Italia_; CARLI e ARGELATI,
_Delle monete d’Italia_). Vecchie sono le monete di Napoli col solo
tipo di san Gennaro. I Normanni ne coniarono, s’ignora dove. Venezia
neppur si sa quando n’ebbe il diritto; la più vecchia sua moneta è
del 972. Nè si sa quando cominciasse Ancona col tipo di san Ciriaco.
Dopo l’XI secolo Aquila, Aquileja, Rimini, Arezzo, Ascoli, Asti,
Bergamo, Messina 1139, Piacenza 1140, Bologna 1191, Brescia 1162,
forse Cortona, certo Cremona 1115, Tortona da Federico I, Ferrara
1164, Fermo dai papi all’entrare del secolo XIII, Firenze, Genova e
Piacenza da Corrado II. Monete si citano di Mantova avanti l’XI secolo,
di Modena, Parma, Padova, Perugia e Reggio nel XIII, di Pisa fin dal
1175: dubbie sono quelle dei conti di Savoja salenti fin al 1048: Siena
vantane il privilegio del 1086; forse Spoleto sotto i Longobardi, e
Torino a mezzo il secolo XIII, Verona nell’XI, Volterra al 1231. Più
recenti sono quelle di Urbino, Vigevano, Vicenza, Sinigaglia, Saluzzo,
Recanati, Pesaro, Macerata, Forlì. Dopo il 1500 ebbero zecca Lecco e
Musso, durante il dominio di Gian Giacomo Medici. Il Carli, leggendo
_genenses_ per _ticinenses_ credette la zecca di Genova esistesse nel
769. Giovan Gandolfi (_Della moneta antica di Genova_) prova che Genova
battea monete prima del 1139, in cui n’ebbe diploma da Corrado II; e
certo fin dal 1102, però col tipo di Pavia; inoltre, che un anno prima
di Firenze coniò la moneta d’oro, la quale, secondo lui, potè servir
d’esempio al fiorino.
[210] Allora 72 grani d’oro equivalevano a 770 d’argento. Sarebbe
stato opportunissimo tener per legale un solo metallo, e non alterare
la proporzione fra i due col variare le parti aliquote dell’argento
come si fece. La moneta d’argento chiamata _lira_ non fu battuta che
da Cosimo I nel 1531, della bontà di 90-3/4, e del taglio di 72 la
libbra. Tre sorta di ducati avevano i Veneziani: quello d’oro di circa
lire 17; d’argento, valuta effettiva da lire 4 a 4,50; di conto da lire
3,25 a lire 4. Nell’amministrazione contavasi per ducati effettivi;
in commercio, per ducati di conto: l’effettivo valeva 8 lire venete,
l’altro lire 6 e denari 4. Vedi CARLI, diss. VII.
In un istromento del 1265 nell’Archivio diplomatico di Firenze, rogato
in Passignano, un debitore di lire quattro cede a un suo fratello
creditore un pezzo di terra al Poggio a vento, perchè si rimborsi coi
frutti di questo, valutati ai prezzi seguenti:
Lo stajo del grano soldi 2
» dell’orzo e delle fave » 2 denari 4
Il congio del vino » 8
L’orcio dell’olio » 10
La mannella del lino a saggio » — » 10
[211] Il barbaro _budget_ è di origine italiana, derivando dalla
_bolgetta_ o tasca, in cui il massajo o ministro delle finanze portava
i conti al parlamento.
[212] Leggi del 10 dicembre 1268, e 21 luglio 1296.
[213] È stampato nella storia di Giugurta Tommaso.
[214] _Quosdam montes et nemora quæ sunt circa Panormum, muro
fecit lapideo circumcludi, et parcum deliciosum satis et amœnum
diversis arboribus insitum et plantatum construi jussit, et in eo
damas, capreolos, porcos sylvestres jussit includi: fecit et in hoc
parco palatium, ad quod aquam de fonte lucidissimo per condiictus
subterraneos jussit adduci._ Chron. Salern. in _Rer. It. Scrip._, vol.
