Storia degli Italiani, vol. 05 (di 15) - 34
liberos homines, quos vulgo arimannos vocant_ (Ivi, 739). Errano
il Sismondi credendo gli arimanni contadini liberi, che oltre le
proprie terre avessero enfiteusi dai grandi, e che soli coi nobili
potessero intervenire al placito (cap. 2); e Giovanni Müller (_Allg.
Geschichte_), credendo che l'arimanno fosse tra' Longobardi il
capo militare di ciascuna borgata. _Omnes liberi, qui a dominis
suis longobardis libertatem meruerunt, legibus dominorum suorum et
benefactorum vivere debeant, secundum qualibet a suis dominis propriis
concessum fuerit_. ROTARI, leg. 239. Qui _lex_ è chiaro che significa
le condizioni «imposte dai padroni a ciascun emancipato».
* Tutti questi punti furono dibattuti assai in Italia e fuori,
massime dopo la pubblicazione dell'opera di Carlo Troya. Carlo Hegel
(_Gesch. der italienischen Stadt e Freiheit_. Lipsia 1847) sostiene
che sotto i Longobardi esisteva un diritto unico, indissolubile, e i
liberi provinciali erano messi nella semilibertà degli Aldj, dalla
quale non potevano passare alla libertà intera longobarda se non
per una nuova manumissione. Il diritto romano per lungo tempo non fu
riconosciuto pubblicamente; dapprima ottenne qualche legalità come
diritto di corte, poi come diritto ecclesiastico, non però personale;
infine come concessione a singoli stranieri, indi a città e territorj
intieri. Suppone che siasi fatta fusione tra i Longobardi e i Romani,
prestandosi reciprocamente gli elementi. _Nota del 1862_.
[70] Il Muratori distingue duchi maggiori e minori, ma senza ragione.
Paolo Diacono nomina i duchi di Ticino, Bergamo, Brescia, Trento,
Forogiulio, Milano; _e oltre questi, altri_ trenta _ne furono nelle
loro città_, II. 32. Sarebbero dunque trentasei, forse perchè fra'
Longobardi, come fra altri popoli germanici, si usassero due decine
diverse, l'una di dieci unità, l'altra di dodici; il che fa che molte
volte un numero abbia a intendersi altrimenti da quel che suona. Vedi
RUEHS, _Schwedische Geschichte_, vol. I. § 19. In tal caso potrebbe
darsi che i duchi longobardi fossero dodici nella Neustria, ed
altrettanti nell'Austria e nella Tuscia. Menzione storica abbiamo de'
ducati d'Istria, del Friuli, Milano, Bergamo, Pavia, Brescia, Trento,
Spoleto, Torino, Asti, Ivrea, San Giulio d'Orta, Verona, Vicenza,
Treviso, Ceneda, Parma, Piacenza, Brescello, Reggio, Perugia, Lucca,
Chiusi, Firenze, Soana, Populonia, Fermo, Rimini, Benevento.
[71] _Epist._ VI _Stephani II_, ap. MANSI, _Concil._, tom. II.
[72] Della reciproca garanzia rimase un vestigio negli statuti
criminali di Milano, ove il cap. 162 è _Qualiter Comunia teneantur pro
captis in terra sua_. Anche della costituzione per decine prolungossi
la memoria; e fin nel 1500 la valle di Cadore era divisa in dieci
_centi_, e ogni cento aveva un capitano, e armava duecento uomini:
in caso di pericolo i capitani sceglievano un generale, e questo col
_conte_, cioè il comandante veneziano, vegliava sulla valle.
[73] DE PIETRO, _Memorie di Sulmona_, pag. 55, citato dal Leo. Il loro
nome deriva da _gast-halter_.
[74] Di questi re egli fa l'enumerazione nel prologo. Un bel codice
ne sussiste nell'archivio della Cava, e un altro a Vercelli, con un
prologo differente, ove più distintamente sono noverati i re antichi
longobardi, e che si capisce esser la fonte de' primi libri di Paolo
Diacono, il quale storpiò quei nomi per pedanteria e retorica.
Le leggi longobarde furono pubblicate in due raccolte: la prima è
storica, disponendosi coll'ordine onde furono emanate da Rotari sino
a Corrado I imperatore; nell'altra, detta _Lombarda_, eseguita dopo
Enrico I, sono scientificamente distribuite in tre libri, il primo di
37 titoli, il secondo di 59, il terzo di 40. La migliore e più decisiva
recensione delle leggi longobarde, e di tutto ciò che concerne il loro
dominio in Italia, è il discorso di Carlo Troya _sulla condizione dei
Romani vinti dai Longobardi_; studio profondo e di lunghissimi anni,
il quale suscitò (come avviene) un'infinità di articoli e opuscoli
improvvisati.
[75] ROT., 167-170, 158-160.
[76] _Et ipse quartus ducat eum in quadrivium, et thingat in wadia,
et gisiles ibi sint etc._ ROT., 225. — _Reddat in octogilt, et non sit
fegangi_. 375. — _Si servus regis ob eros, vel vecorin, seu mernorphin
fecerit_. 376.
[77] LIUTPR., IV. 7. 8. 6.
[78] In una formola del Codice veronese, alla legge 182 di Rotari, il
conte si volge ai giudici, e domanda loro il punto legale: _Nunc dicite
vos, judices, quid commendet lex_.
[79] _Ad leg._ 53. _lib._ I LIUTPR.
[80] _Ad. leg._ 7. _lib._ II LIUTPR. — Ecco altri esempj: _Petre, te
appellat Martinus, quia tu consiliatus es de morte sua, aut occidisti
patrem suum. De toto me appellasti. Si dixerit quod consiliatus esset
cum rege aut occidisset per jussionem regis, aut approbet aut emendet,
secundum quosdam. Secundum quosdam, aliter est: in anima jurare debet.
Sed melius est, secundum alios, quod dicat — Non consiliatus sum, nec
occidi, quod per legem emendare debeam pro usu._
_Petre, te appellat Martinus, qui est advocatus de parte publica, quod
D. levavit sedicionem contra tuum comitem, et occidit suum caballum cum
ipsa sedicione; et tu fuisti consentiens in ipso malo._
_Petre, te appellat Martinus, qui est advocatus de parte publica,
quod homines de civitate Roma levaverunt sedicionem contra homines
de civitate Cremona, vel contra comitem de Mediolano; et tu fuisti in
capite cum illis._
_Petre, te appellat Martinus, quod homines de civitate Ravenna
levaverunt adunaciones contra homines de civitate Roma; et tu fuisti
consentiens in isto malo._
_Petre, te appellat Martinus, quod ipse tenebat cum rege; et tu
spoliasti casam suam de tanto mobili, qui valebat solidos centum._
_Petre, te appellat Martinus, quod ipse sponsavit Aldam tuam filiam
puellam; et tu dedisti eam alteri in conjugium ante duos annos. — Non
sponsasti meam filiam: tunc ille qui appellat, probet. Si dixerit —
Sponsasti tu meam filiam, sed non erat puella: tunc ille qui appellat,
probet quod erat puella; et si non potuerit, juret ipse qui appellatus
est, quia non erat puella_.
[81] Leg. 230. 231.
[82] Leg. 4.
[83] LIUTPR., II. 25.
[84] ROT., 32.
[85] Id., 42.
[86] ROT., 25. 26; LIUPTR., IV. 7. 10; VI. 27; RACHIS, 7. 8.
[87] _Væ tibi terra, cujus rex puer est, et cujus principes mane
comedunt._ Eccl., X. 16.
[88] Leg. 364.
[89] ROT., 179; e così 153. 165. 166. 364. 367. 369.
[90] In mezzo al tempio degli Dei Palìci in Sicilia vaneggiavano due
crateri stretti e profondi, pieni d'acqua solforosi che zampillava.
Quand'uno era accusato di furto o d'altro, dava il suo giuramento
scritto sopra una tavoletta, e questa gettavasi nell'acqua: se
galleggiava, l'accusato era assolto; se no, era gettato nel cratere.
