Storia degli Italiani, vol. 05 (di 15) - 01


STORIA
DEGLI ITALIANI

PER
CESARE CANTÙ

EDIZIONE POPOLARE
RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
TOMO V.

TORINO
UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
1875


LIBRO SESTO


CAPITOLO LVIII.
Il medioevo. — Essi e noi.

Ponete una gente, la quale consideri suprema felicità il riposo, e
perciò affidi ogni cura a un ente astratto, chiamato il Governo; che
all'unità, alla costituzione, al poter centrale, ad altre formole vaghe
immoli la vera libertà, nel mentre a questa tributa un'idolatria,
ricalcitrante ad ogni superiorità, fino a quella del merito; che
professi principj assolutissimi, poi nell'applicazione li stringa in
una mediocrità, rivelante il contrasto fra assiomi che si adorano
e conseguenze che si ripudiano; e questa gente creda che ad attuar
riforme basti il decretarle; chiami civiltà il sottomettere le idee
ai fatti positivi e materiali, e la misuri dalla quantità dello
scrivere; e perchè essa scrive assai, abbia di sè una stima così
profonda, quanto sogliono essere i sentimenti non ragionati, e un
conseguente disprezzo per ciò che a lei non somiglia; e pensando che
ciò che le sta sott'occhio sia la natura delle cose, non s'immagini
una società senza re, nè un re che non faccia tutto: qual gente meno
di questa sarà capace d'intendere quel che chiamiamo il medioevo? Di
sentimenti, di idee, di ordinamento politico e sociale tanto diverso,
qual meraviglia se, nel secolo passato e dalla nazione legislatrice
dell'eleganza e veneratrice della monarchia, fu giudicato con tanta,
non dirò ingiustizia, ma leggerezza? Un villano onesto ma incolto,
col vestire di cinquant'anni addietro, colla cortesia ingenua ed
espansiva, col parlare cordialmente chiassoso, ma che ignori le mille
importanze del cinguettìo cittadino, non sfogli gazzette, sappia
scrivere a malapena, moverà nausea alla squisita e frivola attillatura
della buona compagnia, e la ruvida scorza impedirà di apprezzare e nè
tampoco scorgere quell'onestà a tutta prova, quell'inalterabile fedeltà
alla parola, quell'effettivo amor del paese, quella limpidezza di buon
senso, quella disposizione ai sagrifizj, che nel suo villaggio lo fanno
il consigliere dei dubbiosi, il conciliatore dei dissidenti, il padre
dei poveri.
Tale ad una coltura cortigiana dovette apparire il medioevo. Al
deperire delle cose sottentrano le finzioni; al fiaccarsi delle
convinzioni s'ingentiliscono le forme. E di forme qual età fu più
raffinata che l'antecedente alla nostra? laonde essa stomacava
quell'altra che sì poco le rispettò, cruda di parole, zotica d'atti,
stranamente ingenua e scortesemente franca nell'espressione; e che
scarseggiando di scienza, lasciava maggior campo al meraviglioso e
al soprannaturale. Compassionarono il medioevo perchè mancava delle
comodità domestiche: ma ciò è gusto e abitudine, non prova di sociale
inferiorità; nè que' raffinamenti di pulizia avanzata entravano nei
bisogni o ne' pensieri di alcuna classe, come oggi non ci crediam
meno felici perchè non navighiamo sott'acqua o non veleggiamo i campi
dell'aria.
La letteratura accademica, che annettevasi direttamente all'antica
sopprimendo l'intermedia, giudicava bello soltanto ciò che si
uniformasse a prefissi modelli, e si esprimesse con certa dignità e
certe riserve; e alle cose straordinarie quantunque vere, preferisse
le credibili quantunque false; le corrette quantunque mediocri,
alle irregolari che possono riuscire sublimi. Intanto la letteratura
militante, già preludendo a quella tirannia in cui trucidò tutti i
fratelli maggiori, pretendeva dagli scriventi un coraggio che non hanno
i lettori; e poichè sarebbe riuscito pericoloso contro ai forti, lo
sparnazzava contro agli impotenti, ai papi, ai frati, ai nobili, a ciò
che derivava dal medioevo.
