Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 09
stesso per supremo ricorso, costituiscono l'alto organamento
giudiziario: l'inferiore i magistrati locali di ciascuna città con
giurisdizione limitata: alcuni agenti speciali per le cause fiscali:
una distinta giurisdizione militare, e la ecclesiastica de' vescovi.
Più non sono separati lo _jus_ dal _judicium_; più non si sceglie il
giudice, e si redige la formola a ciascuna causa. L'attore cita il
reo davanti l'autorità competente, mediante un atto; il magistrato
gliene fa l'intimazione per mezzo d'un usciere, giudica la causa e
nel fatto e nel diritto. Questa procedura, in origine introdotta come
straordinaria, allora divenne generale.
Finchè i giudizj emanavano direttamente dal popolo, ovvero dal
pretore eletto da esso, non rimaneva luogo ad appello, sovrana essendo
quell'autorità. Commessi a magistrati eletti senza concorso di questa
e subordinati, era naturale che ne venisse quella graduazione, per cui
i giudizj dell'uno erano riveduti dal superiore, e infin dall'augusto.
La cooperazione dei giudici ne spiega in qual modo nell'immensa Roma
due pretori potessero risolvere i dissidj di cittadini e forestieri:
ma aboliti quelli, come bastare? Già, durante la repubblica, i pretori
teneansi allato dei giureconsulti per consiglio; poi gl'imperatori
ne assunsero un collegio (_consistorium_), che decidesse i punti di
diritto portatigli in ultima appellazione.
Essendo la salute dell'impero suprema legge, bastava che uno di questi
delatori imputasse di tradimento qualche cittadino, perchè tosto
venisse tradotto in catene a Milano, a Roma, a Costantinopoli, e quivi
giudicato con metodi estralegali, e massime colla tortura. Questa erasi
fin allora in Roma serbata agli schiavi: ma i magistrati, che nelle
provincie la trovavano già consueta, ne continuarono l'uso, e guari non
andò che l'applicarono anche a cittadini romani. Furono dunque chieste
eccezioni, e concedute a favore degli Illustri e degli Onorati, del
clero, de' soldati e casa loro, de' professori d'arti liberali, dei
magistrati municipali e loro discendenza fin al terzo grado, e degli
impuberi: le quali esenzioni venivano a confermare quell'iniquità ad
aggravio degli altri. Siccome poi i giureconsulti definirono, nei casi
di Stato, potersi trascendere il diritto, perciò in quelli la tortura
applicavasi indistintamente a rei, a complici, a testimonj.
Lo studio delle leggi restava incoraggiato come scala alle magistrature
civili. Tutte le città ragguardevoli n'aveano scuole, dove rimasti
cinque anni, i giovani cercavano ricchezza ed onori col dibattere
sopra le innumerevoli cause private, o coll'iniziarsi agli impieghi,
abbondantissimi, e nei quali il merito o l'abilità o la pieghevolezza
potevano condurre sino a divenire Illustri. Questo sciame che
strepitava pei tribunali, o strisciava alla corte, o traforavasi nelle
case private ad azzeccare litigi e trafficar di cavilli, divenne
nuova peste dell'impero, e degradò la nobile giurisprudenza fino
all'abjettezza de' mozzorecchi.
Degli antichi questori un solo rimase, non più incaricato dell'erario,
ma di comporre orazioni ed epistole a nome dell'imperatore, e
leggerle in senato. E poichè quelle presero la forza, poi anche la
forma di editti, il questore equivalse al moderno grancancelliere,
rappresentante del potere legislativo, fonte della civile
giurisprudenza. Talora sedeva a suprema giudicatura nel gabinetto
imperiale coi prefetti del pretorio e col maestro degli uffizj, o
scioglieva i dubbj dei giudici inferiori; oltrechè, per servizio
dell'imperatore e per modello uffiziale di stile, coltivava quel gergo
pomposo e barbarico che acquistava nome d'eloquenza. Come giudice
delegato proferiva egli talvolta di casi riservati all'imperatore;
talaltra consultavansi i due senati, come alle corti di giustizia.
Da un ministro del fisco (_comes rerum privatarum_) amministravasi il
tesoro particolare dell'imperatore, costituito dai patrimonj dei re e
delle repubbliche sottoposte, da quei delle varie famiglie venute al
trono, e dalle confische. Le entrate pubbliche furono maneggiate da
un Conte delle sacre largizioni, che centinaia di persone occupava in
undici uffizj per fare e riscontrare i conti. Le zecche, le miniere,
gli erarj deposti nelle diverse città dipendevano dal tesoriere,
che corrispondeva co' ventinove ricevitori provinciali, regolava il
commercio esterno, dirigeva le manifatture del lino e della lana,
esercitate da schiavi per uso della corte e dell'esercito.
La distinzione fra l'erario militare e il fisco disparve in diritto
dacchè l'imperatore potea disporre liberamente di tutte le casse:
pure si lasciarono separati l'_erario sacro_, che riceveva le imposte
pubbliche, il _privato_ che riceveva le rendite particolari del
principe, e quello _di prefettura_ per le entrate che si destinavano
specialmente all'esercito. Le pubbliche consistevano ne' possessi
imperiali, nelle contribuzioni dirette, nelle indirette, e in frutti
eventuali, oltre i dominj del fisco: ma qui ci si affaccia la peggior
piaga de' popoli nel Basso Impero.
Ciascun patrimonio veniva esattamente descritto, con la misura dei
terreni, il numero degli schiavi e del bestiame, adequandone il valore
per ogni jugero sopra giuramento del proprietario: al quale l'usar
frode sarebbesi imputato come sacrilegio ed offesa maestà[69]. Censo
vizioso che ad ogni mutar di possesso sarebbe convenuto rifare; laonde
ne faceano lor pro i ricchi, vendendo gli sterili per comprar terreni
feraci: dal che richiami incessanti, e visite, e riforme.
Ad ogni jugero della stessa categoria era imposto un eguale tributo in
denari e in derrate. Ma al tempo di Costantino il tributo fondiario si
esigeva per _capi_, intitolandosi così un complesso di terreni, varj
d'estensione, ma stimati di rendita eguale, e perciò d'egual valore.
Questo valore era di mille _aurei_, lo perchè un capo dicevasi anche
_millena_; e da tale unità tassabile venne il nome di capitazione[70].
La capitazione personale colpiva i nulla aventi. Al censo venivano
proporzionate altre gravezze o straordinarie, o canoniche, o sordide, o
d'altra categoria.
Era dunque lo stesso _tributum ex censu_ dei tempi repubblicani:
ma un decreto (_indictio_) del principe determinava ogn'anno la
quantità e qualità delle imposizioni; e se al bisogno non bastasse,
imponevasi una _superindizione_: alle straordinarie occorrenze
potevano supplire fin i prefetti del pretorio, sovrintendenti alle
finanze. Il tributo ripartivasi sul luogo, vigilando il preside della
provincia, e intervenendovi i Difensori della città. Pagavasi in tre
rate, nelle mani de' ricevitori del preside; il quale ogni quattro
mesi trasmetteva al tesoriere della provincia la lista delle somme
percette, e questo al conte delle largizioni. La più parte si pagava in
denaro, anzi in oro; il resto coi generi che il terreno dava, i quali,
a spese de' provinciali, erano spediti nei pubblici magazzini, donde
si distribuivano alla Corte, all'esercito, alla plebe di Roma e di
Costantinopoli.
