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Storia degli Italiani, vol. 05 (di 15) - 08
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sollievo da quella concatenata oppressione fiscale. Degli schiavi gran
parte nelle prime correrie fu rapita; ai restanti poco caleva a qual
signore servissero, fatati alla miseria. Altrettanto dicasi dei coloni,
che nulla avevano a perdere, e non di rado vantaggiavano. Della nobiltà
patrizia romana aveano già fatto sterminio gl'imperatori; allora i
Barbari l'annichilirono, giacchè, non trovandola buona ad alcuna delle
arti di cui essi aveano mestieri, non le usavano que' riguardi che
agli agricoli ed agli artigiani; sicchè della primitiva conquista
rimase levata ogni traccia. Della nobiltà nuova formatasi nelle
provincie, alcuni s'appigliarono alla fortuna de' vincitori, per trarne
qualche porzione a proprio vantaggio: i più, umiliati, scaduti dalle
dignità, spogli in parte o in tutto dei beni, sentivano repugnanza pei
conquistatori, e faceano opposizione con quel poco di potere che ad
essi era rimasto nelle curie; talvolta anche rimbalzavano contro gli
oppressori, come vedemmo tentarsi sotto i Goti; altri si ritiravano
nelle vaste e lontane tenute in mezzo a coloni e clienti, sperandosi
dimenticati.
La civiltà romana, dovunque arrivasse, si sovrapponeva alle leggi,
ai costumi, alla religione, alla lingua nazionale, per modo che pochi
secoli di dominio cancellavano quasi ogni orma delle istituzioni dei
popoli sottomessi e assimilati. I Germani al contrario, invadendo il
nostro paese, sentivano quanto una civiltà sistemata fosse superiore
ad una barbarie incomposta; sprezzavano i Romani individualmente, ma
concepivano, se non rispetto, almeno meraviglia dinanzi a quei superbi
edifizj, agli acquedotti, agli anfiteatri, alla regolare gerarchia de'
poteri. Fissandosi poi sulle terre romane, e col diventare proprietarj
acquistando relazioni più complicate e durevoli, comprendevano la
necessità di regolamenti più estesi; e poichè la legislazione romana
glieli offeriva, mentre abbattevano l'ordine politico, vagheggiavano il
sociale, ed anche mettendo al giogo i Romani, si confessavano ad essi
inferiori, e s'ingegnavano d'imitarli.
Non privavano dunque i vinti della libertà naturale riducendoli
schiavi; e talvolta neppure affatto della civile. Questo, che era
generosità rara fra gli antichi, qui veniva dall'esercitarsi i due
popoli in diverso genere d'industria; nell'armi i vincitori; i vinti
ne' campi, nelle arti, negli studj. Teodorico usò in insigni uffizj
Cassiodoro, Boezio, Simmaco; altri Barbari si valsero certo dell'opera
di Romani; e sebbene de' Longobardi non sia detto, li vediamo però
dettare le proprie leggi in latino: queste leggi modificare alla
romana; stabilire un sistema fiscale complesso, qual non avrebbero
potuto se non col sussidio de' vinti.
Nè per questo il vinto entrava nella società de' vincitori. Adoprato
per bisogno non per onoranza, rimaneva escluso dalle armi, e da ciò che
fra i Germani n'è conseguenza, la giurisdizione e l'amministrazione;
solo per grazia speciale alcuno veniva ammesso fra i vincitori,
consentendogli il titolo di convittore del re.
I beni de' natii furono divisi in ragione diversa ne' diversi paesi:
i Visigoti tolsero ai possessori due terzi dei campi, degli schiavi,
degli animali domestici e degli strumenti di lavoro[126]; i Borgognoni,
metà delle corti e dei giardini, due terzi delle terre lavorate, un
terzo degli schiavi, lasciando in comune le foreste. Gli ausiliari
degli ultimi imperatori chiesero in Italia un terzo de' terreni, e
avuto il no, deposero l'ultimo cesare d'Occidente, e ottennero da
Odoacre ciò che Augustolo avea negato. Gli Ostrogoti sopragiunti
occuparono anch'essi un terzo.
Togliere metà o un terzo dei terreni a gente decimata dalla guerra,
ed esonerarla con ciò dal tributo, che sotto i Romani esorbitava a
segno da far sovente abbandonare al fisco le tenute istesse, parrebbe
tutt'altro che abuso di brutale vincitore. Se fosse poi vero che il
Germano, indocile alla fatica dei campi, non esigesse che il terzo
dei frutti, sarebbe un sistema più mite di quanto si pratica oggi
nella nostra campagna. Ma una partigione fatta da conquistatori sopra
gente che non ha armi nè rappresentanza per francheggiare i proprj
diritti, può ella immaginarsi altrimenti che come una grande violenza,
esercitata parzialmente da ciascun capo nel paese o nel villaggio dove
infiggeva la sua lancia?
Inoltre, i Goti toglievano que' possessi dal pubblico dominio, o da
possedimenti privati? Se dai privati, come pare, che cosa intende
Teodorico quando asserisce un ricco Goto equivalere a un Romano
povero? Perchè gl'invasori soprarrivati occupassero i terreni stessi
dei conquistatori precedenti, converrebbe supporre i Goti tanti
appunto di numero, quanti gli Eruli e i Turcilingi d'Odoacre; e che
avessero catasto e misuratori e una regolarità di possessi, affatto
inconciliabile colla condizione di Barbari. Poi, se al primo entrare
ciascun Barbaro diveniva possessore, come spropriava altri via via
che faceasi nuove conquiste? e se la misura non fosse stata equa, come
avrebbe potuto richiamarsene il prisco possessore? e davanti a chi? e
come tutelava egli i proprj confini? Poi delle proprietà dei Goti cosa
avvenne, quando i Greci gli ebbero vinti? e di quelle dei tanti caduti
in guerra sì micidiale? Può mai immaginarsi che, fra tanto scompiglio,
venissero restituiti ai primi signori? Potrebbesi credere che cadessero
al fisco; ma nella prammatica di Giustiniano non v'ha motto di oggetto
sì rilevante.
I Longobardi occupano essi pure un terzo, ma in peggior ragione:
poichè, se i Goti contribuivano alle spese della coltura ne' campi
invasi, questi levavano un terzo lordo dei frutti, modo di costringere
i più a ridursi servi, se già nol fossero per sistema.
E qui si presenta una controversia famosa sulla bontà de' Longobardi.
Il terrore chiamava torrenti e diluvj le invasioni; la compassione
esagerava gli sterminj, tanto che papa Gregorio Magno dice, l'umana
stirpe, folta in Italia come campo di biada, restò allora guasta ed
uccisa, e tutto il paese converso in deserto, popolato solo di fiere.
Noi sappiamo storicamente che la popolazione dell'Italia ancora
romana era tutt'altro che numerosa; oltre che un fiero contagio l'avea
desolata poco prima dell'arrivo de' Longobardi[127]. Per quante poi
sieno le violenze particolari, v'è poca ragione di credere a uno
sterminio sistematico, dal quale al vincitore non sarebbe derivata
altra conseguenza, che di ridurre incolte le campagne.
Tutt'al contrario Paolo Diacono, longobardo e che de' Longobardi
scriveva quando n'era appena caduto il regno, sicchè la compassione
li faceva rimpiangere e il lodarli sapeva di generosità, non trova
espressioni bastanti a loro encomio: «nessuna violenza accadeva,
nessun'insidia tendevasi; non era chi angariasse o spogliasse altrui
ingiustamente; non furti, non ladronecci; ciascuno andava senza paura
ove gli talentasse»[128].
