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Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 14
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popolo per esporgli che cosa credere, come adorare, come operare: la
cognizione delle cose sacre, siccome tutto il resto, essendo privilegio
di pochi, non mai accomunata alle plebi. D'altra parte, che sarebbesi
potuto predicare nel tempio quando i dottori stessi non aveano
dogmi comuni, e stavano perplessi sulla morale? L'eloquenza antica
esercitavasi negl'interessi particolari d'un cittadino o d'una città;
al più qualche filosofo disputava coi discepoli, ma intorno a dottrine
speciali, sprovvedute di carattere pubblico e universale.
Da che Cristo ebbe detto, — Andate e predicate a tutti», doveva alla
congregazione dei fedeli essere esposta la verità universalmente
accettata, e spiegarvisi i punti che rilievano alla salute di tutti.
Dalla più tenera età il sacerdote assumeva il fanciullo, e col
catechismo gl'insinuava le verità sublimi, mercè delle quali potrebbe
anche la femminetta rispondere a ciò che ignoravano Aristotele e
Platone. L'istruzione continuava quanto la vita, o confermando i
credenti, o convertendo i traviati, o persuadendo gl'increduli. La
predicazione sulle prime era avvalorata dal santo olezzo della virtù,
dall'evidenza del miracolo; e parlando lo Spirito Santo per bocca degli
apostoli, non era mestieri di persuasive d'umana sapienza[131]. Ma
come la religione fu estesa e mescolata alla società, si munì anch'essa
delle armi con cui l'errore la combatteva, e l'eloquenza fu trasportata
dalla ringhiera al pulpito, dalla politica alla morale, dagl'interessi
del mondo a quelli del cielo. La Chiesa, fatta trionfante, volle
ornarsi dell'eloquenza, come si ornava di pompe e d'apparati, e supplì
coll'arte del pulpito all'intepidita fede primitiva. Suo primo campo
furono le lotte cogli Ariani; poi giganteggiò per opera di oratori, i
quali, nel combattere l'orgoglio del sapere e l'indocilità del cuore,
reggono a petto di quanto l'antichità vanta di più insigne, non che
sorpassare di buon tratto i loro contemporanei.
Con gagliardia affrontò Ariani e idolatri (340-97) in Occidente
sant'Ambrogio, romano nato a Treveri. Come governatore della Liguria
e dell'Emilia sedeva egli in Milano, dove la presenza dell'imperatrice
Giustina facea prevalere gli Ariani a segno, che vi fu posto a vescovo
il cappadoce Ausenzio di quella setta. Quando l'imperatrice ottenne
dal figlio una legge, che a quelli concedeva piena libertà di
assemblee, e guaj se i Cristiani li molestassero, il segretario
Benevolo negò formolarla, e rinunziò piuttosto al grado; ma Ausenzio
se ne incaricò. Allorchè questo vescovo morì, poteasi prevedere
tumultuosa l'elezione del successore, che faceasi a voci di
popolo; e il governatore Ambrogio si presentò ai comizj per tenerli
in dovere. Ma appena entrato, le due divise d'accordo gridano: —
Sii vescovo tu stesso», poichè il vescovo si eleggeva di qualunque
condizione, nè tampoco esigendosi fosse cristiano; onde Ambrogio,
tentato invano sottrarsi a quel peso colla fuga e col seder giudice
in un caso di sangue, riconoscendo il volere di Dio a portentosi
indizj, si lasciò battezzare, poi ordinar prete e vescovo; e ceduto
ai poveri il suo denaro, alla Chiesa i terreni, al fratello Satiro
l'amministrazione della propria casa, tutto si affisse al santo
ministero.
Dalla Bibbia e dai Padri, letture a lui nuove, tal frutto colse, che
divenne il primo dei santi Padri in Occidente; e se cede in genio a
Gregorio Magno, a Basilio, a Giovan Grisostomo, li supera in pratica
attività, sublimandosi negli atti più che negli scritti. La vita sua,
delineataci eloquentemente da Paolino suo segretario, era assorta nelle
cure più diverse; giudicare cento affari a lui portati dai fedeli,
curare spedali, attendere ai poveri, accogliere tutti con affabilità,
e fra ciò meditare e comporre: forniva di vescovi chiese che mai non ne
aveano avuti; visitava ed incorava gli altri, e talvolta li raccoglieva
a concilj; interponevasi a favore de' rei di Stato; vendeva gli ori
del tempio per riscattare prigionieri dai Goti. Missioni importanti
erano a lui affidate come a pratico: da Valentiniano morendo gli furono
raccomandati i suoi figliuoli: dissuase Magno Massimo dall'entrare
in Italia: ucciso Graziano, andò ad impetrarne il cadavere, e con
franchezza intimava a Teodosio la verità, e gl'insegnava le distinzioni
fra il sacerdozio e l'impero, talchè quegli diceva, — Solo Ambrogio
conosco, il quale di vescovo porti degnamente il nome». Intanto egli
rappresentava con dignità ed amore il tribunato che in nome di Cristo
aveano assunto i vescovi dopo caduto quello in nome della legge,
colla parola e colle opere offrendosi sostegno al popolo, invocando
la giustizia o l'indulgenza de' principi, interponendo a favore de'
tapini e de' soffrenti le dottrine della povertà, dell'eguaglianza, del
riscatto umano, operato col sangue d'una vittima celeste.
Quanta pratica avesse coi classici lo palesano le opere sue; sebbene
scriva balzellante e scorretto, senza padronanza di frasi, e con vane
sottigliezze e giocherelli, qualora non sia animato dal sentimento
del dovere o del pericolo[132]. Nella più estesa e curiosa fra le sue
opere, sui _Doveri degli ecclesiastici_, passa in rassegna quelli
di tutti gli uomini, e scioglie quistioni di pratica filosofia.
Nell'_Esamerone_, commentando le sei giornate del mondo creato,
molto si giova di Origene. I suoi elogi della virginità producevano
tale effetto, che padri e mariti lamentavansi perchè troppe donne
dedicassero a Dio la loro continenza.
L'imperatore Graziano avea decretato che ciascuno potesse onorar la
divinità nelle adunanze al modo che più credesse opportuno; ma Ambrogio
seppe persuaderlo a ferire di colpo estremo l'osservanza antica. In
conseguenza ordinò di toglier via dal senato di Roma la statua della
Vittoria; poi chiamò al fisco tutti i beni con cui mantenevansi
i tempj, i pontefici, i sacrifizj; annullò i privilegi politici e
civili delle Vestali, e vietò ai sacerdoti d'accettare legati se non
di beni mobili[133]. Spaventati i nobili romani, i capi del senato,
e quelli che si ostinavano a chiamarsi «la parte migliore dell'uman
genere»[134], spedirono a Graziano perchè sospendesse questi decreti;
e per fare maggior colpo, gli recarono la veste di sommo pontefice,
religiosamente custodita, e che a lui dovea rammentare la lunga serie
de' predecessori che se ne fregiarono come simbolo del potere supremo
in terra e d'onori divini dopo morte. Graziano non si arrese a quelle
dimostrazioni, e proferì, — Tale ornamento disdicesi a cristiano»;
onde la religione antica rimase senza sommo pontefice, e il sacerdozio
spogliato dei beni che lo facevano ambire anche dopo ch'era privato
degli onori e de' privilegi.
Nè diverso esito sortì l'ambasceria mandata a Valentiniano II acciocchè
ripristinasse l'altare della Vittoria; e le suppliche di Simmaco e di
Libanio a tale intento sono l'ultimo grido del paganesimo, che sentesi
trafitto nel cuore. Lo sdegno di questi esalò non soltanto in segreti
mormorii, ma in voci aperte; nè forse restarono estranj alla sommossa,
nella quale Graziano perdette la vita. Ma soccombettero definitivamente
allorchè ebbe la porpora Teodosio, che il titolo di Grande dovette
principalmente all'avere terminata con coraggio e convincimento la
prolungata contesa fra le due religioni.