Che se riescono sempre malvedute le incumbenze de' finanzieri, viepiù
allora quando con sì largo arbitrio si esercitavano, e smungevasi il
popolo con sovrimposte e anticipazioni accumulate, non impedite da
verun corpo dello Stato. L'esazione sotto Galerio offriva a Lattanzio
l'immagine della guerra e della cattività: «Misurar terre, numerare
viti e alberi, registrare gli animali d'ogni razza, il nome di tutte
le persone, non distinguendo contadini da borghesi: ognuno accorreva
con figli e schiavi, e lo scudiscio faceva l'uffizio suo: per forza
di torture costringevansi i figliuoli ad attestare contro il padre,
gli schiavi contro i padroni, le donne contro i mariti: se mancassero
prove, mettevansi alla corda i padri, i padroni, i mariti, per farli
deporre contro se stessi; e quando il dolore avesse loro strappato di
bocca alcuna confessione, questa si tenea per vera, nè età o malattia
valeva di scusa: faceansi recare infermi e malati, e si fissavano gli
anni di ciascuno, aggiungendone ai fanciulli, detraendone ai vecchi;
poichè pagavasi un tanto per testa, e a denaro si comprava la libertà
del respirare... Fra ciò gli animali perivano? perivano gli uomini?
tassavasi ciò che più non esisteva, in modo che nè vivere nè morire
si potea gratuitamente: pur beati i mendichi, che restavano esenti
da tali violenze. Galerio, mostrandone pietà, li fece imbarcare,
con ordine che, quando fossero in alto, venissero gettati al mare:
egregio spediente per nettare dalla mendicità l'impero! e acciocchè,
sotto pretesto di povertà, nessuno si esimesse dal censo, far perire
un'infinità di poveretti!»
Nè meno della capitazione gravava la _collazione lustrale_, che ogni
quinto anno esigevasi dai trafficanti. — Il tempo in cui essa matura
(dicea Libanio davanti ad un imperatore), cresce il numero degli
schiavi; e dai padri vendonsi i figli, non per riporne il prezzo,
ma per darlo agli esattori». E Zosimo: — Quando torna il tempo della
collazione lustrale, allora pianti e guaj per tutta la città; vedesi
con battiture ed altri strazj tormentar chi per povertà non può
sborsare la tassa; madri vendono i figliuoli, padri menano le figlie
al postribolo per procacciarsi di che soddisfare l'esattore»[71].
Costantino proibì quelle torture, surrogandovi una cortese prigionia:
gli eredi dovevano spegnere il debito del defunto al fisco, o
abbandonare l'eredità.
I contribuenti erano inoltre tenuti a molte prestazioni personali,
come cuocere il pane, la calcina, trasportare i generi ai magazzini o
all'esercito, servire di cavalli le poste. I senatori e gli ottimati
delle provincie pagavano un tributo speciale (_follis_) sulle loro
sostanze, e una tassa qualora venissero promossi ad una carica[72]. I
donativi spontanei che davano le città a trionfanti o a benemeriti, per
lo più in corone d'oro, ben presto furono tenuti come un dovere verso
il principe quando salisse al trono, menasse moglie, avesse figliuoli,
guidasse trionfi. I senatori a quest'_oro coronario_ surrogavano
un'offerta di mille seicento libbre d'oro[73].
Sull'entrata, l'uscita, il transito, il consumo pesavano gabelle:
fors'anche pagavano le merci nel passare da una all'altra diocesi,
poichè dell'entrate di ciascuna assumevano l'appalto distinte società
di pubblicani. Era speciale dell'Italia il dazio di consumo della
vigesimaquinta e della centesima, che oggi diremmo del quattro e
dell'uno per cento. Poi si pagava su quanto si portasse in viaggio, poi
per mantenere le vie; sicchè dappertutto erano guardie e stradieri, le
cui concussioni mal potevano esser frenate dal minaccioso rigore delle
leggi.
Le arti tiranniche degli esattori ci sono legalmente attestate
dall'imperatore Valentiniano. — Appena l'esattore giunge nella
sbigottita provincia, circondato da fabbri di calunnie, inorgoglisce
dei sontuosi ossequj, chiede l'appoggio delle autorità provinciali,
talora aggiunge a sè anche le scuole, acciocchè, moltiplicato il
numero degli uomini e degli uffizj, il terrore estorca quanto piaccia
all'avidità. Comincia egli dall'addurre e svolgere terribili comandi
sopra molteplici decreti; presenta caligini di minute supputazioni,
confuse con inesplicabile oscurità, che, fra gli uomini ignari delle
tranellerie, più fanno effetto quanto meno possono intendersi. Domanda
le quietanze distrutte dal tempo, non conservate dalla semplicità e
fiducia dello sdebitato: e se perirono, coglie occasione di predare;
se vi sono, bisogna pagare acciocchè valgano: talchè presso quel
malvagio arbitro la carta perita nuoce, la conservata non giova. Da ciò
innumerevoli guaj, dura prigionia, crudele tortura e tutti i martorj
preparati dall'esattore ostinato nelle crudeltà. Il palatino, complice
de' furti, esorta; incalzano i turbolenti uscieri; sovrasta la spietata
esecuzione militare: nè questa ribalderia, usata su cittadini come su
nemici, termina per giustizia di prove o per compassione»[74].
Le passate turbolenze e i tanti usurpatori aveano chiarito come fosse
pericoloso l'unire ne' governatori delle provincie la giustizia e
l'amministrazione col comando militare; laonde Costantino li separò.
La suprema ispezione sugli eserciti fu commessa ad un maestro generale
per la fanteria, uno per la cavalleria: poi n'ebbe uno a ciascuna
delle frontiere più minacciate, sul Reno, sull'alto e basso Danubio,
sull'Eufrate: in fine diventarono otto. Sotto di essi erano disposti
trentacinque duci, distinti tutti col cingolo d'oro; a dieci era
concesso il titolo di _comiti_, ossia compagni più onorevoli; ed oltre
il soldo, ricevevano onde mantenere cennovanta servi e cencinquantotto
cavalli. Essi non doveano brigarsi dell'amministrazione civile, nè
i magistrati del loro comando: il che assicurò la quiete interna,
togliendo il despotismo militare, unico ed infelicissimo avanzo della
democrazia.
La milizia fu ridotta ad una specie di tributo, giacchè i senatori, gli
Onorati, i sacerdoti del gentilesimo, e i principali decurioni furono
obbligati somministrare un prefisso numero di soldati, o in cambio
trenta o trentasei soldi d'oro per uomo. Tale somma attesta quanto
fossero scarsi i volontarj; e malgrado le grosse paghe e i ripetuti
donativi, la milizia era aborrita tanto, che molti per sottrarsene
si mozzavano le dita; e quantunque fosse appiccinita la misura pei
coscritti, e s'ammettessero anche schiavi, pure, se vollero empiere le
file, gl'imperatori dovettero concedere terre immuni e inalienabili ai
veterani, col patto feudale che i loro figliuoli, giunti a età virile,
dessero il nome all'esercito, se no perdessero l'onore, il fondo ed
anche la vita[75].
Le ripetute severissime minaccie non rattenevano dal disertare ai
Barbari, o favorirne le correrie; nè dal soperchiare i sudditi,
mandando i cavalli a pascolo sull'altrui fondo, o mescolandosi d'affari
civili; nè induceano i veterani ad occuparsi nel mercimonio o coltivare
le terre concesse. Si dovette anche ricorrere ad ausiliarj stranieri,
arrolando Goti e Alemanni, e sollevandoli ai gradi della milizia,
donde ai civili, e perfino al consolato: lo che sempre più sviliva le
magistrature curuli.