Altre volte l'accusatore leggeva il contenuto nella tavoletta, e
l'accusato, cinto di ghirlande e in tunica discinta, e agitando un ramo
colla mano, lo ripetea parola per parola, toccando l'orlo dei cratere:
se dicea vero, andavasene salvo; se no, periva inghiottito, o perdea la
vista. DIODORO SIC., XI. 89; ARISTOTELE, _Mir. ausc._ 58.
[91] _Variar._, III. 24.
[92] ROT., 198. 203. 214. 231; LIUTPR., VI. 64; GRIMOALDO, 7.
[93] _Leg. Othonis_, 1. 2. 5. 6. 7. 9. 11. 12.
[94] ROT., 5. 11. 12. 14. 19. 141. 253. 284. 285; LIUTPR., VI. 81-85.
[95] ROT., 33. 130. 131. 200-203. ecc.
[96] Il soldo dei Longobardi non si sa se fosse d'oro o d'argento,
reale o ideale: reale era il tremissis, terza parte del soldo. (_Cum
die quodam Alachis super mensam numeraret, unus tremissis de eadem
mensa cecidit: quem filius Aldonis, adhuc puerulus, de terra colligens,
eidem Alachi reddidit_. PAOLO DIAC., lib. V. c. 39). Forse erano quelle
rozze monete, con san Michele da una parte, e dall'altra il busto del
re, che si trovano ne' musei, ma tanto logore da non potersene valutare
il peso. Delle migliori nessuna eccede la metà d'uno zecchino.
[97] ROT., 129. 136.
[98] Id., 338. 339. Anche la _Lex aquilia_ de' Romani non mette divario
tra ferire il servo o la bestia altrui.
[99] ROT., 46. 47. 50. 51. 52. 67.
[100] Id., 147. 317.
[101] Id., 246. 247.
[102] III. 26.
[103] Ivi.
[104] Id., IV. 2.
[105] AULICO TICINESE, cap. XIV.
[106] PAOLO DIAC., lib. I. c. 13.
[107] _Atramento, pinna et pergamena manibus meis de terra elevavi,
et Teutpaldi notarii ad scribendum tradidi, per vasone terre et
fistuco nodato seo ramo arborum accepi... per coltello et wantone seo
aldilaine, et sic per hanc cartula, justa legem saliga, vindo, dono,
trado atque trasfundo etc._ Carta lucchese del 983. Arch. Guinigi.
Ugo marchese nel 996, investendo del castello di Caresana e sue
appartenenze il vescovo di Vercelli, dice: _Per presentem cartulam
offersionis abendum confirmo pro animæ meæ mercede. Insuper per
cultellum, fistucam, wantonem_ (_guanto_) _et vasonem terræ atque ramum
arboris pars ipsius, episcopo facio tradicionem et vestituram, et me
exinde foris expuli, guarpivi et absascito feci....._ Monumenta hist.
patr.; Chart. I, pag. 306.
[108] Rotari nella leg. 75 dispose che, se il donato fosse chiesto
dal donatore a provare d'aver corrisposto il launechildo, giurasse
averlo dato; se no, restituisse il _ferquido_, cioè l'equivalente.
Liutprando, lib. VI, leg. 19, dichiarò insussistente la donazione senza
il launechildo e la _tingazione_, eccettuati i doni a chiese o a luoghi
pii come redenzione dell'anima.
[109] LIUTPR., I. 1-5, II. 8, III. 3, VI. 48; ROT., 157-169.
[110] ROT., 173. 168. 169.
[111] VI. 6.
[112] GRIM., II; LIUTPR., VI. 87; ROT., 186. 178. 179. 198; ASTOLFO, 3.
14.
[113] _Nulli mulieri liberæ, sub regni nostri ditione lege
Longobardorum viventi, liceat in suæ potestatis arbitrio, idest sine
mundio vivere, nisi semper sub potestate viri, aut potestate curtis
regiæ debeat permanere: nec aliquid de rebus mobilibus aut immobilibus,
sine voluntate ipsius in cujus mundio fuerit, habeat potestatem donandi
aut alienandi._ ROT., 205.
[114] X. 2.
[115] _Mundium non sit amplius quam solidi tres._ II. 3. Il Muratori
confonde il mundio col mefio.
[116] II. 1. — _Consentientes mihi suprascripto genitor meus, per hunc
scriptum secundum legem in morincap dare videor tibi, Imilla dilecta
et amabilis conjus mea... quartam portionem ex integra de omnia et
ex omnibus casis et fundis... vel quod in antea Deo adjuvante legibus
atquisiero, de omnia ex integra quartam portionem abeas tu jam nominata
Imilla dilecta et amabilis conjus in morincap_, ecc. Carta lucchese del
986. Arch. arciv.
[117] II. 6; VI. 59. 68. 76. 78.
[118] _Si quis res alienas, idest servum et ancillam, seu alias res
mobiles_... Leg. 232. E vedi LIUTPR., v. 36; ROT., i. 13. 222; RACHIS,
3. 277.
[119] Quando al risorgente diritto romano prestavasi non culto
ma idolatria, il celebre commentatore Andrea d'Isernia chiama il
longobardo _jus asininum_; Lucca di Penna scrive _longobardicas
leges fuisse factas a bestialibus, neque mereri appellari leges sed
fæces_. Il Giannone sempre inginocchiato davanti ai regnanti, dice
che «splenderà nelle gesta de' loro principi non meno la fortezza e
la magnanimità, che la pietà, la giustizia, la temperanza; e le loro
leggi e i loro costumi, sebbene non potranno paragonarsi con quelli
degli antichi Romani, non dovranno però posporsi a quelli degli ultimi
tempi dello scadimento dell'Imperio» (_Storia civ._, lib. III);
ed ha un capitolo _sulla loro giustizia e saviezza_. Montesquieu
magnifica le leggi longobarde sopra tutte le altre barbariche. Il
Sismondi (_Repubbliche ital._, cap. 1) le chiama _saviissime_, e
_abbastanza glorioso_ il regno dei Longobardi; eppure soggiunge che
_le due nazioni rimasero divise da un implacabile odio_. Per raffaccio
alle legislazioni del suo tempo, il Filangeri esaltò di troppo le
processure barbariche: «Non è codice dei Barbari, che non regoli
l'accusa giudiziaria meglio che le nazioni civili d'oggi. Nessuno
niega al cittadino il diritto di accusare; e non pensò a combinar la
libertà d'accusare colla difficoltà di calunniare. Nei Capitolari di
Carlo Magno si stabilisce che il giudice non possa giudicare alcuno se
manca un legittimo accusatore (_Cap. C. M. et Lod._, lib. V. c. 248;
_Edict. Theod._, c. 20). L'Editto di Teodorico condanna del taglione
il calunniatore (_Edict._, c. 13; _Cap. C. M._, lib. VI. c. 329;
lib. VII. c. 180). Teodorico interdisse l'accusa secreta (c. 50). Nei
Capitolari di Carlo Magno, che non giudichi il giudice in assenza di
una parte (lib. vii. c. 145. 168). Escludeano i Longobardi chi avesse
dato prova di mala fede (_Cod. Long._, lib. XI. tit. 51 _de testib._
§ 8), o quello che per la condizione e pei delitti avesse perduta la
confidenza della legge (_Cap. C. M._, lib. I. c. 45; lib. VI. c. 144
e 298). I testimonj deponeano in presenza dell'accusato: lui presente,
il giudice gl'interrogava, e potea interromperli di rispondere. Queste
buone costituzioni ponno far vergognare l'Europa d'oggi, che avvolge
i processi nel mistero». _Scienza della legisl._, lib. III. c. 2. 3.
Nella più recente _Storia d'Italia_, a pag. 351 del vol. I, è detto
che «le leggi longobardiche erano ottime tra le leggi barbariche»; a
pag. 324, «è indubitato le leggi longobardiche esser le più eque e le
meno imperfette di tutte le leggi barbariche»; e a pag. 337, «l'Editto
di Rotari è una compilazione disordinata di cadarfrede o consuetudini
antiche».