Narrasi che, venuto a Roma, e ricevuto da un bell'incontro di dame
e senatori, Teodosio proponesse a discutere qual fosse la religione
da seguitarsi, e che l'idolatria vi soccombette. Il fatto non ha
sembianza di vero: certo per legge generale egli vietò che «alcuno si
contaminasse co' sagrifizj, immolasse vittime, difendesse simulacri
fatti a man d'uomo»; i magistrati non entrassero ne' tempj; confisca
per qualunque atto d'idolatria, e morte a chi immolasse; il giorno
del Signore fu dichiarato sacro, proibendo in esso i giuochi e
gli spettacoli, e riformando il calendario giuridico a norma delle
prescrizioni cristiane[135]. Eppure le leggi di Teodosio convincono
che non erano cessati i riti antichi; imperocchè egli decretò che,
chi dal cristianesimo ritornasse all'idolatria, rimanesse incapace
di disporre de' suoi beni per testamento; dappoi estese questo
statuto ai catecumeni, e dichiarò infami gli apòstati[136]. I concilj
ripeterono queste leggi, e gli scrittori ecclesiastici inveivano contro
le cerimonie gentilesche, conservate massimamente nelle feste, nei
saturnali e nei giuochi. Tempj e delubri furono però chiusi allora dai
magistrati, e spesso demoliti dalla pietà: i senatori, come cantava
Prudenzio, bellissimi splendori del mondo, deposero le insegne del
vecchio sacerdozio per rivestire la candida toga del catecumeno[137].
Restava a domare l'eresia; e Teodosio, caduto in grave malattia,
decretò essere volontà sua che tutti aderissero alla religione
insegnata da san Pietro ai Romani, quale allora si professava dal
pontefice Damaso e da Pietro vescovo d'Alessandria; ai seguaci di essa
dava autorità d'assumere il titolo di Cristiani Cattolici; i dissidenti
infamava col nome d'eretici, minacciandoli anche di castighi[138].
Rimossi i vescovi e cherici ostinati, senza tumulto nè sangue si
stabilì la fede ortodossa; e il terzo[139] concilio ecumenico, adunato
in Costantinopoli, confermò nell'interezza sua il simbolo Niceno,
dichiarandolo più distesamente in alcuna parte, onde combattere
posteriori eresie.
Ciò in Oriente; ma fra noi l'arianismo erasi ricoverato sotto il manto
di Giustina madre di Valentiniano II, la quale, arrogando all'imperiale
autorità anche l'ispezione sopra il culto, pretendeva che sant'Ambrogio
cedesse agli Ariani una delle chiese di Milano. L'indegna proposizione
con fermezza egli respinse; e Giustina, chiamando ribellione
l'opporsi ai voleri imperiali, si ostinò d'ottenere a forza l'intento.
Cominciò a gravare i mercanti d'una tassa di ducento libbre d'oro, e
imprigionare molti che non vollero o non potevano pagarla. Mandò ad
Ambrogio l'ordine di uscire dalla città, ma egli protestò non poter
abbandonare il gregge da Dio affidatogli: minacciollo di morte, ed
egli mostrò nulla desidererebbe meglio del martirio. Deliberata poi di
pubblicamente solennizzare a modo suo la pasqua, citò Ambrogio al suo
consiglio; ma per ispontaneo affetto essendogli corso dietro a turba il
suo gregge fino al palazzo, i ministri imperiali dovettero supplicare
il prelato a disperdere e calmare l'estuante moltitudine, promettendo
non sarebbe violata la religione.
Bugiarde promesse! Nella solenne mestizia della settimana santa,
uffiziali di palazzo si recano dapprima alla basilica Porziana, poi
alla nuova[140], per disporre ogni cosa a ricevervi l'imperatore e sua
madre. Il popolo torna allora sui tumulti, sicchè gran pena durarono le
guardie a difendere le chiese; e un sacerdote ariano versava in grave
pericolo, se non fosse ricorso per difesa ad Ambrogio stesso. Questi
negava d'esser obbligato a cedere il tempio, attesochè le cose divine
non vanno soggette all'imperatore, il quale si trova nella Chiesa,
non sopra la Chiesa; e dalla cattedra di verità mostrava come sia
lecito resistere all'ingiustizia, non però con armi, non colla forza;
pregava Dio a non permettere si versasse sangue per la sua Chiesa; e
congregati nelle due basiliche i fedeli, gl'intratteneva, or cantando,
ora predicando, e ripeteva — La tirannide del sacerdote è la sua
debolezza».
Fu allora che Ambrogio, per animare e distrarre il popolo, introdusse
il cantare a vicenda in due cori, cioè le antifone, ancora inusate nel
nostro Occidente. Prima d'allora certamente cantavasi dai fedeli, ma
forse con una semplicità tutta di pratica; e probabilmente nelle chiese
derivate dagli Ebrei seguivasi il modo che questi aveano tenuto nel
recitare i salmi, mentre in Grecia vi si applicavano le melopee della
lira. Da questa melopea greca prese le mosse Ambrogio, sia togliendone
i nômi o le arie popolari, sia riducendo in _octacordi_, o serie di
otto suoni (le ottave), i tetracordi o serie di quattro suoni di cui
componeansi i modi greci[141]. Scrisse pure inni di nobile commovente
semplicità, alcuni dei quali si cantano tuttora[142]. Con santa
compiacenza egli rimembrava la melodia d'uomini e donne, di vergini
e fanciulli, sonante come il fragore delle onde, e dalla quale anche
sant'Agostino restava commosso fino alle lagrime[143].
La fermezza d'Ambrogio vinse l'ostinazione dell'imperatrice, che
dischiuse le carceri, tolse le guardie; e Valentiniano, sentendo
la potenza di quell'inerme, diceva a' suoi uffiziali: — Se Ambrogio
l'ordinasse, voi mi consegnereste a lui colle mani legate».
Ma poco di poi gli fu elevato incontro un dottore degli Ariani, e
pubblicato un editto che permetteva a questi di tenere loro assemblee,
minacciando di morte i Cattolici se le turbassero. Ambrogio tornò alle
armi sue, la predica, le antifone; e dì e notte la chiesa fu occupata
dai fedeli. Tale consenso distolse i principi dall'usare violenza;
e il concilio d'Aquileja, tenuto poco dopo il Costantinopolitano, e
dove Ambrogio sostenne la parte principale, chiarì la fede de' vescovi
d'Occidente, che poterono asserire non esistere più Ariani fino
all'Oceano.
Ambrogio durò ventidue anni al laborioso ministero, finchè di
cinquantasette a Dio piacque chiamarlo al premio. Si pretende che,
per ricompensare lo zelo adoperato contro gli Ariani da lui e da san
Valeriano, il pontefice erigesse le sedi di Milano e d'Aquileja in
metropoli, dignità fin allora ignota in Occidente. La prima estese la
giurisdizione sui vescovadi da Po fin dentro la Rezia; l'altra su quei
della Dalmazia, della Pannonia, del Norico, e poc'a poco della Venezia:
e l'un metropolita consacrava l'altro, risparmiando il difficile
viaggio a Roma.