Se i conquistatori, e massime nei primi momenti, rechino tali
beatitudini, lo dica chi ha occhi. E se Cicerone, proclamando i doveri
della giustizia nel secol d'oro di Roma, stabilisce che coi soggiogati
bisogna adoprare fierezza come coi servi[129], aspetteremo noi tanta
umanità nei Barbari, che pur spropriarono i natii? Fosse anche vera,
quella pittura sarebbe a riferirsi solo al vincitore; non altrimenti da
quando i Romani antichi vantavano che nessuno poteva esser torturato e
ucciso senza regolari giudizj, mentre stavano all'arbitrio de' padroni
e de' magistrati tanti milioni di provinciali e di schiavi.
Lo storico medesimo, quando dal fraseggiar retorico viene ai fatti,
racconta che Clefi distrusse la nobiltà, lo che significa i possessori;
e che, «sotto i trenta duchi, molti nobili Romani furono uccisi
per cupidigia, gli altri partiti fra gli ospiti in modo da divenire
tributarj, pagando un terzo de' frutti; spoglie le chiese, trucidati i
sacerdoti, sovverse le città, sterminata la popolazione»[130].
A questo strazio fu dunque mandato il fiore della gente italica.
Pertanto, comunque andasse il fatto nei primi momenti, in appresso i
soggiogati ebbero, non soltanto a dimezzar le terre d'ogni circondario,
come avevano fatto cogli _ospiti_ Eruli o Goti, per costituirne
le corti signorili e libere; ma furono spossessati, e costretti a
dare il terzo del ricolto; e non più allo Stato, ma a ciascuno de'
Longobardi, cui ciascun Romano era toccato. Ridotti ad _aldj_, cioè
manenti o terziatori o coloni, in somma tributarj, la qual condizione
era per essenza opposta a quella di libero, più non possedevano che
precariamente, non potevano sposar donna libera, non militare, non
procedere ne' tribunali; chè tanto importava pei Barbari la parola
tributario. Nelle altre conquiste i beni delle chiese restarono
intatti: ma i Longobardi, essendo eretici, non rispettavano il clero
cattolico[131].
Questo totale spossessamento de' nobili, cioè de' possidenti, senza
ambiguità asserito dal panegirista de' Longobardi, vien negato da
taluni perchè in Gregorio Magno ricorre menzione dei nobili di Milano e
d'altre città[132]. Ma oltrechè la curia romana seguiva nelle lettere
le formole consuete[133], anche quando aveano perduto il senso,
quel pontefice non riconosceva l'occupazione de' Longobardi nè lo
spogliamento de' vinti; onde operava siccome una cancelleria de' giorni
nostri che continuasse a salutare per regia la stronizzata stirpe de'
Borboni; o siccome essa curia romana, che fin oggi nomina i vescovi
d'Antiochia o di Laodicea.
Allegasi pure una Teodota, di _stirpe senatoria_, la quale non potè
sottrarsi alla libidine di re Cuniberto, e pianse il rapitole fiore nel
monastero di santa Maria della Posterla a Pavia. Poi, al cessare della
dominazione straniera, compajono ricchi possessori viventi con legge
romana, cioè d'origine italica.
Vogliasi però riflettere che, anche dai paesi occupati alla prima
invasione, molti natii rifuggirono alle isole, sulle coste, fra
i monti; e prima d'uscirne poterono patteggiare coi vincitori,
conservando titoli e possedimenti. Più dovette ciò frequentare nelle
terre assoggettate in tempi successivi, quando i Longobardi avevano
deposto la primitiva fierezza; e i natii nell'arrendersi poterono
riservarsi parte degli antichi diritti. Altri ancora si vennero a
piantare sulle conquiste longobardiche da terre che mai non erano state
soggiogate, massime dappoichè i dominatori si mansuefecero, e che la
dominazione passò ai Franchi. Tali accidenti bastano a spiegare la
menzione che accade di gente romana, di nobili, di senatori: il qual
titolo ad ogni modo poteva indicare soltanto un grado personale, non
mai di origine.
Nessuna dunque, o poca gente libera rimaneva sulla campagna occupata,
mutandosi i possessori in coloni, e i lavoratori in servi della gleba.
Numero maggiore di liberi sopraviveva nelle città, dove, essendo
divisi in scuole d'artigiani, non cadeano spicciolati in dominazione
di particolari, ma in masse numerose erano distribuiti a duchi e re.
Al possessore d'un campo, che caleva di conservare gli uomini a quello
affissi? morendo essi, rimaneva il fondo[134], e si poteano trovargli
altri cultori; mentre il perdersi degli artigiani deteriorava ed anche
distruggeva il frutto che ne traeva il vincitore cui erano tocchi
in sorte. Egli dovea dunque far opera di conservarli: pure nulla
ne sappiamo di positivo, se non forse che gli abitanti della città
furono gravati di doppia imposta, cioè una diretta (_salutes_) ed una
sull'industria[135].
Certo è che di questa gente vinta non parlano mai le leggi longobarde:
silenzio ingiurioso, eppure da questo volle alcuno argomentare che i
Longobardi la lasciassero vivere coll'antica legge patria. Di fatto,
tra alcuni germanici conquistatori troviamo che la legislazione non
riguardava tutti coloro che abitassero una regione, ma seguiva la
persona: e mentre oggi, chiunque si stabilisce in un paese, sottopone
sè e l'aver suo alle leggi da cui quello è regolato, poca o nessuna
differenza intercedendo da cittadini a forestieri[136]; allora, al
contrario, la legge patria serbavasi dall'uomo libero, dovunque egli
si trovasse. Tale uso dovette introdursi dai Germani sol quando si
sparsero sulle terre conquistate; giacchè sul territorio medesimo
trovandosi unite differenti schiatte pel solo accidente dell'essersi
drizzate alla medesima impresa, non v'era motivo perchè una stirpe
dovesse rinunziare alle consuetudini degli avi, e sottomettersi a
quelle d'un'altra. Prova ne sia che in ciascun paese troviamo ammesse
tante leggi, quanti erano i popoli invasori.
Così non pare costumassero i Longobardi: anzi talmente furono
intolleranti d'ogni altro diritto dopo invasa l'Italia, che obbligarono
a partirsene i Sassoni ausiliarj, perchè non vollero acconciarsi
all'unità[137]; Rotari impone espresso che «se qualche Romano venga da
paesi forestieri, s'uniformi alla legge longobarda, salvo se altrimenti
impetri dalla clemenza del re».
Questo cenno non concerne il popolo vinto, ma chi veniva di fuori;
e indica che il privilegio non era inusato. Coll'andare del tempo
si moltiplicarono i contatti degli invasori coi popoli rimasti; i
Longobardi rimisero della primitiva ferità, massime dopo convertiti al
cattolicismo; onde allora fu forse consentito ad alcuno avveniticcio
di conservare la legge nazionale[138]. Quando poi nel paese nostro si
assisero i Franchi e Tedeschi, ognuno conservava il proprio diritto;
dal che nasceva grande varietà, e per conseguenza ne' contratti
o giudizj si specificava sotto quale vivessero i contraenti o i
giudicati. Da ciò le così dette _professioni di legge_[139]: sotto il
qual nome di legge non intenderei veruno speciale e prefinito corpo
di istituzioni, ma in generale il diritto, le consuetudini, annesse al
fondo che i contraenti possedevano.
Indietreggiando quest'uso ai primi tempi della conquista, alcuno asserì
che i Longobardi lasciassero in arbitrio di ciascuno lo scegliere
secondo qual legge volesse vivere. Ma qual tirannide sarebbe cotesta,
dove il vincitore permette ai vinti di entrare a parte de' suoi diritti
medesimi? di porsi, pur che lo vogliano, nella classe de' dominatori?