Monarchica com'è per essenza quella nazione, la quale non sa attestare
ammirazione e riconoscenza ad uno se non col darsegli in braccio,
esecrò le morali restrizioni agli arbitrj regj, e la costituzione del
medioevo, dalla quale furono colpite più volte le fronti de' suoi re, e
quelle più superbe de' suoi avvocati; trovò schifoso che in altri tempi
vi fossero tante repubbliche quanti Comuni, tanti Parigi quante città;
che un vecchio inerme e lontano accettasse i richiami degli oppressi,
intimasse ai principi di rendere la giustizia, non rincarire le tasse,
non computare gli uomini al ragguaglio di bestie; e chi non obbediva,
escludesse dall'accostarsi alla sacra mensa, dal partecipare al tesoro
delle preghiere; castighi della natura del potere da cui emanavano, e
che perciò non avriano dovuto eccitarla che al riso.
Stava, gli è vero, in prospetto un'altra nazione, ricca di senso
pratico e di applicazione, la quale rispetta gelosamente le forme
del passato, e in un resto di vecchia pergamena trova maggior riparo
contro gli arbitrj, che non in tutte le teorie filosofiche: ma la
moda facea desumere da altre fonti quella scienza sociale, che da un
secolo in qua perdè di vista l'individuo per guardar solo agli Stati;
che il principio e la fine dell'ordinamento civile cercò in materiali
interessi o in astratte argomentazioni; e a titolo di emancipare gli
uomini, li sminuzzò in atomi, fra i quali non si mantiene la coesione
se non mediante una pressura esterna.
Da qui la venerazione per la forza, espressa o brutalmente dai
marescialli, dalle insurrezioni, dai duelli; o legalmente da quel
meccanismo che ha per canone i decreti, per mezzo d'attuarli i soldati.
Pertanto snervata l'autorità del padrefamiglia, intepidito l'ardore
di cittadino, resi di spettanza pubblica tutti i servigi privati, nel
Governo si concentrò ogni azione: anzichè limitarlo ad assistere al
progresso sociale e a rimoverne gli ostacoli, ad esso si affidarono
gli attributi più preziosi dell'umana individualità, ad esso il dar
limosina ai poveri, tutela agli orfani, educazione e collocamento ai
figliuoli, impiego ai capitali, ispirazione alle belle arti, norme
al culto, misure alla morale; e migliore si giudicò quello che a
maggiori atti interponesse i suoi regolamenti. Confidando non vi sia
miglioramento che con decreti non si possa raggiungere, si fecero a
profluvio ordinanze, e codici sempre nuovi, suppliti da quotidiani
bullettini, e costituzioni improvvisate, corrette, mutate, abolite;
e per applicar tutto ciò, un esercito d'impiegati irrazionale; e per
francheggiarlo, un esercito irrazionale di militari; e in conseguenza
enormi imposizioni e debiti divoranti; e per farli pagare, escussioni e
carceri; cioè la forza.
Ma mentre tutto si esige dal Governo, si censura tutto ciò che il
Governo fa; si onora la sistematica opposizione, quand'anche, priva
del sentimento d'onore pe' suoi avversarj e per se medesima, riducasi
affatto individuale, e scassini tutte le opinioni, nessuna ne assodi;
quand'anche soltanto di abilità e di teorie, è creduta buona perchè
suggerisce spedienti tanto facili quanto è il distruggere e il negare,
tanto accetti quanto sono quelli che non subirono la prova della
attuazione.
Rintronato dalla dottrina che i Governi possano tutto, qual meraviglia
se il popolo li imputa di qualunque male succeda? I poveri stentano?
le credenze vacillano? le famiglie si sfasciano? che più? intemperie
e malattie guastano il paese? se ne accagiona il Governo; e odiandolo
come maligno o disprezzandolo come inabile, si cerca abbatterlo per
sostituirne un altro, che all'atto non compar migliore. Fallite le
prove, sottentra lo scoraggiamento, e l'abbandonare fino i diritti meno
contestabili; si piega senza nemmanco la dignità di mostrare che si
obbedisce spontaneamente e per stima o persuasione.