Contemporaneamente san Filastro combatteva gli Ariani, stese un
_Catalogo delle eresie_, e fatto vescovo di Brescia «città rozza, ma
avida di dottrina»[144], resistette a Valentiniano e Giustina insieme
con Benivolo, magistrato, il quale, piuttosto che cedere alle blandizie
dell'imperatore, si ritirò a vivere oscuro in riva al Benàco. A questo
Benivolo sono diretti alcuni sermoni di san Gaudenzio, che peregrinato
a Gerusalemme, in Antiochia conobbe san Giovanni Grisostomo, poi
succedette a Filastro nel vescovado di Brescia, ove colle reliquie
portate d'Oriente consacrò una chiesa col titolo di Concilio de' Santi.
Vigilio dal vicino Trento scorreva la valle dell'Adige e il Veronese,
predicando, battezzando, ergendo chiese, abbattendo idoli: perocchè
nelle vallate alpine conservavasi il culto di Saturno, e nella trentina
di Non (Anaunia) circuivansi processionalmente i campi, litando a
quel dio; al che non avendo voluto uniformarsi Sisinio, Martirio,
Alessandro, furono martirizzati: anche i valligiani di Rondera, ligi
all'adorazione di quell'idolo, lapidarono Vigilio[145].
Sì grandiosi uffizj incombevano ai Padri in quella Chiesa, che di
perseguitata diveniva dominatrice; ma sebbene greci e latini difendano
le stesse verità, e in tutti si senta la convinzione che lotta,
l'entusiasmo che eleva, la carità che santifica, traggono carattere
particolare dalla natura del paese, secondo che vivono in Oriente
o in Occidente. In Roma non erano mai prosperate la metafisica e la
filosofia sublime, per difetto in parte della lingua; mentre il sano
intelletto e lo spirito pratico vi campeggiarono nello svolgere ed
ordinare la legislazione. Pertanto gli apologisti latini non offrono
grande apparenza d'ingegno, conservano alcun che dell'alterezza
romana, rigidi, ostinati di non calare ad accordi coll'avversario,
nè tampoco valersi d'altre armi che le proprie; onde sdegnano gli
ornamenti dell'eloquenza, gli artifizj della logica, le reminiscenze
della letteratura ostile. La Grecia, ancora fiorente di lettere quando
il cristianesimo apparve, gli oppose più clamorosa lotta, armata di
cavilli, di seduzioni, di disprezzo; ma quando convertita gli esibì
difensori, questi conservarono le costumanze e i difetti delle scuole
dond'erano usciti, e comparivano in campo come Davide, accinti della
spada rapita al gigante.
Il nemico stesso che combattevano era differente. Roma, per cui sono
identici la religione e lo Stato, non sa apporre al cristianesimo
condanna peggiore che dichiararlo nemico del genere umano, cioè
dell'Impero; il genio suo legale decreta, uccide, non discute; e gli
apologisti, opponendo rigore a rigore, s'accontentano spiegare il
dogma ed appellarsi alla lettera scritta. I Greci, perdute le avite
istituzioni, naturali alla disputa e alle sottigliezze, retori e
sofisti ingordi di quistioni nuove, guardano i Cristiani come novatori
pazzi o pericolosi, che ripudiando la tradizione, precipitano la
coscienza umana nell'incertezza. Mentre dunque i magistrati a Roma
uccidevano, i dotti di Grecia esaminavano, discutevano, sicchè gli
apologisti erano obbligati scendere a minuzie, accettare l'objezione
arguta, snodare il sottile paradosso, il sillogismo capzioso; e
sentendo tutta la potenza della libera parola, invocavano solo che la
forza non intervenisse nella discussione della verità.
Gli uni e gli altri aprono la nuova società, posati tuttavia sul
terreno dell'antica; convincono l'uomo che, senza quel lume del lume,
egli ignora le verità più necessarie alla sua condotta, più care al
suo cuore, più dolci alle sue speranze; e invocano la libertà delle
coscienze, non più per il solo senato, nè per una città od una gente,
ma per l'universo. Vinti che ebbero i nemici esterni, dovettero lottare
contro le discordie intestine, cioè coloro che, al modo del serpente
antico, adopravano la parola di Dio per diffondere l'errore, o per
restringere a concetti particolari le verità generalissime che la
Chiesa annunziava.
Nelle scuole vengono a fronte l'antico Oriente, l'antico Occidente
e il cristianesimo, il quale, estendendosi su tutti gli uomini e
tutti gl'interessi, era naturale che trovasse molte ed interessate
contraddizioni. I Neoplatonici vogliono elevarsi a Dio non mediante la
fede, ma mediante la dottrina. Sêtte giudaizzanti, sêtte giudaiche,
sêtte orientali assenzienti od avverse agli Ebrei, sêtte cristiane
propense o nemiche all'ascetismo, docili o reluttanti all'asiatica
teosofia, cominciano la più splendida gara d'ingegno che il mondo
avesse mai veduta, fra la teologia antica e la nuova, fra la mitologia
poetica e la religione morale, fra la vetustà che tramonta e il nuovo
tempo che s'apre. Onde alla dottrina evangelica incontrò come a tutte
le novità; prima tacciata di sogno e di follia, dappoi se ne confessa
la sublimità, ma appuntandola di plagio, quasi ogni sua verità fosse
dedotta dall'Egitto, dall'India, dall'Accademia; infine se ne adottano
i concetti, mentre tuttavia si persiste ad oppugnarla. Ma su quella
bilancia ha perduto ogni peso la spada; e l'autorità dei cesari,
nell'apogeo della sua forza, non entra per nulla a determinare la
credenza; tanto efficace sonò la parola che distingueva i diritti della
spada da quelli del pensiero.
Fra le eresie fu clamorosissima quella di Nestorio, il quale negava
l'incarnazione di Dio, distinguendo in Cristo la persona divina
dall'umana, e ripudiando perciò la divina maternità di Maria:
condannata nel concilio di Efeso (431), quarto ecumenico,
venne per ricolpo a dare estensione al culto della Vergine, il quale
contribuì non poco a svellere i resti del paganesimo, convertendo
alla Madre dell'amore e alla donna dei dolori i tempj pagani. Non più
sulla natura di Dio ma su quella dell'uomo sofisticarono i Pelagiani,
cercando perchè tanti mali si patiscano sotto un Dio buono, come
la prescienza divina si combini coll'umana libertà, e la Grazia
coll'attività morale dell'uomo. I Manichei lo spiegavano in modo
vulgare, supponendo un Dio buono e un malvagio; e da quella provincia
romana dell'Africa, dove si svolsero le più vigorose intelligenze
cristiane, dove si elaborarono i principj fondamentali della cristiana
filosofia, sorse il più vigoroso combattitore, sant'Agostino, del quale
parleremo fra poco. Eutichiani, Monofisiti, Monoteliti, colle varie
gradazioni di loro eresie concernenti la natura o la volontà di Dio e
del suo Verbo, agitarono piuttosto l'Oriente.
Perocchè la divisione ch'erasi fatta nell'Impero, estendevasi pure alle
chiese, e cominciata dalla fabbricazione di Costantinopoli, dura fino
ad oggi, avendo ciascuna, anche prima di scindere la essenziale unità,
conservato un'impronta e una pendenza particolare; speculativo il genio
bisantino, pratico il genio romano. Allorchè la Chiesa greca si radunò
nel concilio di Nicea, fu per chiarire la relazione delle tre persone
divine, e settanta opinioni agitavano il clero abissino sopra l'unione
delle due nature in Cristo: la latina non ebbe trattati dogmatici prima
di Agostino, nè prima di Gregorio Magno alcun metafisico sedette sul
trono papale. In Oriente si disputa sulla essenza della natura divina,
mentre quasi ignote vi sono le quistioni sulla libertà umana e sulla
Grazia: al contrario, da noi si ragiona sopra gli atti umani.