[120] Nel Libro VIII vedremo le consuetudini longobarde sopravivere
e trasfondersi negli statuti dei Comuni. La costituzione di Federico
II, lib. II. tit. 17, abolì la personalità delle leggi nella Sicilia,
il che mostra vi sussistette sino al secolo XIII. Il Lupi, _Codex
diplom. bergom._, 231, adduce uno statuto bergamasco del 1451, ove si
nomina un _liber juris Longobardorum_, e si ordina che _ipsum jus vacet
in totum, et servetur jus commune_: il che vuol dire che fin allora
durava qualche diritto alla longobarda. Nel regno di Napoli, a detta
del Giannone, lib. XXVIII. cap. 5, le leggi longobarde cessarono al
tempo di Ferdinando I, uscente il XV secolo, ma ne sopravvissero alcune
consuetudini, e fin ai suoi tempi nell'Abruzzo i feudi regolavansi
secondo quelle; v'erano ancora beni gentilizj: negli istromenti ove
intervenissero donne, si faceva assistere il mundualdo; metteasi la
clausula _jure romano_, per indicare che i contraenti non viveano
secondo la longobarda; duravano le voci di _mefio, catamefio, vergini
in capillo_, e altre assai. Prospero Rendella nel 1609 stampò a Napoli
_In reliquias juris longobardi_.
[121] Sebbene s'ignori donde il bolognese Giulio Cesare della Croce
tolse quella leggenda, tutto ne palesa l'origine tedesca, la corte
d'Alboino, sebbene tramutata in Italia, i nomi stessi di Berthold,
Marculf, ecc. La _Contradictio Salomonis_, uno de' primissimi romanzi,
presenta una disputa di Guglielmo Conquistatore col villano Marculfo,
e forse deriva dalla sorgente stessa da cui le avventure del Bertoldo,
che trovansi in ogni lingua, e che i Tedeschi dicono derivate
dall'Asia, come la più parte delle nostre fiabe e nonnaje.
[122] PAOLO DIAC., lib. VI. c. 7. 8.
[123] Pare indicarlo il suo epitafio ap. MABILLON, app. al vol. II.
_Ann. Ord. s. Bened._, nº 35:
_Divino instinctu, regalis protinus aula_
_Ob decus et lumen patriæ te sumsit alendum._
_Omnia Sophiæ cepisti culmina sacræ,_
_Rege movente pio Ratchis, penetrare decenter._
[124] PAOLO DIACONO, lib. VI. c. 35; VASARI, _Proemio alle vite dei
pittori_. I Romani di quel tempo radevano od almeno accorciavano la
barba, e tondevansi altrimenti che i Longobardi; poichè è scritto
che, regnante Desiderio, i Longobardi di Rieti e Spoleto vennero ad
arrendersi a papa Adriano I, il quale ricevendone il giuramento, fe
loro tagliar le barbe e i capelli alla romana. L'aver capelli pare
fosse distintivo de' Longobardi, giacchè la loro legge per certe colpe
condanna a perderli. È vulgata l'etimologia di _tosa_ che i Lombardi
dicono per zitella, da _intonsa_, tratto dal costume di non accorciare
i capelli alle fanciulle. Convien però avvertire che tal voce si trova
anche nei paesi non dominati da' Longobardi; giacchè il provenzale Pier
da Villare cantava:
_Per Melchior e per Gaspar_
_Fo adoratz l'altissim Tos._
[125] ROT., 179.
[126] Neppure agli antichi Romani era insolito l'occupare un terzo o
due delle terre dei vinti. _Cum Hernicis fœdus ictum, agri partes duæ
ademptæ_: TITO LIVIO, XI. _Truinates tertia parte agri damnati_. Ivi,
X. Questo terzo sembra lo togliessero i Germani da ciascun possidente:
i Romani par più probabile s'impadronissero d'un terzo del territorio
vinto.
[127] PAOLO DIAC., lib. II. c. 4. Procopio, negli _Aneddoti_, dice
che in Africa perirono tre milioni e a proporzione nell'Italia, tre
volte tanto estesa: ma esagera al solito, per mostrare infelicissimo il
regno di Giustiniano. La peste infierì nel 566, massime nella Liguria
e a Roma, talchè non si trovava chi mietesse nè vendemmiasse. Nel 571
perì infinito bestiame; e molte persone di vajuolo e dissenteria.
Paolo Diacono ricorda quasi ad ogni anno morbi, cavallette, nembi,
siccità, ecc. Sotto re Autari un diluvio afflisse l'Italia; il Tevere,
venuto a sterminata altezza, recò indicibili guasti; desolate rimasero
la Venezia e la Liguria; e Gregorio Magno riferisce che le acque
dell'Adige a Verona giungevano alle finestre superiori della basilica
di San Zenone, _senza entrar per le porte_. Esso Gregorio in una grave
peste ordinò sette processioni di cherici, cittadini, monaci, monache,
maritati, vedove, ragazzi: e per via in un'ora ne caddero morti
ottanta.
[128] Lib. I. c. 16.
[129] _Iis qui vi oppressos imperio coercent, est sane adhibenda
sævitia, ut heris in famulos_. De officiis, lib. II. c. 7.
[130] _Populi aggravati per longobardos hospites partiuntur_; lib. II.
c. 32. Il codice della biblioteca Ambrosiana legge _pro Longobardis
hospicia partiuntur_. E nell'un caso e nell'altro v'è ambiguità di
senso; e forse la vera lezione è _multa patiuntur._ Sopra un testo sì
incerto, quanti libri e libercoli si sono fatti in questi anni!
[131] Paolo stesso, lib. IV. c. 6, dice che _pæne omnes ecclesiarum
substantias Longobardi, dum adhuc gentilitatis errore tenerentur,
invaserunt._
[132] Varie sue lettere sono dirette al _populus et ordo_ di città
longobarde. Costanzio vescovo di Milano parla d'un tal Fortunato,
di cui aveva udito _per annos plurimos inter nobiles consedisse et
conscripsisse_. Epist. IV. 29.
[133] Tant'è ciò vero, che essa l'adopera anche coi Turingi, i quali
mai non avevano avuto municipio.
[134] Sarebbero i _fundora exfundata_, di cui parla il patto d'Arigiso
duca di Benevento.
[135] Lo accenno dietro alle induzioni di Enrico Leo; ma non mi pajono
abbastanza appoggiate.
[136] Qualche vestigio può vedersene ancora dove sussiste il fôro
ecclesiastico; sicchè a fianco della legge locale ne dura una
personale. Anche gli Ebrei sin a' giorni nostri furono trattati con
leggi personali, conservando il levirato e il divorzio anche dove
è abolito, essendo esclusi da certe professioni, sottoposti a certe
tutele particolarizzate. Nella repubblica di Genova fino agli ultimi
tempi i cherici vivevano secondo il diritto comune, ma non potevano
profittare degli statuti, non entravano ad impiego pubblico, non
tutori, nè esecutori testamentarj, nè testimonj ai testamenti. Le
donne restavano in tutela perpetua; nè potevano contrattare o star in
giudizio senza il consenso di due parenti, oltre il marito se maritate;
non erano di diritto tutrici de' figli; escluse dalla successione
intestata in concorso con maschi. Si notino queste vestigia di diritto
barbarico.
[137] _Noluerunt Longobardorum imperiis subjacere; neque eis a
Longobardis permissum est in proprio jure subsistere; ideoque
æstimantur ad suam patriam repedasse_. PAOLO DIAC., lib. III. c. 6.
[138] Ciò renderebbe ragione della legge di Desiderio e Adelchi, che
risulta da una carta del monastero di santa Giulia a Brescia, ove si
provvede al caso che un servo del palazzo sposi un'_ingenua_ romana, la
quale cade pur essa in ischiavitù.
[139] _Qui professus sum natione mea vivere lege salica o longobarda._
La prima professione di vivere a legge romana trovasi in un atto di
Lucca dell'807 ap. BARSOCCHINI, II. 206: la seconda in uno di Bergamo
del 900, ap. LUPO, _Cod. Bergom._, I. 1083. Così scarsi erano gli
avanzi romani!
