Storia degli Italiani, vol. 03 (di 15) - 29
Iscrizioni varie, e passi di scrittori e del Codice provarono che
siffatta liberalità venne usata da altri imperatori. Su di che vedasi
ERNESTO DESJARDINS, _De Tabulis alimentariis disputatio historica_.
Parigi 1854.
[219] _Jam hoc pulchrum et antiquum, senatum nocte dirimi, triduo
vocari, triduo contineri_.
[220] Quel di Dione, fatto da Sifilino. Neppure accenno gl'informi
frammenti di Aurelio Vittore e d'Eutropio. Il panegirico è di Plinio
Cecilio.
[221] EUTROPIO, VIII. 5. Più tardi corse un'opinione bizzarra; che papa
Gregorio Magno avesse a preghiere ottenuto la liberazione di Trajano
dall'inferno, ove stava da quattro secoli. Il primo a scriverla, ch'io
sappia, fu Giovanni di Salisbury (_Polycr._ V. 8): _Virtutes ejus
legitur commendasse ss. papa Gregorius, et fusis pro eo lacrymis,
inferorum compescuisse incendia... donec ei revelatione nuntiatum
sit, Trajanum a pœnis inferni liberatum, sub ea tamen conditione, ne
ulterius pro aliquo infideli Deum sollicitare præsumeret_. San Tommaso
si vale di questa tradizione, e Dante (_Purg._, X. 73) accenna
l'alta gloria
Del roman prence, lo cui gran valore
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria.
[222] SPARZIANO, in _Adriano_, negli _Scriptor. Hist. Augustæ._ Ciò
praticavasi già con Omero, poi in questi tempi con Virgilio. Narra
Giulio Capitolino, che, interrogando Clodio Albino a questo modo
l'_Eneide_, gli occorse quel del libro VI:
_Hic rem romanam, magno turbante tumultu,_
_Sistet equus, sternet Pœnos, Gallumque rebellem._
Alessandro Severo al modo stesso trovò:
_Te manet imperium cœli, terræque, marisque;_
e pensando applicarsi alle arti liberali, ebbe questa risposta:
_Excudent alii spirantia mollius æra..._
_Tu regere imperio populos, Romane, memento._
Vedi LAMPRIDIO in _Alex. Severo_. Non cadde questa superstizione
col paganesimo. Sant'Agostino (_Ep_. 55 _ad Januar_.) la nota e la
condanna; e così il concilio d'Agda col nome di _sorti dei Santi_:
e Gregorio di Tours (_Hist. Franc._, IV. 6) scrive: _Positis
clerici tribus libris super altare, idest Prophetiæ, Apostoli atque
Evangeliorum, oraverunt ad Dominum ut Christiano quid eveniret
ostenderet. Aperto igitur omnium Prophetarum libro, reperiunt:
— Auferam maceriam ejus_». E nel lib. V. 49: _Mœstus turbatusque
ingressus oratorium, davidici carminis sumo librum, in quo ita repertum
est: — Eduxit eos in spe, et non timuerunt_».
[223] Nel 1664 a Upsal si stampò un _Trattato dell'arte della guerra_,
presumendo fosse quel di Adriano, pubblicato dal console Maurizio, ma
è composizione d'assai posteriore. È pure suppositizio il dialogo suo
con Epitteto, pubblicato dal Froben nel 1551, ove propone varj quesiti
che il migliore filosofo del suo secolo scioglie, e in cui, tra massime
false, ridicole e triviali, ne occorrono di eccellenti. — Che cosa è
la pace? Una libertà tranquilla. — Che cosa la libertà? Innocenza e
virtù».
[224] SPARZIANO nella vita di lui.
[225] Pure costui non ischivò l'odio di Adriano, onde diceva: — Mi
maraviglio di tre cose: che, nato Gallo, io parli greco; che essendo
eunuco, io sia chiamato giudice d'adulterj; che odiato dall'imperatore,
io viva».
[226] Τοσοῦτον δὲ δύνανται οἴ ἄρχοντης πρὸς τῆς ἀληθείας δόξαν
τιμῶντες, ὄσον καὶ λησταὶ ἐν ἐρημεία. I. 12.
[227] LAMPRIDIO in _Alex. Severo_.
[228] Originariamente costui chiamavasi Catilio Severo. D'illustre
famiglia romana, fu educato sotto gli occhi di Lucio Annio Aurelio
Vero, suo avo materno, che lo adottò e nominò Marco Elio Aurelio Vero.
[229] Vedi EUSEBIO, IV. 13. 16. Capitolino diresse a Diocleziano una
vita di lui, ma confusa. I libri di Dione Cassio ad esso relativi si
desiderano.
[230] Fra le altre cose gli diceva: _Nonnunquam ego te coram
paucissimis ac familiarissimis meis gravioribus verbis absentem
insectatus sum... cum tristior quam par erat in cœtu hominum
progrederer, vel cum in theatro tu libros, vel in convivio lectitabas;
nec ego, dum tu theatris, nec dum conviviis, abstinebam. Tum igitur
ego te durum et intempestivum hominem, odiosum etiam nonnunquam, ira
percitus, appellabam._ Lib. VI. 12.
[231] Servano per saggio tre viglietti, che, come i passi superiori,
scegliamo da M. CORNELII FRONTONIS ET M. AURELII IMPERATORIS
EPISTOLÆ... FRAGMENTA FRONTONIS ET SCRIPTA GRAMMATICA; curante A.
MAJO. Roma 1823. — _Magistro meo. Ego dies istos tales transegi. Soror
dolore muliebrium partium ita correpta est repente, ut faciem horrendam
viderim; mater autem mea in ea trepidatione imprudens angulo parietis
costam inflixit; eo ictu graviter et se et nos adfecit. Ipse, cum
cubitum irem, scorpionem in lecto offendi; occupavi tamen eum occidere
priusquam supra accubarem. Tu si rectius vales, est solacium. Mater
jam levior est, deis volentibus. Vale, mi optime, dulcissime magister.
Domina mea te salutat._
Frontone risponde: _Domino meo. Modo mihi Victorinus indicat dominam
tuam magis valuisse quam heri. Gratia leviora omnia nuntiabat. Ego
te idcirco non vidi, quod ex gravedine sum imbecillus. Cras tamen
mane domum ad te veniam. Eadem, si tempestivum erit, etiam dominam
visitabo._
Marc'Aurelio replica: _Magistro meo. Caluit et hodie Faustina; et
quidem id ego magis hodie videor deprehendisse. Sed, Deis juvantibus,
æquiorem animum mihi facit ipsa, quod se tam obtemperanter nobis
accommodat. Tu, si potuisses, scilicet venisses. Quod jam potes et
quod venturum promittis, delector, mi magister. Vale, mi jucundissime
magister._
[232] Frontone fa un elogio affatto retorico di Lucio Vero, attribuendo
tutta a merito di lui la riforma delle indisciplinatissime truppe
di Siria: e lo paragona a Trajano, dandogliene sempre la preferenza.
_Principia historiæ_. Si hanno pure le lettere che Vero gli dirigeva,
raccomandandogli di esaltare le sue imprese e la gravezza del pericolo,
e la nullità degli altri capitani, ecc. E il buon maestro, abbagliato
dalle cortesie d'uno scolaro imperiale, non rifina di ammirarne le
azioni, ma soprattutto la portentosa eloquenza spiegata negli ordini
del giorno e nei bullettini inviati al senato.
[233] Dione dice, οὐκ ἀθεεὶ: e νίκῆ παράδοξος εὐτυχήθη, μᾶλλον δέ παρὰ
θεοῦ ἐδωρήθη. E Claudiano:
_Laus ibi nulla ducum..._
_Tum, contenta polo, mortalis nescia teli_
_Pugna fuit._
De VI consulatu Honorii, v. 340.