I rigori della vita monastica erano cominciati in Oriente; e i
deserti della Siria e della Tebaide si popolarono d'anacoreti, che
nella solitudine attendevano ad operare la salute delle proprie
anime, staccati dalle cose terrene, come Antonio[146], Pacomio,
Ilarione. Non tardarono i monaci a propagarsi nel nostro paese, forse
allorchè sant'Atanasio scorreva l'Italia per combattere l'arianismo:
ma ben presto si raccolsero in compagnie, sotto regole dettate da
sant'Agostino, poi da san Benedetto; e furono piuttosto missionarj
di Barbari, dissodatori di terreni, assistenti di infermi; nè le Alpi
e gli Appennini videro strazj e macerazioni quali i torrenti petrosi
dell'Egitto e le bollenti arene della Libia; e invece di quegli stiliti
che colà passavano l'intera vita su di una colonna, da noi si vide
l'attività efficace di sant'Ambrogio, di Leon Magno.
La Chiesa greca restò corrotta dalla propria immobilità, non
progredendo in mezzo a tanto sapere, non raffinando l'arte in
mezzo a tanto cerimoniale, anzi vedendo sorgere gli Iconoclasti,
poi retrocedendo collo scisma. Nella latina invece il buon senso
filosofico e pratico si piegò al progresso, si modificò a seconda
dei tempi e nello svolgersi dell'attività; man mano che la società
secolare diveniva impotente, l'ecclesiastica vi si surrogava; i riti
pagani come i tempj conservava, trasformandoli e traendoli a superiore
intelligenza; le terre cambiavano i nomi per assumer quello d'un santo.
La differenza fra le due Chiese fu rivelata maggiormente
dall'ordinamento esterno. L'impero Occidentale sfasciavasi quando
appunto ingrandivano i pontefici; e in questi si concentrava
l'autorità, che lasciavansi cadere di mano i magistrati civili.
Avrebbero essi dovuto allegare l'incompetenza, per non esporsi al
rimprovero d'usurpazione, dato molti secoli dopo da una filosofia non
solo estranea a quei pericoli, ma incapace o risoluta a non intenderli?
doveano lasciare che la società andasse a fascio, anzichè togliere a
dirigerla, come ognuno deve fare ne' frangenti?
Il patriarca di Costantinopoli scapitava per la presenza
dell'imperatore; nè era meglio che una delle ruote d'un sistema civile,
regolare, protetto dalla gerarchia e dall'esercito. In Italia invece
vedremo ben presto gl'imperatori fuggire da Roma, sicchè il papa,
dolente sì, ma non vergognoso delle pubbliche sventure, mantenevasi
colla fronte alta, come scevro dalle colpe imperiali; quando ogn'altra
autorità perdea vigore, egli solo rimaneva cogli attributi di un'altra
sovranità, reale e permanente; e le istituzioni politiche dell'impero,
l'energia delle genti occidentali, il pericolo valeano ad assodarlo,
mentre a lui si volgeano i Barbari, ch'egli doveva convertire,
illuminare, incivilire, governare.
Il bisogno di difesa e d'azione facea stringere fra sè i monaci,
milizia poderosissima de' pontefici. Il celibato staccò l'ordine
sacerdotale dal laico, e dagli interessi e affetti terreni; sicchè
il prete si considerò superiore al laico, e perciò esigeva rispetto
e sommessione, come marchio di santità adducendo le astinenze e la
dottrina. Perfino la lingua comune e la pace universale, che parvero
sin oggi utopie benevole, vennero dalla società cristiana attuate per
quanto è possibile col parlar latino e coi concilj.
Così, mediante il cristianesimo, dentro periva il despotismo, cioè il
potere separato dal dovere, l'autorità che crede aver sopra gli uomini
ogni diritto, fin quello negatogli dalla legge naturale e divina; fuori
periva la nazionalità esclusiva, tutto dirigendo all'affratellamento.
Nè però la Chiesa aboliva l'individualità degli uomini o de' popoli,
anzi la nobilitava; solo alla nazionale esclusività contrapponeva
il concetto d'universalità, dovendosi rispetto anche ai minimi, non
perchè greci o romani od ebrei, ma perchè uomini e cristiani, perchè
non fattura capricciosa di varj numi, ma libera creazione del Padre
nostro[147]. Le verità, tramandate parte in iscritto, parte a voce,
riceveano non solo spiegazione ma autenticità dalla Chiesa, che n'è
la depositaria e la garante, e ogniqualvolta ne vede intaccata una, la
chiarisce e svolge viemeglio; e poichè non c'è verità astratta che non
operi sulla morale, stabilendo quelle purifica questa.
Tale fu il còmpito de' santi Padri. Malgrado che le condizioni della
società d'allora e i sopravenuti infortunj tardassero i frutti, pure
non v'è per avventura miglioramento alcuno de' tempi più civili, che
almeno in germe non si trovi in essi. Succeduti agli apostoli ed ai
martiri per propugnare col sapere e colla parola le credenze nuove,
sorte col popolo e fra il popolo rampollate, essi rompono il perpetuo
circolo dell'imitazione fra cui era incantata la profana letteratura,
e formano il secolo d'oro della cristiana: e noi potemmo studiarvi
molte particolarità della storia de' popoli, e il lento ma incessante
maturarsi della più vasta rivoluzione, e gli ostacoli attraversatile
dalla scienza appoggiata sulle antiche osservanze, sinchè fu chiamata a
sostenere con reintegrato vigore le nuove.
Le dispute che essi agitarono, oggi sono dimenticate: ma essi
combatterono perchè noi, vulgo senza diritti nè forza nè divinità,
potessimo cessare d'essere schiavi negli ergastoli, o pasto ai leoni
per divertimento del popolo re, e le nostre anime trastullo ai sofismi
dei filosofi, alla prepotenza dei dominatori, alla lascivia de' ricchi;
combatterono, perchè noi plebe potessimo sentire l'eguaglianza nostra e
proclamarla in diritto, sinchè il tempo non la consacri nel fatto.
CAPITOLO LI.
La coltura pagana digrada, si amplia la cristiana.
Quella dei santi Padri era letteratura vitale, nuova, dell'avvenire;
ma la scolastica, di forme ricalcate sui modelli classici, neppur un
grande scrittore produsse dopo Costantino. Dall'Africa fu chiamato
a Roma e a Milano sant'Agostino per insegnare eloquenza; dalle
Gallie un retore per tessere il panegirico a Teodosio; le vennero
d'Egitto Macrobio e il migliore poeta Claudiano, da Siria il retore
migliore Icherio, d'Antiochia il migliore storico Ammiano Marcellino;
e ricordiamoci che in gran carezza di viveri, essendo rinviati i
forestieri da Roma, i pochi letterati dovettero andarsene, conservando
invece tremila ballerine, altrettante cantatrici, e loro maestri e cori
e turba seguace.
Scuole però non mancavano, e san Girolamo vi si esercitava fanciullo
a declamare, e con finti litigi addestravasi ai veri; nei tribunali,
udiva eloquenti oratori disputare fino a svillaneggiarsi e
mordersi[148]. Valentiniano e Graziano istituirono scuole di retorica
e grammatica greca e latina nella metropoli di ciascuna provincia; e
coloro che venivano a studio in Roma, dovevano portare dalla patria
attestazioni dell'esser loro, poi arrivando notificare dove abitassero,
a che studj intendessero, non bazzicare male compagnie e spettacoli,
se no cacciati a verghe[149]. I maestri di grammatica non insegnavano
meramente gli elementi della lingua, sibbene tutte le scienze
filologiche[150]: che in conto maggiore fossero quei di retorica,
appare dal doppio delle razioni a loro assegnate[151]: passavano di
città in città al fiuto de' migliori stipendj, trafficando di versi,
complimenti, panegirici, dispute, senza curarsi dell'impero che cadeva
cognizione delle cose sacre, siccome tutto il resto, essendo privilegio
di pochi, non mai accomunata alle plebi. D'altra parte, che sarebbesi
potuto predicare nel tempio quando i dottori stessi non aveano
dogmi comuni, e stavano perplessi sulla morale? L'eloquenza antica
esercitavasi negl'interessi particolari d'un cittadino o d'una città;
al più qualche filosofo disputava coi discepoli, ma intorno a dottrine
speciali, sprovvedute di carattere pubblico e universale.