VII. pag. 194.
Ancora la campagna di Palermo è sparsa di guglie (ivi dicono
all’arabica _giarre_), che sono sfiatatoj degli acquedotti sotterranei
fabbricativi al tempo degli emiri, e che ricreano di fontane la città,
ed elevano l’acqua anche ai piani superiori delle case.
[215] Un quartiere di Palermo serba tuttora il nome di Papireto. Non
è della natura dell’egizio, bensì di quello di Siria, e differisce da
quello che germoglia a Siracusa.
[216] _Nec vero illas palatio adhærentes silentio præterire convenit
officinas, ubi in fila, variis distincta coloribus, serum vella
tenuantur, et sibi invicem multiplici texendi genere coaptantur.
Hinc enim videas amita, damitaque et trimita minori peritia perfici_
(cioè di uno, due, tre licci): _hinc examita_ (sciamito) _uberioris
materia condensari: heic diarhodon igneo fulgore visum reverberat; heic
diapisti color subviridis intuentium oculos grato blanditur aspectu;
hinc exantosmata_ (a fiori) _circulorum varietatibus insignita, majorem
quidem artificum industriam et materia ubertatem desiderant, majori
nihilominus pretio distrahenda. Multa quidem et alia videas ibi varii
coloris ac diversi generis ornamenta, in quibus ex sericis aurum
intexitur, et multiformis picturæ varietas, gemmis interlucentibus
illustratur. Margaritæ quoque aut integræ cistulis aureis includuntur,
aut perforatæ filo tenui connectuntur, et eleganti quadam dispositionis
industria, picturati jubentur formam operis exhibere._ UGO FALCANDO, in
_Rer. It. Scrip._, vol. VII.
[217] ROSARIO DE GREGORIO, _Discorso intorno alla Sicilia_, Palermo
1826.
[218] ROMUALDI SALERNITANI _Chron. ad_ 1153.
[219] Frammento pubblicato da M. Amari. Parigi 1846.
[220] PELLEGRINI, _Ad Falcandum Benevent._ ad an. 1140.
[221] _Quoscumque viros aut consiliis utiles, aut bello claros
compererat, cumulatis eos ad virtutem beneficiis invitabat,
transalpinos maxime._ UGO FALCANDO.
[222] GIANNONE, lib. XI, c. 4.
[223] Dicevasi che costei fosse monaca, e allora se ne sciogliessero i
voti:
Sorella fu, e così le fu tolta
Di capo l’ombra delle sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
Contro suo grado e contro buona usanza,
Non fu dal vel del cor giammai disciolta.
DANTE, _Parad._, III.
Un cronista la fa zoppa e guercia, mentre Goffredo di Viterbo canta:
_Sponsa fuit speciosa nimis, Constantia dicta._
[224] _Chr. Placent._ Rer. It. Scrip., XVI.
[225] _Omnes cœperunt inter se de majoritate contendere, et ad regni
solium aspirare_. RICARDI S. GERMANI, _Rer. It. Scrip._, VI.
[226] _Hist. Sicula_, pag. 252 e seg.
[227] Ruggero Hoveden cronista inglese racconta che il papa pose in
testa all’imperatore e all’imperatrice la corona coi piedi, e subito
pur coi piedi ne la sbalzò, per significare la sua autorità di dare e
togliere i regni. Ha poco del probabile.
Il giuramento era: _Ego N. futurus imperator, juro me servaturum
Romanis bonas consuetudines, et firmo chartas totius generis et
libelli sine fraude et malo ingenio. Sic me Deus adjuvet et hæc sancta
Evangelia._ Le cerimonie della coronazione sono descritte dal cardinale
Cencio, che poi fu papa Onorio III, e ch’era stato presente alla
coronazione di Enrico; e furono pubblicate da PERTZ, _Monum. germ.
hist._, tom. IV. p. 187.
[228] _Imperium in hoc non mediocriter dehonestavit._ OTTO DE S.
BLASIO, pag. 889.
[229] _Imperator ipse regnum intrat, papa prohibente et contradicente_.
RICARDI S. GERMANI, pag. 972.