[234] FILOSTRATO, _Vite dei Sofisti_.
[235] Εἰς έαυτὸν, libri dodici.
[236] Ch'egli però si dilettasse in questi studj, continua prova ne
danno le sue lettere a Frontone, scoperto dal Maj. In una gli dice:
_Mitte mihi aliquid, quod tibi disertissimum videatur, quod legam, vel
tuum, vel Catonis, vel Ciceronis, aut Sallustii, aut Gracchi, aut poetæ
alicujus,_ χρήζω γὰρ ἀναπαύλης, _et maxime hoc genus; quae me lectio
extollat et diffundat_ ἐκ τῶν κατειληφυιῶν φροντιδίων. _Etiam si qua
Lucretii aut Ennii excerpta habes,_ εὔφωνα καὶ ... φρα, _et sicubi_
ὴθους, ἐμφὰσεις.
Il cardinale Barberini tradusse gli scritti di Marc'Aurelio,
dedicandone la traduzione all'anima propria «per renderla più rossa che
la sua porpora allo spettacolo delle virtù di questo Gentile».
[237] _Regiones ultra fines imperii dubiæ libertatis_. SENECA.
[238] Cicerone (_pro Roscio_, 7) parla di cinquantasei miglia fatte
in dieci ore di notte con legni di posta, cisiis. Cesare faceva cento
miglia in un giorno: SVETONIO, 57. Plinio (_Nat. hist._, VII. 20)
numera sette giornate di navigazione da Ostia alle Colonne d'Ercole;
dieci ad Alessandria.
[239] Vedi CICERONE, _Pro domo sua_, 28. Floro, nella prefazione, dice
che la storia di Roma non è quella d'un popolo, ma del genere umano.
Cicerone loda Pompeo che le sue imprese non hanno altri limiti che
quelli del sole. Livio (XXXVIII. 45, 54) fa dire agli ambasciadori
in senato, che ormai Roma non ha a combattere mortali, ma a tutelare
l'uman genere, e, come gli Dei, vigilare al suo riposo. Ovidio canta
ne' _Fasti_, II. 684:
_Romanæ spatium est urbis et orbis idem._
L'autore dei versi inseriti nel _Satyricon_ di Petronio, cap. 119:
_Orbem jam totum victor Romanus habebat_
_Qua mare, qua tellus, qua sidus currit utrumque._
E Plinio, XXVII. 1: _Una cunctarum gentium in toto orbe patria_.
[240]
_Quæ tam seposita est, quæ gens tam barbara, Cæsar,_
_Ex qua spectator non sit in urbe tua?_
_Venit ab orphæo cultor rhodopeius Hæmo,_
_Venit et epoto Sarmata pastus equo;_
_Et qui prima bibit deprensi flumina Nili,_
_Et quem supremæ Tethyos unda ferit._
_Festinavit Arabs, festinavere Sabæi,_
_Et Cilices nimbis hic maduere suis._
_Crinibus in nodum tortis venere Sicambri,_
_Atque aliter tortis crinibus Æthiopes._
_Vox diversa sonat: populorum est vox tamen una,_
_Quum verus patria diceris esse pater._
MARZIALE, Spectac. III.
[241] Gajo lo dice espresso: _Constitutio principis est, quod imperator
decreto vel edicto vel epistola constituit; nec unquam dubitatum est,
quin id legis vicem obtineat, cum ipse imperator per legem imperium
accipiat_. Inst. i. 2, § 6.
Ecco il senatoconsulto fatto all'elezione di Vespasiano:
— Siagli in arbitrio conchiudere trattati con chi vorrà, come fu in
arbitrio d'Augusto, Tiberio e Claudio.
«Di radunare il senato, fare e far fare proposizioni, far rendere
senatoconsulti per voti individuali o per divisione.
«Ogniqualvolta sarà raccolto per volontà, permissione od ordine di lui
o in sua presenza, tutti gli atti del senato abbiano forza, e siano
osservati come fosse stato raccolto per legge.
«Ogniqualvolta i candidati di qualche magistratura, potere, comando,
carica siano raccomandati da lui al senato o al popolo romano, e
ch'egli avrà dato o promesso il suo appoggio, in tutti i comizj abbiasi
singolare riguardo a tal candidatura.
«Siagli permesso, quando lo creda utile alla repubblica, estendere i
limiti del pomerio (cioè del recinto della città), come fu permesso a
Claudio.
«Abbia diritto e pien potere di fare quanto crederà conveniente
all'interesse della repubblica, alla maestà delle cose divine ed
umane, al bene pubblico o particolare, come l'ebbero Augusto, Tiberio e
Claudio.
«Di tutte le leggi e i plebisciti, da cui fu scritto rimanessero
dispensati Augusto, Tiberio e Claudio, sia pur dispensato Vespasiano.
Tutto quello che Augusto, Tiberio e Claudio fecero per una legge
qualunque, possa farlo Vespasiano.
«Tutto ciò che, prima di questa legge, fu fatto, eseguito, decretato,
comandato dall'imperatore Vespasiano o da altra qualsiasi persona per
ordine e mandato di lui, sia reputato legale, e rimanga rato, come
fosse fatto per ordine del popolo.
«_Sanzione_. Se qualcuno, in virtù della presente legge, contravvenne
o contravvenga poi alle leggi, plebisciti o senatoconsulti, facendo
ciò ch'essi vietano, od ommettendo ciò che ordinano, non sia tenuto
in colpa, nè obbligato a veruna riparazione verso il popolo romano.
Verun'azione non sia intentata, verun giudizio reso a tal proposito, e
nessun magistrato soffra che un cittadino sia citato avanti a lui per
questa ragione».
[242] _Princeps legibus solutus est_. D. I. 3. fr. 31.
[243] Molti esempj ne adduce il Labus ne' _Marmi Bresciani_. — Nel
1851 a Salpensa e a Malaga in Ispagna furono, su due tavole di bronzo,
scoperte leggi municipali date da Domiziano imperatore, che Mommsen
illustrò negli _Atti della Società sassone delle scienze_. Lipsia 1855.
In esse viene comunicato alle suddette città il diritto del Lazio, con
formole che probabilmente sono identiche a quelle usate per tutte le
città donate di simile privilegio; sicchè da dette tavole è illustrato
lo _jus Latii_, quanto dalle tavole di Velleja e da quelle di Eraclea
la legge comunale. Ivi troviam dato il nome di _municipj_ a siffatte
città, che in conseguenza ebbero magistrati proprj, quasi indipendenti
dal preside della provincia; il popolo v'era distribuito per curie
all'uopo di rendere i suffragi; que' municipj godevano _manus,
potestas, mancipium_, proprj de' cittadini romani.
Nel 1872 furono trovate le tavole di _Julia Genetiva Urbanorum_, cioè
di Ossuna, nella Spagna ulteriore, date il 710 di Roma, edite poi da
Hübner e Mommsen.
[244] Dalla dittatura di Fabio fin a Cesare, la paga del soldato
fu di tre assi il giorno (circa 27 centesimi); Cesare la raddoppiò
portandola a diciotto denari il mese (lire 14.72); Augusto la conservò
tale; Domiziano la crebbe a venticinque denari il mese (lire 27.47).
La gratificazione ai pretoriani concessa da Augusto fu di ventimila
sesterzj (lire 4035.40) dopo sedici anni, e pei legionarj di dodicimila
(lire 2421.24) dopo venti anni: per tali paghe egli istituì un tesoro,
di cui fece il primo fondo con denari proprj.
[245] SVETONIO, in _Aug_., 102, 128.
[246] Così SVETONIO, in _Vesp_. 17. Alcuni leggono quarantamila milioni
di sesterzj, che sarebber ottomila milioni di lire: questo è troppo,
ma sarebbe troppo poco la cifra da noi data se s'intendesse di solo
contante, senza le contribuzioni in natura e i servigi personali.