Da che Cristo ebbe detto, — Andate e predicate a tutti», doveva alla
congregazione dei fedeli essere esposta la verità universalmente
accettata, e spiegarvisi i punti che rilievano alla salute di tutti.
Dalla più tenera età il sacerdote assumeva il fanciullo, e col
catechismo gl'insinuava le verità sublimi, mercè delle quali potrebbe
anche la femminetta rispondere a ciò che ignoravano Aristotele e
Platone. L'istruzione continuava quanto la vita, o confermando i
credenti, o convertendo i traviati, o persuadendo gl'increduli. La
predicazione sulle prime era avvalorata dal santo olezzo della virtù,
dall'evidenza del miracolo; e parlando lo Spirito Santo per bocca degli
apostoli, non era mestieri di persuasive d'umana sapienza[131]. Ma
come la religione fu estesa e mescolata alla società, si munì anch'essa
delle armi con cui l'errore la combatteva, e l'eloquenza fu trasportata
dalla ringhiera al pulpito, dalla politica alla morale, dagl'interessi
del mondo a quelli del cielo. La Chiesa, fatta trionfante, volle
ornarsi dell'eloquenza, come si ornava di pompe e d'apparati, e supplì
coll'arte del pulpito all'intepidita fede primitiva. Suo primo campo
furono le lotte cogli Ariani; poi giganteggiò per opera di oratori, i
quali, nel combattere l'orgoglio del sapere e l'indocilità del cuore,
reggono a petto di quanto l'antichità vanta di più insigne, non che
sorpassare di buon tratto i loro contemporanei.
Con gagliardia affrontò Ariani e idolatri (340-97) in Occidente
sant'Ambrogio, romano nato a Treveri. Come governatore della Liguria
e dell'Emilia sedeva egli in Milano, dove la presenza dell'imperatrice
Giustina facea prevalere gli Ariani a segno, che vi fu posto a vescovo
il cappadoce Ausenzio di quella setta. Quando l'imperatrice ottenne
dal figlio una legge, che a quelli concedeva piena libertà di
assemblee, e guaj se i Cristiani li molestassero, il segretario
Benevolo negò formolarla, e rinunziò piuttosto al grado; ma Ausenzio
se ne incaricò. Allorchè questo vescovo morì, poteasi prevedere
tumultuosa l'elezione del successore, che faceasi a voci di
popolo; e il governatore Ambrogio si presentò ai comizj per tenerli
in dovere. Ma appena entrato, le due divise d'accordo gridano: —
Sii vescovo tu stesso», poichè il vescovo si eleggeva di qualunque
condizione, nè tampoco esigendosi fosse cristiano; onde Ambrogio,
tentato invano sottrarsi a quel peso colla fuga e col seder giudice
in un caso di sangue, riconoscendo il volere di Dio a portentosi
indizj, si lasciò battezzare, poi ordinar prete e vescovo; e ceduto
ai poveri il suo denaro, alla Chiesa i terreni, al fratello Satiro
l'amministrazione della propria casa, tutto si affisse al santo
ministero.
Dalla Bibbia e dai Padri, letture a lui nuove, tal frutto colse, che
divenne il primo dei santi Padri in Occidente; e se cede in genio a
Gregorio Magno, a Basilio, a Giovan Grisostomo, li supera in pratica
attività, sublimandosi negli atti più che negli scritti. La vita sua,
delineataci eloquentemente da Paolino suo segretario, era assorta nelle
cure più diverse; giudicare cento affari a lui portati dai fedeli,
curare spedali, attendere ai poveri, accogliere tutti con affabilità,
e fra ciò meditare e comporre: forniva di vescovi chiese che mai non ne
aveano avuti; visitava ed incorava gli altri, e talvolta li raccoglieva
a concilj; interponevasi a favore de' rei di Stato; vendeva gli ori
del tempio per riscattare prigionieri dai Goti. Missioni importanti
erano a lui affidate come a pratico: da Valentiniano morendo gli furono
raccomandati i suoi figliuoli: dissuase Magno Massimo dall'entrare
in Italia: ucciso Graziano, andò ad impetrarne il cadavere, e con
franchezza intimava a Teodosio la verità, e gl'insegnava le distinzioni
fra il sacerdozio e l'impero, talchè quegli diceva, — Solo Ambrogio
conosco, il quale di vescovo porti degnamente il nome». Intanto egli
rappresentava con dignità ed amore il tribunato che in nome di Cristo
aveano assunto i vescovi dopo caduto quello in nome della legge,
colla parola e colle opere offrendosi sostegno al popolo, invocando
la giustizia o l'indulgenza de' principi, interponendo a favore de'
tapini e de' soffrenti le dottrine della povertà, dell'eguaglianza, del
riscatto umano, operato col sangue d'una vittima celeste.
Quanta pratica avesse coi classici lo palesano le opere sue; sebbene
scriva balzellante e scorretto, senza padronanza di frasi, e con vane
sottigliezze e giocherelli, qualora non sia animato dal sentimento
del dovere o del pericolo[132]. Nella più estesa e curiosa fra le sue
opere, sui _Doveri degli ecclesiastici_, passa in rassegna quelli
di tutti gli uomini, e scioglie quistioni di pratica filosofia.
Nell'_Esamerone_, commentando le sei giornate del mondo creato,
molto si giova di Origene. I suoi elogi della virginità producevano
tale effetto, che padri e mariti lamentavansi perchè troppe donne
dedicassero a Dio la loro continenza.
L'imperatore Graziano avea decretato che ciascuno potesse onorar la
divinità nelle adunanze al modo che più credesse opportuno; ma Ambrogio
seppe persuaderlo a ferire di colpo estremo l'osservanza antica. In
conseguenza ordinò di toglier via dal senato di Roma la statua della
Vittoria; poi chiamò al fisco tutti i beni con cui mantenevansi
i tempj, i pontefici, i sacrifizj; annullò i privilegi politici e
civili delle Vestali, e vietò ai sacerdoti d'accettare legati se non
di beni mobili[133]. Spaventati i nobili romani, i capi del senato,
e quelli che si ostinavano a chiamarsi «la parte migliore dell'uman
genere»[134], spedirono a Graziano perchè sospendesse questi decreti;
e per fare maggior colpo, gli recarono la veste di sommo pontefice,
religiosamente custodita, e che a lui dovea rammentare la lunga serie
de' predecessori che se ne fregiarono come simbolo del potere supremo
in terra e d'onori divini dopo morte. Graziano non si arrese a quelle
dimostrazioni, e proferì, — Tale ornamento disdicesi a cristiano»;
onde la religione antica rimase senza sommo pontefice, e il sacerdozio
spogliato dei beni che lo facevano ambire anche dopo ch'era privato
degli onori e de' privilegi.
Nè diverso esito sortì l'ambasceria mandata a Valentiniano II acciocchè
ripristinasse l'altare della Vittoria; e le suppliche di Simmaco e di
Libanio a tale intento sono l'ultimo grido del paganesimo, che sentesi
trafitto nel cuore. Lo sdegno di questi esalò non soltanto in segreti
mormorii, ma in voci aperte; nè forse restarono estranj alla sommossa,
nella quale Graziano perdette la vita. Ma soccombettero definitivamente
allorchè ebbe la porpora Teodosio, che il titolo di Grande dovette
principalmente all'avere terminata con coraggio e convincimento la
prolungata contesa fra le due religioni.