Tutto ciò rende difficilissimo l'intendere il medioevo, che fu un
irregolato sviluppo della personalità, senza le formole generali
secondo cui sono disposte le classificazioni di quella pittura o
aritmetica che s'intitola filosofia e statistica. I Governi, derivati
dall'eguaglianza di molti capi riunitisi per la guerra sotto di un
solo, primo tra i pari, non bastavano tampoco alla legittima difesa dei
diritti individuali, ch'è la loro razionale attribuzione; e ciascuno,
invece di aspettar tutto dalla società, esercitava intere le proprie
facoltà. La classe preponderante si diede un sistema mirabilmente
opportuno ad arrestare le migrazioni guerresche, da ottocento anni
micidiali della civiltà, fissarle ai territorj, e provvedere alla
difesa di questi senza il flagello degli eserciti stanziali: mentre gli
antichi non conosceano che l'indipendenza dello Stato e della città,
nel feudalismo si otteneva l'indipendenza de' singoli; le relazioni
fra individui erano determinate da fede, speranza e carità comuni, e
i doveri appoggiandosi soltanto su promesse, prendeano aria di lealtà;
gli uomini, non tiranneggiati da opprimente accentrazione, si spingeano
ciascuno individualmente alla ricerca del vero, all'attuazione del
buono, in una libertà (come disse il Sismondi) che avea per iscopo
la virtù, a differenza della moderna che ha per iscopo il ben essere;
erranti ma originali, e con infinita varietà di centri e di modi.
Azione privata però non vuol dire isolata, e si concilia
coll'associazione, anzi viemeglio quant'è più libera. La rivoluzione
che da settant'anni sobbalza l'Europa, figliata da una filosofia che
considera la società come un aggregato convenzionale di individui,
predicò dai palchi la particolare indipendenza, la formale eguaglianza,
il lasciar fare; e in conseguenza vituperò le istituzioni del medioevo,
che quella scarmigliata attività aveano sottoposta a regole, mediante
suddivisioni gerarchicamente coordinate, entro le quali ognuno
operasse stabilmente, anzichè arrancarsi di continuo a sempre maggiore
elevazione. Divenuto adulto quel ch'era bambino, si buttarono via
le fascie; sta bene: ma insieme si sciolsero i legami benefici, si
tolse ogni difesa togliendo ogni unione morale, e l'uomo ne' bisogni
si trovò ridotto ai proprj espedienti, e in balìa della forza e della
scaltrezza.
Di qui un sospettar reciproco, giacchè in ognuno si vede un emulo,
un competitore; s'ignora che cosa pensi, perchè operi, come intenda.
Paura e livore rimangono dunque i sentimenti più comuni; fiaccato
il coraggio civile, spenta l'operosità interiore, si ha sempre
bisogno d'appoggiarsi all'esterno, di cercar l'approvazione altrui.
Quindi pertinacia, non costanza d'opinioni, e al chiacchericcio de'
circoli, e alle arguzie de' begli spiriti far bersaglio le convinzioni
profonde e chi soffriva per esse: quindi il dubbio, padre d'ipocrisia
e d'inazione: quindi esitanza a dir ciò che si pensa, e meraviglia
e quasi raccapriccio quando alcuno l'esprime senza le complimentose
smozzicature: quindi il non procedere mai per slancio; sicchè fra
molto intelletto e poca coscienza, il predominio rimane assicurato al
ciarlatano, che, deposta ogni vergogna, urla più forte, nella certezza
che nessuno oserà opporgli il senso comune, altra parola soggetto di
scherni.
Coloro che scorgono questi mali traverso alla bassa adulazione di noi
stessi, invocano un rimpasto della società, un organamento che nessuno
sa quale sia, nessun vede donde verrà, ma certo non potrà venire dal
vilipendio del passato; non da questo divorzio dell'anima dal corpo,
degli interessi dall'incremento morale; non dal persuadersi che i fatti
siano tutto, e nulla le credenze; non dal sottigliarsi a criticar la
società, anzichè accingersi a migliorare gli individui.
A questo invece si dirigevano le istituzioni del medioevo, come fondate
sui dogmi di Chi, per riformare il mondo, non sovvertì la società,
anzi ne rispettò fin le patenti ingiustizie, ma le elise col far buoni
coloro che doveano applicarle o subirle. A quel modo, poco a poco
dalla forza passarono gli uomini civili a reggersi sulla fede, cioè
sull'autorità; di cui era e depositaria ed espressione la Chiesa.