[230] Il marco di Colonia pesa gramme 233.87. Il franco contiene
gramme 4-1/2 di fino; sicchè il marco di Colonia vale fr. 51.97.
Dunque centomila marchi fanno franchi 5,197,100. In Sicilia correvano
gli _schifati_, moneta greca, detta così perchè formati a barca. Una
col nome di Guglielmo II in arabo, pesa 16 grani d’oro fino, sicchè
oggi varrebbe franchi 2.88. Altra moneta siciliana erano i _tarì_, dei
quali, sul fine del XII secolo, si tagliavano 24 da un’oncia d’oro,
cioè pesavano gramme 0.8792, valenti oggi franchi 2.63. Poco dopo se ne
tagliavano 29-1/2, e spesso il peso variò; giacchè l’impronta garantiva
il titolo, ma del resto si contrattavano a peso.
[231] _Omne aurum et argentum, quod de regno ad manus habere potuit,
congregavit, et in Alemanniam misit._ Chron. Fossæ Novæ, pag. 880. Vedi
OTTO DE S. BLASIO, pag. 897.
[232] Le cronache raccontano le precauzioni con cui essa ne dimostrò ai
popoli la realità: il papa stesso dovette intervenirvi, e le fece dar
giuramento che quel figlio era procreato da Enrico.
[233] FAZELLI, _Storia di Sicilia_, lib. VIII. c. 1.
[234] Nella rotta data in Sicilia a Markwaldo si trovò il testamento di
Enrico VI, ove imponeva a Federico suo figlio di riconoscere dal papa
il regno di Sicilia, il quale tornasse alla Chiesa qualora mancassero
eredi; se il papa confermasse al figlio l’Impero, ne fosse ricompensato
col restituirgli tutta l’eredità della contessa Matilde; Markwaldo
riconosca dal papa e dalla Chiesa il ducato di Ravenna, la terra di
Bertinoro, la marca d’Ancona, Medicina e Argelata sul Bolognese, i
quali ricadano alla Chiesa s’egli muore senza eredi. Il testamento è
stampato dal Muratori.
Giovanni da Ceccano esclama: — È pur morto quel leone feroce, quel lupo
sterminatore delle agnelle, quell’orrido serpente che tanti immolò.
Apuli, Calabri, Toscani, Liguri, tutti i popoli partecipano alla gioja
del sommo pontefice, ed esultano di vedersi finalmente liberati dal
tiranno che la mano di Dio colpì». E Ottone di San Biagio: — I Tedeschi
devono eternamente deplorare il lamentabile fine dell’imperatore
Enrico, perchè egli arricchì la Germania e la rese terror delle
nazioni. Col coraggio e l’abilità avrebbe rimesso l’impero romano nel
primitivo splendore se morte nol preveniva».
[235] RICARDI S. GERMANI, pag. 978.
[236] A Verona v’ha questo epitafio lambiccato:
_Luca dedit lucem tibi Luci, pontificatum_
_Ostia, papatum Roma, Verona mori;_
_Immo Verona dedit lucis tibi gaudia, Roma_
_Exilium, curas Ostia, Luca mori._
[237] _In qua plus timebatur ipse quam papa_. Gesta Innocentii III, § 8.
[238] Scossa dal tremuoto del 1319, fu poi demolita sotto Urbano III.
[239] Vedi il 2º e l’8º can. del IV concilio Lateranese _de probatione_.
[240] Antonio Vitale scrisse la _Storia de’ senatori di Roma_: ma
è opera che meriterebbe essere rifatta. La storia di Roma fu sempre
confusa con quella dei papi.
[241] Il testo della lega Toscana fu pubblicato da Scipione Ammirato
juniore nella _Storia dei conti Guidi_.
[242] _Suppositus partus, quod testibus adstruere promittebat_. Gesta
Innocentii III, § 23.
[243] Ce lo racconta il francese Villehardouin, che v’assisteva in
persona. A Paolo Ramusio il giovane, figlio del cosmografo Giovan
Battista, il senato veneto diede incarico di tradurre in latino la
storia della conquista di Costantinopoli di esso Villehardouin. Esso
svolse altre memorie intorno a que’ fatti, e in sedici anni formò
l’opera _De bello Constantinopolitano_, finita il 1573, ma stampata
solo nel 1609.