[140] Giuseppe Rovelli, in cui il buon senso ripara la mancante
erudizione, avverte cosa sfuggita a contemporanei suoi, forse di
maggior levatura. «La congiunzione del civile col militare comando
in tutte le prefetture maggiori e minori, partorì questa perniciosa
conseguenza per gli Italiani sudditi del regno longobardico, che gli
allontanò da tutte le cariche e da tutti gli onori, e conseguentemente
tolse loro i mezzi di conservar l'antica o di sollevarsi a nuova
dignità o ricchezza». _Dissert. prelim, alla storia di Como_, vol. I.
pag. 143. Queste _prefetture maggiori e minori_ è un errore ch'egli
bevve dal Muratori. Anche a lui _par verosimile_ che «i Longobardi a
preferenza delle altre occupassero le terre rimaste incolte o deserte».
Strana verosimiglianza!
[141] Così opina anche il Lupo, che pure fu il primo a discorrere
assennatamente intorno alle _professiones_. — LIUTPR., VI. 37. de
Scribis: _Perspeximus, ut qui chartam scripserint sive ad legem
Longobardorum, sive ad legem Romanorum, non aliter faciant, nisi
quomodo in illis legibus continetur... Et si unusquisque de lege sua
descendere voluerit, et pactiones atque conventiones inter se fecerint,
et ambæ partes consenserint, istud non reputatur contra legem, quod
ambæ partes voluntarie faciunt. Et illi qui tales chartas scripserint,
culpabiles non inveniuntur esse._
[142] EGINARDO, _De gestis Ludov. Pii ad_ 824. ap. BOUQUET, tom. VI. p.
184. Sopra quella costituzione si appoggia a Savigny, c. III. § 45; ma
in contraddizione vedasi Troya, _Della condizione dei Romani vinti da'
Longobardi_.
È difficile accumulare cotante inesattezze quante nel seguente
periodo: «Bel privilegio avevano le nazioni settentrionali conservato
ai cittadini, la libera scelta di sottomettersi alle leggi dei loro
maggiori, oppure a quelle che trovassero più conformi alle proprie
nozioni di giustizia e di libertà. Presso i Longobardi trovavansi
in vigore sei corpi di leggi, romana, longobarda, salica, ripuaria,
alemanna, e bavara; e le parti, al cominciar del processo, dichiaravano
ai giudici che viveano e volevano esser giudicati secondo la tale e tal
altra legge». SISMONDI, _Rep. ital._, c. II.
[143] Leone IV pregava l'imperatore Lotario I a non alterare la legge
romana: _Vestram flagitamus clementiam, ut, sicut hactenus romana
lex viguit absque universis procellis, et pro nullius persona hominis
reminiscitur esse corrupta, ita nunc suum robur propriumque vigorem
obtineat._ Nel _Decr._ GRATIANI, dist. X. c. 13.
[144] Rotari pone per pena denari venti a chi fornicasse con un'ancella
_gentile_, e dodici con una romana: ma può intendersi delle molte
ch'erano state condotte schiave dopo la conquista di Genova e d'altre
terre romane.
[145] _Lege romana, qua Ecclesia vivit_; Leg. rip., t. LVIII, 1. —
_Ut omnis ordo ecclesiarum lege romana vivat_; Leg. long, di Ludovico
il Pio, art. 55. — Eccard, commentando quell'articolo della Legge
ripuaria, adduce una carta, ove due preti, di nazione longobardi,
vivono secondo la legge romana _per decoro sacerdotale_: _Qui
professi sumus ex natione nostra vivere legem Longobardorum, sed
mine, pro honore sacerdotii nostri, videmur vivere legem Romanorum._
Ma talvolta gli ecclesiastici viveano in Italia con legge longobarda.
In FUMAGALLI, _Codice diplomatico Sant'Ambrosiano_, nº 124, p. 502,
Teutperto arciprete di San Giuliano, nell'885, professa la legge
longobarda. LUPO, _Cod. Bergom._, p. 225, dice che nel X e XI secolo
tal consuetudine era quasi generale nel Bergamasco. Il monastero
di Farfa non uniformavasi a legge romana; MABILLON, _Ann. Ord. s.
Bened._, tom. IV, p. 129. 705. E forse meglio cercando si troverà che,
sotto i Longobardi, neppur a' cherici era dato deviare dalla legge
de' vincitori; privilegio che ottennero soltanto dopo la conquista
dei Franchi. In ciò regna grande oscurità, anche dopo le eruditissime
discussioni, e a noi accadrà d'addurne altri esempj.
[146] _Edict. Theodor._, 27.
[147] CASSIODORO, _Epist._ 14. lib. IX.
[148] Nuova notizia, che esce dal LXI dei _Papiri_ del MARINI, e si
riferisce all'anno 629.
[149] _Ut nullus homo debeat negotium peragendum ambulare, aut pro
quadecumque causa, sine epistola regis aut sine voluntate judicis sui._
ASTOL., V.
[150] ROT., 144. 145. Vedi TROYA, _Della condizione dei Romani_, § 167.
[151] Vedi la III e IV delle nuove leggi trovate dal Troya.
[152] _Clerus et plebs mediolanensis Deusdedit diaconum eligentes, ab
Agilulfo rege terrentur quatenus ilium eligerent, quem Longobardorum
barbaries voluisset._ GIO. DIACONO, Vita s. Gregorii Magni.
[153] Di Costanzio di Milano scrive Gregorio Magno: _Quam fuerit
vigilans in tuitione civitatis vestræ, non habemm incognitum._
[154] _Epist._ I. 17.
[155] _Epist._ III. 26. 29. 30; IV. 1. Il Muratori, narrando che
gli arcivescovi di Milano sedettero in Genova da Alboino fin a
Rotari, conchiude: «Dal che si può argomentare la moderazione dei
re longobardi, che padroni della nobilissima città di Milano, si
contentavano che quegli arcivescovi avessero la loro permanenza in
Genova, città nemica, perchè ubbidiente all'imperatore». _Annali_, an.
641. Tanto varrebbe l'argomentare la moderazione del granturco o del
sofì di Persia, dal trovarsi fra noi i vescovi di Corinto e d'Edessa.
In tal modo egli ragiona troppo spesso intorno ai Longobardi, dei quali
parla con frasi ammirative, per es queste al 674: «Nulla ci somministra
di nuovo in questi tempi la storia d'Italia; ma il suo stesso silenzio
ci fa intendere la mirabile quiete e felicità che godevano allora sotto
il pacifico governo del buon re Pertarito i popoli italiani». Quando
però sostiene che i Longobardi non governavano peggio dei Greci, non ha
affatto torto. Mache dire di certi, massimamente tedeschi, encomiatori
enfatici de' Longobardi; e per es. del Leo, che li chiama angeli
liberatori (_befreyende Engel_)?
Pochi momenti storici furono descritti per luoghi comuni tanto
quanto l'età longobarda. «Erano stati i Longobardi dugento ventidue
anni in Italia, e di già non ritenevano di forestieri altro che il
nome» MACHIAVELLI, _Ist. fior._, lib. I. — «Assuefatta l'Italia alla
dominazione dei suoi re, non più come stranieri li riconobbe, ma come
principi suoi naturali, perchè essi non aveano altri regni o Stati
collocati altrove, ma loro proprio paese era fatta l'Italia, la quale
perciò non poteva dirsi serva e dominata da straniere genti». GIANNONE,
_St. civ._, lib. V. § 4. — «Tolta la diversità di trattamento, e
divenuti Romani e Longobardi un popolo solo, la stessa misura di
tributi fu imposta ad ognuno». MURATORI, _Ant. ital._, XXI. — «Felice
esser dovea anzi che no la condizione de' cittadini sì longobardi
che italiani, i quali con loro formavano uno stesso corpo civile ed
una stessa repubblica». _Antichità longobardiche milanesi_, I. — E
un moderno: «Il dire che i Longobardi alla fine del secolo VIII non
fossero italiani ma stranieri, è cosa tanto scempia che quasi, anzi
certamente, non merita risposta». _Storia d'Italia dal V al IX secolo_,
p. 341. Certo quel generoso applaudì quando i Greci insorsero contro
i Turchi, stranieri che da tre secoli e mezzo accampavano in mezzo a
loro.
[156] _Si romanus homo mulierem longobardam tulerit, et mundium ex ea
fecerit... romana effecta est; filii qui de eo matrimonio nascuntur,
secundum legem patris, romani sint._ LIUTPR., 74.