Il trattato di Hegewisch _sulle finanze romane_ mantiene più che non
prometta. Sono diversissime le valutazioni degli autori intorno alle
rendite dell'impero: Giusto Lipsio le porterebbe a cinquecento milioni
di scudi d'oro; Gibbon a venti milioni di sterline, cioè cinquecento
milioni di franchi; gli autori inglesi della _Storia universale_ a
novecensessanta milioni.
Chi voglia istituire paragoni coi moderni, non dimentichi che ora la
maggior somma è assorbita dal debito pubblico, ignoto agli antichi.
[247] _Ut maxima civitas minimæ domus diligentia contineretur_. FLORO.
[248] PLINIO, _Nat. hist._, VI. 23; XII. 18.
[249] Lo pretende Dureau de la Malle, _Économie politique des Romains_.
[250]
_Spese per coltivare sette campi a viti_.
Per comprar uno schiavo che da
solo basti sesterzj 8,000
Compra dei sette campi » 7,000
Pali e altre spese occorrenti » 14,000
———————————————
In tutto sesterzj 29,000
Interessi di questi al sei per cento nei
due anni che la terra non produce,
e che il denaro resta infruttuoso » 3,480
Totale, sesterzj 32,480
_Rendita di sette campi_.
Ogni anno sesterzj 6,300
oltre un diecimila marze che ciascun
campo rendeva l'anno, e che vendevansi
tremila sesterzj.
[251]
_Tondet et innumeros gallica Parma greges._
_Velleribus primis Apulia, Parma secundis_
_Nobilis, Altinum tertia laudet ovis._
MARZIALE.
[252] Aureliano scriveva al prefetto dell'annona di tener satolla la
plebe; _neque enim populo romano saturo quicquam potest esse lætius_.
VOPISCO, in _Vita_.
[253] È probabilmente del 303. Fu trovato da William Sherard a
Stratonicea di Caria nel 1709, poi pubblicato in miglior modo da
Bankes, Londra 1826, ove la tariffa occupa ben quindici facciate in-8ª.
Sono quattrocentrentatre articoli di merci o di manifatture tassati;
ma restano molte lacune. Moreau de Jonnès ne dedusse questa tabella,
ragguagliata alle monete e misure d'oggi:
_Prezzi del lavoro_.
Al bracciante per giornata 25 denari ll. 5. 62
Al muratore » 11. 25
Al manovale che rimesta la calcina » 11. 25
Al marmorino che fa i musaici » 13. 50
Al sarto, per fattura d'un abito » 11. 25
Per fattura di calcei, scarpe de' patrizj » 33. 75
di _caligæ_, scarpe di artigiani » 27. —
di soldati e senatori » 22. 50
di donna » 13. 50
di _campagi_, sandali militari » 16. 87
Al barbiere, per uomo » — 45
Al veterinario, per tosare gli animali e
tagliar le unghie » 1. 35
Al maestro architetto, e per ogni ragazzo
al mese » 22. 50
All'avvocato, per un'istanza ai tribunali » — 25
Per una causa » 225. —
_Prezzo dei vini_.
Il Piceno, Tiburtino, Sabino, Amineano,
Sorrentino, Setino, Falerno, ogni litro ll. 13. 50
Vino vecchio di prima qualità » 10. 90
Vino rustico » 3. 60
Birra (camum) » 1. 80
Vino fatturato d'Asia (caranium mœonium) » 13. 50
Vino d'orzo d'Attica » 10. 90
_Carne alla libbra di Francia._
Carne di manzo ll. 2. 40
— d'agnello, capretto, porco » 3. 60
Il lardo migliore » 4. 80
I migliori presciutti di Vestfalia, della
Cerdagna, o del paese dei Marsi » 4. 80
Grasso di porco fresco » 3. 60
Fegato di porco ingrassato con fichi (_ficatum_) » 4. 80
Zampe di porco, ognuna » — 90
Salame di porco fresco (_isicium_) del peso
di un'oncia » — 40
Salame di bue fresco (_isicia_) » 3. 37
— di porco fumicato e condito (_lucanicæ_) » 3. 60
— di bue fumicato » 3. 37
_Selvaggina, prezzo medio per capo._
Un pavone maschio ingrassato ll. 56. 25
— femmina ingrassata » 45. —
— selvatico maschio » 28. 12
— femmina » 22. 50
Un'oca grassa » 45. —
— non ingrassata » 22. 50
Un pollo » 13. 50
Una pernice » 6. 75
Un lepre » 33. 75
Un coniglio » 9. —
_Pesce._
Pesce di mare di prima qualità ll. 5. 40
— di fiume id. » 2. 70
— salato » 1. 35
Ostriche al cento » 22. 50
_Civaje._
Lattuche delle migliori, ogni cinque ll. — 90
Cavoli de' migliori, l'uno » — 90
Cavolifiori de' migliori, ogni cinque » — 99
Barbabietole delle migliori, ogni cinque » — 90
Ramolacci i più grossi » — 90
_Altri comestibili._
Miele ottimo, al litro ll. 18. —
Olio di prima qualità » 18. —
_Liquamen_, stimolante per l'appetito » 2. —
Iscrizione di tanta importanza per gli economisti come per gli
antiquarj, venne molto discussa, e se ne trassero conchiusioni ben
diverse da quelle di Moreau de Jonnès. Nell'originale i prezzi sono
determinati colla sigla *, che significa denaro, ma deve significare
il denario _æreus_ di rame, moneta nuova battuta da Diocleziano, che
valea la ventiquattresima parte del pezzo d'argento fino, vale a dire
centotredici milligrammi, che oggi sarebbero due centesimi e mezzo. È
da ricordare che Lattanzio (_De morte persecutorum_, c. 7) dichiara
che quella tariffa era eccessivamente bassa, e perciò cessossi dal
vendere, onde nacque carestia; e, dopo puniti molti di morte, fu duopo
lasciarla cadere nell'oblio. Le valutazioni dunque date da Moreau de
Jonnès ripugnano alla storia, non men che al fatto, il quale porta che
i prezzi delle giornate son presso a poco sempre eguali, pareggiandosi
a quel che è necessario per vivere.
È peccato che le cifre del valor del grano, dell'orzo, della segala
siano perdute; ma abbiamo il
Miglio pisto al moggio L. 2 50
Intero » » 1 25
Panico » » 1 25
Spelta mondata » » 2 50
Fave non rotte » » 1 50
Lenti » » 2 50
Piselli » » 1 50
Ceci » » 2 50
Avena » » 0 75
Lupino crudo » » 1 50
Fagiuoli secchi » » 2 50
Così 13 litri di sale sono a L. 2.50; la libbra di carne suina 0.30;
di manzo, di cara e montone 0.20; di lardo 0.40; di prosciutto 0.50;
di agnello e capretto 0.30; di porcello 0.40; la sugna 0.05; il burro
0.40; mezzo litro d'olio 0.30; del sopraffino 1; le ulive 0.10; i vini
d'Italia da 20 a 30 denari, cioè dai 50 ai 75 centesimi; la birra da 5
a 10 centesimi.
Quanto alle giornate, quella del contadino sarebbe di L. 0.65; di
muratore, falegname, fornaciajo di calce, fabbro, panattiere 1.25;
marmorajo, terrazziere di musaico 1.50; asinajo, camellajo, bardotto
(_bardonarius_), pastore centesimi 50 col vitto; mulattiere, porta
acqua, curator di condotti con vitto e per l'intera giornata centesimi
65. Al pedagogo, al maestro di leggere e scrivere 1.25; 1.90 al
maestro di calcolo e stenografia; 5 al grammatico greco; 2.50 al
maestro architetto; al garzone del bagno centesimi 5; per le scarpe
da mulattiere e paesano senza chiodi ogni pajo 3, da soldati 2.50,
da patrizj 3.75, da donna 1.50; il legno di quercia per una misura di
quattordici sopra sessantotto cubiti 6.25; di frassino per quattordici
cubiti sopra quarantotto dita, 5.