Narrasi che, venuto a Roma, e ricevuto da un bell'incontro di dame
e senatori, Teodosio proponesse a discutere qual fosse la religione
da seguitarsi, e che l'idolatria vi soccombette. Il fatto non ha
sembianza di vero: certo per legge generale egli vietò che «alcuno si
contaminasse co' sagrifizj, immolasse vittime, difendesse simulacri
fatti a man d'uomo»; i magistrati non entrassero ne' tempj; confisca
per qualunque atto d'idolatria, e morte a chi immolasse; il giorno
del Signore fu dichiarato sacro, proibendo in esso i giuochi e
gli spettacoli, e riformando il calendario giuridico a norma delle
prescrizioni cristiane[135]. Eppure le leggi di Teodosio convincono
che non erano cessati i riti antichi; imperocchè egli decretò che,
chi dal cristianesimo ritornasse all'idolatria, rimanesse incapace
di disporre de' suoi beni per testamento; dappoi estese questo
statuto ai catecumeni, e dichiarò infami gli apòstati[136]. I concilj
ripeterono queste leggi, e gli scrittori ecclesiastici inveivano contro
le cerimonie gentilesche, conservate massimamente nelle feste, nei
saturnali e nei giuochi. Tempj e delubri furono però chiusi allora dai
magistrati, e spesso demoliti dalla pietà: i senatori, come cantava
Prudenzio, bellissimi splendori del mondo, deposero le insegne del
vecchio sacerdozio per rivestire la candida toga del catecumeno[137].
Restava a domare l'eresia; e Teodosio, caduto in grave malattia,
decretò essere volontà sua che tutti aderissero alla religione
insegnata da san Pietro ai Romani, quale allora si professava dal
pontefice Damaso e da Pietro vescovo d'Alessandria; ai seguaci di essa
dava autorità d'assumere il titolo di Cristiani Cattolici; i dissidenti
infamava col nome d'eretici, minacciandoli anche di castighi[138].
Rimossi i vescovi e cherici ostinati, senza tumulto nè sangue si
stabilì la fede ortodossa; e il terzo[139] concilio ecumenico, adunato
in Costantinopoli, confermò nell'interezza sua il simbolo Niceno,
dichiarandolo più distesamente in alcuna parte, onde combattere
posteriori eresie.
Ciò in Oriente; ma fra noi l'arianismo erasi ricoverato sotto il manto
di Giustina madre di Valentiniano II, la quale, arrogando all'imperiale
autorità anche l'ispezione sopra il culto, pretendeva che sant'Ambrogio
cedesse agli Ariani una delle chiese di Milano. L'indegna proposizione
con fermezza egli respinse; e Giustina, chiamando ribellione
l'opporsi ai voleri imperiali, si ostinò d'ottenere a forza l'intento.
Cominciò a gravare i mercanti d'una tassa di ducento libbre d'oro, e
imprigionare molti che non vollero o non potevano pagarla. Mandò ad
Ambrogio l'ordine di uscire dalla città, ma egli protestò non poter
abbandonare il gregge da Dio affidatogli: minacciollo di morte, ed
egli mostrò nulla desidererebbe meglio del martirio. Deliberata poi di
pubblicamente solennizzare a modo suo la pasqua, citò Ambrogio al suo
consiglio; ma per ispontaneo affetto essendogli corso dietro a turba il
suo gregge fino al palazzo, i ministri imperiali dovettero supplicare
il prelato a disperdere e calmare l'estuante moltitudine, promettendo
non sarebbe violata la religione.
Bugiarde promesse! Nella solenne mestizia della settimana santa,
uffiziali di palazzo si recano dapprima alla basilica Porziana, poi
alla nuova[140], per disporre ogni cosa a ricevervi l'imperatore e sua
madre. Il popolo torna allora sui tumulti, sicchè gran pena durarono le
guardie a difendere le chiese; e un sacerdote ariano versava in grave
pericolo, se non fosse ricorso per difesa ad Ambrogio stesso. Questi
negava d'esser obbligato a cedere il tempio, attesochè le cose divine
non vanno soggette all'imperatore, il quale si trova nella Chiesa,
non sopra la Chiesa; e dalla cattedra di verità mostrava come sia
lecito resistere all'ingiustizia, non però con armi, non colla forza;
pregava Dio a non permettere si versasse sangue per la sua Chiesa; e
congregati nelle due basiliche i fedeli, gl'intratteneva, or cantando,
ora predicando, e ripeteva — La tirannide del sacerdote è la sua
debolezza».
Fu allora che Ambrogio, per animare e distrarre il popolo, introdusse
il cantare a vicenda in due cori, cioè le antifone, ancora inusate nel
nostro Occidente. Prima d'allora certamente cantavasi dai fedeli, ma
forse con una semplicità tutta di pratica; e probabilmente nelle chiese
derivate dagli Ebrei seguivasi il modo che questi aveano tenuto nel
recitare i salmi, mentre in Grecia vi si applicavano le melopee della
lira. Da questa melopea greca prese le mosse Ambrogio, sia togliendone
i nômi o le arie popolari, sia riducendo in _octacordi_, o serie di
otto suoni (le ottave), i tetracordi o serie di quattro suoni di cui
componeansi i modi greci[141]. Scrisse pure inni di nobile commovente
semplicità, alcuni dei quali si cantano tuttora[142]. Con santa
compiacenza egli rimembrava la melodia d'uomini e donne, di vergini
e fanciulli, sonante come il fragore delle onde, e dalla quale anche
sant'Agostino restava commosso fino alle lagrime[143].
La fermezza d'Ambrogio vinse l'ostinazione dell'imperatrice, che
dischiuse le carceri, tolse le guardie; e Valentiniano, sentendo
la potenza di quell'inerme, diceva a' suoi uffiziali: — Se Ambrogio
l'ordinasse, voi mi consegnereste a lui colle mani legate».
Ma poco di poi gli fu elevato incontro un dottore degli Ariani, e
pubblicato un editto che permetteva a questi di tenere loro assemblee,
minacciando di morte i Cattolici se le turbassero. Ambrogio tornò alle
armi sue, la predica, le antifone; e dì e notte la chiesa fu occupata
dai fedeli. Tale consenso distolse i principi dall'usare violenza;
e il concilio d'Aquileja, tenuto poco dopo il Costantinopolitano, e
dove Ambrogio sostenne la parte principale, chiarì la fede de' vescovi
d'Occidente, che poterono asserire non esistere più Ariani fino
all'Oceano.
Ambrogio durò ventidue anni al laborioso ministero, finchè di
cinquantasette a Dio piacque chiamarlo al premio. Si pretende che,
per ricompensare lo zelo adoperato contro gli Ariani da lui e da san
Valeriano, il pontefice erigesse le sedi di Milano e d'Aquileja in
metropoli, dignità fin allora ignota in Occidente. La prima estese la
giurisdizione sui vescovadi da Po fin dentro la Rezia; l'altra su quei
della Dalmazia, della Pannonia, del Norico, e poc'a poco della Venezia:
e l'un metropolita consacrava l'altro, risparmiando il difficile
viaggio a Roma.