[157] _Longobardi, ut bellatorum possint ampliare numerum, plures a
servili jugo ereptos ad libertatis statum perducunt; utque rata eorum
il Sismondi credendo gli arimanni contadini liberi, che oltre le
proprie terre avessero enfiteusi dai grandi, e che soli coi nobili
potessero intervenire al placito (cap. 2); e Giovanni Müller (_Allg.
Geschichte_), credendo che l'arimanno fosse tra' Longobardi il
capo militare di ciascuna borgata. _Omnes liberi, qui a dominis
suis longobardis libertatem meruerunt, legibus dominorum suorum et
benefactorum vivere debeant, secundum qualibet a suis dominis propriis
concessum fuerit_. ROTARI, leg. 239. Qui _lex_ è chiaro che significa
le condizioni «imposte dai padroni a ciascun emancipato».
* Tutti questi punti furono dibattuti assai in Italia e fuori,
massime dopo la pubblicazione dell'opera di Carlo Troya. Carlo Hegel
(_Gesch. der italienischen Stadt e Freiheit_. Lipsia 1847) sostiene
che sotto i Longobardi esisteva un diritto unico, indissolubile, e i
liberi provinciali erano messi nella semilibertà degli Aldj, dalla
quale non potevano passare alla libertà intera longobarda se non
per una nuova manumissione. Il diritto romano per lungo tempo non fu
riconosciuto pubblicamente; dapprima ottenne qualche legalità come
diritto di corte, poi come diritto ecclesiastico, non però personale;
infine come concessione a singoli stranieri, indi a città e territorj
intieri. Suppone che siasi fatta fusione tra i Longobardi e i Romani,
prestandosi reciprocamente gli elementi. _Nota del 1862_.
[70] Il Muratori distingue duchi maggiori e minori, ma senza ragione.
Paolo Diacono nomina i duchi di Ticino, Bergamo, Brescia, Trento,
Forogiulio, Milano; _e oltre questi, altri_ trenta _ne furono nelle
loro città_, II. 32. Sarebbero dunque trentasei, forse perchè fra'
Longobardi, come fra altri popoli germanici, si usassero due decine
diverse, l'una di dieci unità, l'altra di dodici; il che fa che molte
volte un numero abbia a intendersi altrimenti da quel che suona. Vedi
RUEHS, _Schwedische Geschichte_, vol. I. § 19. In tal caso potrebbe
darsi che i duchi longobardi fossero dodici nella Neustria, ed
altrettanti nell'Austria e nella Tuscia. Menzione storica abbiamo de'
ducati d'Istria, del Friuli, Milano, Bergamo, Pavia, Brescia, Trento,
Spoleto, Torino, Asti, Ivrea, San Giulio d'Orta, Verona, Vicenza,
Treviso, Ceneda, Parma, Piacenza, Brescello, Reggio, Perugia, Lucca,
Chiusi, Firenze, Soana, Populonia, Fermo, Rimini, Benevento.
[71] _Epist._ VI _Stephani II_, ap. MANSI, _Concil._, tom. II.
[72] Della reciproca garanzia rimase un vestigio negli statuti
criminali di Milano, ove il cap. 162 è _Qualiter Comunia teneantur pro
captis in terra sua_. Anche della costituzione per decine prolungossi
la memoria; e fin nel 1500 la valle di Cadore era divisa in dieci
_centi_, e ogni cento aveva un capitano, e armava duecento uomini:
in caso di pericolo i capitani sceglievano un generale, e questo col
_conte_, cioè il comandante veneziano, vegliava sulla valle.
[73] DE PIETRO, _Memorie di Sulmona_, pag. 55, citato dal Leo. Il loro
nome deriva da _gast-halter_.
[74] Di questi re egli fa l'enumerazione nel prologo. Un bel codice
ne sussiste nell'archivio della Cava, e un altro a Vercelli, con un
prologo differente, ove più distintamente sono noverati i re antichi
longobardi, e che si capisce esser la fonte de' primi libri di Paolo
Diacono, il quale storpiò quei nomi per pedanteria e retorica.
Le leggi longobarde furono pubblicate in due raccolte: la prima è
storica, disponendosi coll'ordine onde furono emanate da Rotari sino
a Corrado I imperatore; nell'altra, detta _Lombarda_, eseguita dopo
Enrico I, sono scientificamente distribuite in tre libri, il primo di
37 titoli, il secondo di 59, il terzo di 40. La migliore e più decisiva
recensione delle leggi longobarde, e di tutto ciò che concerne il loro
dominio in Italia, è il discorso di Carlo Troya _sulla condizione dei
Romani vinti dai Longobardi_; studio profondo e di lunghissimi anni,
il quale suscitò (come avviene) un'infinità di articoli e opuscoli
improvvisati.
[75] ROT., 167-170, 158-160.
[76] _Et ipse quartus ducat eum in quadrivium, et thingat in wadia,
et gisiles ibi sint etc._ ROT., 225. — _Reddat in octogilt, et non sit
fegangi_. 375. — _Si servus regis ob eros, vel vecorin, seu mernorphin
fecerit_. 376.
[77] LIUTPR., IV. 7. 8. 6.
[78] In una formola del Codice veronese, alla legge 182 di Rotari, il
conte si volge ai giudici, e domanda loro il punto legale: _Nunc dicite
vos, judices, quid commendet lex_.
[79] _Ad leg._ 53. _lib._ I LIUTPR.
[80] _Ad. leg._ 7. _lib._ II LIUTPR. — Ecco altri esempj: _Petre, te
appellat Martinus, quia tu consiliatus es de morte sua, aut occidisti
patrem suum. De toto me appellasti. Si dixerit quod consiliatus esset
cum rege aut occidisset per jussionem regis, aut approbet aut emendet,
secundum quosdam. Secundum quosdam, aliter est: in anima jurare debet.
Sed melius est, secundum alios, quod dicat — Non consiliatus sum, nec
occidi, quod per legem emendare debeam pro usu._
_Petre, te appellat Martinus, qui est advocatus de parte publica, quod
D. levavit sedicionem contra tuum comitem, et occidit suum caballum cum
ipsa sedicione; et tu fuisti consentiens in ipso malo._
_Petre, te appellat Martinus, qui est advocatus de parte publica,
quod homines de civitate Roma levaverunt sedicionem contra homines
de civitate Cremona, vel contra comitem de Mediolano; et tu fuisti in
capite cum illis._
_Petre, te appellat Martinus, quod homines de civitate Ravenna
levaverunt adunaciones contra homines de civitate Roma; et tu fuisti
consentiens in isto malo._
_Petre, te appellat Martinus, quod ipse tenebat cum rege; et tu
spoliasti casam suam de tanto mobili, qui valebat solidos centum._
_Petre, te appellat Martinus, quod ipse sponsavit Aldam tuam filiam
puellam; et tu dedisti eam alteri in conjugium ante duos annos. — Non
sponsasti meam filiam: tunc ille qui appellat, probet. Si dixerit —
Sponsasti tu meam filiam, sed non erat puella: tunc ille qui appellat,
probet quod erat puella; et si non potuerit, juret ipse qui appellatus
est, quia non erat puella_.
[81] Leg. 230. 231.
[82] Leg. 4.
[83] LIUTPR., II. 25.
[84] ROT., 32.
[85] Id., 42.
[86] ROT., 25. 26; LIUPTR., IV. 7. 10; VI. 27; RACHIS, 7. 8.
[87] _Væ tibi terra, cujus rex puer est, et cujus principes mane
comedunt._ Eccl., X. 16.
[88] Leg. 364.
[89] ROT., 179; e così 153. 165. 166. 364. 367. 369.
[90] In mezzo al tempio degli Dei Palìci in Sicilia vaneggiavano due
crateri stretti e profondi, pieni d'acqua solforosi che zampillava.
Quand'uno era accusato di furto o d'altro, dava il suo giuramento
scritto sopra una tavoletta, e questa gettavasi nell'acqua: se
galleggiava, l'accusato era assolto; se no, era gettato nel cratere.
Altre volte l'accusatore leggeva il contenuto nella tavoletta, e
l'accusato, cinto di ghirlande e in tunica discinta, e agitando un ramo
colla mano, lo ripetea parola per parola, toccando l'orlo dei cratere:
se dicea vero, andavasene salvo; se no, periva inghiottito, o perdea la
vista. DIODORO SIC., XI. 89; ARISTOTELE, _Mir. ausc._ 58.