La legione fu ridotta da seimila a mille o millecinquecento guerrieri,
separandone, come pare, la cavalleria; il che, se scemò la robustezza,
crebbe la mobilità, assomigliandola ai reggimenti nostri. Centrentadue
legioni allora componeano l'esercito romano; e sembra fra tutto si
armassero seicentoquarantacinquemila uomini, sullo spazio stesso dove
in piena quiete ora ne stanno in armi più di due milioni. Li dicono
necessarj alla pace!
La guardia del principe era fatta da tremilacinquecento domestici[76],
distribuiti in sette scuole, e comandati da due conti. Splendidamente
divisati con armi d'oro e d'argento, fra essi cernivansi due compagnie
di cavalli e fanti, detti dei _protettori_. Facevano la scolta negli
appartamenti interni; andavano nelle provincie quando abbisognasse dar
pronta e vigorosa esecuzione agli ordini imperiali; e l'esser messo fra
questi era la più elevata speranza del guerriero.
I sudditi liberi dell'impero si dividevano in tre classi: abitanti
delle due metropoli, abitanti delle città provinciali, e campagnuoli.
I primi, sebbene assoggettati alle medesime imposizioni, erano però
vantaggiati da privilegi, e dalle distribuzioni del grano, spedito per
obbligo dalle provincie, a cura d'un preside particolare (_præfectus
annonæ_).
Gli abitanti delle città provinciali cessarono d'esser divisi in
cittadini, socj e sudditi quando Caracalla, accomunata la cittadinanza,
tutti eguagliò nella soggezione all'imperatore. Allora vi troviamo
senatori, curiali o decurioni, e plebe. I senatori erano ombre
dell'ombra di senato che sopraviveva a Costantinopoli e a Roma;
quell'onorificenza di puro nome ricevendo dagl'imperatori per avere
sostenuto cariche insigni, e che infine diventò comune ai maggiori
possidenti. Poteano esser giudicati soltanto da un tribunale
particolare, non richiesti alla tortura, nè obbligati alle cariche
municipali: vantaggi che pagavano con una speciale imposizione, e
con contributi straordinarj in caso di bisogno[77]. I possessori,
fossero originarj (_municipes_) od avveniticci (_incolæ_), formavano
i decurioni o curiali; e poichè doveano spendere e denaro e tempo
nelle pubbliche cure, le leggi municipali determinavano qual facoltà
dovessero possedere. Nel II secolo, da un curiale di Como esigevansi
centomila sesterzj, cioè da diciannove a ventimila lire; nel 342,
Costanzo II obbligava alla curia d'Antiochia chi possedesse venticinque
jugeri di terreno; nel 435, Valentiniano III quei che avessero trecento
soldi d'oro, che potevano contarsi per quattromila cinquecento lire:
tant'erasi avvilita quella dignità, in prima ambita e con suntuose
largizioni procacciata. Le iscrizioni accennano anche un ordine
equestre, forse de' membri di certi collegi.
Nella plebe si riducevano i minori possidenti, artieri, mercadanti,
esclusi dall'amministrazione urbana (_jus honorum_); era distribuita in
varie maestranze; del resto faziosa, tremante o minaccevole, attenta ad
ogni occasione di saccheggi e di violenze.
Alla campagna stavano o proprietarj liberi, o coloni, o schiavi.
Di questi ultimi non faremo parola più che di animali domestici. I
coloni, di mezzo fra liberi e schiavi, erano avvinti al terreno che
coltivavano, in modo che con esso erano venduti e divisi, benchè una
legge pietosa vietasse di separare i membri della stessa famiglia[78].
Erano dunque un avviamento ad abolire la schiavitù; e mentre verun
cenno ne fanno i giurisprudenti classici, frequente si trovano
menzionati dopo Costantino. Donde provennero? chi li crede imitati da
ciò che si vedeva nelle nazioni germaniche; chi derivati dalle colonie
barbare trapiantate nell'impero: più probabilmente germogliarono
dall'antica forma dei possessi, quando Vespasiano e Tito chiamando al
fisco i beni comunali, su cui aveano diritto gli abitanti di ciascun
cantone, e Costantino applicandoli al culto cristiano, ridussero gran
parte de' possessori a miseria, ed a vendere il proprio patrimonio, o
lavorarlo a titolo di coloni[79].
Obbligati a vivere e morire sul suolo ove nasceano, trovavansi del
resto liberi di loro persona; e perciò il diritto li annovera tra
gl'ingenui, e ne fa legittime le nozze; ma insieme li chiama servi
della gleba; nè contro del padrone poteano stare in giudizio, salvo si
discutesse della propria condizione. Ad esso retribuivano in denaro
o in natura un canone impreteribile, al fisco l'imposizione; col
rimanente viveano, e risparmiando poteano comprar beni, dei quali però
l'alto dominio restava al padrone. Condizione peggiore dello schiavo
in quanto non potevano essere affrancati, non disgiunti dal suolo, nè
tampoco emanciparsi coll'entrare ecclesiastici o militari[80].
Colle traversie pubbliche ne crebbe il numero e peggiorò la condizione,
scomparendo la classe tanto utile de' liberi coltivatori e de' minuti
possidenti. Chi non potesse soffrire la perdita della libertà,
rifuggiva nelle città a nuove miserie: altri, oppressi da crudeli
padroni o dall'ingordo fisco, rompevano ad aperte ribellioni.
Questa causa s'univa alle anzidette per aumentare i terreni
abbandonati. Gl'imperatori fecero esente da tributi chi gli occupasse;
li distribuivano anche fra i possessori di buone campagne, minacciando
privarli di queste se quelli trascurassero: provvedimenti vessatorj,
che a niun bene riuscivano perchè non toccavano la radice del male.
All'uopo stesso fu introdotta l'enfiteusi, contratto pel quale,
mediante un canone statuito, assegnavasi un fondo a coltivare per
un certo tempo od in perpetuo. Prima fu praticato solo con terreni
del fisco o del municipio; dappoi anche coi privati, allorchè questi
possedettero intere provincie.
Prima di Giulio Cesare, ciascun municipio costituiva una repubblica
indipendente, associata alla romana, cui contribuiva un contingente
determinato, e ne ricevea protezione; partecipava ad alcuni impieghi,
e ne comunicava la capacità ai Romani entro le sue mura; del resto
avea leggi proprie, magistrati elettivi, libera amministrazione degli
interni affari. Intera dunque la libertà civile e la comunale; soltanto
la libertà politica era legata dal patto federale.
Ma talora il municipio o per forza o di voglia adottava le leggi
civili romane, e in tal caso entrava fra i popoli detti _fundi_.
Sotto l'impero, la condizione di fundi diviene generale, adottandosi
dappertutto il diritto civile romano come condizione della
cittadinanza, formandosi così l'unità giuridica, mentre gl'Italici non
aveano chiesto che l'accomunamento del diritto politico. Allora tutte
le colonie latine divennero municipj; ed essendo caduto in dissuetudine
il diritto di suffragio, municipio significò una città abitata da
cittadini romani, qual che ne fosse l'origine.
Tutto ciò effettuossi colla _lex julia_[81] o poco dopo: e in
conseguenza Roma non fu più soltanto una repubblica sostenuta da
repubbliche, ma la metropoli d'un grand'impero, di cui l'Italia era
la provincia principale. Ma a farla vera monarchia si opponeva il
carattere del diritto pubblico e privato di Roma, municipale per
essenza, come di quasi tutte le antiche città italiche: onde fu
mestieri riformare il modo della libertà municipale in Italia, per
armonizzarla colla politica imperiale e coll'accentrata uniformità.