Contemporaneamente san Filastro combatteva gli Ariani, stese un
_Catalogo delle eresie_, e fatto vescovo di Brescia «città rozza, ma
avida di dottrina»[144], resistette a Valentiniano e Giustina insieme
con Benivolo, magistrato, il quale, piuttosto che cedere alle blandizie
dell'imperatore, si ritirò a vivere oscuro in riva al Benàco. A questo
Benivolo sono diretti alcuni sermoni di san Gaudenzio, che peregrinato
a Gerusalemme, in Antiochia conobbe san Giovanni Grisostomo, poi
succedette a Filastro nel vescovado di Brescia, ove colle reliquie
portate d'Oriente consacrò una chiesa col titolo di Concilio de' Santi.
Vigilio dal vicino Trento scorreva la valle dell'Adige e il Veronese,
predicando, battezzando, ergendo chiese, abbattendo idoli: perocchè
nelle vallate alpine conservavasi il culto di Saturno, e nella trentina
di Non (Anaunia) circuivansi processionalmente i campi, litando a
quel dio; al che non avendo voluto uniformarsi Sisinio, Martirio,
Alessandro, furono martirizzati: anche i valligiani di Rondera, ligi
all'adorazione di quell'idolo, lapidarono Vigilio[145].
Sì grandiosi uffizj incombevano ai Padri in quella Chiesa, che di
perseguitata diveniva dominatrice; ma sebbene greci e latini difendano
le stesse verità, e in tutti si senta la convinzione che lotta,
l'entusiasmo che eleva, la carità che santifica, traggono carattere
particolare dalla natura del paese, secondo che vivono in Oriente
o in Occidente. In Roma non erano mai prosperate la metafisica e la
filosofia sublime, per difetto in parte della lingua; mentre il sano
intelletto e lo spirito pratico vi campeggiarono nello svolgere ed
ordinare la legislazione. Pertanto gli apologisti latini non offrono
grande apparenza d'ingegno, conservano alcun che dell'alterezza
romana, rigidi, ostinati di non calare ad accordi coll'avversario,
nè tampoco valersi d'altre armi che le proprie; onde sdegnano gli
ornamenti dell'eloquenza, gli artifizj della logica, le reminiscenze
della letteratura ostile. La Grecia, ancora fiorente di lettere quando
il cristianesimo apparve, gli oppose più clamorosa lotta, armata di
cavilli, di seduzioni, di disprezzo; ma quando convertita gli esibì
difensori, questi conservarono le costumanze e i difetti delle scuole
dond'erano usciti, e comparivano in campo come Davide, accinti della
spada rapita al gigante.
Il nemico stesso che combattevano era differente. Roma, per cui sono
identici la religione e lo Stato, non sa apporre al cristianesimo
condanna peggiore che dichiararlo nemico del genere umano, cioè
dell'Impero; il genio suo legale decreta, uccide, non discute; e gli
apologisti, opponendo rigore a rigore, s'accontentano spiegare il
dogma ed appellarsi alla lettera scritta. I Greci, perdute le avite
istituzioni, naturali alla disputa e alle sottigliezze, retori e
sofisti ingordi di quistioni nuove, guardano i Cristiani come novatori
pazzi o pericolosi, che ripudiando la tradizione, precipitano la
coscienza umana nell'incertezza. Mentre dunque i magistrati a Roma
uccidevano, i dotti di Grecia esaminavano, discutevano, sicchè gli
apologisti erano obbligati scendere a minuzie, accettare l'objezione
arguta, snodare il sottile paradosso, il sillogismo capzioso; e
sentendo tutta la potenza della libera parola, invocavano solo che la
forza non intervenisse nella discussione della verità.
Gli uni e gli altri aprono la nuova società, posati tuttavia sul
terreno dell'antica; convincono l'uomo che, senza quel lume del lume,
egli ignora le verità più necessarie alla sua condotta, più care al
suo cuore, più dolci alle sue speranze; e invocano la libertà delle
coscienze, non più per il solo senato, nè per una città od una gente,
ma per l'universo. Vinti che ebbero i nemici esterni, dovettero lottare
contro le discordie intestine, cioè coloro che, al modo del serpente
antico, adopravano la parola di Dio per diffondere l'errore, o per
restringere a concetti particolari le verità generalissime che la
Chiesa annunziava.
Nelle scuole vengono a fronte l'antico Oriente, l'antico Occidente
e il cristianesimo, il quale, estendendosi su tutti gli uomini e
tutti gl'interessi, era naturale che trovasse molte ed interessate
contraddizioni. I Neoplatonici vogliono elevarsi a Dio non mediante la
fede, ma mediante la dottrina. Sêtte giudaizzanti, sêtte giudaiche,
sêtte orientali assenzienti od avverse agli Ebrei, sêtte cristiane
propense o nemiche all'ascetismo, docili o reluttanti all'asiatica
teosofia, cominciano la più splendida gara d'ingegno che il mondo
avesse mai veduta, fra la teologia antica e la nuova, fra la mitologia
poetica e la religione morale, fra la vetustà che tramonta e il nuovo
tempo che s'apre. Onde alla dottrina evangelica incontrò come a tutte
le novità; prima tacciata di sogno e di follia, dappoi se ne confessa
la sublimità, ma appuntandola di plagio, quasi ogni sua verità fosse
dedotta dall'Egitto, dall'India, dall'Accademia; infine se ne adottano
i concetti, mentre tuttavia si persiste ad oppugnarla. Ma su quella
bilancia ha perduto ogni peso la spada; e l'autorità dei cesari,
nell'apogeo della sua forza, non entra per nulla a determinare la
credenza; tanto efficace sonò la parola che distingueva i diritti della
spada da quelli del pensiero.
Fra le eresie fu clamorosissima quella di Nestorio, il quale negava
l'incarnazione di Dio, distinguendo in Cristo la persona divina
dall'umana, e ripudiando perciò la divina maternità di Maria:
condannata nel concilio di Efeso (431), quarto ecumenico,
venne per ricolpo a dare estensione al culto della Vergine, il quale
contribuì non poco a svellere i resti del paganesimo, convertendo
alla Madre dell'amore e alla donna dei dolori i tempj pagani. Non più
sulla natura di Dio ma su quella dell'uomo sofisticarono i Pelagiani,
cercando perchè tanti mali si patiscano sotto un Dio buono, come
la prescienza divina si combini coll'umana libertà, e la Grazia
coll'attività morale dell'uomo. I Manichei lo spiegavano in modo
vulgare, supponendo un Dio buono e un malvagio; e da quella provincia
romana dell'Africa, dove si svolsero le più vigorose intelligenze
cristiane, dove si elaborarono i principj fondamentali della cristiana
filosofia, sorse il più vigoroso combattitore, sant'Agostino, del quale
parleremo fra poco. Eutichiani, Monofisiti, Monoteliti, colle varie
gradazioni di loro eresie concernenti la natura o la volontà di Dio e
del suo Verbo, agitarono piuttosto l'Oriente.
Perocchè la divisione ch'erasi fatta nell'Impero, estendevasi pure alle
chiese, e cominciata dalla fabbricazione di Costantinopoli, dura fino
ad oggi, avendo ciascuna, anche prima di scindere la essenziale unità,
conservato un'impronta e una pendenza particolare; speculativo il genio
bisantino, pratico il genio romano. Allorchè la Chiesa greca si radunò
nel concilio di Nicea, fu per chiarire la relazione delle tre persone
divine, e settanta opinioni agitavano il clero abissino sopra l'unione
delle due nature in Cristo: la latina non ebbe trattati dogmatici prima
di Agostino, nè prima di Gregorio Magno alcun metafisico sedette sul
trono papale. In Oriente si disputa sulla essenza della natura divina,
mentre quasi ignote vi sono le quistioni sulla libertà umana e sulla
Grazia: al contrario, da noi si ragiona sopra gli atti umani.