I calcoli e i ragionamenti di Dureau de la Malle tendono a stabilire
che il ragguaglio fra i metalli preziosi e il prezzo medio del grano,
delle giornate, del soldo militare, era, sotto l'impero romano, a un
bel circa quello della Francia odierna.
[254] Digesto, tit. _De publicanis et vectigalibus_.
[255] _Minima computatione, millies centena millia sestertium annis
omnibus India et Seres, peninsulaque illa (Arabia) imperio nostro
adimunt; tanto nobis deliciæ et fœminæ constant._ Nat. hist., XII. 41.
[256] — Io mostrerò nella prima epoca, che i Romani, poveri soldati,
non ebbero nè genio nè cognizione di commercio; nella seconda, che i
Romani, grandi e potenti colla guerra, trascurarono per orgoglio il
commercio, e non pensarono che ad arricchirsi colle spoglie di tutte
le nazioni; nella terza, che i Romani, schiavi e voluttuosi, con un
commercio passivo e rovinoso, caddero nella povertà e nella barbarie.
MENGOTTI, _Del commercio de' Romani_; memoria premiata dall'Istituto di
Francia.
[257] Ma i poeti non sapevano immaginare a quella spedizione altro
scopo che di conquiste. Vedasi Orazio; e così Properzio, III. 4:
_Arma Deus Cæsar dites meditatur ad Indos,_
_Et freta gemmiferi findere classe maris._
_Magna viæ merces; parat ultima terra triumphos;_
_Tigris et Euphrates sub tua jura fluent._
_Seres et ausoniis venient provincia virgis..._
_Ite agite; expertæ bello date lintea proræ._
[258] OROSIO, VII. 16.
[259] Tacito lo rammenta più volte, e così Filostrato, IV. 12, V. 1;
Plinio Cecilio, _Epist_. III. 11; Origene, _contra Celsum,_ III. 66;
san Giustino, _Apolog_. II. 8. — Vedi BURIGNY, _Mémoires de l'Académie
des Inscriptions_, tom. XXXI.
[260] La prima edizione certa di Plinio fu fatta da Giovanni di Spira
in Venezia il 1469: fino al 1480 se n'erano fatte sei ristampe, ma
tutte scorrette in modo, che Erasmo diceva, chi pigliasse a restituire
Plinio, si torrebbe sulle braccia tanta briga, quanta chi prende
una nave o una moglie. Le edizioni di Plinio finiscono alla parola
_Hispania quacumque ambitur mari_. Nel 1831, in un manoscritto
di Bamberga, Luigi De Jan professore a Schweinfurt trovò la fine
dell'opera, che dà un quadro comparativo della storia naturale
nei paesi posti sotto zone diverse, loda l'Europa meridionale e
specialmente la Spagna, «ove la dolcezza di un clima temperato dovette,
giusta il dogma dei primi Pitagorici, ajutar di buon'ora la stirpe
umana a spogliare la rozzezza selvaggia». A Gotha nel 1855 si fece
un'edizione sopra un codice che dà il titolo vero dell'opera: CAJI
PLINII SECUNDI _naturæ historiarum_, lib. XI. XII. XIII. XIV. XV,
_fragmenta edidit e codice rescripto sæculi quarti D.r _Fridegarius
Mone__.
Pel paragone che facciamo qui sotto, potrebbero contrapporsi il gonfio
elogio che di Plinio fece Buffon nel secolo passato, e il severo
giudizio che nel nostro ne portò Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire (_Essai
de Zoologie générale_, par. I. I. 5) dicendo: — Passare da Aristotele
a Plinio è un ricadere da tutta l'altezza che separa l'invenzione
e il genio dalla compilazione fiorita e dal discorso spiritoso...
Plinio è un mero compilatore, forse più elegante, ma altrettanto meno
scrupoloso... Aristotele quattro secoli prima avea ridotte al giusto
valore queste inezie vulgari».
[261] _Nat. hist._, III. 7; VIII. 55; II. 7.
[262] _Nat. hist_., VII. 2. 3. 6. 46; VIII. 66. 67; XXVIII. 2. 3. 4; V.
30.
[263] _Terra solida et globosa undique in sese nutibus suis conglobata.
— Omnes ejus partes medium capescentes nituntur æqualiter_. De nat.
Deorum, II. 39 e 45.
[264] II. 5 e 1.
[265] XXXIII. 1. 3. 4. 13. XIX. 1. 4.
[266] VII. 1. 7; II. 13. 1.
[267] XXX. 4; III. 6. 2.
[268] I classici riboccano d'inesattezze geografiche. Cicerone,
nel _Sogno di Scipione_, mostrossi ben addietro di quel che già si
conosceva. Orazio dà per estremi della terra la Bretagna e il Tanai.
Virgilio fa scorrere il Nilo per l'India (_Georg_., IV. 293; e vedi
pure Lucano, X. 292). La Bretagna fu appuntino descritta da Giulio
Cesare; eppure Tacito dice che Agricola scoperse ch'era isola, le
dà la forma d'uno scudo o di un'ascia, e soggiunge che all'oriente
ha la Germania, a mezzodì la Gallia, ad occidente la Spagna, a mezza
strada incontrando l'Irlanda. Per Plinio la Scandinavia è un'isola, e
comunque raccoglitore appassionato, sembra ch'e' non abbia conosciuto
Strabone, osservatore tanto più arguto di lui. Tolomeo è inesattissimo
nella geografia dell'Italia; colpa sua o degli scrivani: nel solo
breve tratto riferibile all'alta Italia, pone fra i Cenomani Bergamo,
Mantova, Trento, Verona, appartenenti agli Euganei, ai Levi, ai Reti,
ai Veneti; fa nascere il Po presso il lago di Como; la Dora presso
il lago Penino, poi piegare verso quel di Garda; dopo le foci del Po
colloca quelle dell'Atriano (il Tartaro?), dimenticando l'Adige; pone
come città mediterranee nei Carni Aquileja e Concordia, e nei Veneti
Altino e Adria che erano a mare; a occidente della Venezia colloca i
Becuni, nome ignoto, che forse accenna i Camuni o i Breuni, genti ad
ogni modo di poca importanza, ecc. Floro dà Capua per città marittima,
e fa due monti diversi il Massico ed il Falerno. Plinio critica
Dicearco d'aver detto che il più alto dei monti sia il Pelio di mille
ducencinquanta passi, mentre «non s'ignora che alcune cime delle Alpi
si elevano fin a cinquantamila passi».
[269]
_... Disco, qua parte fluat vincendus Araxes,_
_Quot sine aqua Parthus millia currat eques._
_Cogor et e tabula pictos ediscere mundos;_
_Qualis et hæc docti sit positura Dei;_
_Quæ tellus sit lenta gelu, quæ putris ab æstu;_
_Ventus in Italiam qui bene vela ferat._
PROPERZIO, IV. 3.
[270] VARRONE, _De re rustica_, lib. I. c. 2.
[271] PLINIO, _Nat. hist_., III. 3. 14.
[272] Invece di fare questa superficie = _a_/4 √3 (se si chiami _a_
il lato), Columella la suppose = 13_a_/30; il che dà √3 = 26/15, ossia
√675 = 26. Vedi lib. V. c. 2.
[273] PLINIO, _Epist_. IX. 61.