I pensatori d'oggi vogliono l'attualità, e dicono «A che serve rivangar
il passato?» come chi credesse inutile d'un frutto studiar il fiore e
la pianta e la radice. Il presente deriva dal medioevo, e molti mali
e beni d'oggi vi nacquero; sicchè chi voglia progredire, noi potrà se
non meditando seriamente sulle colpe e virtù passate, e cercandovi la
morale eterna sotto la varietà de' contingenti.
Ora, chi voglia intendere il medioevo, non avrà mai troppo insistito
sulla costituzione religiosa, che tra le infinite differenze, unica
rimaneva costante, e dava un'unità, mancata ai tempi di dubbio
accidioso e di arrogante oscillazione.
Nel politeismo, su cui il mondo erasi a lungo adagiato artisticamente,
si svolse la splendida e armonica civiltà ellenica, trapiantata poi
a Roma. Il cristianesimo gli diede il crollo; dopo tre secoli di
battaglie e discussioni rimase trionfante: ma, nell'attuarsi nella
società civile, si trovò impacciato da quei sostegni ch'egli stesso
nella fanciullezza aveva invocati. Quando però l'imperio romano cadde,
e seco tutto l'impianto gentilesco, la Chiesa, che nella fede e nella
morale nuova riconciliava i barbari vittoriosi coi civili conquistati,
si trovò incomparabilmente superiore a quelli per istruzione, per
ordinata gerarchia, per moralità, per generali idee di giustizia e di
rettitudine. I popoli nuovi aggradirono questa religione, la quale, non
che richiedere sottilità d'argomentazioni e copia di dottrine, sottrae
alla critica i dogmi cardinali; e su questi riposava lo spirito e si
modellavano gli atti, mentre la ragione de' più colti esercitavasi
nell'applicarli e nel trarne induzioni.
Questa religione attribuisce l'onnipotenza, la sapienza, la bontà
unicamente a Dio; all'uomo il peccato e, punizione di esso, i mali
che, mentre necessariamente circondano la vita, servono a prepararne
una migliore. L'uomo dunque era un essere decaduto, cui la redenzione
avea ravviato al bene coi precetti e con un modello divino, ma senza
togliere l'originale disaccordo fra il conoscere e il volere; dato
nuovi mezzi alla Grazia, ma senza abolire la concupiscenza: laonde ogni
cura dovea drizzarsi a deprimere la materia col rialzare le facoltà
morali, invigorir l'anima col mortificare la carne.
Sol quando, cessato di credere alla sua duplice unità, meramente
al corpo badando, si proclamò l'uomo destinato alla felicità, ogni
attenzione si limitò a farlo star bene, e accelerargli il paradiso
quaggiù, non essendo certo se altrove vi sia.
Invece dunque dell'odierno interminabile lamentarsi, si faceano
preghiere a Colui che solo può deviare i mali, ed espiazioni per
non meritarli; maniere che alcuno direbbe inefficaci quanto le
stizzose querele d'oggidì, se non vi si fosse aggiunta la carità per
alleggerirli.
Di qui l'importanza de' sacerdoti e de' monaci, le cui preci e le
penitenze, attesa la comunione de' fedeli, contribuivano a diminuire i
castighi. Che se oggi in Europa quattro milioni di giovani baliosi sono
condannati involontarj al celibato in mezzo a tristi esempj, armati,
provocatori, ozianti, acciocchè siano pronti a volger l'armi più
raffinate, non tanto a sterminio de' nemici, quanto a repressione de'
sudditi; allora alquante migliaja di frati inermi si diffondevano tra
il popolo, mangiando parte del suo pane, che retribuivano con conforti,
benedizioni, assistenza; tanto operosi, che dissodarono mezza Europa,
e ci tramandarono tutti i libri che ci restano dell'antichità; tanto
amici del vulgo e vulgari essi stessi, che move gli stomachi dilicati
il grossolano loro vestire e lo sparecchiato vivere; tanto obbligati
alla virtù, che il mondo gli accusava di fingerla, e che metteansi
in cronache e canzoni coloro che si mostrassero ghiotti e disonesti;
pii così che si fanno caricature della loro santocchieria; così
caritatevoli che si imputano d'aver fomentato l'ozio colle limosine,
come si imputano perchè frenavano il popolo con rosarj e santini,
invece della mitraglia e degli ergastoli.