Come in Roma i soli cittadini di ottimo diritto erano partecipi della
sovranità, cioè potevano render suffragio in una tribù e sostenere
le magistrature, così nelle città i decurioni. Non che in pratica,
neppure nelle filosofiche speculazioni si conosceva il sistema della
rappresentanza, che fa partecipare al governo effettivo i sudditi,
per quanto discosti. La riforma di Cesare rese possibile ad Augusto
di risparmiare ai cittadini lontani il disagio di recarsi fin a Roma
a rendere i voti, imponendo di raccoglierli ne' particolari comizj,
indi spedirli alla metropoli. Questo diritto egli limitò ai municipj,
sotto il qual nome vennero intesi non più tutti i cittadini, ma
puramente i decurioni. Il senato di questi (_ordo, curia_) insieme coi
magistrati amministrava la città; ma non che la curia fosse contrappeso
ai magistrati, unicamente da essa sceglievansi. Questi potevano
presentare i proprj successori; ma poichè ciò li rendeva garanti
dell'amministrazione del surrogato, guardavanlo come un peso, e le più
volte ne abbandonavano la scelta al governatore della provincia[82].
Prima magistratura della città erano i due o i quattro giuridici
(_duumviri, quatuorviri jure dicundo_), equivalenti ai consoli di
Roma innanzi che avessero divisa l'autorità coi pretori. Annui,
soprintendevano all'amministrazione, presedevano il senato municipale,
ed esercitavano la giurisdizione entro certi limiti, di là dai quali
le cause portavansi al magistrato. Col crescere dell'imperatoria,
scemò l'autorità dei corpi municipali; fu tenuto per concessione
graziosa quel che era diritto anteriore alla conquista; e i duumviri
scaddero fra gl'impiegati inferiori, senza più nè imperio nè potestà
nè tribunale. In fine cessarono, e alla curia e all'amministrazione
degli affari municipali presedeva il primo decurione (_principalis_)
per tutta la vita o almeno per quindici anni, senza giurisdizione
perchè non era un magistrato, ma solo il decano del collegio[83]. Così
il despotismo imperiale insinuava le forme monarchiche perfino nella
costituzione delle curie.
I Comuni dunque conservavano la sovranità municipale, ma non aveano
alcuno schermo costituzionale contro il potere assoluto.
Al vedere l'ordinamento delle curie, ov'è scritto nell'_album_ chiunque
abbia capacità e certi possessi, senza privilegi di nascita o limite di
numero; ove gli imperatori raccomandano di non sollevare al duumvirato
se non grado a grado[84], siccome al sacerdozio; ove la curia stessa
prende parte immediata agli affari della città, elegge i magistrati
suoi, convoca all'uopo tutti gli abitanti, fa decreti che spedisce
direttamente, senza che il prefetto possa altro che accompagnarli
d'informazioni, voi credereste aver sottocchi altrettante repubbliche,
democratiche affatto, la cui opposizione impedisca o turbi le violenze
de' lontani dominatori. Apparenza e null'altro.
Ogn'atto delle curie poteva essere cassato dal principe; il rettore
della provincia annullava a volontà l'elezione dei magistrati; quando
poi la centralità imperiale spense ogni pubblica vita, l'ordine de'
decurioni cadde nell'ultimo avvilimento. Perocchè nella difficoltà di
esigere le esorbitanti imposte, gl'imperatori obbligarono i decurioni
a riscuoterle, e star garanti di quelle della comunità coi beni e colla
persona propria, come pure a rispondere della propria amministrazione,
e di quella degli uffiziali dipendenti da essi. Da un debitore del
fisco erano abbandonati i campi? la curia era tenuta a pagarne i
carichi, trovasse o no a chi venderli. Erano dunque i decurioni
ridotti ad agenti gratuiti e vittime del despotismo, e coll'aumentare
de' bisogni dell'impero, la carica ne divenne insopportabile; mentre
l'assodarsi della monarchia scemava e l'autorità e la riverenza de'
municipj. Costantino e i successori suoi, esentando molti dalle cariche
municipali, le facevano pesare viepiù sui restanti, e togliendo a molte
città i lauti patrimonj per applicarli alle chiese cristiane, resero
impossibile il sostenere le spese. Aggiungete che i curiali senza figli
poteano disporre solo un quarto de' loro beni, cadendo il resto alla
curia; dal municipio non potevano allontanarsi senza permissione del
governatore della provincia; sopra di essi pesava la speciale oblazione
dell'oro: di modo che trovavansi esposti alle sempre crescenti
avidità dell'erario, alle prepotenze dei Barbari che soprarrivavano,
all'esecrazione dei cittadini, che li riguardavano come implacabili
riscossori.
Bisognò dunque ristorarli di nuovi privilegi: cadendo in miseria,
fossero nutriti a spese del municipio; se sani e salvi uscissero dal
giro di tutte le cariche municipali, se n'intendessero dispensati
per l'avvenire; fossero anche decorati col titolo di conte. Poi
s'apposero rimedj agli artifizj onde si declinava questa penosa
onorificenza; Trajano proibì di spender denaro per esimersene; ogni
figlio di decurione dovesse restar curiale; entrarvi chi acquistasse
fino a venticinque jugeri; nessuno potesse vendere il terreno che gli
conferiva quell'oneroso diritto; nessuno ottenere uffizio di corte se
prima non avesse adempito a que' carichi. Per sottrarsi, il decurione
arrolavasi all'esercito? la legge lo strappava agli stendardi; davasi
schiavo? la legge il ritornava libero per empiere la curia; gli spurj,
gli Ebrei, i nati da padre servo e donna libera, il guerriero vile, il
prete scostumato erano condannati a farsi decurioni[85]. Questi erano i
padri della patria; questi i puntelli delle municipali franchigie.
L'eccesso dei mali portato dal pervertimento delle curie fece, dopo il
365, introdurre sindaci (_defensores_), eletti dall'intera città per
tutelare i contribuenti contro le pretensioni della curia, e questa
contro gli uffiziali dell'impero[86]. Nelle cause criminali istruivano
essi il processo, nelle civili giudicavano fino all'ammontare di
trecento soldi, e da loro davasi appello ai governatori. Ne crebbe
l'importanza quando, più esigendosi dai Comuni, più bisognava a questi
concedere; e quando, oppressi i decurioni, non si poteva usufruttare
che la plebe. Stranio da prima alla curia, il Difensore finì per
diventarne capo: sinchè, cadendo a fasci l'amministrazione, il clero
s'insinuò nelle curie, e il vescovo assunse l'uffizio del Difensore.
Nella giurisdizione volontaria alcuni atti solenni dell'antico diritto,
come le _vindiciæ_ con tutte le loro applicazioni del manomettere,
adottare, emancipare, rimanevano ai magistrati del principe, nè
comunicavansi ai municipali. Altri di forma nuova furono introdotti
dagli imperatori, quando si cominciò a distendere protocolli d'ogni
cosa; e secondo lo statuto di Onorio, gli alti doveansi erigere davanti
ad un magistrato o al difensore, a tre _principali_ e ad uno scrivano
(_exceptor_); e consistevano in un dialogo fra il primario attore e il
magistrato. I testamenti sarebbero dovuti aprirsi solennemente alla
giudiziario: l'inferiore i magistrati locali di ciascuna città con
giurisdizione limitata: alcuni agenti speciali per le cause fiscali:
una distinta giurisdizione militare, e la ecclesiastica de' vescovi.