[91] _Variar._, III. 24.
[92] ROT., 198. 203. 214. 231; LIUTPR., VI. 64; GRIMOALDO, 7.
[93] _Leg. Othonis_, 1. 2. 5. 6. 7. 9. 11. 12.
[94] ROT., 5. 11. 12. 14. 19. 141. 253. 284. 285; LIUTPR., VI. 81-85.
[95] ROT., 33. 130. 131. 200-203. ecc.
[96] Il soldo dei Longobardi non si sa se fosse d'oro o d'argento,
reale o ideale: reale era il tremissis, terza parte del soldo. (_Cum
die quodam Alachis super mensam numeraret, unus tremissis de eadem
mensa cecidit: quem filius Aldonis, adhuc puerulus, de terra colligens,
eidem Alachi reddidit_. PAOLO DIAC., lib. V. c. 39). Forse erano quelle
rozze monete, con san Michele da una parte, e dall'altra il busto del
re, che si trovano ne' musei, ma tanto logore da non potersene valutare
il peso. Delle migliori nessuna eccede la metà d'uno zecchino.
[97] ROT., 129. 136.
[98] Id., 338. 339. Anche la _Lex aquilia_ de' Romani non mette divario
tra ferire il servo o la bestia altrui.
[99] ROT., 46. 47. 50. 51. 52. 67.
[100] Id., 147. 317.
[101] Id., 246. 247.
[102] III. 26.
[103] Ivi.
[104] Id., IV. 2.
[105] AULICO TICINESE, cap. XIV.
[106] PAOLO DIAC., lib. I. c. 13.
[107] _Atramento, pinna et pergamena manibus meis de terra elevavi,
et Teutpaldi notarii ad scribendum tradidi, per vasone terre et
fistuco nodato seo ramo arborum accepi... per coltello et wantone seo
aldilaine, et sic per hanc cartula, justa legem saliga, vindo, dono,
trado atque trasfundo etc._ Carta lucchese del 983. Arch. Guinigi.
Ugo marchese nel 996, investendo del castello di Caresana e sue
appartenenze il vescovo di Vercelli, dice: _Per presentem cartulam
offersionis abendum confirmo pro animæ meæ mercede. Insuper per
cultellum, fistucam, wantonem_ (_guanto_) _et vasonem terræ atque ramum
arboris pars ipsius, episcopo facio tradicionem et vestituram, et me
exinde foris expuli, guarpivi et absascito feci....._ Monumenta hist.
patr.; Chart. I, pag. 306.
[108] Rotari nella leg. 75 dispose che, se il donato fosse chiesto
dal donatore a provare d'aver corrisposto il launechildo, giurasse
averlo dato; se no, restituisse il _ferquido_, cioè l'equivalente.
Liutprando, lib. VI, leg. 19, dichiarò insussistente la donazione senza
il launechildo e la _tingazione_, eccettuati i doni a chiese o a luoghi
pii come redenzione dell'anima.
[109] LIUTPR., I. 1-5, II. 8, III. 3, VI. 48; ROT., 157-169.
[110] ROT., 173. 168. 169.
[111] VI. 6.
[112] GRIM., II; LIUTPR., VI. 87; ROT., 186. 178. 179. 198; ASTOLFO, 3.
14.
[113] _Nulli mulieri liberæ, sub regni nostri ditione lege
Longobardorum viventi, liceat in suæ potestatis arbitrio, idest sine
mundio vivere, nisi semper sub potestate viri, aut potestate curtis
regiæ debeat permanere: nec aliquid de rebus mobilibus aut immobilibus,
sine voluntate ipsius in cujus mundio fuerit, habeat potestatem donandi
aut alienandi._ ROT., 205.
[114] X. 2.
[115] _Mundium non sit amplius quam solidi tres._ II. 3. Il Muratori
confonde il mundio col mefio.
[116] II. 1. — _Consentientes mihi suprascripto genitor meus, per hunc
scriptum secundum legem in morincap dare videor tibi, Imilla dilecta
et amabilis conjus mea... quartam portionem ex integra de omnia et
ex omnibus casis et fundis... vel quod in antea Deo adjuvante legibus
atquisiero, de omnia ex integra quartam portionem abeas tu jam nominata
Imilla dilecta et amabilis conjus in morincap_, ecc. Carta lucchese del
986. Arch. arciv.
[117] II. 6; VI. 59. 68. 76. 78.
[118] _Si quis res alienas, idest servum et ancillam, seu alias res
mobiles_... Leg. 232. E vedi LIUTPR., v. 36; ROT., i. 13. 222; RACHIS,
3. 277.
[119] Quando al risorgente diritto romano prestavasi non culto
ma idolatria, il celebre commentatore Andrea d'Isernia chiama il
longobardo _jus asininum_; Lucca di Penna scrive _longobardicas
leges fuisse factas a bestialibus, neque mereri appellari leges sed
fæces_. Il Giannone sempre inginocchiato davanti ai regnanti, dice
che «splenderà nelle gesta de' loro principi non meno la fortezza e
la magnanimità, che la pietà, la giustizia, la temperanza; e le loro
leggi e i loro costumi, sebbene non potranno paragonarsi con quelli
degli antichi Romani, non dovranno però posporsi a quelli degli ultimi
tempi dello scadimento dell'Imperio» (_Storia civ._, lib. III);
ed ha un capitolo _sulla loro giustizia e saviezza_. Montesquieu
magnifica le leggi longobarde sopra tutte le altre barbariche. Il
Sismondi (_Repubbliche ital._, cap. 1) le chiama _saviissime_, e
_abbastanza glorioso_ il regno dei Longobardi; eppure soggiunge che
_le due nazioni rimasero divise da un implacabile odio_. Per raffaccio
alle legislazioni del suo tempo, il Filangeri esaltò di troppo le
processure barbariche: «Non è codice dei Barbari, che non regoli
l'accusa giudiziaria meglio che le nazioni civili d'oggi. Nessuno
niega al cittadino il diritto di accusare; e non pensò a combinar la
libertà d'accusare colla difficoltà di calunniare. Nei Capitolari di
Carlo Magno si stabilisce che il giudice non possa giudicare alcuno se
manca un legittimo accusatore (_Cap. C. M. et Lod._, lib. V. c. 248;
_Edict. Theod._, c. 20). L'Editto di Teodorico condanna del taglione
il calunniatore (_Edict._, c. 13; _Cap. C. M._, lib. VI. c. 329;
lib. VII. c. 180). Teodorico interdisse l'accusa secreta (c. 50). Nei
Capitolari di Carlo Magno, che non giudichi il giudice in assenza di
una parte (lib. vii. c. 145. 168). Escludeano i Longobardi chi avesse
dato prova di mala fede (_Cod. Long._, lib. XI. tit. 51 _de testib._
§ 8), o quello che per la condizione e pei delitti avesse perduta la
confidenza della legge (_Cap. C. M._, lib. I. c. 45; lib. VI. c. 144
e 298). I testimonj deponeano in presenza dell'accusato: lui presente,
il giudice gl'interrogava, e potea interromperli di rispondere. Queste
buone costituzioni ponno far vergognare l'Europa d'oggi, che avvolge
i processi nel mistero». _Scienza della legisl._, lib. III. c. 2. 3.
Nella più recente _Storia d'Italia_, a pag. 351 del vol. I, è detto
che «le leggi longobardiche erano ottime tra le leggi barbariche»; a
pag. 324, «è indubitato le leggi longobardiche esser le più eque e le
meno imperfette di tutte le leggi barbariche»; e a pag. 337, «l'Editto
di Rotari è una compilazione disordinata di cadarfrede o consuetudini
antiche».