[244] Fu allora che i Veneziani acquistarono i cavalli di Lisippo, che
ornano ora il pronao di San Marco. Narra il Sanuto che nel trasportarli
a Venezia si spezzò la gamba di un cavallo: Domenico Morosini, che
comandava il vascello di trasporto, impetrò di conservarla come un
ricordo; e il consiglio assentì, e ne fece mettere una nuova, _ed io
ho veduto il detto piede_. Questo fatto sfuggì ai descrittori di quel
trofeo di tante vittorie.
[245] Allora Cremona spedì mille persone per arricchirsi delle spoglie
di Costantinopoli, come mandò una gran nave sotto Acri.
[246] SANDI, _Storia civile_, pag. 620.
[247] I patti per la imposta di Costantinopoli, stipulati nel marzo
1204 fra la Signoria veneta da una parte, e dall’altra il marchese
Bonifazio di Monferrato e i conti di Fiandra, di Blois, di San Paolo,
sono stampati nei _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 1109, dove pure
la cessione che esso Bonifazio fa ai Veneziani dell’isola di Creta e
d’altre terre in Levante.
[248] _Decretum venetum_ ap. CANCIANI, v. 124.
[249] La lettera d’Innocenzo III è importantissima per conoscere le
pretensioni e il modo di vedere della santa Sede. _Regesta Imperii_,
nota 20 e seg.
[250] Nel 1160 Uguccione, vescovo di Vercelli, con un legno che teneva
in mano, investe gli uomini di Biella del monte Piazzo come feudo,
a patto che quei di loro che vogliano abitarvi devano ciascuno far
fedeltà a maniera di vassallo; poi maschi e femmine possiedano essa
terra finchè vivono, indi abbiano podestà di venderla tra sè, ma non a
chi non sia abitante di esso luogo. Il vescovo permette che godano in
esso monte i buoni usi che godevano da antico in Biella (_omnibus bonis
usis, quos erant usi habere in loco Bugelle in veteri tempore_); onde
rimette i bandi che egli soleva avere in essa Biella, salvo i seguenti:
spergiuro, adulterio, furto, omicidio o ferita, pesche e caccie.
Essi uomini devano salire quel monte, edificarvi, non impedire che il
vescovo vi salga con suo seguito; ma egli non vi porrà castellano se
non con loro consenso. MULLATERA, _St. di Biella_, pag. 36.
Bongiovanni, nunzio del vescovo di Vercelli, imponeva che i possessori
di un tal manso portassero ogni anno i rami di olivo per la domenica
delle Palme, e metà del crisma, ed empissero metà delle fonti; e
quei dell’altro, portassero l’altra metà del crisma, ed empissero il
resto delle fonti, e facessero il fuoco a Natale e a Santo Stefano, e
scuotesserlo alla Candelara e al sabbato santo. _Monum. Hist. patriæ_,
Chart. II. 1294.
Gualterio vescovo di Luni nel 1200 questi patti faceva agli uomini di
sua giurisdizione. Se molti siano consorti in un villaggio, ed uno o
più facciano tradimento, sieno privati d’esso villaggio, ed aprasi
ai loro eredi; o se non n’abbiano, vi sottentrino i consorti. Se
alcuno tardi due anni il fitto o livello, paghi il doppio, oppure sia
privato dell’ente per cui paga. Nessuno acquisti casa o campo o vigna
senza istromento. Se alcuno depone querela contro un altro, anticipi
quattro lire imperiali al giudice o ai consoli; e questi non ricevano
più di sedici denari per lira, da pagarsi da chi perde la causa. Così
determina il prezzo degli atti notarili. Se alcuno mena moglie, non
dia come antefatto più d’un terzo della dote. Nessuna vedova si mariti
durante il lutto, ecc. _Ivi_, 1203.