Più non sono separati lo _jus_ dal _judicium_; più non si sceglie il
giudice, e si redige la formola a ciascuna causa. L'attore cita il
reo davanti l'autorità competente, mediante un atto; il magistrato
gliene fa l'intimazione per mezzo d'un usciere, giudica la causa e
nel fatto e nel diritto. Questa procedura, in origine introdotta come
straordinaria, allora divenne generale.
Finchè i giudizj emanavano direttamente dal popolo, ovvero dal
pretore eletto da esso, non rimaneva luogo ad appello, sovrana essendo
quell'autorità. Commessi a magistrati eletti senza concorso di questa
e subordinati, era naturale che ne venisse quella graduazione, per cui
i giudizj dell'uno erano riveduti dal superiore, e infin dall'augusto.
La cooperazione dei giudici ne spiega in qual modo nell'immensa Roma
due pretori potessero risolvere i dissidj di cittadini e forestieri:
ma aboliti quelli, come bastare? Già, durante la repubblica, i pretori
teneansi allato dei giureconsulti per consiglio; poi gl'imperatori
ne assunsero un collegio (_consistorium_), che decidesse i punti di
diritto portatigli in ultima appellazione.
Essendo la salute dell'impero suprema legge, bastava che uno di questi
delatori imputasse di tradimento qualche cittadino, perchè tosto
venisse tradotto in catene a Milano, a Roma, a Costantinopoli, e quivi
giudicato con metodi estralegali, e massime colla tortura. Questa erasi
fin allora in Roma serbata agli schiavi: ma i magistrati, che nelle
provincie la trovavano già consueta, ne continuarono l'uso, e guari non
andò che l'applicarono anche a cittadini romani. Furono dunque chieste
eccezioni, e concedute a favore degli Illustri e degli Onorati, del
clero, de' soldati e casa loro, de' professori d'arti liberali, dei
magistrati municipali e loro discendenza fin al terzo grado, e degli
impuberi: le quali esenzioni venivano a confermare quell'iniquità ad
aggravio degli altri. Siccome poi i giureconsulti definirono, nei casi
di Stato, potersi trascendere il diritto, perciò in quelli la tortura
applicavasi indistintamente a rei, a complici, a testimonj.
Lo studio delle leggi restava incoraggiato come scala alle magistrature
civili. Tutte le città ragguardevoli n'aveano scuole, dove rimasti
cinque anni, i giovani cercavano ricchezza ed onori col dibattere
sopra le innumerevoli cause private, o coll'iniziarsi agli impieghi,
abbondantissimi, e nei quali il merito o l'abilità o la pieghevolezza
potevano condurre sino a divenire Illustri. Questo sciame che
strepitava pei tribunali, o strisciava alla corte, o traforavasi nelle
case private ad azzeccare litigi e trafficar di cavilli, divenne
nuova peste dell'impero, e degradò la nobile giurisprudenza fino
all'abjettezza de' mozzorecchi.
Degli antichi questori un solo rimase, non più incaricato dell'erario,
ma di comporre orazioni ed epistole a nome dell'imperatore, e
leggerle in senato. E poichè quelle presero la forza, poi anche la
forma di editti, il questore equivalse al moderno grancancelliere,
rappresentante del potere legislativo, fonte della civile
giurisprudenza. Talora sedeva a suprema giudicatura nel gabinetto
imperiale coi prefetti del pretorio e col maestro degli uffizj, o
scioglieva i dubbj dei giudici inferiori; oltrechè, per servizio
dell'imperatore e per modello uffiziale di stile, coltivava quel gergo
pomposo e barbarico che acquistava nome d'eloquenza. Come giudice
delegato proferiva egli talvolta di casi riservati all'imperatore;
talaltra consultavansi i due senati, come alle corti di giustizia.
Da un ministro del fisco (_comes rerum privatarum_) amministravasi il
tesoro particolare dell'imperatore, costituito dai patrimonj dei re e
delle repubbliche sottoposte, da quei delle varie famiglie venute al
trono, e dalle confische. Le entrate pubbliche furono maneggiate da
un Conte delle sacre largizioni, che centinaia di persone occupava in
undici uffizj per fare e riscontrare i conti. Le zecche, le miniere,
gli erarj deposti nelle diverse città dipendevano dal tesoriere,
che corrispondeva co' ventinove ricevitori provinciali, regolava il
commercio esterno, dirigeva le manifatture del lino e della lana,
esercitate da schiavi per uso della corte e dell'esercito.
La distinzione fra l'erario militare e il fisco disparve in diritto
dacchè l'imperatore potea disporre liberamente di tutte le casse:
pure si lasciarono separati l'_erario sacro_, che riceveva le imposte
pubbliche, il _privato_ che riceveva le rendite particolari del
principe, e quello _di prefettura_ per le entrate che si destinavano
specialmente all'esercito. Le pubbliche consistevano ne' possessi
imperiali, nelle contribuzioni dirette, nelle indirette, e in frutti
eventuali, oltre i dominj del fisco: ma qui ci si affaccia la peggior
piaga de' popoli nel Basso Impero.
Ciascun patrimonio veniva esattamente descritto, con la misura dei
terreni, il numero degli schiavi e del bestiame, adequandone il valore
per ogni jugero sopra giuramento del proprietario: al quale l'usar
frode sarebbesi imputato come sacrilegio ed offesa maestà[69]. Censo
vizioso che ad ogni mutar di possesso sarebbe convenuto rifare; laonde
ne faceano lor pro i ricchi, vendendo gli sterili per comprar terreni
feraci: dal che richiami incessanti, e visite, e riforme.
Ad ogni jugero della stessa categoria era imposto un eguale tributo in
denari e in derrate. Ma al tempo di Costantino il tributo fondiario si
esigeva per _capi_, intitolandosi così un complesso di terreni, varj
d'estensione, ma stimati di rendita eguale, e perciò d'egual valore.
Questo valore era di mille _aurei_, lo perchè un capo dicevasi anche
_millena_; e da tale unità tassabile venne il nome di capitazione[70].
La capitazione personale colpiva i nulla aventi. Al censo venivano
proporzionate altre gravezze o straordinarie, o canoniche, o sordide, o
d'altra categoria.
Era dunque lo stesso _tributum ex censu_ dei tempi repubblicani:
ma un decreto (_indictio_) del principe determinava ogn'anno la
quantità e qualità delle imposizioni; e se al bisogno non bastasse,
imponevasi una _superindizione_: alle straordinarie occorrenze
potevano supplire fin i prefetti del pretorio, sovrintendenti alle
finanze. Il tributo ripartivasi sul luogo, vigilando il preside della
provincia, e intervenendovi i Difensori della città. Pagavasi in tre
rate, nelle mani de' ricevitori del preside; il quale ogni quattro
mesi trasmetteva al tesoriere della provincia la lista delle somme
percette, e questo al conte delle largizioni. La più parte si pagava in
denaro, anzi in oro; il resto coi generi che il terreno dava, i quali,
a spese de' provinciali, erano spediti nei pubblici magazzini, donde
si distribuivano alla Corte, all'esercito, alla plebe di Roma e di
Costantinopoli.