[274] Che scriveva a suo figlio, _jurarunt inter se Barbaros necare
omnes medicina. Et hoc ipsum mercede faciunt, ut fides iis sit, et
siffatta liberalità venne usata da altri imperatori. Su di che vedasi
ERNESTO DESJARDINS, _De Tabulis alimentariis disputatio historica_.
Parigi 1854.
[219] _Jam hoc pulchrum et antiquum, senatum nocte dirimi, triduo
vocari, triduo contineri_.
[220] Quel di Dione, fatto da Sifilino. Neppure accenno gl'informi
frammenti di Aurelio Vittore e d'Eutropio. Il panegirico è di Plinio
Cecilio.
[221] EUTROPIO, VIII. 5. Più tardi corse un'opinione bizzarra; che papa
Gregorio Magno avesse a preghiere ottenuto la liberazione di Trajano
dall'inferno, ove stava da quattro secoli. Il primo a scriverla, ch'io
sappia, fu Giovanni di Salisbury (_Polycr._ V. 8): _Virtutes ejus
legitur commendasse ss. papa Gregorius, et fusis pro eo lacrymis,
inferorum compescuisse incendia... donec ei revelatione nuntiatum
sit, Trajanum a pœnis inferni liberatum, sub ea tamen conditione, ne
ulterius pro aliquo infideli Deum sollicitare præsumeret_. San Tommaso
si vale di questa tradizione, e Dante (_Purg._, X. 73) accenna
l'alta gloria
Del roman prence, lo cui gran valore
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria.
[222] SPARZIANO, in _Adriano_, negli _Scriptor. Hist. Augustæ._ Ciò
praticavasi già con Omero, poi in questi tempi con Virgilio. Narra
Giulio Capitolino, che, interrogando Clodio Albino a questo modo
l'_Eneide_, gli occorse quel del libro VI:
_Hic rem romanam, magno turbante tumultu,_
_Sistet equus, sternet Pœnos, Gallumque rebellem._
Alessandro Severo al modo stesso trovò:
_Te manet imperium cœli, terræque, marisque;_
e pensando applicarsi alle arti liberali, ebbe questa risposta:
_Excudent alii spirantia mollius æra..._
_Tu regere imperio populos, Romane, memento._
Vedi LAMPRIDIO in _Alex. Severo_. Non cadde questa superstizione
col paganesimo. Sant'Agostino (_Ep_. 55 _ad Januar_.) la nota e la
condanna; e così il concilio d'Agda col nome di _sorti dei Santi_:
e Gregorio di Tours (_Hist. Franc._, IV. 6) scrive: _Positis
clerici tribus libris super altare, idest Prophetiæ, Apostoli atque
Evangeliorum, oraverunt ad Dominum ut Christiano quid eveniret
ostenderet. Aperto igitur omnium Prophetarum libro, reperiunt:
— Auferam maceriam ejus_». E nel lib. V. 49: _Mœstus turbatusque
ingressus oratorium, davidici carminis sumo librum, in quo ita repertum
est: — Eduxit eos in spe, et non timuerunt_».
[223] Nel 1664 a Upsal si stampò un _Trattato dell'arte della guerra_,
presumendo fosse quel di Adriano, pubblicato dal console Maurizio, ma
è composizione d'assai posteriore. È pure suppositizio il dialogo suo
con Epitteto, pubblicato dal Froben nel 1551, ove propone varj quesiti
che il migliore filosofo del suo secolo scioglie, e in cui, tra massime
false, ridicole e triviali, ne occorrono di eccellenti. — Che cosa è
la pace? Una libertà tranquilla. — Che cosa la libertà? Innocenza e
virtù».
[224] SPARZIANO nella vita di lui.
[225] Pure costui non ischivò l'odio di Adriano, onde diceva: — Mi
maraviglio di tre cose: che, nato Gallo, io parli greco; che essendo
eunuco, io sia chiamato giudice d'adulterj; che odiato dall'imperatore,
io viva».
[226] Τοσοῦτον δὲ δύνανται οἴ ἄρχοντης πρὸς τῆς ἀληθείας δόξαν
τιμῶντες, ὄσον καὶ λησταὶ ἐν ἐρημεία. I. 12.
[227] LAMPRIDIO in _Alex. Severo_.
[228] Originariamente costui chiamavasi Catilio Severo. D'illustre
famiglia romana, fu educato sotto gli occhi di Lucio Annio Aurelio
Vero, suo avo materno, che lo adottò e nominò Marco Elio Aurelio Vero.
[229] Vedi EUSEBIO, IV. 13. 16. Capitolino diresse a Diocleziano una
vita di lui, ma confusa. I libri di Dione Cassio ad esso relativi si
desiderano.
[230] Fra le altre cose gli diceva: _Nonnunquam ego te coram
paucissimis ac familiarissimis meis gravioribus verbis absentem
insectatus sum... cum tristior quam par erat in cœtu hominum
progrederer, vel cum in theatro tu libros, vel in convivio lectitabas;
nec ego, dum tu theatris, nec dum conviviis, abstinebam. Tum igitur
ego te durum et intempestivum hominem, odiosum etiam nonnunquam, ira
percitus, appellabam._ Lib. VI. 12.
[231] Servano per saggio tre viglietti, che, come i passi superiori,
scegliamo da M. CORNELII FRONTONIS ET M. AURELII IMPERATORIS
EPISTOLÆ... FRAGMENTA FRONTONIS ET SCRIPTA GRAMMATICA; curante A.
MAJO. Roma 1823. — _Magistro meo. Ego dies istos tales transegi. Soror
dolore muliebrium partium ita correpta est repente, ut faciem horrendam
viderim; mater autem mea in ea trepidatione imprudens angulo parietis
costam inflixit; eo ictu graviter et se et nos adfecit. Ipse, cum
cubitum irem, scorpionem in lecto offendi; occupavi tamen eum occidere
priusquam supra accubarem. Tu si rectius vales, est solacium. Mater
jam levior est, deis volentibus. Vale, mi optime, dulcissime magister.
Domina mea te salutat._
Frontone risponde: _Domino meo. Modo mihi Victorinus indicat dominam
tuam magis valuisse quam heri. Gratia leviora omnia nuntiabat. Ego
te idcirco non vidi, quod ex gravedine sum imbecillus. Cras tamen
mane domum ad te veniam. Eadem, si tempestivum erit, etiam dominam
visitabo._
Marc'Aurelio replica: _Magistro meo. Caluit et hodie Faustina; et
quidem id ego magis hodie videor deprehendisse. Sed, Deis juvantibus,
æquiorem animum mihi facit ipsa, quod se tam obtemperanter nobis
accommodat. Tu, si potuisses, scilicet venisses. Quod jam potes et
quod venturum promittis, delector, mi magister. Vale, mi jucundissime
magister._
[232] Frontone fa un elogio affatto retorico di Lucio Vero, attribuendo
tutta a merito di lui la riforma delle indisciplinatissime truppe
di Siria: e lo paragona a Trajano, dandogliene sempre la preferenza.
_Principia historiæ_. Si hanno pure le lettere che Vero gli dirigeva,
raccomandandogli di esaltare le sue imprese e la gravezza del pericolo,
e la nullità degli altri capitani, ecc. E il buon maestro, abbagliato
dalle cortesie d'uno scolaro imperiale, non rifina di ammirarne le
azioni, ma soprattutto la portentosa eloquenza spiegata negli ordini
del giorno e nei bullettini inviati al senato.
[233] Dione dice, οὐκ ἀθεεὶ: e νίκῆ παράδοξος εὐτυχήθη, μᾶλλον δέ παρὰ
θεοῦ ἐδωρήθη. E Claudiano:
_Laus ibi nulla ducum..._
_Tum, contenta polo, mortalis nescia teli_
_Pugna fuit._
De VI consulatu Honorii, v. 340.