Poi, che cosa significherebbe cotesto vivere a legge romana? una legge
suppone uffizj e attribuzioni, che la conquista aveva cancellato.
L'essere i nostri divenuti tributarj e dipendenti da un altro popolo,
introduceva relazioni affatto nuove: come poteano quelle venir regolate
colla legge romana? come sussisteva questa, dacchè erano cessati coloro
che poteano secondo le occorrenze modificarla? Poi, è costante fra i
Barbari che la podestà giudiziale stia congiunta col militare: esclusi
i Romani da questo, come potevano quella ottenere?[140] Le pene, che
presso i Barbari si riducono per lo più a multe e composizioni, come
applicarsi al Romano, le cui leggi vanno su tutt'altro piede?
Se fosse vero che i Longobardi lasciassero la legge antica ai vinti, a
chi avrebbero questi potuto ricorrere perchè un vincitore fosse punito
dell'omicidio o d'altra violenza? se si fosse punito il Longobardo
colla multa, e il Romano con pene afflittive, non si stabiliva già
un'enorme differenza? e avrebbe potuto testar il Romano, e non il
Longobardo? sarebbe rimasta in tutela perpetua la donna longobarda, e
non quella del vinto? come risolversi le liti de' Romani per testimonj
e prove, quelle de' Longobardi per duello e per altri giudizj di Dio?
e ciò in un paese solo, sotto l'autorità di un medesimo re! Il diritto
suppone la forza di proteggerlo: e i Romani aveano da un pezzo dismesse
per uso le armi; allora gliele toglieva la costituzione de' vincitori.
Tra le leggi longobarde, una del 727 di re Liutprando stanzia che, chi
fa un contratto, dichiari secondo qual legge intenda stipulare: dal che
pure si volle argomentare restasse libera ad ognuno la scelta della
legge[141]. Ma si rifletta che, anche secondo il gius romano, v'ha
atti, la cui erezione non interessa direttamente lo Stato, e perciò i
cittadini possono in essi preferire quali formole e modi più vogliano.
Appunto simili contratti privati ha di mira Liutprando quando ordina
che, nel formolarli, i notari s'attengano al diritto delle parti,
senza però escludere speciali convenzioni fra esse, nè quelle regole
secondarie, da cui ciascuno può innocuamente dipartirsi. Tant'è ciò
vero, che pari facoltà non accorda pe' testamenti, attesochè questi
sono di pubblico diritto. Liutprando inoltre veniva assai dopo la
conquista, e tendeva a introdurre nel gius longobardo quanto potesse
convenirgli del romano: laonde permetteva a' suoi di ricorrere a questo
più ampio e scientifico, per via di accordi reciproci davanti a notari;
al tempo stesso faceva arbitrio ai Romani contraenti di valersi della
legge propria, anzichè della longobarda come prima sembra fossero
obbligati. È un passo verso l'eguagliamento delle due stirpi: ma
non indica in verun modo che la vinta conservasse il patrio diritto;
attesta anzi che, fin allora, si era usato il contrario.
Molto più tardi, vertendo lite fra papa Eugenio II e il popolo
di Roma, l'imperatore Lodovico il Pio mandò alla città suo figlio
Lotario, «acciocchè la pace col nuovo pontefice e col popolo romano
stabilisse e confermasse». Lotario in tale occasione emendò lo statuto
del popolo romano coll'assenso del pontefice[142]; e un capitolo
d'essa riforma ordina s'interroghi il senato e il popolo romano con
qual legge vogliono vivere, e questa si conservi, o se la violano
ne siano puniti. Ma primieramente questo è caso speciale, e non si
riferisce che a Roma e al suo ducato, non mai conquistati, ove dunque
duravano le magistrature all'antica, e sempre erasi conservata la
legge romana[143]; sicchè l'orgoglio de' Barbari non restava leso dal
dover rinunziare alla propria. Probabilmente poi fu data la scelta
per quell'unica volta, quando trattavasi di dettare una legislazione
nuova; e optato per una legge, a quella dovettero attenersi anche i
discendenti.
Sta dunque, che i vinti italiani non parteciparono al diritto
del vincitore se non taluno per privilegio: tant'è ciò vero che,
ogniqualvolta la voce de' conquistati può farsi intendere, esprime
lamento perchè non siano accomunati anche a loro i privilegi dei
dominatori. Abbiam veduto nelle legislazioni barbare alle ingiurie
o all'uccisione d'un uomo esser decretato un prezzo differente
(_guidrigildo_), secondo il grado di esso, o la maggiore o minor
parte che godeva di cittadinanza. Ne' Franchi l'uccisione d'un
cittadino scontavasi col doppio prezzo, che non quella d'un romano
possessore: ne' Ripaurj, ducento lire per un cittadino, censessanta
per un forestiero germanico, cento per un romano. È una distinzione
ingiuriosa, che però, mentre attesta l'inferiorità del vinto, mostra
che sussistevano persone romane, formanti parte dello Stato, a segno
che il legislatore dovea toglierle in contemplazione. Ma nei Longobardi
nessun guidrigildo si trova stabilito pei Romani: il che conferma
fossero ridotti alla condizione di aldj, cioè cosa di un padrone, al
quale toccava il rifacimento dei danni loro[144].
Non per clemenza dunque, ma per condanna il longobardo legislatore
avrebbe lasciato vivere il Romano secondo la propria legge; poichè così
lo privava delle cure giuridiche e di tutti i diritti annessi alla
qualità di cittadino. I Romani antichi, nulla statuendo sulle nozze
de' plebei, poi degli schiavi, le avevano in conto di meri concubinati,
spogli di civile legittimità: altrettanto era in quelle degli Italiani
sotto ai Longobardi, rispettate solo dalla Chiesa che le benedicea.
Così argomentate degli altri contratti. E se pur fosse che porzione
delle leggi romane continuasse ad aver vigore, dovette esser solo
di gius privato, non trovandosi magistrati che le applicassero, nè
sanzione.
Diverso il caso per gli ecclesiastici. Tra essi il tipo giuridico
universale prevalse in ogni tempo sopra il locale; nè le leggi
canoniche, modellate sulle romane, mettono divario di paese o di razza;
poi conservavano curie proprie, davanti alle quali essi facevano i
loro atti, dibattevano e risolvevano da sè i loro litigj, non mancando
neppure di mezzi per far eseguire le sentenze. Pure anche i cherici
seguivano forse generalmente la legge della propria nazione, e alla
romana s'attenevano solo nelle cose ecclesiastiche, e massime ne'
privilegi concessi dalle costituzioni imperiali[145]. Certo in Italia
ricorrono frequenti prove di diritto longobardo seguito da conventi
e da cherici; il privilegio dei quali consisteva forse soltanto
nel potere, se romani, dalla condizione di aldj passare a quella di
cittadini longobardi.
Però, in causa appunto di tale trascuranza de' vincitori verso i vinti,
crede alcuno che sussistesse un reggimento municipale, per quanto
alterato dall'organamento militare de' Longobardi. Ma già vedemmo a
qual nullità fossero ridotti i municipj sul fine dell'Impero, quando
la più gran cura mettevasi nel buttarsene di dosso i gravissimi pesi:
poi fondamento e scopo ne erano i tributi, e questi mutarono affatto
natura colla conquista de' Barbari. Sotto i Goti, si rammentano ancora
in Italia e curiali e magistrati conservatori della pace[146], perchè
quella gente, o per origine o per lunga convivenza, avevano adottato
assai maniere romane; in qualche formola de' Franchi vedesi alle
curie attribuito il registrare alcuni atti: ma ne' paesi sottoposti
ai Longobardi, neppur sì poco compare. Se fosse poi vero che i
vinti restassero ripartiti fra i vincitori, cessava di necessità
ogni interesse comune, fin quelle cure di ponti, di strade, di beni
pubblici, alle quali si restringe il municipio.