Che se riescono sempre malvedute le incumbenze de' finanzieri, viepiù
allora quando con sì largo arbitrio si esercitavano, e smungevasi il
popolo con sovrimposte e anticipazioni accumulate, non impedite da
verun corpo dello Stato. L'esazione sotto Galerio offriva a Lattanzio
l'immagine della guerra e della cattività: «Misurar terre, numerare
viti e alberi, registrare gli animali d'ogni razza, il nome di tutte
le persone, non distinguendo contadini da borghesi: ognuno accorreva
con figli e schiavi, e lo scudiscio faceva l'uffizio suo: per forza
di torture costringevansi i figliuoli ad attestare contro il padre,
gli schiavi contro i padroni, le donne contro i mariti: se mancassero
prove, mettevansi alla corda i padri, i padroni, i mariti, per farli
deporre contro se stessi; e quando il dolore avesse loro strappato di
bocca alcuna confessione, questa si tenea per vera, nè età o malattia
valeva di scusa: faceansi recare infermi e malati, e si fissavano gli
anni di ciascuno, aggiungendone ai fanciulli, detraendone ai vecchi;
poichè pagavasi un tanto per testa, e a denaro si comprava la libertà
del respirare... Fra ciò gli animali perivano? perivano gli uomini?
tassavasi ciò che più non esisteva, in modo che nè vivere nè morire
si potea gratuitamente: pur beati i mendichi, che restavano esenti
da tali violenze. Galerio, mostrandone pietà, li fece imbarcare,
con ordine che, quando fossero in alto, venissero gettati al mare:
egregio spediente per nettare dalla mendicità l'impero! e acciocchè,
sotto pretesto di povertà, nessuno si esimesse dal censo, far perire
un'infinità di poveretti!»
Nè meno della capitazione gravava la _collazione lustrale_, che ogni
quinto anno esigevasi dai trafficanti. — Il tempo in cui essa matura
(dicea Libanio davanti ad un imperatore), cresce il numero degli
schiavi; e dai padri vendonsi i figli, non per riporne il prezzo,
ma per darlo agli esattori». E Zosimo: — Quando torna il tempo della
collazione lustrale, allora pianti e guaj per tutta la città; vedesi
con battiture ed altri strazj tormentar chi per povertà non può
sborsare la tassa; madri vendono i figliuoli, padri menano le figlie
al postribolo per procacciarsi di che soddisfare l'esattore»[71].
Costantino proibì quelle torture, surrogandovi una cortese prigionia:
gli eredi dovevano spegnere il debito del defunto al fisco, o
abbandonare l'eredità.
I contribuenti erano inoltre tenuti a molte prestazioni personali,
come cuocere il pane, la calcina, trasportare i generi ai magazzini o
all'esercito, servire di cavalli le poste. I senatori e gli ottimati
delle provincie pagavano un tributo speciale (_follis_) sulle loro
sostanze, e una tassa qualora venissero promossi ad una carica[72]. I
donativi spontanei che davano le città a trionfanti o a benemeriti, per
lo più in corone d'oro, ben presto furono tenuti come un dovere verso
il principe quando salisse al trono, menasse moglie, avesse figliuoli,
guidasse trionfi. I senatori a quest'_oro coronario_ surrogavano
un'offerta di mille seicento libbre d'oro[73].
Sull'entrata, l'uscita, il transito, il consumo pesavano gabelle:
fors'anche pagavano le merci nel passare da una all'altra diocesi,
poichè dell'entrate di ciascuna assumevano l'appalto distinte società
di pubblicani. Era speciale dell'Italia il dazio di consumo della
vigesimaquinta e della centesima, che oggi diremmo del quattro e
dell'uno per cento. Poi si pagava su quanto si portasse in viaggio, poi
per mantenere le vie; sicchè dappertutto erano guardie e stradieri, le
cui concussioni mal potevano esser frenate dal minaccioso rigore delle
leggi.
Le arti tiranniche degli esattori ci sono legalmente attestate
dall'imperatore Valentiniano. — Appena l'esattore giunge nella
sbigottita provincia, circondato da fabbri di calunnie, inorgoglisce
dei sontuosi ossequj, chiede l'appoggio delle autorità provinciali,
talora aggiunge a sè anche le scuole, acciocchè, moltiplicato il
numero degli uomini e degli uffizj, il terrore estorca quanto piaccia
all'avidità. Comincia egli dall'addurre e svolgere terribili comandi
sopra molteplici decreti; presenta caligini di minute supputazioni,
confuse con inesplicabile oscurità, che, fra gli uomini ignari delle
tranellerie, più fanno effetto quanto meno possono intendersi. Domanda
le quietanze distrutte dal tempo, non conservate dalla semplicità e
fiducia dello sdebitato: e se perirono, coglie occasione di predare;
se vi sono, bisogna pagare acciocchè valgano: talchè presso quel
malvagio arbitro la carta perita nuoce, la conservata non giova. Da ciò
innumerevoli guaj, dura prigionia, crudele tortura e tutti i martorj
preparati dall'esattore ostinato nelle crudeltà. Il palatino, complice
de' furti, esorta; incalzano i turbolenti uscieri; sovrasta la spietata
esecuzione militare: nè questa ribalderia, usata su cittadini come su
nemici, termina per giustizia di prove o per compassione»[74].
Le passate turbolenze e i tanti usurpatori aveano chiarito come fosse
pericoloso l'unire ne' governatori delle provincie la giustizia e
l'amministrazione col comando militare; laonde Costantino li separò.
La suprema ispezione sugli eserciti fu commessa ad un maestro generale
per la fanteria, uno per la cavalleria: poi n'ebbe uno a ciascuna
delle frontiere più minacciate, sul Reno, sull'alto e basso Danubio,
sull'Eufrate: in fine diventarono otto. Sotto di essi erano disposti
trentacinque duci, distinti tutti col cingolo d'oro; a dieci era
concesso il titolo di _comiti_, ossia compagni più onorevoli; ed oltre
il soldo, ricevevano onde mantenere cennovanta servi e cencinquantotto
cavalli. Essi non doveano brigarsi dell'amministrazione civile, nè
i magistrati del loro comando: il che assicurò la quiete interna,
togliendo il despotismo militare, unico ed infelicissimo avanzo della
democrazia.
La milizia fu ridotta ad una specie di tributo, giacchè i senatori, gli
Onorati, i sacerdoti del gentilesimo, e i principali decurioni furono
obbligati somministrare un prefisso numero di soldati, o in cambio
trenta o trentasei soldi d'oro per uomo. Tale somma attesta quanto
fossero scarsi i volontarj; e malgrado le grosse paghe e i ripetuti
donativi, la milizia era aborrita tanto, che molti per sottrarsene
si mozzavano le dita; e quantunque fosse appiccinita la misura pei
coscritti, e s'ammettessero anche schiavi, pure, se vollero empiere le
file, gl'imperatori dovettero concedere terre immuni e inalienabili ai
veterani, col patto feudale che i loro figliuoli, giunti a età virile,
dessero il nome all'esercito, se no perdessero l'onore, il fondo ed
anche la vita[75].
Le ripetute severissime minaccie non rattenevano dal disertare ai
Barbari, o favorirne le correrie; nè dal soperchiare i sudditi,
mandando i cavalli a pascolo sull'altrui fondo, o mescolandosi d'affari
civili; nè induceano i veterani ad occuparsi nel mercimonio o coltivare
le terre concesse. Si dovette anche ricorrere ad ausiliarj stranieri,
arrolando Goti e Alemanni, e sollevandoli ai gradi della milizia,
donde ai civili, e perfino al consolato: lo che sempre più sviliva le
magistrature curuli.