[234] FILOSTRATO, _Vite dei Sofisti_.
[235] Εἰς έαυτὸν, libri dodici.
[236] Ch'egli però si dilettasse in questi studj, continua prova ne
danno le sue lettere a Frontone, scoperto dal Maj. In una gli dice:
_Mitte mihi aliquid, quod tibi disertissimum videatur, quod legam, vel
tuum, vel Catonis, vel Ciceronis, aut Sallustii, aut Gracchi, aut poetæ
alicujus,_ χρήζω γὰρ ἀναπαύλης, _et maxime hoc genus; quae me lectio
extollat et diffundat_ ἐκ τῶν κατειληφυιῶν φροντιδίων. _Etiam si qua
Lucretii aut Ennii excerpta habes,_ εὔφωνα καὶ ... φρα, _et sicubi_
ὴθους, ἐμφὰσεις.
Il cardinale Barberini tradusse gli scritti di Marc'Aurelio,
dedicandone la traduzione all'anima propria «per renderla più rossa che
la sua porpora allo spettacolo delle virtù di questo Gentile».
[237] _Regiones ultra fines imperii dubiæ libertatis_. SENECA.
[238] Cicerone (_pro Roscio_, 7) parla di cinquantasei miglia fatte
in dieci ore di notte con legni di posta, cisiis. Cesare faceva cento
miglia in un giorno: SVETONIO, 57. Plinio (_Nat. hist._, VII. 20)
numera sette giornate di navigazione da Ostia alle Colonne d'Ercole;
dieci ad Alessandria.
[239] Vedi CICERONE, _Pro domo sua_, 28. Floro, nella prefazione, dice
che la storia di Roma non è quella d'un popolo, ma del genere umano.
Cicerone loda Pompeo che le sue imprese non hanno altri limiti che
quelli del sole. Livio (XXXVIII. 45, 54) fa dire agli ambasciadori
in senato, che ormai Roma non ha a combattere mortali, ma a tutelare
l'uman genere, e, come gli Dei, vigilare al suo riposo. Ovidio canta
ne' _Fasti_, II. 684:
_Romanæ spatium est urbis et orbis idem._
L'autore dei versi inseriti nel _Satyricon_ di Petronio, cap. 119:
_Orbem jam totum victor Romanus habebat_
_Qua mare, qua tellus, qua sidus currit utrumque._
E Plinio, XXVII. 1: _Una cunctarum gentium in toto orbe patria_.
[240]
_Quæ tam seposita est, quæ gens tam barbara, Cæsar,_
_Ex qua spectator non sit in urbe tua?_
_Venit ab orphæo cultor rhodopeius Hæmo,_
_Venit et epoto Sarmata pastus equo;_
_Et qui prima bibit deprensi flumina Nili,_
_Et quem supremæ Tethyos unda ferit._
_Festinavit Arabs, festinavere Sabæi,_
_Et Cilices nimbis hic maduere suis._
_Crinibus in nodum tortis venere Sicambri,_
_Atque aliter tortis crinibus Æthiopes._
_Vox diversa sonat: populorum est vox tamen una,_
_Quum verus patria diceris esse pater._
MARZIALE, Spectac. III.
[241] Gajo lo dice espresso: _Constitutio principis est, quod imperator
decreto vel edicto vel epistola constituit; nec unquam dubitatum est,
quin id legis vicem obtineat, cum ipse imperator per legem imperium
accipiat_. Inst. i. 2, § 6.
Ecco il senatoconsulto fatto all'elezione di Vespasiano:
— Siagli in arbitrio conchiudere trattati con chi vorrà, come fu in
arbitrio d'Augusto, Tiberio e Claudio.
«Di radunare il senato, fare e far fare proposizioni, far rendere
senatoconsulti per voti individuali o per divisione.
«Ogniqualvolta sarà raccolto per volontà, permissione od ordine di lui
o in sua presenza, tutti gli atti del senato abbiano forza, e siano
osservati come fosse stato raccolto per legge.
«Ogniqualvolta i candidati di qualche magistratura, potere, comando,
carica siano raccomandati da lui al senato o al popolo romano, e
ch'egli avrà dato o promesso il suo appoggio, in tutti i comizj abbiasi
singolare riguardo a tal candidatura.
«Siagli permesso, quando lo creda utile alla repubblica, estendere i
limiti del pomerio (cioè del recinto della città), come fu permesso a
Claudio.
«Abbia diritto e pien potere di fare quanto crederà conveniente
all'interesse della repubblica, alla maestà delle cose divine ed
umane, al bene pubblico o particolare, come l'ebbero Augusto, Tiberio e
Claudio.
«Di tutte le leggi e i plebisciti, da cui fu scritto rimanessero
dispensati Augusto, Tiberio e Claudio, sia pur dispensato Vespasiano.
Tutto quello che Augusto, Tiberio e Claudio fecero per una legge
qualunque, possa farlo Vespasiano.
«Tutto ciò che, prima di questa legge, fu fatto, eseguito, decretato,
comandato dall'imperatore Vespasiano o da altra qualsiasi persona per
ordine e mandato di lui, sia reputato legale, e rimanga rato, come
fosse fatto per ordine del popolo.
«_Sanzione_. Se qualcuno, in virtù della presente legge, contravvenne
o contravvenga poi alle leggi, plebisciti o senatoconsulti, facendo
ciò ch'essi vietano, od ommettendo ciò che ordinano, non sia tenuto
in colpa, nè obbligato a veruna riparazione verso il popolo romano.
Verun'azione non sia intentata, verun giudizio reso a tal proposito, e
nessun magistrato soffra che un cittadino sia citato avanti a lui per
questa ragione».
[242] _Princeps legibus solutus est_. D. I. 3. fr. 31.
[243] Molti esempj ne adduce il Labus ne' _Marmi Bresciani_. — Nel
1851 a Salpensa e a Malaga in Ispagna furono, su due tavole di bronzo,
scoperte leggi municipali date da Domiziano imperatore, che Mommsen
illustrò negli _Atti della Società sassone delle scienze_. Lipsia 1855.
In esse viene comunicato alle suddette città il diritto del Lazio, con
formole che probabilmente sono identiche a quelle usate per tutte le
città donate di simile privilegio; sicchè da dette tavole è illustrato
lo _jus Latii_, quanto dalle tavole di Velleja e da quelle di Eraclea
la legge comunale. Ivi troviam dato il nome di _municipj_ a siffatte
città, che in conseguenza ebbero magistrati proprj, quasi indipendenti
dal preside della provincia; il popolo v'era distribuito per curie
all'uopo di rendere i suffragi; que' municipj godevano _manus,
potestas, mancipium_, proprj de' cittadini romani.
Nel 1872 furono trovate le tavole di _Julia Genetiva Urbanorum_, cioè
di Ossuna, nella Spagna ulteriore, date il 710 di Roma, edite poi da
Hübner e Mommsen.
[244] Dalla dittatura di Fabio fin a Cesare, la paga del soldato
fu di tre assi il giorno (circa 27 centesimi); Cesare la raddoppiò
portandola a diciotto denari il mese (lire 14.72); Augusto la conservò
tale; Domiziano la crebbe a venticinque denari il mese (lire 27.47).
La gratificazione ai pretoriani concessa da Augusto fu di ventimila
sesterzj (lire 4035.40) dopo sedici anni, e pei legionarj di dodicimila
(lire 2421.24) dopo venti anni: per tali paghe egli istituì un tesoro,
di cui fece il primo fondo con denari proprj.
[245] SVETONIO, in _Aug_., 102, 128.
[246] Così SVETONIO, in _Vesp_. 17. Alcuni leggono quarantamila milioni
di sesterzj, che sarebber ottomila milioni di lire: questo è troppo,
ma sarebbe troppo poco la cifra da noi data se s'intendesse di solo
contante, senza le contribuzioni in natura e i servigi personali.