De' tesori che oggi si profondono nell'esercito, allora si donava parte
alla Chiesa, ed essa suppliva a quel tanto che oggi nel culto, nella
beneficenza, nell'istruzione consumano i Governi; più lodati quanto più
tolgono al cittadino di ciò che è suo, per dare gratuitamente servigi
che esso forse non chiede. Monasteri e spedali erano gli edifizj meglio
situati in campagna e meglio fabbricati in città; sicchè si potette poi
adattarli a palazzi dei ministeri, a ville regie, a caserme, a carceri,
a quell'altre necessità dell'odierno progresso.
Posta come importanza suprema la salute dell'anima, voleansi liberi i
modi di conseguirla; e non si sarebbe tollerato che un re ordinasse in
qual modo credere, quali culti adottare o respingere, a quali scuole
mettersi, quali scienze e con quai libri e da quali maestri imparare.
Tale persuasione deducevasi dall'infallibilità della Chiesa, la quale
sentenziava come organo dello Spirito Santo, e in concilj composti
del fior d'ogni nazione. E quelle sentenze non erano le transazioni
di assemblee, mutabili dall'agosto all'ottobre; ma tali che il volger
de' secoli e tanto incremento di cognizioni non vi cangiarono un punto
di essenziale. Quella persuasione trascendeva sino all'intolleranza;
e se unica era la verità, unica la via di giungere alla salute,
pretendeasi dovessero tutti crederla e seguirla; e fin castighi
corporali si inflissero a chi non volesse abjurare l'eresia. Vero è
che allora l'intolleranza, persuasa profondamente, tormentava i corpi
nella fiducia di salvar le anime; mentre in altri tempi l'intolleranza
politica empì le carceri a mero vantaggio d'un uomo o d'un sistema,
e per opinioni che, non solo in altri luoghi, ma in altri giorni
menano alle ovazioni; e l'intolleranza scettica applica una pena ben
più atroce, l'infamia a chiunque declina da opinioni, che ella stessa
domani avrà barattato.
La Chiesa, oltre custode, dispensiera e interprete della verità,
consideravasi anche depositaria del potere. Unica fonte di questo
era Dio; laonde i principi non regnavano perchè figli di re: e se
non bastava che nel proprio attuamento esterno ella si costituisse in
una repubblica, dove nessun posto era ereditario, e il torzone poteva
divenir pontefice, e nulla si risolveva se non in sinodi e concistorj,
la Chiesa ungeva i re purchè giurassero ai popoli; cioè sanciva
costituzioni, non fissate da una carta e garantite solo dalla forza,
bensì fondate sovra la morale eterna e l'inconcusso evangelo. Con tal
modo essa creò gli Stati, autorò i principi nuovi, benedisse alle leghe
popolari, e consacrò le repubbliche; dava lo scettro ai re di Sicilia,
come ai dogi l'anello di sposo del mare, non mettendo divario nelle
forme, purchè restasse la libertà.
La società non rimaneva dunque abbandonata al fatale arbitrio delle
potestà di fatto; nell'economia religiosa e sociale dell'umanità non
eransi dispajati il legame intimo che nell'eternità stringe l'uomo
a Dio mediante la coscienza, e il legame imperioso universale che
nel tempo sottomette a un'autorità esteriore. Allora tutto era fede
religiosa nelle cose soprannaturali, dove ora è fede politica nelle
cose terrene: allora attribuivasi all'intelligenza e alla rivelazione
l'infallibilità, che oggi passò alla forza e allo scettro; allora
tutto riponevasi nella religione, oggi tutto nella dottrina, sino a
ridurre la scienza del governo ad abilità, l'educazione a istruzione;
sino a misurare la prosperità dalle maggiori spese del governo e
l'incivilimento dal numero delle scuole; quand'anche a proporzione di
queste aumentino i delinquenti, i pazzi, gli esposti, i suicidi.
In fondo a tutti i fatti v'è un mistero: l'origine loro, la loro
destinazione; giacchè li vediamo andare, e non sappiamo perchè. Questo
mistero allora rispettavasi, come il medico applica il chinino alle
febbri senza sapere di queste o di quello l'essenza. Sottentrata poi
l'indagine, più non si potè arrestarsi; che cos'è il papa? il re? la
proprietà? la famiglia? perchè i comandanti e gli obbedienti? perchè i
ricchi e i poveri? perchè il bene e il male?