Ciò vale pei Romani conquistati e ripartiti. Ma mentre i Longobardi,
pochi in numero fin da principio, poi assottigliati nelle guerre
continue di due secoli, e sistemati a modo d'esercito, tenevansi
aggruppati intorno ai castellari, più confacenti all'indole loro
che non le città, la remota campagna e massime i monti restavano
alla popolazione indigena, e questa poteva aver conservato qualche
ordinamento municipale. Alla romana continuarono a regolarsi le città
a mare, e quelle dove Goti e Longobardi non penetrarono o per poco.
Quattro o cinque secoli più tardi, venne un istante che le città,
dominate o no dai Longobardi, si trovarono riunite nella lega di
Lombardia, Marca e Romagna, ed in esse apparvero forme a un bel circa
eguali di governo municipale. Ora, chi rifletta che eguali pure le
aveano allorchè furono côlte dagl'invasori, inclina a credere che anche
le soggiogate dai Longobardi mantenessero alcun modo di reggimento
municipale.
Invano però se ne cercherebbe vestigio; nè la condizione dei vinti è
possibile indagare nelle leggi che riguardano soli i vincitori, per
quanto questi fossero portati a venerare in quelli la dignità del
sacerdozio o la superiorità del sapere, e fin costretti di valersi
di loro per notari e per compilare le leggi. Chi voglia vedere il
popol nostro, lo cerchi ne' mestieri della pace e nella coltivazione
de' campi, rimasta agl'inermi. Forse, al modo che i vincitori erano
disposti per razze, così i vinti erano per _scuole_ di mestieri, tenute
solidalmente garanti del tributo che si doveva al duca o al re.
Nessuno dubiterà che il commercio non patisse fra quelle invasioni;
pure non perì affatto, tanta n'è la vitalità; tanto, più de' gravi
disastri, gli nuociono gl'improvvidi regolamenti e la sistematica
tutela. Teodorico avea procurato favorirlo, destinandovi prefetti in
Italia e giudici che spacciassero le liti tra forestieri e paesani,
riparando le strade e assicurandole da' masnadieri, allestendo fin
mille navi pel trasporto delle merci e la sicurezza delle coste, e
allettando negozianti con promesse ed immunità. L'anonimo scoperto dal
Valois riferisce di fatto che molti venivano di fuori a mercatare in
Italia; che di grani, vini, legumi vi si facea baratto: e le minute
cure prese da quel Governo, fin a tassare i prezzi delle merci[147],
manifestano economica inesperienza piuttosto che trascuranza. Neppure
sotto i Longobardi si cessò d'ogni commercio; anzi andavamo alle
fiere di Parigi, ove scontravamo mercadanti sassoni, spagnuoli,
provenzali, franchi[148]. Ben è vero che i dominatori introdussero
un impaccio, appena tollerabile alla fiacchissima servilità odierna,
cioè i passaporti di cui doveva essere munito chiunque andasse per
affari[149].
Abbiamo pure un'incidentale menzione dei _magistri comacini_,
architetti o maestri di muro, provenienti dai contorni del lago di
Como, che forse per l'abilità loro furono esentati dall'universale
ripartizione e dal tributo servile, onde rimasero eguagliati ai liberi,
e capaci di pattuire e ricever mercede, ed ebbero licenza di unirsi in
una specie di consorzio[150]. Troviamo inoltre costruttori di navigli
che re Agilufo mandò al kacano degli Avari. Di medici cade anche
frequente menzione nelle leggi, ma nulla consta del loro stato civile.
Un pittore Auriperto in Lucca, caro al re Astolfo; un Orso, che co'
suoi scolari Giovino e Gioventino scolpì due colonnette del tabernacolo
di San Giorgio in val Pulicella, sono i soli ricordi d'artisti; eppure
altri servirono ai tanti edifizj di Teodolinda e dei posteriori.
Costoro tutti noi incliniamo a credere appartenessero al popolo
vinto. Però col volger del tempo si diedero alla mercatura anche
Longobardi, giacchè le leggi d'Astolfo vogliono che i mercadanti si
tengano anch'essi allestiti d'arme e cavalli, e vietano sotto pena del
guidrigildo (pena meramente longobarda) ai mercadanti del paese di aver
affare coi Romani, cioè cogli abitanti dell'Italia non soggiogata[151].
Il popolo vinto può riscontrarsi anche nelle _gilde_, specie di
fraternite che si formavano onde soccorrersi in caso d'incendio o
d'altri sinistri, e che forse alcuna volta metteano ostacolo alla
brutale prepotenza. Singolarmente il popolo vinto sussisteva ed aveva
rappresentanza nella Chiesa, radunandosi per eleggere i vescovi[152] e
i parroci suoi, e affezionandosi ai preti e ai monaci, i quali usciti
dalla classe degli oppressi, gli oppressi proteggevano e consolavano.
Fra questi gli affari ecclesiastici si regolavano colla legge romana,
e il Longobardo li lasciava risolvere gl'interni litigi davanti alle
curie vescovili. Ora gli ecclesiastici erano fratelli, figli, congiunti
del popolo indigeno, e poteano insinuare i principj d'ordine, speciali
alla classe loro. Era tenuta per vera una costituzione di Costantino,
infirmata solo dalla più tarda critica, la quale prescriveva, se
alcuna lite fosse recata a un vescovo da una parte, l'altra parte
dovesse stare al giudizio arbitrale di questo. Il conquistatore
non la riconosceva legalmente; ma gli ecclesiastici se ne facevano
appoggio, e — Il conquistatore non vi curò? ebbene, quando insorga
dissidio fra voi, rimettetelo in noi, e coll'equità lo ragguaglieremo.
All'ordinamento del Comune, alla polizia il Longobardo non provvide?
provvedete voi, secondo le consuetudini di cui avete la tradizione.
Quest'irrequieto dominio v'interrompe ogni commercio? ebbene, un giorno
la settimana venite al convento, e lì sul sagrato raccoglietevi a
comprare e vendere, protetti dall'ecclesiastica immunità. V'insegue il
prepotente a spada nuda? dal furor suo ricoveratevi agli asili, che vi
apriamo ne' luoghi sacri. Voi, sebbene vinti, siete i buoni credenti,
mentre costoro sono ariani; voi siete i figli di Dio in cielo e del
papa in terra, il quale vi benedice, mentre riprova la _schifosissima_
e _nefandissima_ stirpe de' Longobardi».
Così intorno all'ecclesiastica, unica autorità paesana sopravissuta,
raccoglievansi le speranze e i diritti dei superstiti italiani, e
v'acquistavano qualche ordinamento. In ciò nulla v'è per certo che
indichi una città, un reggersi a Comune: ma il popolo sussiste, ed è
collegato ad una classe rispettata anche dagli invasori, e si solleverà
se mai questa arrivi ad ottenere qualche rappresentanza.