[251] LUPO, _Cod. diplom._, tom. II, passim; RONCHETTI, _Mem. stor.
della città e chiesa di Bergamo_, cap. IV. p. 27.
[252] _Et sic civitas Mediolani, quæ territorio trium milliariorum
extra civitatem contenta fuerat, longe lateque alas suas expandit. Nam
ducatus Burgariæ, marchionatus Marthexanæ, comitatus Seprii, comitatus
Parabiagi, et comitatus Leuci, qui omnes quasi domestici inimici terram
istam semper invaserant...., facti sunt subjecti et servi perpetui
civitatis Mediolani._ GALV. FIAMMA, Manip. florum.
[253] _Breve istoria dell’origine e fondazione della città del Borgo di
Sansepolcro_, per ALESSANDRO GORACCI, 1636. Gli storici del secolo XVI
e XVII non intendono nulla degli ordinamenti municipali; pure aveano
sottocchio carte che poi si smarrirono, e tradizioni non ancora spente.
In tutti vedi una città che si redime dai conti, compra privilegi dagli
imperatori, abbatte i castellani vicini, i quali poi venuti in città,
vi portano resìe.
[254]
_Et nunc iste comes, consors et conscius ante,_
_Ille potens princeps, sub quo romana securis_
_Italice punire reos, de more vetusto,_
_Debuit injustitiæ, victrici cogitur urbi_
_Et modicus servire cliens, nulloque relicto_
_Jure sibi, dominicæ metuit mandata superbæ._
GUNTERO, lib. III.
[255] Nei _Monum. Hist. patriæ_, Chart. I. 708. 807. 865. 910.
[256] _Bertoldus princeps Aquilejæ est amicatus cum Paduanis, et factus
est paduanus civis; et in cittadinantiæ firmitatem et signum fecit
de sua camera quædam in Padua ædificari palatia, et se poni fecit cum
aliis civibus Paduæ in coltam sive datiam. Tunc quoque incepit mittere,
et adhuc mittit hodie omni anno de suis melioribus militibus duodecim,
qui jurant, in principio potestariæ cujuslibet, præcepta et sequentia
potestatis pro domino patriarca et suis. Quod videns feltrensis et
belunensis episcopus, fecit et ipse similiter, non tamen in quantitate
eadem._ ROLANDINO.
[257] SAVIOLI, _Ann. bologn._, I. dipl. CLVI.
[258] Dalle storie bolognesi ricaviamo che nel 1123 i consoli col
vescovo ricevono in protezione i castelli di Rudiliano, Sanguineta,
Cavriglia; nel 1131 quei di Nonantola come cittadini d’una delle
quattro porte, ed essi giurano fare due spedizioni all’anno fin ai
confini, una con cavalli, l’altra pedoni; nel 1144 quei di Savignano
e Cetola si fanno cittadini, cedendo la rôcca e la curia; nel 1157
quei di Monteveglio, Moreto, Caneto giurano, obbligandosi militare
pei Bolognesi anche contro l’Impero; nel 1164 i castelli di Bedolo,
Battidizio, Gesso, Trifane giurano obbedienza al popolo maggiore e
minore di Bologna, e pagargli il fitto e il feudo ecc.
[259] «Et che nullo nobile.... undunque sia, possa u debbia in alcuna
cauza criminale in alcuna Corte contro alcuno di popolo rendere
testimonia, e se la rendrà la testimonia non vaglia, ne tegna ipso
jure, et nondimeno sia condannato dal capitano del populo da lire
X. in lire C ad suo arbitrio, _Statuti di Pisa, ms_. § 162. — Et che
nullo nobile della cita di Pisa u daltronde, ad tempo d’alcuno romore,
durante lo romore ardisca u presuma d’escire con arme u sensa arme
della casa in de la quale elli abita sotto pena del avere et della
persona ad arbitrio del capitano. _Ivi_, § 165».
Con bel decreto, dato da Parma il luglio 1226, Federico II manda suo
podestà alla ghibellina Pavia Villano Aldighieri di Ferrara, perchè
severamente mantenga la concordia fra’ cittadini: a tal uopo ordina si