Il trattato di Hegewisch _sulle finanze romane_ mantiene più che non
prometta. Sono diversissime le valutazioni degli autori intorno alle
rendite dell'impero: Giusto Lipsio le porterebbe a cinquecento milioni
di scudi d'oro; Gibbon a venti milioni di sterline, cioè cinquecento
milioni di franchi; gli autori inglesi della _Storia universale_ a
novecensessanta milioni.
Chi voglia istituire paragoni coi moderni, non dimentichi che ora la
maggior somma è assorbita dal debito pubblico, ignoto agli antichi.
[247] _Ut maxima civitas minimæ domus diligentia contineretur_. FLORO.
[248] PLINIO, _Nat. hist._, VI. 23; XII. 18.
[249] Lo pretende Dureau de la Malle, _Économie politique des Romains_.
[250]
_Spese per coltivare sette campi a viti_.
Per comprar uno schiavo che da
solo basti sesterzj 8,000
Compra dei sette campi » 7,000
Pali e altre spese occorrenti » 14,000
———————————————
In tutto sesterzj 29,000
Interessi di questi al sei per cento nei
due anni che la terra non produce,
e che il denaro resta infruttuoso » 3,480
Totale, sesterzj 32,480
_Rendita di sette campi_.
Ogni anno sesterzj 6,300
oltre un diecimila marze che ciascun
campo rendeva l'anno, e che vendevansi
tremila sesterzj.
[251]
_Tondet et innumeros gallica Parma greges._
_Velleribus primis Apulia, Parma secundis_
_Nobilis, Altinum tertia laudet ovis._
MARZIALE.
[252] Aureliano scriveva al prefetto dell'annona di tener satolla la
plebe; _neque enim populo romano saturo quicquam potest esse lætius_.
VOPISCO, in _Vita_.
[253] È probabilmente del 303. Fu trovato da William Sherard a
Stratonicea di Caria nel 1709, poi pubblicato in miglior modo da
Bankes, Londra 1826, ove la tariffa occupa ben quindici facciate in-8ª.
Sono quattrocentrentatre articoli di merci o di manifatture tassati;
ma restano molte lacune. Moreau de Jonnès ne dedusse questa tabella,
ragguagliata alle monete e misure d'oggi:
_Prezzi del lavoro_.
Al bracciante per giornata 25 denari ll. 5. 62
Al muratore » 11. 25
Al manovale che rimesta la calcina » 11. 25
Al marmorino che fa i musaici » 13. 50
Al sarto, per fattura d'un abito » 11. 25
Per fattura di calcei, scarpe de' patrizj » 33. 75
di _caligæ_, scarpe di artigiani » 27. —
di soldati e senatori » 22. 50
di donna » 13. 50
di _campagi_, sandali militari » 16. 87
Al barbiere, per uomo » — 45
Al veterinario, per tosare gli animali e
tagliar le unghie » 1. 35
Al maestro architetto, e per ogni ragazzo
al mese » 22. 50
All'avvocato, per un'istanza ai tribunali » — 25
Per una causa » 225. —
_Prezzo dei vini_.
Il Piceno, Tiburtino, Sabino, Amineano,
Sorrentino, Setino, Falerno, ogni litro ll. 13. 50
Vino vecchio di prima qualità » 10. 90
Vino rustico » 3. 60
Birra (camum) » 1. 80
Vino fatturato d'Asia (caranium mœonium) » 13. 50
Vino d'orzo d'Attica » 10. 90
_Carne alla libbra di Francia._
Carne di manzo ll. 2. 40
— d'agnello, capretto, porco » 3. 60
Il lardo migliore » 4. 80
I migliori presciutti di Vestfalia, della
Cerdagna, o del paese dei Marsi » 4. 80
Grasso di porco fresco » 3. 60
Fegato di porco ingrassato con fichi (_ficatum_) » 4. 80
Zampe di porco, ognuna » — 90
Salame di porco fresco (_isicium_) del peso
di un'oncia » — 40
Salame di bue fresco (_isicia_) » 3. 37
— di porco fumicato e condito (_lucanicæ_) » 3. 60
— di bue fumicato » 3. 37
_Selvaggina, prezzo medio per capo._
Un pavone maschio ingrassato ll. 56. 25
— femmina ingrassata » 45. —
— selvatico maschio » 28. 12
— femmina » 22. 50
Un'oca grassa » 45. —
— non ingrassata » 22. 50
Un pollo » 13. 50
Una pernice » 6. 75
Un lepre » 33. 75
Un coniglio » 9. —
_Pesce._
Pesce di mare di prima qualità ll. 5. 40
— di fiume id. » 2. 70
— salato » 1. 35
Ostriche al cento » 22. 50
_Civaje._
Lattuche delle migliori, ogni cinque ll. — 90
Cavoli de' migliori, l'uno » — 90
Cavolifiori de' migliori, ogni cinque » — 99
Barbabietole delle migliori, ogni cinque » — 90
Ramolacci i più grossi » — 90
_Altri comestibili._
Miele ottimo, al litro ll. 18. —
Olio di prima qualità » 18. —
_Liquamen_, stimolante per l'appetito » 2. —
Iscrizione di tanta importanza per gli economisti come per gli
antiquarj, venne molto discussa, e se ne trassero conchiusioni ben
diverse da quelle di Moreau de Jonnès. Nell'originale i prezzi sono
determinati colla sigla *, che significa denaro, ma deve significare
il denario _æreus_ di rame, moneta nuova battuta da Diocleziano, che
valea la ventiquattresima parte del pezzo d'argento fino, vale a dire
centotredici milligrammi, che oggi sarebbero due centesimi e mezzo. È
da ricordare che Lattanzio (_De morte persecutorum_, c. 7) dichiara
che quella tariffa era eccessivamente bassa, e perciò cessossi dal
vendere, onde nacque carestia; e, dopo puniti molti di morte, fu duopo
lasciarla cadere nell'oblio. Le valutazioni dunque date da Moreau de
Jonnès ripugnano alla storia, non men che al fatto, il quale porta che
i prezzi delle giornate son presso a poco sempre eguali, pareggiandosi
a quel che è necessario per vivere.
È peccato che le cifre del valor del grano, dell'orzo, della segala
siano perdute; ma abbiamo il
Miglio pisto al moggio L. 2 50
Intero » » 1 25
Panico » » 1 25
Spelta mondata » » 2 50
Fave non rotte » » 1 50
Lenti » » 2 50
Piselli » » 1 50
Ceci » » 2 50
Avena » » 0 75
Lupino crudo » » 1 50
Fagiuoli secchi » » 2 50
Così 13 litri di sale sono a L. 2.50; la libbra di carne suina 0.30;
di manzo, di cara e montone 0.20; di lardo 0.40; di prosciutto 0.50;
di agnello e capretto 0.30; di porcello 0.40; la sugna 0.05; il burro
0.40; mezzo litro d'olio 0.30; del sopraffino 1; le ulive 0.10; i vini
d'Italia da 20 a 30 denari, cioè dai 50 ai 75 centesimi; la birra da 5
a 10 centesimi.
Quanto alle giornate, quella del contadino sarebbe di L. 0.65; di
muratore, falegname, fornaciajo di calce, fabbro, panattiere 1.25;
marmorajo, terrazziere di musaico 1.50; asinajo, camellajo, bardotto
(_bardonarius_), pastore centesimi 50 col vitto; mulattiere, porta
acqua, curator di condotti con vitto e per l'intera giornata centesimi
65. Al pedagogo, al maestro di leggere e scrivere 1.25; 1.90 al
maestro di calcolo e stenografia; 5 al grammatico greco; 2.50 al
maestro architetto; al garzone del bagno centesimi 5; per le scarpe
da mulattiere e paesano senza chiodi ogni pajo 3, da soldati 2.50,
da patrizj 3.75, da donna 1.50; il legno di quercia per una misura di
quattordici sopra sessantotto cubiti 6.25; di frassino per quattordici
cubiti sopra quarantotto dita, 5.