[120] Nel Libro VIII vedremo le consuetudini longobarde sopravivere
e trasfondersi negli statuti dei Comuni. La costituzione di Federico
II, lib. II. tit. 17, abolì la personalità delle leggi nella Sicilia,
il che mostra vi sussistette sino al secolo XIII. Il Lupi, _Codex
diplom. bergom._, 231, adduce uno statuto bergamasco del 1451, ove si
nomina un _liber juris Longobardorum_, e si ordina che _ipsum jus vacet
in totum, et servetur jus commune_: il che vuol dire che fin allora
durava qualche diritto alla longobarda. Nel regno di Napoli, a detta
del Giannone, lib. XXVIII. cap. 5, le leggi longobarde cessarono al
tempo di Ferdinando I, uscente il XV secolo, ma ne sopravvissero alcune
consuetudini, e fin ai suoi tempi nell'Abruzzo i feudi regolavansi
secondo quelle; v'erano ancora beni gentilizj: negli istromenti ove
intervenissero donne, si faceva assistere il mundualdo; metteasi la
clausula _jure romano_, per indicare che i contraenti non viveano
secondo la longobarda; duravano le voci di _mefio, catamefio, vergini
in capillo_, e altre assai. Prospero Rendella nel 1609 stampò a Napoli
_In reliquias juris longobardi_.
[121] Sebbene s'ignori donde il bolognese Giulio Cesare della Croce
tolse quella leggenda, tutto ne palesa l'origine tedesca, la corte
d'Alboino, sebbene tramutata in Italia, i nomi stessi di Berthold,
Marculf, ecc. La _Contradictio Salomonis_, uno de' primissimi romanzi,
presenta una disputa di Guglielmo Conquistatore col villano Marculfo,
e forse deriva dalla sorgente stessa da cui le avventure del Bertoldo,
che trovansi in ogni lingua, e che i Tedeschi dicono derivate
dall'Asia, come la più parte delle nostre fiabe e nonnaje.
[122] PAOLO DIAC., lib. VI. c. 7. 8.
[123] Pare indicarlo il suo epitafio ap. MABILLON, app. al vol. II.
_Ann. Ord. s. Bened._, nº 35:
_Divino instinctu, regalis protinus aula_
_Ob decus et lumen patriæ te sumsit alendum._
_Omnia Sophiæ cepisti culmina sacræ,_
_Rege movente pio Ratchis, penetrare decenter._
[124] PAOLO DIACONO, lib. VI. c. 35; VASARI, _Proemio alle vite dei
pittori_. I Romani di quel tempo radevano od almeno accorciavano la
barba, e tondevansi altrimenti che i Longobardi; poichè è scritto
che, regnante Desiderio, i Longobardi di Rieti e Spoleto vennero ad
arrendersi a papa Adriano I, il quale ricevendone il giuramento, fe
loro tagliar le barbe e i capelli alla romana. L'aver capelli pare
fosse distintivo de' Longobardi, giacchè la loro legge per certe colpe
condanna a perderli. È vulgata l'etimologia di _tosa_ che i Lombardi
dicono per zitella, da _intonsa_, tratto dal costume di non accorciare
i capelli alle fanciulle. Convien però avvertire che tal voce si trova
anche nei paesi non dominati da' Longobardi; giacchè il provenzale Pier
da Villare cantava:
_Per Melchior e per Gaspar_
_Fo adoratz l'altissim Tos._
[125] ROT., 179.
[126] Neppure agli antichi Romani era insolito l'occupare un terzo o
due delle terre dei vinti. _Cum Hernicis fœdus ictum, agri partes duæ
ademptæ_: TITO LIVIO, XI. _Truinates tertia parte agri damnati_. Ivi,
X. Questo terzo sembra lo togliessero i Germani da ciascun possidente:
i Romani par più probabile s'impadronissero d'un terzo del territorio
vinto.
[127] PAOLO DIAC., lib. II. c. 4. Procopio, negli _Aneddoti_, dice
che in Africa perirono tre milioni e a proporzione nell'Italia, tre
volte tanto estesa: ma esagera al solito, per mostrare infelicissimo il
regno di Giustiniano. La peste infierì nel 566, massime nella Liguria
e a Roma, talchè non si trovava chi mietesse nè vendemmiasse. Nel 571
perì infinito bestiame; e molte persone di vajuolo e dissenteria.
Paolo Diacono ricorda quasi ad ogni anno morbi, cavallette, nembi,
siccità, ecc. Sotto re Autari un diluvio afflisse l'Italia; il Tevere,
venuto a sterminata altezza, recò indicibili guasti; desolate rimasero
la Venezia e la Liguria; e Gregorio Magno riferisce che le acque
dell'Adige a Verona giungevano alle finestre superiori della basilica
di San Zenone, _senza entrar per le porte_. Esso Gregorio in una grave
peste ordinò sette processioni di cherici, cittadini, monaci, monache,
maritati, vedove, ragazzi: e per via in un'ora ne caddero morti
ottanta.
[128] Lib. I. c. 16.
[129] _Iis qui vi oppressos imperio coercent, est sane adhibenda
sævitia, ut heris in famulos_. De officiis, lib. II. c. 7.
[130] _Populi aggravati per longobardos hospites partiuntur_; lib. II.
c. 32. Il codice della biblioteca Ambrosiana legge _pro Longobardis
hospicia partiuntur_. E nell'un caso e nell'altro v'è ambiguità di
senso; e forse la vera lezione è _multa patiuntur._ Sopra un testo sì
incerto, quanti libri e libercoli si sono fatti in questi anni!
[131] Paolo stesso, lib. IV. c. 6, dice che _pæne omnes ecclesiarum
substantias Longobardi, dum adhuc gentilitatis errore tenerentur,
invaserunt._
[132] Varie sue lettere sono dirette al _populus et ordo_ di città
longobarde. Costanzio vescovo di Milano parla d'un tal Fortunato,
di cui aveva udito _per annos plurimos inter nobiles consedisse et
conscripsisse_. Epist. IV. 29.
[133] Tant'è ciò vero, che essa l'adopera anche coi Turingi, i quali
mai non avevano avuto municipio.
[134] Sarebbero i _fundora exfundata_, di cui parla il patto d'Arigiso
duca di Benevento.
[135] Lo accenno dietro alle induzioni di Enrico Leo; ma non mi pajono
abbastanza appoggiate.
[136] Qualche vestigio può vedersene ancora dove sussiste il fôro
ecclesiastico; sicchè a fianco della legge locale ne dura una
personale. Anche gli Ebrei sin a' giorni nostri furono trattati con
leggi personali, conservando il levirato e il divorzio anche dove
è abolito, essendo esclusi da certe professioni, sottoposti a certe
tutele particolarizzate. Nella repubblica di Genova fino agli ultimi
tempi i cherici vivevano secondo il diritto comune, ma non potevano
profittare degli statuti, non entravano ad impiego pubblico, non
tutori, nè esecutori testamentarj, nè testimonj ai testamenti. Le
donne restavano in tutela perpetua; nè potevano contrattare o star in
giudizio senza il consenso di due parenti, oltre il marito se maritate;
non erano di diritto tutrici de' figli; escluse dalla successione
intestata in concorso con maschi. Si notino queste vestigia di diritto
barbarico.
[137] _Noluerunt Longobardorum imperiis subjacere; neque eis a
Longobardis permissum est in proprio jure subsistere; ideoque
æstimantur ad suam patriam repedasse_. PAOLO DIAC., lib. III. c. 6.
[138] Ciò renderebbe ragione della legge di Desiderio e Adelchi, che
risulta da una carta del monastero di santa Giulia a Brescia, ove si
provvede al caso che un servo del palazzo sposi un'_ingenua_ romana, la
quale cade pur essa in ischiavitù.
[139] _Qui professus sum natione mea vivere lege salica o longobarda._
La prima professione di vivere a legge romana trovasi in un atto di
Lucca dell'807 ap. BARSOCCHINI, II. 206: la seconda in uno di Bergamo
del 900, ap. LUPO, _Cod. Bergom._, I. 1083. Così scarsi erano gli
avanzi romani!
[140] Giuseppe Rovelli, in cui il buon senso ripara la mancante
erudizione, avverte cosa sfuggita a contemporanei suoi, forse di
maggior levatura. «La congiunzione del civile col militare comando
in tutte le prefetture maggiori e minori, partorì questa perniciosa
conseguenza per gli Italiani sudditi del regno longobardico, che gli
allontanò da tutte le cariche e da tutti gli onori, e conseguentemente
tolse loro i mezzi di conservar l'antica o di sollevarsi a nuova
dignità o ricchezza». _Dissert. prelim, alla storia di Como_, vol. I.
pag. 143. Queste _prefetture maggiori e minori_ è un errore ch'egli
bevve dal Muratori. Anche a lui _par verosimile_ che «i Longobardi a
preferenza delle altre occupassero le terre rimaste incolte o deserte».