Ne deriva la presunzione, la quale non solo beffa opinioni che più
non sono le sue, ma non vuol tampoco dubitare che un giorno anche
il suo senno possa venire chiamato a scrutinio da qualche futura
infallibilità. Eppure, per poco che uno sia vissuto, dovrebbe
ricordarsi quanto i giudizj nelle stesse materie e sulle identiche
persone s'invertirono in questi otto anni[1], e perciò accettare i
sentimenti d'altre età, almeno quale spiegazione di atti che altrimenti
mancano di significato.
Al ferreo medioevo sottentrò un tempo che, per contrapposto, fu
intitolato secol d'oro. Ma l'Italia quanto vi dovette patire, e fra
quante vergogne abjettarsi, fin alla suprema di perdere la nazionalità!
Certo il medioevo non subì papi quali Alessandro VI e Clemente VII; non
abusi della vittoria così avvilenti come il sacco di Roma; non ribaldi
così calcolanti come il Valentino; non maestri quali il Machiavelli; nè
principi che violassero la morale non solo impunemente, ma quasi con
vanto; nè leghe assassine come quella contro Venezia, nè paci sozze
come quelle di Cambrai e di Castel Cambrese. Eppure si fa astrazione
dai nomi del Medeghino, del Leyva, di Carlo V, per proporre all'invidia
il secolo di Rafaello e dell'Ariosto. Perchè non fare altrettanto, non
dico affine di encomiare, ma affine di conoscere il medioevo?
Anche il nostro secolo si presenterà all'avvenire co' suoi miliardi
di debito e milioni di soldati, per attestare che unicamente la forza
egli seppe surrogare a idee e ad istituzioni abbattute; coll'incertezza
di tutte le opinioni; con un tarantismo di brame, di prove, di sforzi;
colla smania del bene senza coscienza per discernerlo dal male; colla
perpetua surrogazione dell'intelletto alla coscienza, del fatto al
diritto; con quell'inettitudine alla carità, per cui fra la nazione
più ricca di denari e d'istituzioni si vedono migliaja di poveri morire
ogni anno di pura fame: per cui ai cuori impetuosi invasi dalla noja,
esasperati dall'ingiustizia, non sa largire che lo scherno finchè
vivi, e compassione dopo suicidi: per cui le inclinazioni perverse
diede a punire alla polizia, invece di industriarsi a raddrizzarle,
e moltiplicò tante prigioni quanti v'erano conventi, prigioni di
condanna, di prevenzione, di correzione, fin d'osservazione, e birri
e gendarmi e vigili e guardie e ferri duri e durissimi, e disopra
di tutto il carnefice a tutelare la sicurezza pubblica e salvare la
civiltà.
Eppure chi negherà i meravigliosi suoi avanzamenti? e non dico solo
questa dominazione assicurata sopra il mondo fisico coll'applicazione
di stupende scoperte; ma questo rispetto all'uomo, quest'acquisto di
dignità, questa diffusione degli agi, delle dottrine, della ragione?
Pari tolleranza usiamola anche per trasformarci ne' tempi passati,
quant'è necessario a intendere un diverso incivilimento. Certo l'età
delle incalzantisi rivoluzioni a fatica comprenderà quella delle lente
evoluzioni: ma ha torto di rinfacciarle solo gli sconci e il bene che
non compì; guardar solo al lato triviale delle cose grandi e al debole
delle potenti. Chi il Coliseo di Roma trovi rinfiancato d'informi
contrafforti, li befferà o riproverà, se non rifletta che altrimenti
la mirabil mole sarebbesi sfasciata. Cura perpetua della Chiesa fu il
sostituire l'autorità alla forza. Se non riuscì a rintuzzar le spade,
è sua la colpa? e la tacceremo di usurpatrice se in mano dei soli
studiosi d'allora traeva i giudizj, strappandoli alle sanguinose e
ladre dei baroni? Avendo a fare con uomini, e non potendo annichilare
il passato, essa, sprovvista di forze materiali, si contentava di
collocarvi accanto qualche cosa che il correggesse. Sussisteva la
schiavitù? e la Chiesa istituisce le feste, in cui anche il servo
riposi, e l'asilo dove rifugga, e lo riceve agli ordini monastici e
agli ordini sacri, mediante i quali si pareggia al padrone, e può
divenire capo del mondo. Le fiere pel santo, i mercati attorno al
santuario, sono l'unico commercio possibile fra tante prepotenze. Le
croci e i tabernacoli sui crocicchi offrono un ricovero al viandante
contro alle intemperie e ai masnadieri, e gli servono d'indirizzo,
come le lanterne che vi si accendono. Apre i monasteri agli sgomenti
d'anime sfiduciate della propria forza, all'espansione di bisognose
d'isolarsi col loro Creatore, all'indignazione di disingannate della
felicità, alla violenza di inacerbite dalla nequizia, alla prostrazione
di logorate d'ogni speranza.