La legione fu ridotta da seimila a mille o millecinquecento guerrieri,
separandone, come pare, la cavalleria; il che, se scemò la robustezza,
crebbe la mobilità, assomigliandola ai reggimenti nostri. Centrentadue
legioni allora componeano l'esercito romano; e sembra fra tutto si
armassero seicentoquarantacinquemila uomini, sullo spazio stesso dove
in piena quiete ora ne stanno in armi più di due milioni. Li dicono
necessarj alla pace!
La guardia del principe era fatta da tremilacinquecento domestici[76],
distribuiti in sette scuole, e comandati da due conti. Splendidamente
divisati con armi d'oro e d'argento, fra essi cernivansi due compagnie
di cavalli e fanti, detti dei _protettori_. Facevano la scolta negli
appartamenti interni; andavano nelle provincie quando abbisognasse dar
pronta e vigorosa esecuzione agli ordini imperiali; e l'esser messo fra
questi era la più elevata speranza del guerriero.
I sudditi liberi dell'impero si dividevano in tre classi: abitanti
delle due metropoli, abitanti delle città provinciali, e campagnuoli.
I primi, sebbene assoggettati alle medesime imposizioni, erano però
vantaggiati da privilegi, e dalle distribuzioni del grano, spedito per
obbligo dalle provincie, a cura d'un preside particolare (_præfectus
annonæ_).
Gli abitanti delle città provinciali cessarono d'esser divisi in
cittadini, socj e sudditi quando Caracalla, accomunata la cittadinanza,
tutti eguagliò nella soggezione all'imperatore. Allora vi troviamo
senatori, curiali o decurioni, e plebe. I senatori erano ombre
dell'ombra di senato che sopraviveva a Costantinopoli e a Roma;
quell'onorificenza di puro nome ricevendo dagl'imperatori per avere
sostenuto cariche insigni, e che infine diventò comune ai maggiori
possidenti. Poteano esser giudicati soltanto da un tribunale
particolare, non richiesti alla tortura, nè obbligati alle cariche
municipali: vantaggi che pagavano con una speciale imposizione, e
con contributi straordinarj in caso di bisogno[77]. I possessori,
fossero originarj (_municipes_) od avveniticci (_incolæ_), formavano
i decurioni o curiali; e poichè doveano spendere e denaro e tempo
nelle pubbliche cure, le leggi municipali determinavano qual facoltà
dovessero possedere. Nel II secolo, da un curiale di Como esigevansi
centomila sesterzj, cioè da diciannove a ventimila lire; nel 342,
Costanzo II obbligava alla curia d'Antiochia chi possedesse venticinque
jugeri di terreno; nel 435, Valentiniano III quei che avessero trecento
soldi d'oro, che potevano contarsi per quattromila cinquecento lire:
tant'erasi avvilita quella dignità, in prima ambita e con suntuose
largizioni procacciata. Le iscrizioni accennano anche un ordine
equestre, forse de' membri di certi collegi.
Nella plebe si riducevano i minori possidenti, artieri, mercadanti,
esclusi dall'amministrazione urbana (_jus honorum_); era distribuita in
varie maestranze; del resto faziosa, tremante o minaccevole, attenta ad
ogni occasione di saccheggi e di violenze.
Alla campagna stavano o proprietarj liberi, o coloni, o schiavi.
Di questi ultimi non faremo parola più che di animali domestici. I
coloni, di mezzo fra liberi e schiavi, erano avvinti al terreno che
coltivavano, in modo che con esso erano venduti e divisi, benchè una
legge pietosa vietasse di separare i membri della stessa famiglia[78].
Erano dunque un avviamento ad abolire la schiavitù; e mentre verun
cenno ne fanno i giurisprudenti classici, frequente si trovano
menzionati dopo Costantino. Donde provennero? chi li crede imitati da
ciò che si vedeva nelle nazioni germaniche; chi derivati dalle colonie
barbare trapiantate nell'impero: più probabilmente germogliarono
dall'antica forma dei possessi, quando Vespasiano e Tito chiamando al
fisco i beni comunali, su cui aveano diritto gli abitanti di ciascun
cantone, e Costantino applicandoli al culto cristiano, ridussero gran
parte de' possessori a miseria, ed a vendere il proprio patrimonio, o
lavorarlo a titolo di coloni[79].
Obbligati a vivere e morire sul suolo ove nasceano, trovavansi del
resto liberi di loro persona; e perciò il diritto li annovera tra
gl'ingenui, e ne fa legittime le nozze; ma insieme li chiama servi
della gleba; nè contro del padrone poteano stare in giudizio, salvo si
discutesse della propria condizione. Ad esso retribuivano in denaro
o in natura un canone impreteribile, al fisco l'imposizione; col
rimanente viveano, e risparmiando poteano comprar beni, dei quali però
l'alto dominio restava al padrone. Condizione peggiore dello schiavo
in quanto non potevano essere affrancati, non disgiunti dal suolo, nè
tampoco emanciparsi coll'entrare ecclesiastici o militari[80].
Colle traversie pubbliche ne crebbe il numero e peggiorò la condizione,
scomparendo la classe tanto utile de' liberi coltivatori e de' minuti
possidenti. Chi non potesse soffrire la perdita della libertà,
rifuggiva nelle città a nuove miserie: altri, oppressi da crudeli
padroni o dall'ingordo fisco, rompevano ad aperte ribellioni.
Questa causa s'univa alle anzidette per aumentare i terreni
abbandonati. Gl'imperatori fecero esente da tributi chi gli occupasse;
li distribuivano anche fra i possessori di buone campagne, minacciando
privarli di queste se quelli trascurassero: provvedimenti vessatorj,
che a niun bene riuscivano perchè non toccavano la radice del male.
All'uopo stesso fu introdotta l'enfiteusi, contratto pel quale,
mediante un canone statuito, assegnavasi un fondo a coltivare per
un certo tempo od in perpetuo. Prima fu praticato solo con terreni
del fisco o del municipio; dappoi anche coi privati, allorchè questi
possedettero intere provincie.
Prima di Giulio Cesare, ciascun municipio costituiva una repubblica
indipendente, associata alla romana, cui contribuiva un contingente
determinato, e ne ricevea protezione; partecipava ad alcuni impieghi,
e ne comunicava la capacità ai Romani entro le sue mura; del resto
avea leggi proprie, magistrati elettivi, libera amministrazione degli
interni affari. Intera dunque la libertà civile e la comunale; soltanto
la libertà politica era legata dal patto federale.
Ma talora il municipio o per forza o di voglia adottava le leggi
civili romane, e in tal caso entrava fra i popoli detti _fundi_.
Sotto l'impero, la condizione di fundi diviene generale, adottandosi
dappertutto il diritto civile romano come condizione della
cittadinanza, formandosi così l'unità giuridica, mentre gl'Italici non
aveano chiesto che l'accomunamento del diritto politico. Allora tutte
le colonie latine divennero municipj; ed essendo caduto in dissuetudine
il diritto di suffragio, municipio significò una città abitata da
cittadini romani, qual che ne fosse l'origine.
Tutto ciò effettuossi colla _lex julia_[81] o poco dopo: e in
conseguenza Roma non fu più soltanto una repubblica sostenuta da
repubbliche, ma la metropoli d'un grand'impero, di cui l'Italia era
la provincia principale. Ma a farla vera monarchia si opponeva il
carattere del diritto pubblico e privato di Roma, municipale per
essenza, come di quasi tutte le antiche città italiche: onde fu
mestieri riformare il modo della libertà municipale in Italia, per
armonizzarla colla politica imperiale e coll'accentrata uniformità.