Strana verosimiglianza!
[141] Così opina anche il Lupo, che pure fu il primo a discorrere
assennatamente intorno alle _professiones_. — LIUTPR., VI. 37. de
Scribis: _Perspeximus, ut qui chartam scripserint sive ad legem
Longobardorum, sive ad legem Romanorum, non aliter faciant, nisi
quomodo in illis legibus continetur... Et si unusquisque de lege sua
descendere voluerit, et pactiones atque conventiones inter se fecerint,
et ambæ partes consenserint, istud non reputatur contra legem, quod
ambæ partes voluntarie faciunt. Et illi qui tales chartas scripserint,
culpabiles non inveniuntur esse._
[142] EGINARDO, _De gestis Ludov. Pii ad_ 824. ap. BOUQUET, tom. VI. p.
184. Sopra quella costituzione si appoggia a Savigny, c. III. § 45; ma
in contraddizione vedasi Troya, _Della condizione dei Romani vinti da'
Longobardi_.
È difficile accumulare cotante inesattezze quante nel seguente
periodo: «Bel privilegio avevano le nazioni settentrionali conservato
ai cittadini, la libera scelta di sottomettersi alle leggi dei loro
maggiori, oppure a quelle che trovassero più conformi alle proprie
nozioni di giustizia e di libertà. Presso i Longobardi trovavansi
in vigore sei corpi di leggi, romana, longobarda, salica, ripuaria,
alemanna, e bavara; e le parti, al cominciar del processo, dichiaravano
ai giudici che viveano e volevano esser giudicati secondo la tale e tal
altra legge». SISMONDI, _Rep. ital._, c. II.
[143] Leone IV pregava l'imperatore Lotario I a non alterare la legge
romana: _Vestram flagitamus clementiam, ut, sicut hactenus romana
lex viguit absque universis procellis, et pro nullius persona hominis
reminiscitur esse corrupta, ita nunc suum robur propriumque vigorem
obtineat._ Nel _Decr._ GRATIANI, dist. X. c. 13.
[144] Rotari pone per pena denari venti a chi fornicasse con un'ancella
_gentile_, e dodici con una romana: ma può intendersi delle molte
ch'erano state condotte schiave dopo la conquista di Genova e d'altre
terre romane.
[145] _Lege romana, qua Ecclesia vivit_; Leg. rip., t. LVIII, 1. —
_Ut omnis ordo ecclesiarum lege romana vivat_; Leg. long, di Ludovico
il Pio, art. 55. — Eccard, commentando quell'articolo della Legge
ripuaria, adduce una carta, ove due preti, di nazione longobardi,
vivono secondo la legge romana _per decoro sacerdotale_: _Qui
professi sumus ex natione nostra vivere legem Longobardorum, sed
mine, pro honore sacerdotii nostri, videmur vivere legem Romanorum._
Ma talvolta gli ecclesiastici viveano in Italia con legge longobarda.
In FUMAGALLI, _Codice diplomatico Sant'Ambrosiano_, nº 124, p. 502,
Teutperto arciprete di San Giuliano, nell'885, professa la legge
longobarda. LUPO, _Cod. Bergom._, p. 225, dice che nel X e XI secolo
tal consuetudine era quasi generale nel Bergamasco. Il monastero
di Farfa non uniformavasi a legge romana; MABILLON, _Ann. Ord. s.
Bened._, tom. IV, p. 129. 705. E forse meglio cercando si troverà che,
sotto i Longobardi, neppur a' cherici era dato deviare dalla legge
de' vincitori; privilegio che ottennero soltanto dopo la conquista
dei Franchi. In ciò regna grande oscurità, anche dopo le eruditissime
discussioni, e a noi accadrà d'addurne altri esempj.
[146] _Edict. Theodor._, 27.
[147] CASSIODORO, _Epist._ 14. lib. IX.
[148] Nuova notizia, che esce dal LXI dei _Papiri_ del MARINI, e si
riferisce all'anno 629.
[149] _Ut nullus homo debeat negotium peragendum ambulare, aut pro
quadecumque causa, sine epistola regis aut sine voluntate judicis sui._
ASTOL., V.
[150] ROT., 144. 145. Vedi TROYA, _Della condizione dei Romani_, § 167.
[151] Vedi la III e IV delle nuove leggi trovate dal Troya.
[152] _Clerus et plebs mediolanensis Deusdedit diaconum eligentes, ab
Agilulfo rege terrentur quatenus ilium eligerent, quem Longobardorum
barbaries voluisset._ GIO. DIACONO, Vita s. Gregorii Magni.
[153] Di Costanzio di Milano scrive Gregorio Magno: _Quam fuerit
vigilans in tuitione civitatis vestræ, non habemm incognitum._
[154] _Epist._ I. 17.
[155] _Epist._ III. 26. 29. 30; IV. 1. Il Muratori, narrando che
gli arcivescovi di Milano sedettero in Genova da Alboino fin a
Rotari, conchiude: «Dal che si può argomentare la moderazione dei
re longobardi, che padroni della nobilissima città di Milano, si
contentavano che quegli arcivescovi avessero la loro permanenza in
Genova, città nemica, perchè ubbidiente all'imperatore». _Annali_, an.
641. Tanto varrebbe l'argomentare la moderazione del granturco o del
sofì di Persia, dal trovarsi fra noi i vescovi di Corinto e d'Edessa.
In tal modo egli ragiona troppo spesso intorno ai Longobardi, dei quali
parla con frasi ammirative, per es queste al 674: «Nulla ci somministra
di nuovo in questi tempi la storia d'Italia; ma il suo stesso silenzio
ci fa intendere la mirabile quiete e felicità che godevano allora sotto
il pacifico governo del buon re Pertarito i popoli italiani». Quando
però sostiene che i Longobardi non governavano peggio dei Greci, non ha
affatto torto. Mache dire di certi, massimamente tedeschi, encomiatori
enfatici de' Longobardi; e per es. del Leo, che li chiama angeli
liberatori (_befreyende Engel_)?
Pochi momenti storici furono descritti per luoghi comuni tanto
quanto l'età longobarda. «Erano stati i Longobardi dugento ventidue
anni in Italia, e di già non ritenevano di forestieri altro che il
nome» MACHIAVELLI, _Ist. fior._, lib. I. — «Assuefatta l'Italia alla
dominazione dei suoi re, non più come stranieri li riconobbe, ma come
principi suoi naturali, perchè essi non aveano altri regni o Stati
collocati altrove, ma loro proprio paese era fatta l'Italia, la quale
perciò non poteva dirsi serva e dominata da straniere genti». GIANNONE,
_St. civ._, lib. V. § 4. — «Tolta la diversità di trattamento, e
divenuti Romani e Longobardi un popolo solo, la stessa misura di
tributi fu imposta ad ognuno». MURATORI, _Ant. ital._, XXI. — «Felice
esser dovea anzi che no la condizione de' cittadini sì longobardi
che italiani, i quali con loro formavano uno stesso corpo civile ed
una stessa repubblica». _Antichità longobardiche milanesi_, I. — E
un moderno: «Il dire che i Longobardi alla fine del secolo VIII non
fossero italiani ma stranieri, è cosa tanto scempia che quasi, anzi
certamente, non merita risposta». _Storia d'Italia dal V al IX secolo_,
p. 341. Certo quel generoso applaudì quando i Greci insorsero contro
i Turchi, stranieri che da tre secoli e mezzo accampavano in mezzo a
loro.
[156] _Si romanus homo mulierem longobardam tulerit, et mundium ex ea
fecerit... romana effecta est; filii qui de eo matrimonio nascuntur,
secundum legem patris, romani sint._ LIUTPR., 74.
[157] _Longobardi, ut bellatorum possint ampliare numerum, plures a
servili jugo ereptos ad libertatis statum perducunt; utque rata eorum
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