Diversi i sentimenti, doveano essere diverse le scritture. Oltre
mancare della carta e della stampa, non si aveano tanti ozj da
mascherare coll'occupazione da tavolino, nè si credeva che il mondo
potesse governarsi colla penna, quando non sapeano maneggiarla
Teodorico, Carlomagno, Federico Barbarossa, personaggi sì grandi. Noi
beffiamo la loro ignoranza delle scienze mondane; non potrebbero essi
deridere la nostra ignoranza di teologia? noi credere che i nostri
studj siano più utili; essi chiederci se v'ha cosa di maggior conto
che la salute dell'anima? Pochissimi scriveano la storia, e questa per
la congregazione, per la città, per la famiglia propria; noi, tutti
politica, empiamo le gazzette colla nascita, la salute, i viaggi dei
re, coi pensamenti de' magnati, coi preparativi di guerre, cogli affari
altrui, con ciò che fanno, dovriano fare o avrebber dovuto fare i
ministri e i re: allora si occupavano di ciò che al popolo concerneva;
ad una carestia, ad un allagamento, a un'irruzione di cavallette
davano l'importanza che noi oggi alla nomina d'un maresciallo o d'un
consigliere; la fondazione d'un convento, cioè d'una repubblichetta
nella quale ogni plebeo potea trovare asilo e virtù e primato, era
tenuta in conto quanto oggi gli atti d'un'accademia e le conferenze di
due plenipotenti: oscure virtù d'un benefico, penitenze d'un eremita,
pie fondazioni, credeansi degne dello stile istorico, non meno che oggi
le parlate che mai non furono dette, le descrizioni di battaglie non
viste, e le teoriche umanitarie. Non dirò che que' cronisti avessero
dottrina maggiore dei gazzettieri d'oggi: pure a quelli si ricorre con
tanto frutto, quanto si disimpara da questi, perchè non proponeansi
d'ingannare; e leggendoli si ha da indovinare cosa volessero dire
quando oscuri, illusi o passionati, ma non supporre dicessero quel che
non pensavano o sentivano.
Poi, parliamo di lettere e scienze? il poema nazionale d'Italia in quai
tempi fu concepito? e il maggior filosofo suo e teologo a qual secolo
diede il nome? e il libro più letto dopo la Bibbia quando fu composto?
Parliamo di belle arti? il medioevo seppe creare un ordine nuovo;
vanto conteso alla moderna sterilità. Parliamo d'opere pubbliche?
basta girare gli occhi per vedere in ogni luogo coltivazione, canali,
palazzi, cattedrali, dovuti a quei secoli. Parliamo di libertà del
pensiero? non v'è opinione per avanzata, infino al comunismo, che
non siasi dibattuta ne' concilj, i quali allora proferivano decisioni
su dottrine, su cui in appresso si proferirono sentenze capitali; le
fondamentali quistioni della filosofia e della teologia v'erano agitate
con un'attualità piena di persuasione e di scienza: se non che ogni età
ha le sue forme, nè è ancora dimostrato quali siano le migliori.
Che se gli stranieri, i quali ingrandirono coll'uscire dal medioevo,
per nazionale pregiudizio lo avversano, pel pregiudizio stesso parrebbe
dovesse prediligerlo l'Italia, la cui civiltà vi fu somma non solo, ma
unica; «quando (dice lo straniero istorico delle nostre repubbliche)
Tedeschi, Francesi, Inglesi, Spagnuoli aveano privilegi municipali,
capi feudali, monarchi da dover difendere; ma soli gl'italiani
avevano una patria, e lo sentivano; aveano rialzato la natura umana
degradata, dando a tutti gli uomini dei diritti come uomini, e non
come privilegiati; primi aveano studiato la teoria dei governi, e agli
altri popoli offerto modelli d'istituzioni liberali; restituito al
mondo la filosofia, l'eloquenza, la poesia, la storia, l'architettura,