Veniva di ciò a vantaggiarsi la potenza de' vescovi, sostenitori del
partito nazionale[153]; tanto più che formavano un'unità con tutti i
vescovi d'Occidente, e ad essi dirigevansi i papi, e principalmente
Gregorio Magno. Duranti le pubbliche calamità eccitava egli i vescovi
a convertire i vincitori ariani[154]: — La fraternità vostra esorti
dappertutto i Longobardi, che, sovrastando grave mortalità, conciliino
parte nelle prime correrie fu rapita; ai restanti poco caleva a qual
signore servissero, fatati alla miseria. Altrettanto dicasi dei coloni,
che nulla avevano a perdere, e non di rado vantaggiavano. Della nobiltà
patrizia romana aveano già fatto sterminio gl'imperatori; allora i
Barbari l'annichilirono, giacchè, non trovandola buona ad alcuna delle
arti di cui essi aveano mestieri, non le usavano que' riguardi che
agli agricoli ed agli artigiani; sicchè della primitiva conquista
rimase levata ogni traccia. Della nobiltà nuova formatasi nelle
provincie, alcuni s'appigliarono alla fortuna de' vincitori, per trarne
qualche porzione a proprio vantaggio: i più, umiliati, scaduti dalle
dignità, spogli in parte o in tutto dei beni, sentivano repugnanza pei
conquistatori, e faceano opposizione con quel poco di potere che ad
essi era rimasto nelle curie; talvolta anche rimbalzavano contro gli
oppressori, come vedemmo tentarsi sotto i Goti; altri si ritiravano
nelle vaste e lontane tenute in mezzo a coloni e clienti, sperandosi
dimenticati.
La civiltà romana, dovunque arrivasse, si sovrapponeva alle leggi,
ai costumi, alla religione, alla lingua nazionale, per modo che pochi
secoli di dominio cancellavano quasi ogni orma delle istituzioni dei
popoli sottomessi e assimilati. I Germani al contrario, invadendo il
nostro paese, sentivano quanto una civiltà sistemata fosse superiore
ad una barbarie incomposta; sprezzavano i Romani individualmente, ma
concepivano, se non rispetto, almeno meraviglia dinanzi a quei superbi
edifizj, agli acquedotti, agli anfiteatri, alla regolare gerarchia de'
poteri. Fissandosi poi sulle terre romane, e col diventare proprietarj
acquistando relazioni più complicate e durevoli, comprendevano la
necessità di regolamenti più estesi; e poichè la legislazione romana
glieli offeriva, mentre abbattevano l'ordine politico, vagheggiavano il
sociale, ed anche mettendo al giogo i Romani, si confessavano ad essi
inferiori, e s'ingegnavano d'imitarli.
Non privavano dunque i vinti della libertà naturale riducendoli
schiavi; e talvolta neppure affatto della civile. Questo, che era
generosità rara fra gli antichi, qui veniva dall'esercitarsi i due
popoli in diverso genere d'industria; nell'armi i vincitori; i vinti
ne' campi, nelle arti, negli studj. Teodorico usò in insigni uffizj
Cassiodoro, Boezio, Simmaco; altri Barbari si valsero certo dell'opera
di Romani; e sebbene de' Longobardi non sia detto, li vediamo però
dettare le proprie leggi in latino: queste leggi modificare alla
romana; stabilire un sistema fiscale complesso, qual non avrebbero
potuto se non col sussidio de' vinti.
Nè per questo il vinto entrava nella società de' vincitori. Adoprato
per bisogno non per onoranza, rimaneva escluso dalle armi, e da ciò che
fra i Germani n'è conseguenza, la giurisdizione e l'amministrazione;
solo per grazia speciale alcuno veniva ammesso fra i vincitori,
consentendogli il titolo di convittore del re.
I beni de' natii furono divisi in ragione diversa ne' diversi paesi:
i Visigoti tolsero ai possessori due terzi dei campi, degli schiavi,
degli animali domestici e degli strumenti di lavoro[126]; i Borgognoni,
metà delle corti e dei giardini, due terzi delle terre lavorate, un
terzo degli schiavi, lasciando in comune le foreste. Gli ausiliari
degli ultimi imperatori chiesero in Italia un terzo de' terreni, e
avuto il no, deposero l'ultimo cesare d'Occidente, e ottennero da
Odoacre ciò che Augustolo avea negato. Gli Ostrogoti sopragiunti
occuparono anch'essi un terzo.
Togliere metà o un terzo dei terreni a gente decimata dalla guerra,
ed esonerarla con ciò dal tributo, che sotto i Romani esorbitava a
segno da far sovente abbandonare al fisco le tenute istesse, parrebbe
tutt'altro che abuso di brutale vincitore. Se fosse poi vero che il
Germano, indocile alla fatica dei campi, non esigesse che il terzo
dei frutti, sarebbe un sistema più mite di quanto si pratica oggi
nella nostra campagna. Ma una partigione fatta da conquistatori sopra
gente che non ha armi nè rappresentanza per francheggiare i proprj
diritti, può ella immaginarsi altrimenti che come una grande violenza,
esercitata parzialmente da ciascun capo nel paese o nel villaggio dove
infiggeva la sua lancia?
Inoltre, i Goti toglievano que' possessi dal pubblico dominio, o da
possedimenti privati? Se dai privati, come pare, che cosa intende
Teodorico quando asserisce un ricco Goto equivalere a un Romano
povero? Perchè gl'invasori soprarrivati occupassero i terreni stessi
dei conquistatori precedenti, converrebbe supporre i Goti tanti
appunto di numero, quanti gli Eruli e i Turcilingi d'Odoacre; e che
avessero catasto e misuratori e una regolarità di possessi, affatto
inconciliabile colla condizione di Barbari. Poi, se al primo entrare
ciascun Barbaro diveniva possessore, come spropriava altri via via
che faceasi nuove conquiste? e se la misura non fosse stata equa, come
avrebbe potuto richiamarsene il prisco possessore? e davanti a chi? e
come tutelava egli i proprj confini? Poi delle proprietà dei Goti cosa
avvenne, quando i Greci gli ebbero vinti? e di quelle dei tanti caduti
in guerra sì micidiale? Può mai immaginarsi che, fra tanto scompiglio,
venissero restituiti ai primi signori? Potrebbesi credere che cadessero
al fisco; ma nella prammatica di Giustiniano non v'ha motto di oggetto
sì rilevante.
I Longobardi occupano essi pure un terzo, ma in peggior ragione:
poichè, se i Goti contribuivano alle spese della coltura ne' campi
invasi, questi levavano un terzo lordo dei frutti, modo di costringere
i più a ridursi servi, se già nol fossero per sistema.
E qui si presenta una controversia famosa sulla bontà de' Longobardi.
Il terrore chiamava torrenti e diluvj le invasioni; la compassione
esagerava gli sterminj, tanto che papa Gregorio Magno dice, l'umana
stirpe, folta in Italia come campo di biada, restò allora guasta ed
uccisa, e tutto il paese converso in deserto, popolato solo di fiere.
Noi sappiamo storicamente che la popolazione dell'Italia ancora
romana era tutt'altro che numerosa; oltre che un fiero contagio l'avea
desolata poco prima dell'arrivo de' Longobardi[127]. Per quante poi
sieno le violenze particolari, v'è poca ragione di credere a uno
sterminio sistematico, dal quale al vincitore non sarebbe derivata
altra conseguenza, che di ridurre incolte le campagne.
Tutt'al contrario Paolo Diacono, longobardo e che de' Longobardi
scriveva quando n'era appena caduto il regno, sicchè la compassione
li faceva rimpiangere e il lodarli sapeva di generosità, non trova
espressioni bastanti a loro encomio: «nessuna violenza accadeva,
nessun'insidia tendevasi; non era chi angariasse o spogliasse altrui
ingiustamente; non furti, non ladronecci; ciascuno andava senza paura
ove gli talentasse»[128].