Come in Roma i soli cittadini di ottimo diritto erano partecipi della
sovranità, cioè potevano render suffragio in una tribù e sostenere
le magistrature, così nelle città i decurioni. Non che in pratica,
neppure nelle filosofiche speculazioni si conosceva il sistema della
rappresentanza, che fa partecipare al governo effettivo i sudditi,
per quanto discosti. La riforma di Cesare rese possibile ad Augusto
di risparmiare ai cittadini lontani il disagio di recarsi fin a Roma
a rendere i voti, imponendo di raccoglierli ne' particolari comizj,
indi spedirli alla metropoli. Questo diritto egli limitò ai municipj,
sotto il qual nome vennero intesi non più tutti i cittadini, ma
puramente i decurioni. Il senato di questi (_ordo, curia_) insieme coi
magistrati amministrava la città; ma non che la curia fosse contrappeso
ai magistrati, unicamente da essa sceglievansi. Questi potevano
presentare i proprj successori; ma poichè ciò li rendeva garanti
dell'amministrazione del surrogato, guardavanlo come un peso, e le più
volte ne abbandonavano la scelta al governatore della provincia[82].
Prima magistratura della città erano i due o i quattro giuridici
(_duumviri, quatuorviri jure dicundo_), equivalenti ai consoli di
Roma innanzi che avessero divisa l'autorità coi pretori. Annui,
soprintendevano all'amministrazione, presedevano il senato municipale,
ed esercitavano la giurisdizione entro certi limiti, di là dai quali
le cause portavansi al magistrato. Col crescere dell'imperatoria,
scemò l'autorità dei corpi municipali; fu tenuto per concessione
graziosa quel che era diritto anteriore alla conquista; e i duumviri
scaddero fra gl'impiegati inferiori, senza più nè imperio nè potestà
nè tribunale. In fine cessarono, e alla curia e all'amministrazione
degli affari municipali presedeva il primo decurione (_principalis_)
per tutta la vita o almeno per quindici anni, senza giurisdizione
perchè non era un magistrato, ma solo il decano del collegio[83]. Così
il despotismo imperiale insinuava le forme monarchiche perfino nella
costituzione delle curie.
I Comuni dunque conservavano la sovranità municipale, ma non aveano
alcuno schermo costituzionale contro il potere assoluto.
Al vedere l'ordinamento delle curie, ov'è scritto nell'_album_ chiunque
abbia capacità e certi possessi, senza privilegi di nascita o limite di
numero; ove gli imperatori raccomandano di non sollevare al duumvirato
se non grado a grado[84], siccome al sacerdozio; ove la curia stessa
prende parte immediata agli affari della città, elegge i magistrati
suoi, convoca all'uopo tutti gli abitanti, fa decreti che spedisce
direttamente, senza che il prefetto possa altro che accompagnarli
d'informazioni, voi credereste aver sottocchi altrettante repubbliche,
democratiche affatto, la cui opposizione impedisca o turbi le violenze
de' lontani dominatori. Apparenza e null'altro.
Ogn'atto delle curie poteva essere cassato dal principe; il rettore
della provincia annullava a volontà l'elezione dei magistrati; quando
poi la centralità imperiale spense ogni pubblica vita, l'ordine de'
decurioni cadde nell'ultimo avvilimento. Perocchè nella difficoltà di
esigere le esorbitanti imposte, gl'imperatori obbligarono i decurioni
a riscuoterle, e star garanti di quelle della comunità coi beni e colla
persona propria, come pure a rispondere della propria amministrazione,
e di quella degli uffiziali dipendenti da essi. Da un debitore del
fisco erano abbandonati i campi? la curia era tenuta a pagarne i
carichi, trovasse o no a chi venderli. Erano dunque i decurioni
ridotti ad agenti gratuiti e vittime del despotismo, e coll'aumentare
de' bisogni dell'impero, la carica ne divenne insopportabile; mentre
l'assodarsi della monarchia scemava e l'autorità e la riverenza de'
municipj. Costantino e i successori suoi, esentando molti dalle cariche
municipali, le facevano pesare viepiù sui restanti, e togliendo a molte
città i lauti patrimonj per applicarli alle chiese cristiane, resero
impossibile il sostenere le spese. Aggiungete che i curiali senza figli
poteano disporre solo un quarto de' loro beni, cadendo il resto alla
curia; dal municipio non potevano allontanarsi senza permissione del
governatore della provincia; sopra di essi pesava la speciale oblazione
dell'oro: di modo che trovavansi esposti alle sempre crescenti
avidità dell'erario, alle prepotenze dei Barbari che soprarrivavano,
all'esecrazione dei cittadini, che li riguardavano come implacabili
riscossori.
Bisognò dunque ristorarli di nuovi privilegi: cadendo in miseria,
fossero nutriti a spese del municipio; se sani e salvi uscissero dal
giro di tutte le cariche municipali, se n'intendessero dispensati
per l'avvenire; fossero anche decorati col titolo di conte. Poi
s'apposero rimedj agli artifizj onde si declinava questa penosa
onorificenza; Trajano proibì di spender denaro per esimersene; ogni
figlio di decurione dovesse restar curiale; entrarvi chi acquistasse
fino a venticinque jugeri; nessuno potesse vendere il terreno che gli
conferiva quell'oneroso diritto; nessuno ottenere uffizio di corte se
prima non avesse adempito a que' carichi. Per sottrarsi, il decurione
arrolavasi all'esercito? la legge lo strappava agli stendardi; davasi
schiavo? la legge il ritornava libero per empiere la curia; gli spurj,
gli Ebrei, i nati da padre servo e donna libera, il guerriero vile, il
prete scostumato erano condannati a farsi decurioni[85]. Questi erano i
padri della patria; questi i puntelli delle municipali franchigie.
L'eccesso dei mali portato dal pervertimento delle curie fece, dopo il
365, introdurre sindaci (_defensores_), eletti dall'intera città per
tutelare i contribuenti contro le pretensioni della curia, e questa
contro gli uffiziali dell'impero[86]. Nelle cause criminali istruivano
essi il processo, nelle civili giudicavano fino all'ammontare di
trecento soldi, e da loro davasi appello ai governatori. Ne crebbe
l'importanza quando, più esigendosi dai Comuni, più bisognava a questi
concedere; e quando, oppressi i decurioni, non si poteva usufruttare
che la plebe. Stranio da prima alla curia, il Difensore finì per
diventarne capo: sinchè, cadendo a fasci l'amministrazione, il clero
s'insinuò nelle curie, e il vescovo assunse l'uffizio del Difensore.
Nella giurisdizione volontaria alcuni atti solenni dell'antico diritto,
come le _vindiciæ_ con tutte le loro applicazioni del manomettere,
adottare, emancipare, rimanevano ai magistrati del principe, nè
comunicavansi ai municipali. Altri di forma nuova furono introdotti
dagli imperatori, quando si cominciò a distendere protocolli d'ogni
cosa; e secondo lo statuto di Onorio, gli alti doveansi erigere davanti
ad un magistrato o al difensore, a tre _principali_ e ad uno scrivano
(_exceptor_); e consistevano in un dialogo fra il primario attore e il
magistrato. I testamenti sarebbero dovuti aprirsi solennemente alla
- Parts
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 01
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 02
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 03
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 04
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 05
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 06
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 07
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 08
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 09
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 10
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 11
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 12
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 13
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 14
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 15
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 16
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 17
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 18
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 19
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 20
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 21
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 22
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 23
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 24
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 25
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 26
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 27
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 28
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 29
- Storia degli Italiani, vol. 04 (di 15) - 30