I calcoli e i ragionamenti di Dureau de la Malle tendono a stabilire
che il ragguaglio fra i metalli preziosi e il prezzo medio del grano,
delle giornate, del soldo militare, era, sotto l'impero romano, a un
bel circa quello della Francia odierna.
[254] Digesto, tit. _De publicanis et vectigalibus_.
[255] _Minima computatione, millies centena millia sestertium annis
omnibus India et Seres, peninsulaque illa (Arabia) imperio nostro
adimunt; tanto nobis deliciæ et fœminæ constant._ Nat. hist., XII. 41.
[256] — Io mostrerò nella prima epoca, che i Romani, poveri soldati,
non ebbero nè genio nè cognizione di commercio; nella seconda, che i
Romani, grandi e potenti colla guerra, trascurarono per orgoglio il
commercio, e non pensarono che ad arricchirsi colle spoglie di tutte
le nazioni; nella terza, che i Romani, schiavi e voluttuosi, con un
commercio passivo e rovinoso, caddero nella povertà e nella barbarie.
MENGOTTI, _Del commercio de' Romani_; memoria premiata dall'Istituto di
Francia.
[257] Ma i poeti non sapevano immaginare a quella spedizione altro
scopo che di conquiste. Vedasi Orazio; e così Properzio, III. 4:
_Arma Deus Cæsar dites meditatur ad Indos,_
_Et freta gemmiferi findere classe maris._
_Magna viæ merces; parat ultima terra triumphos;_
_Tigris et Euphrates sub tua jura fluent._
_Seres et ausoniis venient provincia virgis..._
_Ite agite; expertæ bello date lintea proræ._
[258] OROSIO, VII. 16.
[259] Tacito lo rammenta più volte, e così Filostrato, IV. 12, V. 1;
Plinio Cecilio, _Epist_. III. 11; Origene, _contra Celsum,_ III. 66;
san Giustino, _Apolog_. II. 8. — Vedi BURIGNY, _Mémoires de l'Académie
des Inscriptions_, tom. XXXI.
[260] La prima edizione certa di Plinio fu fatta da Giovanni di Spira
in Venezia il 1469: fino al 1480 se n'erano fatte sei ristampe, ma
tutte scorrette in modo, che Erasmo diceva, chi pigliasse a restituire
Plinio, si torrebbe sulle braccia tanta briga, quanta chi prende
una nave o una moglie. Le edizioni di Plinio finiscono alla parola
_Hispania quacumque ambitur mari_. Nel 1831, in un manoscritto
di Bamberga, Luigi De Jan professore a Schweinfurt trovò la fine
dell'opera, che dà un quadro comparativo della storia naturale
nei paesi posti sotto zone diverse, loda l'Europa meridionale e
specialmente la Spagna, «ove la dolcezza di un clima temperato dovette,
giusta il dogma dei primi Pitagorici, ajutar di buon'ora la stirpe
umana a spogliare la rozzezza selvaggia». A Gotha nel 1855 si fece
un'edizione sopra un codice che dà il titolo vero dell'opera: CAJI
PLINII SECUNDI _naturæ historiarum_, lib. XI. XII. XIII. XIV. XV,
_fragmenta edidit e codice rescripto sæculi quarti D.r _Fridegarius
Mone__.
Pel paragone che facciamo qui sotto, potrebbero contrapporsi il gonfio
elogio che di Plinio fece Buffon nel secolo passato, e il severo
giudizio che nel nostro ne portò Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire (_Essai
de Zoologie générale_, par. I. I. 5) dicendo: — Passare da Aristotele
a Plinio è un ricadere da tutta l'altezza che separa l'invenzione
e il genio dalla compilazione fiorita e dal discorso spiritoso...
Plinio è un mero compilatore, forse più elegante, ma altrettanto meno
scrupoloso... Aristotele quattro secoli prima avea ridotte al giusto
valore queste inezie vulgari».
[261] _Nat. hist._, III. 7; VIII. 55; II. 7.
[262] _Nat. hist_., VII. 2. 3. 6. 46; VIII. 66. 67; XXVIII. 2. 3. 4; V.
30.
[263] _Terra solida et globosa undique in sese nutibus suis conglobata.
— Omnes ejus partes medium capescentes nituntur æqualiter_. De nat.
Deorum, II. 39 e 45.
[264] II. 5 e 1.
[265] XXXIII. 1. 3. 4. 13. XIX. 1. 4.
[266] VII. 1. 7; II. 13. 1.
[267] XXX. 4; III. 6. 2.
[268] I classici riboccano d'inesattezze geografiche. Cicerone,
nel _Sogno di Scipione_, mostrossi ben addietro di quel che già si
conosceva. Orazio dà per estremi della terra la Bretagna e il Tanai.
Virgilio fa scorrere il Nilo per l'India (_Georg_., IV. 293; e vedi
pure Lucano, X. 292). La Bretagna fu appuntino descritta da Giulio
Cesare; eppure Tacito dice che Agricola scoperse ch'era isola, le
dà la forma d'uno scudo o di un'ascia, e soggiunge che all'oriente
ha la Germania, a mezzodì la Gallia, ad occidente la Spagna, a mezza
strada incontrando l'Irlanda. Per Plinio la Scandinavia è un'isola, e
comunque raccoglitore appassionato, sembra ch'e' non abbia conosciuto
Strabone, osservatore tanto più arguto di lui. Tolomeo è inesattissimo
nella geografia dell'Italia; colpa sua o degli scrivani: nel solo
breve tratto riferibile all'alta Italia, pone fra i Cenomani Bergamo,
Mantova, Trento, Verona, appartenenti agli Euganei, ai Levi, ai Reti,
ai Veneti; fa nascere il Po presso il lago di Como; la Dora presso
il lago Penino, poi piegare verso quel di Garda; dopo le foci del Po
colloca quelle dell'Atriano (il Tartaro?), dimenticando l'Adige; pone
come città mediterranee nei Carni Aquileja e Concordia, e nei Veneti
Altino e Adria che erano a mare; a occidente della Venezia colloca i
Becuni, nome ignoto, che forse accenna i Camuni o i Breuni, genti ad
ogni modo di poca importanza, ecc. Floro dà Capua per città marittima,
e fa due monti diversi il Massico ed il Falerno. Plinio critica
Dicearco d'aver detto che il più alto dei monti sia il Pelio di mille
ducencinquanta passi, mentre «non s'ignora che alcune cime delle Alpi
si elevano fin a cinquantamila passi».
[269]
_... Disco, qua parte fluat vincendus Araxes,_
_Quot sine aqua Parthus millia currat eques._
_Cogor et e tabula pictos ediscere mundos;_
_Qualis et hæc docti sit positura Dei;_
_Quæ tellus sit lenta gelu, quæ putris ab æstu;_
_Ventus in Italiam qui bene vela ferat._
PROPERZIO, IV. 3.
[270] VARRONE, _De re rustica_, lib. I. c. 2.
[271] PLINIO, _Nat. hist_., III. 3. 14.
[272] Invece di fare questa superficie = _a_/4 √3 (se si chiami _a_
il lato), Columella la suppose = 13_a_/30; il che dà √3 = 26/15, ossia
√675 = 26. Vedi lib. V. c. 2.
[273] PLINIO, _Epist_. IX. 61.
[274] Che scriveva a suo figlio, _jurarunt inter se Barbaros necare
omnes medicina. Et hoc ipsum mercede faciunt, ut fides iis sit, et
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