Se i conquistatori, e massime nei primi momenti, rechino tali
beatitudini, lo dica chi ha occhi. E se Cicerone, proclamando i doveri
della giustizia nel secol d'oro di Roma, stabilisce che coi soggiogati
bisogna adoprare fierezza come coi servi[129], aspetteremo noi tanta
umanità nei Barbari, che pur spropriarono i natii? Fosse anche vera,
quella pittura sarebbe a riferirsi solo al vincitore; non altrimenti da
quando i Romani antichi vantavano che nessuno poteva esser torturato e
ucciso senza regolari giudizj, mentre stavano all'arbitrio de' padroni
e de' magistrati tanti milioni di provinciali e di schiavi.
Lo storico medesimo, quando dal fraseggiar retorico viene ai fatti,
racconta che Clefi distrusse la nobiltà, lo che significa i possessori;
e che, «sotto i trenta duchi, molti nobili Romani furono uccisi
per cupidigia, gli altri partiti fra gli ospiti in modo da divenire
tributarj, pagando un terzo de' frutti; spoglie le chiese, trucidati i
sacerdoti, sovverse le città, sterminata la popolazione»[130].
A questo strazio fu dunque mandato il fiore della gente italica.
Pertanto, comunque andasse il fatto nei primi momenti, in appresso i
soggiogati ebbero, non soltanto a dimezzar le terre d'ogni circondario,
come avevano fatto cogli _ospiti_ Eruli o Goti, per costituirne
le corti signorili e libere; ma furono spossessati, e costretti a
dare il terzo del ricolto; e non più allo Stato, ma a ciascuno de'
Longobardi, cui ciascun Romano era toccato. Ridotti ad _aldj_, cioè
manenti o terziatori o coloni, in somma tributarj, la qual condizione
era per essenza opposta a quella di libero, più non possedevano che
precariamente, non potevano sposar donna libera, non militare, non
procedere ne' tribunali; chè tanto importava pei Barbari la parola
tributario. Nelle altre conquiste i beni delle chiese restarono
intatti: ma i Longobardi, essendo eretici, non rispettavano il clero
cattolico[131].
Questo totale spossessamento de' nobili, cioè de' possidenti, senza
ambiguità asserito dal panegirista de' Longobardi, vien negato da
taluni perchè in Gregorio Magno ricorre menzione dei nobili di Milano e
d'altre città[132]. Ma oltrechè la curia romana seguiva nelle lettere
le formole consuete[133], anche quando aveano perduto il senso,
quel pontefice non riconosceva l'occupazione de' Longobardi nè lo
spogliamento de' vinti; onde operava siccome una cancelleria de' giorni
nostri che continuasse a salutare per regia la stronizzata stirpe de'
Borboni; o siccome essa curia romana, che fin oggi nomina i vescovi
d'Antiochia o di Laodicea.
Allegasi pure una Teodota, di _stirpe senatoria_, la quale non potè
sottrarsi alla libidine di re Cuniberto, e pianse il rapitole fiore nel
monastero di santa Maria della Posterla a Pavia. Poi, al cessare della
dominazione straniera, compajono ricchi possessori viventi con legge
romana, cioè d'origine italica.
Vogliasi però riflettere che, anche dai paesi occupati alla prima
invasione, molti natii rifuggirono alle isole, sulle coste, fra
i monti; e prima d'uscirne poterono patteggiare coi vincitori,
conservando titoli e possedimenti. Più dovette ciò frequentare nelle
terre assoggettate in tempi successivi, quando i Longobardi avevano
deposto la primitiva fierezza; e i natii nell'arrendersi poterono
riservarsi parte degli antichi diritti. Altri ancora si vennero a
piantare sulle conquiste longobardiche da terre che mai non erano state
soggiogate, massime dappoichè i dominatori si mansuefecero, e che la
dominazione passò ai Franchi. Tali accidenti bastano a spiegare la
menzione che accade di gente romana, di nobili, di senatori: il qual
titolo ad ogni modo poteva indicare soltanto un grado personale, non
mai di origine.
Nessuna dunque, o poca gente libera rimaneva sulla campagna occupata,
mutandosi i possessori in coloni, e i lavoratori in servi della gleba.
Numero maggiore di liberi sopraviveva nelle città, dove, essendo
divisi in scuole d'artigiani, non cadeano spicciolati in dominazione
di particolari, ma in masse numerose erano distribuiti a duchi e re.
Al possessore d'un campo, che caleva di conservare gli uomini a quello
affissi? morendo essi, rimaneva il fondo[134], e si poteano trovargli
altri cultori; mentre il perdersi degli artigiani deteriorava ed anche
distruggeva il frutto che ne traeva il vincitore cui erano tocchi
in sorte. Egli dovea dunque far opera di conservarli: pure nulla
ne sappiamo di positivo, se non forse che gli abitanti della città
furono gravati di doppia imposta, cioè una diretta (_salutes_) ed una
sull'industria[135].
Certo è che di questa gente vinta non parlano mai le leggi longobarde:
silenzio ingiurioso, eppure da questo volle alcuno argomentare che i
Longobardi la lasciassero vivere coll'antica legge patria. Di fatto,
tra alcuni germanici conquistatori troviamo che la legislazione non
riguardava tutti coloro che abitassero una regione, ma seguiva la
persona: e mentre oggi, chiunque si stabilisce in un paese, sottopone
sè e l'aver suo alle leggi da cui quello è regolato, poca o nessuna
differenza intercedendo da cittadini a forestieri[136]; allora, al
contrario, la legge patria serbavasi dall'uomo libero, dovunque egli
si trovasse. Tale uso dovette introdursi dai Germani sol quando si
sparsero sulle terre conquistate; giacchè sul territorio medesimo
trovandosi unite differenti schiatte pel solo accidente dell'essersi
drizzate alla medesima impresa, non v'era motivo perchè una stirpe
dovesse rinunziare alle consuetudini degli avi, e sottomettersi a
quelle d'un'altra. Prova ne sia che in ciascun paese troviamo ammesse
tante leggi, quanti erano i popoli invasori.
Così non pare costumassero i Longobardi: anzi talmente furono
intolleranti d'ogni altro diritto dopo invasa l'Italia, che obbligarono
a partirsene i Sassoni ausiliarj, perchè non vollero acconciarsi
all'unità[137]; Rotari impone espresso che «se qualche Romano venga da
paesi forestieri, s'uniformi alla legge longobarda, salvo se altrimenti
impetri dalla clemenza del re».
Questo cenno non concerne il popolo vinto, ma chi veniva di fuori;
e indica che il privilegio non era inusato. Coll'andare del tempo
si moltiplicarono i contatti degli invasori coi popoli rimasti; i
Longobardi rimisero della primitiva ferità, massime dopo convertiti al
cattolicismo; onde allora fu forse consentito ad alcuno avveniticcio
di conservare la legge nazionale[138]. Quando poi nel paese nostro si
assisero i Franchi e Tedeschi, ognuno conservava il proprio diritto;
dal che nasceva grande varietà, e per conseguenza ne' contratti
o giudizj si specificava sotto quale vivessero i contraenti o i
giudicati. Da ciò le così dette _professioni di legge_[139]: sotto il
qual nome di legge non intenderei veruno speciale e prefinito corpo
di istituzioni, ma in generale il diritto, le consuetudini, annesse al
fondo che i contraenti possedevano.
Indietreggiando quest'uso ai primi tempi della conquista, alcuno asserì
che i Longobardi lasciassero in arbitrio di ciascuno lo scegliere
secondo qual legge volesse vivere. Ma qual tirannide sarebbe cotesta,
dove il vincitore permette ai vinti di entrare a parte de' suoi diritti
medesimi? di porsi, pur che lo vogliano, nella classe de' dominatori?