I rigori della vita monastica erano cominciati in Oriente; e i
deserti della Siria e della Tebaide si popolarono d'anacoreti, che
nella solitudine attendevano ad operare la salute delle proprie
anime, staccati dalle cose terrene, come Antonio[146], Pacomio,
Ilarione. Non tardarono i monaci a propagarsi nel nostro paese, forse
allorchè sant'Atanasio scorreva l'Italia per combattere l'arianismo:
ma ben presto si raccolsero in compagnie, sotto regole dettate da
sant'Agostino, poi da san Benedetto; e furono piuttosto missionarj
di Barbari, dissodatori di terreni, assistenti di infermi; nè le Alpi
e gli Appennini videro strazj e macerazioni quali i torrenti petrosi
dell'Egitto e le bollenti arene della Libia; e invece di quegli stiliti
che colà passavano l'intera vita su di una colonna, da noi si vide
l'attività efficace di sant'Ambrogio, di Leon Magno.
La Chiesa greca restò corrotta dalla propria immobilità, non
progredendo in mezzo a tanto sapere, non raffinando l'arte in
mezzo a tanto cerimoniale, anzi vedendo sorgere gli Iconoclasti,
poi retrocedendo collo scisma. Nella latina invece il buon senso
filosofico e pratico si piegò al progresso, si modificò a seconda
dei tempi e nello svolgersi dell'attività; man mano che la società
secolare diveniva impotente, l'ecclesiastica vi si surrogava; i riti
pagani come i tempj conservava, trasformandoli e traendoli a superiore
intelligenza; le terre cambiavano i nomi per assumer quello d'un santo.
La differenza fra le due Chiese fu rivelata maggiormente
dall'ordinamento esterno. L'impero Occidentale sfasciavasi quando
appunto ingrandivano i pontefici; e in questi si concentrava
l'autorità, che lasciavansi cadere di mano i magistrati civili.
Avrebbero essi dovuto allegare l'incompetenza, per non esporsi al
rimprovero d'usurpazione, dato molti secoli dopo da una filosofia non
solo estranea a quei pericoli, ma incapace o risoluta a non intenderli?
doveano lasciare che la società andasse a fascio, anzichè togliere a
dirigerla, come ognuno deve fare ne' frangenti?
Il patriarca di Costantinopoli scapitava per la presenza
dell'imperatore; nè era meglio che una delle ruote d'un sistema civile,
regolare, protetto dalla gerarchia e dall'esercito. In Italia invece
vedremo ben presto gl'imperatori fuggire da Roma, sicchè il papa,
dolente sì, ma non vergognoso delle pubbliche sventure, mantenevasi
colla fronte alta, come scevro dalle colpe imperiali; quando ogn'altra
autorità perdea vigore, egli solo rimaneva cogli attributi di un'altra
sovranità, reale e permanente; e le istituzioni politiche dell'impero,
l'energia delle genti occidentali, il pericolo valeano ad assodarlo,
mentre a lui si volgeano i Barbari, ch'egli doveva convertire,
illuminare, incivilire, governare.
Il bisogno di difesa e d'azione facea stringere fra sè i monaci,
milizia poderosissima de' pontefici. Il celibato staccò l'ordine
sacerdotale dal laico, e dagli interessi e affetti terreni; sicchè
il prete si considerò superiore al laico, e perciò esigeva rispetto
e sommessione, come marchio di santità adducendo le astinenze e la
dottrina. Perfino la lingua comune e la pace universale, che parvero
sin oggi utopie benevole, vennero dalla società cristiana attuate per
quanto è possibile col parlar latino e coi concilj.
Così, mediante il cristianesimo, dentro periva il despotismo, cioè il
potere separato dal dovere, l'autorità che crede aver sopra gli uomini
ogni diritto, fin quello negatogli dalla legge naturale e divina; fuori
periva la nazionalità esclusiva, tutto dirigendo all'affratellamento.
Nè però la Chiesa aboliva l'individualità degli uomini o de' popoli,
anzi la nobilitava; solo alla nazionale esclusività contrapponeva
il concetto d'universalità, dovendosi rispetto anche ai minimi, non
perchè greci o romani od ebrei, ma perchè uomini e cristiani, perchè
non fattura capricciosa di varj numi, ma libera creazione del Padre
nostro[147]. Le verità, tramandate parte in iscritto, parte a voce,
riceveano non solo spiegazione ma autenticità dalla Chiesa, che n'è
la depositaria e la garante, e ogniqualvolta ne vede intaccata una, la
chiarisce e svolge viemeglio; e poichè non c'è verità astratta che non
operi sulla morale, stabilendo quelle purifica questa.
Tale fu il còmpito de' santi Padri. Malgrado che le condizioni della
società d'allora e i sopravenuti infortunj tardassero i frutti, pure
non v'è per avventura miglioramento alcuno de' tempi più civili, che
almeno in germe non si trovi in essi. Succeduti agli apostoli ed ai
martiri per propugnare col sapere e colla parola le credenze nuove,
sorte col popolo e fra il popolo rampollate, essi rompono il perpetuo
circolo dell'imitazione fra cui era incantata la profana letteratura,
e formano il secolo d'oro della cristiana: e noi potemmo studiarvi
molte particolarità della storia de' popoli, e il lento ma incessante
maturarsi della più vasta rivoluzione, e gli ostacoli attraversatile
dalla scienza appoggiata sulle antiche osservanze, sinchè fu chiamata a
sostenere con reintegrato vigore le nuove.
Le dispute che essi agitarono, oggi sono dimenticate: ma essi
combatterono perchè noi, vulgo senza diritti nè forza nè divinità,
potessimo cessare d'essere schiavi negli ergastoli, o pasto ai leoni
per divertimento del popolo re, e le nostre anime trastullo ai sofismi
dei filosofi, alla prepotenza dei dominatori, alla lascivia de' ricchi;
combatterono, perchè noi plebe potessimo sentire l'eguaglianza nostra e
proclamarla in diritto, sinchè il tempo non la consacri nel fatto.
CAPITOLO LI.
La coltura pagana digrada, si amplia la cristiana.
Quella dei santi Padri era letteratura vitale, nuova, dell'avvenire;
ma la scolastica, di forme ricalcate sui modelli classici, neppur un
grande scrittore produsse dopo Costantino. Dall'Africa fu chiamato
a Roma e a Milano sant'Agostino per insegnare eloquenza; dalle
Gallie un retore per tessere il panegirico a Teodosio; le vennero
d'Egitto Macrobio e il migliore poeta Claudiano, da Siria il retore
migliore Icherio, d'Antiochia il migliore storico Ammiano Marcellino;
e ricordiamoci che in gran carezza di viveri, essendo rinviati i
forestieri da Roma, i pochi letterati dovettero andarsene, conservando
invece tremila ballerine, altrettante cantatrici, e loro maestri e cori
e turba seguace.
Scuole però non mancavano, e san Girolamo vi si esercitava fanciullo
a declamare, e con finti litigi addestravasi ai veri; nei tribunali,
udiva eloquenti oratori disputare fino a svillaneggiarsi e
mordersi[148]. Valentiniano e Graziano istituirono scuole di retorica
e grammatica greca e latina nella metropoli di ciascuna provincia; e
coloro che venivano a studio in Roma, dovevano portare dalla patria
attestazioni dell'esser loro, poi arrivando notificare dove abitassero,
a che studj intendessero, non bazzicare male compagnie e spettacoli,
se no cacciati a verghe[149]. I maestri di grammatica non insegnavano
meramente gli elementi della lingua, sibbene tutte le scienze
filologiche[150]: che in conto maggiore fossero quei di retorica,
appare dal doppio delle razioni a loro assegnate[151]: passavano di
città in città al fiuto de' migliori stipendj, trafficando di versi,
complimenti, panegirici, dispute, senza curarsi dell'impero che cadeva
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