Poi, che cosa significherebbe cotesto vivere a legge romana? una legge
suppone uffizj e attribuzioni, che la conquista aveva cancellato.
L'essere i nostri divenuti tributarj e dipendenti da un altro popolo,
introduceva relazioni affatto nuove: come poteano quelle venir regolate
colla legge romana? come sussisteva questa, dacchè erano cessati coloro
che poteano secondo le occorrenze modificarla? Poi, è costante fra i
Barbari che la podestà giudiziale stia congiunta col militare: esclusi
i Romani da questo, come potevano quella ottenere?[140] Le pene, che
presso i Barbari si riducono per lo più a multe e composizioni, come
applicarsi al Romano, le cui leggi vanno su tutt'altro piede?
Se fosse vero che i Longobardi lasciassero la legge antica ai vinti, a
chi avrebbero questi potuto ricorrere perchè un vincitore fosse punito
dell'omicidio o d'altra violenza? se si fosse punito il Longobardo
colla multa, e il Romano con pene afflittive, non si stabiliva già
un'enorme differenza? e avrebbe potuto testar il Romano, e non il
Longobardo? sarebbe rimasta in tutela perpetua la donna longobarda, e
non quella del vinto? come risolversi le liti de' Romani per testimonj
e prove, quelle de' Longobardi per duello e per altri giudizj di Dio?
e ciò in un paese solo, sotto l'autorità di un medesimo re! Il diritto
suppone la forza di proteggerlo: e i Romani aveano da un pezzo dismesse
per uso le armi; allora gliele toglieva la costituzione de' vincitori.
Tra le leggi longobarde, una del 727 di re Liutprando stanzia che, chi
fa un contratto, dichiari secondo qual legge intenda stipulare: dal che
pure si volle argomentare restasse libera ad ognuno la scelta della
legge[141]. Ma si rifletta che, anche secondo il gius romano, v'ha
atti, la cui erezione non interessa direttamente lo Stato, e perciò i
cittadini possono in essi preferire quali formole e modi più vogliano.
Appunto simili contratti privati ha di mira Liutprando quando ordina
che, nel formolarli, i notari s'attengano al diritto delle parti,
senza però escludere speciali convenzioni fra esse, nè quelle regole
secondarie, da cui ciascuno può innocuamente dipartirsi. Tant'è ciò
vero, che pari facoltà non accorda pe' testamenti, attesochè questi
sono di pubblico diritto. Liutprando inoltre veniva assai dopo la
conquista, e tendeva a introdurre nel gius longobardo quanto potesse
convenirgli del romano: laonde permetteva a' suoi di ricorrere a questo
più ampio e scientifico, per via di accordi reciproci davanti a notari;
al tempo stesso faceva arbitrio ai Romani contraenti di valersi della
legge propria, anzichè della longobarda come prima sembra fossero
obbligati. È un passo verso l'eguagliamento delle due stirpi: ma
non indica in verun modo che la vinta conservasse il patrio diritto;
attesta anzi che, fin allora, si era usato il contrario.
Molto più tardi, vertendo lite fra papa Eugenio II e il popolo
di Roma, l'imperatore Lodovico il Pio mandò alla città suo figlio
Lotario, «acciocchè la pace col nuovo pontefice e col popolo romano
stabilisse e confermasse». Lotario in tale occasione emendò lo statuto
del popolo romano coll'assenso del pontefice[142]; e un capitolo
d'essa riforma ordina s'interroghi il senato e il popolo romano con
qual legge vogliono vivere, e questa si conservi, o se la violano
ne siano puniti. Ma primieramente questo è caso speciale, e non si
riferisce che a Roma e al suo ducato, non mai conquistati, ove dunque
duravano le magistrature all'antica, e sempre erasi conservata la
legge romana[143]; sicchè l'orgoglio de' Barbari non restava leso dal
dover rinunziare alla propria. Probabilmente poi fu data la scelta
per quell'unica volta, quando trattavasi di dettare una legislazione
nuova; e optato per una legge, a quella dovettero attenersi anche i
discendenti.
Sta dunque, che i vinti italiani non parteciparono al diritto
del vincitore se non taluno per privilegio: tant'è ciò vero che,
ogniqualvolta la voce de' conquistati può farsi intendere, esprime
lamento perchè non siano accomunati anche a loro i privilegi dei
dominatori. Abbiam veduto nelle legislazioni barbare alle ingiurie
o all'uccisione d'un uomo esser decretato un prezzo differente
(_guidrigildo_), secondo il grado di esso, o la maggiore o minor
parte che godeva di cittadinanza. Ne' Franchi l'uccisione d'un
cittadino scontavasi col doppio prezzo, che non quella d'un romano
possessore: ne' Ripaurj, ducento lire per un cittadino, censessanta
per un forestiero germanico, cento per un romano. È una distinzione
ingiuriosa, che però, mentre attesta l'inferiorità del vinto, mostra
che sussistevano persone romane, formanti parte dello Stato, a segno
che il legislatore dovea toglierle in contemplazione. Ma nei Longobardi
nessun guidrigildo si trova stabilito pei Romani: il che conferma
fossero ridotti alla condizione di aldj, cioè cosa di un padrone, al
quale toccava il rifacimento dei danni loro[144].
Non per clemenza dunque, ma per condanna il longobardo legislatore
avrebbe lasciato vivere il Romano secondo la propria legge; poichè così
lo privava delle cure giuridiche e di tutti i diritti annessi alla
qualità di cittadino. I Romani antichi, nulla statuendo sulle nozze
de' plebei, poi degli schiavi, le avevano in conto di meri concubinati,
spogli di civile legittimità: altrettanto era in quelle degli Italiani
sotto ai Longobardi, rispettate solo dalla Chiesa che le benedicea.
Così argomentate degli altri contratti. E se pur fosse che porzione
delle leggi romane continuasse ad aver vigore, dovette esser solo
di gius privato, non trovandosi magistrati che le applicassero, nè
sanzione.
Diverso il caso per gli ecclesiastici. Tra essi il tipo giuridico
universale prevalse in ogni tempo sopra il locale; nè le leggi
canoniche, modellate sulle romane, mettono divario di paese o di razza;
poi conservavano curie proprie, davanti alle quali essi facevano i
loro atti, dibattevano e risolvevano da sè i loro litigj, non mancando
neppure di mezzi per far eseguire le sentenze. Pure anche i cherici
seguivano forse generalmente la legge della propria nazione, e alla
romana s'attenevano solo nelle cose ecclesiastiche, e massime ne'
privilegi concessi dalle costituzioni imperiali[145]. Certo in Italia
ricorrono frequenti prove di diritto longobardo seguito da conventi
e da cherici; il privilegio dei quali consisteva forse soltanto
nel potere, se romani, dalla condizione di aldj passare a quella di
cittadini longobardi.
Però, in causa appunto di tale trascuranza de' vincitori verso i vinti,
crede alcuno che sussistesse un reggimento municipale, per quanto
alterato dall'organamento militare de' Longobardi. Ma già vedemmo a
qual nullità fossero ridotti i municipj sul fine dell'Impero, quando
la più gran cura mettevasi nel buttarsene di dosso i gravissimi pesi:
poi fondamento e scopo ne erano i tributi, e questi mutarono affatto
natura colla conquista de' Barbari. Sotto i Goti, si rammentano ancora
in Italia e curiali e magistrati conservatori della pace[146], perchè
quella gente, o per origine o per lunga convivenza, avevano adottato
assai maniere romane; in qualche formola de' Franchi vedesi alle
curie attribuito il registrare alcuni atti: ma ne' paesi sottoposti
ai Longobardi, neppur sì poco compare. Se fosse poi vero che i
vinti restassero ripartiti fra i vincitori, cessava di necessità
ogni interesse comune, fin quelle cure di ponti, di strade, di beni
pubblici, alle quali si restringe il municipio.
Ciò vale pei Romani conquistati e ripartiti. Ma mentre i Longobardi,
pochi in numero fin da principio, poi assottigliati nelle guerre
continue di due secoli, e sistemati a modo d'esercito, tenevansi
aggruppati intorno ai castellari, più confacenti all'indole loro
che non le città, la remota campagna e massime i monti restavano
alla popolazione indigena, e questa poteva aver conservato qualche
ordinamento municipale. Alla romana continuarono a regolarsi le città
a mare, e quelle dove Goti e Longobardi non penetrarono o per poco.
Quattro o cinque secoli più tardi, venne un istante che le città,
dominate o no dai Longobardi, si trovarono riunite nella lega di
Lombardia, Marca e Romagna, ed in esse apparvero forme a un bel circa
eguali di governo municipale. Ora, chi rifletta che eguali pure le
aveano allorchè furono côlte dagl'invasori, inclina a credere che anche
le soggiogate dai Longobardi mantenessero alcun modo di reggimento
municipale.
Invano però se ne cercherebbe vestigio; nè la condizione dei vinti è
possibile indagare nelle leggi che riguardano soli i vincitori, per
quanto questi fossero portati a venerare in quelli la dignità del
sacerdozio o la superiorità del sapere, e fin costretti di valersi
di loro per notari e per compilare le leggi. Chi voglia vedere il
popol nostro, lo cerchi ne' mestieri della pace e nella coltivazione
de' campi, rimasta agl'inermi. Forse, al modo che i vincitori erano
disposti per razze, così i vinti erano per _scuole_ di mestieri, tenute
solidalmente garanti del tributo che si doveva al duca o al re.
Nessuno dubiterà che il commercio non patisse fra quelle invasioni;
pure non perì affatto, tanta n'è la vitalità; tanto, più de' gravi
disastri, gli nuociono gl'improvvidi regolamenti e la sistematica
tutela. Teodorico avea procurato favorirlo, destinandovi prefetti in
Italia e giudici che spacciassero le liti tra forestieri e paesani,
riparando le strade e assicurandole da' masnadieri, allestendo fin
mille navi pel trasporto delle merci e la sicurezza delle coste, e
allettando negozianti con promesse ed immunità. L'anonimo scoperto dal
Valois riferisce di fatto che molti venivano di fuori a mercatare in
Italia; che di grani, vini, legumi vi si facea baratto: e le minute
cure prese da quel Governo, fin a tassare i prezzi delle merci[147],
manifestano economica inesperienza piuttosto che trascuranza. Neppure
sotto i Longobardi si cessò d'ogni commercio; anzi andavamo alle
fiere di Parigi, ove scontravamo mercadanti sassoni, spagnuoli,
provenzali, franchi[148]. Ben è vero che i dominatori introdussero
un impaccio, appena tollerabile alla fiacchissima servilità odierna,
cioè i passaporti di cui doveva essere munito chiunque andasse per
affari[149].
Abbiamo pure un'incidentale menzione dei _magistri comacini_,
architetti o maestri di muro, provenienti dai contorni del lago di
Como, che forse per l'abilità loro furono esentati dall'universale
ripartizione e dal tributo servile, onde rimasero eguagliati ai liberi,
e capaci di pattuire e ricever mercede, ed ebbero licenza di unirsi in
una specie di consorzio[150]. Troviamo inoltre costruttori di navigli
che re Agilufo mandò al kacano degli Avari. Di medici cade anche
frequente menzione nelle leggi, ma nulla consta del loro stato civile.
Un pittore Auriperto in Lucca, caro al re Astolfo; un Orso, che co'
suoi scolari Giovino e Gioventino scolpì due colonnette del tabernacolo
di San Giorgio in val Pulicella, sono i soli ricordi d'artisti; eppure
altri servirono ai tanti edifizj di Teodolinda e dei posteriori.
Costoro tutti noi incliniamo a credere appartenessero al popolo
vinto. Però col volger del tempo si diedero alla mercatura anche
Longobardi, giacchè le leggi d'Astolfo vogliono che i mercadanti si
tengano anch'essi allestiti d'arme e cavalli, e vietano sotto pena del
guidrigildo (pena meramente longobarda) ai mercadanti del paese di aver
affare coi Romani, cioè cogli abitanti dell'Italia non soggiogata[151].
Il popolo vinto può riscontrarsi anche nelle _gilde_, specie di
fraternite che si formavano onde soccorrersi in caso d'incendio o
d'altri sinistri, e che forse alcuna volta metteano ostacolo alla
brutale prepotenza. Singolarmente il popolo vinto sussisteva ed aveva
rappresentanza nella Chiesa, radunandosi per eleggere i vescovi[152] e
i parroci suoi, e affezionandosi ai preti e ai monaci, i quali usciti
dalla classe degli oppressi, gli oppressi proteggevano e consolavano.
Fra questi gli affari ecclesiastici si regolavano colla legge romana,
e il Longobardo li lasciava risolvere gl'interni litigi davanti alle
curie vescovili. Ora gli ecclesiastici erano fratelli, figli, congiunti
del popolo indigeno, e poteano insinuare i principj d'ordine, speciali
alla classe loro. Era tenuta per vera una costituzione di Costantino,
infirmata solo dalla più tarda critica, la quale prescriveva, se
alcuna lite fosse recata a un vescovo da una parte, l'altra parte
dovesse stare al giudizio arbitrale di questo. Il conquistatore
non la riconosceva legalmente; ma gli ecclesiastici se ne facevano
appoggio, e — Il conquistatore non vi curò? ebbene, quando insorga
dissidio fra voi, rimettetelo in noi, e coll'equità lo ragguaglieremo.
All'ordinamento del Comune, alla polizia il Longobardo non provvide?
provvedete voi, secondo le consuetudini di cui avete la tradizione.
Quest'irrequieto dominio v'interrompe ogni commercio? ebbene, un giorno
la settimana venite al convento, e lì sul sagrato raccoglietevi a
comprare e vendere, protetti dall'ecclesiastica immunità. V'insegue il
prepotente a spada nuda? dal furor suo ricoveratevi agli asili, che vi
apriamo ne' luoghi sacri. Voi, sebbene vinti, siete i buoni credenti,
mentre costoro sono ariani; voi siete i figli di Dio in cielo e del
papa in terra, il quale vi benedice, mentre riprova la _schifosissima_
e _nefandissima_ stirpe de' Longobardi».
Così intorno all'ecclesiastica, unica autorità paesana sopravissuta,
raccoglievansi le speranze e i diritti dei superstiti italiani, e
v'acquistavano qualche ordinamento. In ciò nulla v'è per certo che
indichi una città, un reggersi a Comune: ma il popolo sussiste, ed è
collegato ad una classe rispettata anche dagli invasori, e si solleverà
se mai questa arrivi ad ottenere qualche rappresentanza.
Veniva di ciò a vantaggiarsi la potenza de' vescovi, sostenitori del
partito nazionale[153]; tanto più che formavano un'unità con tutti i
vescovi d'Occidente, e ad essi dirigevansi i papi, e principalmente
Gregorio Magno. Duranti le pubbliche calamità eccitava egli i vescovi
a convertire i vincitori ariani[154]: — La fraternità vostra esorti
dappertutto i Longobardi, che, sovrastando grave mortalità, conciliino
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