Storia degli Italiani, vol. 03 (di 15) - 26
sia vero che per arrivare al desiderato avvenire conviene afforzarsi
nella scuola del passato.
FINE DEL TOMO TERZO
INDICE
CAPITOLO _pag._
XXXI. Il secolo d'oro della letteratura latina 1
XXXII. Tiberio 79
XXXIII. Un imperatore pazzo, uno imbecille,
uno artista 92
XXXIV. Prosperità materiale e depravazione
morale. Lo stoicismo 118
XXXV. La redenzione 183
XXXVI. Galba. — Otone. — Vitellio 207
XXXVII. I Flavj 217
XXXVIII. Imperatori stoici 235
XXXIX. Gli Antonini 252
XL. Economia pubblica e privata sotto gli
Antonini 272
XLI. Coltura de' Romani. Età d'argento della
loro letteratura 304
XLII. Belle arti. Edilizia 392
NOTE:
[1] Orazio, Ep. II.
[2]
_Græcia capta, ferum victorem cepit, et artes_
_Intulit agresti Latio_...
_Serus enim græcis admovit acumina chartis._
Ep. II. 1.
(*) Mommsen vorrebbe che i versi fescennini e le atellane fossero detti
non dalle distrutte città di Fescennio e Atella, ma dal porsi in queste
città la scena delle commedie, affine di satirizzare senza incorrere le
gravi pene comminate a chi ingiuriasse un cittadino romano.
[3] Lib. VII, cap. 2.
[4] Plauto nel prologo del _Trinummo_ dice: _Plautus vortit barbare_;
e _barbarica lex_ chiama la romana nei _Captivi_; e _Barbaria_ l'Italia
nel _Penulo_.
[5] _Vates_ da _fari_, come Fauni; ed è comune alle genti il chiamare
sè parlanti, e muti gli stranieri.
[6] ORAZIO, Ep. II. 1; TACITO, _Ann._, XIV. 21.
[7] Singolarmente un Rintone da Taranto, modello di Lucilio, e
inventore d'una non sappiamo quale specie di commedia (LYDUS, _De
magistratibus rom._, I. 41). Forse era quella che a Roma dicevasi
_Rintonica_.
[8] Ciò risulta da Diomede, III. 488, nella collezione di Putsch.
[9] Munck, _De atellanis fabulis_, pag. 52, crede Strabone s'ingannasse
sull'_osce loqui_, volendo questo dire non che si servissero della
lingua osca, ma che parlavano _oscamente_, cioè rusticamente.
[10] Martino Hertz, in una memoria stampata a Berlino il 1854, sostiene
che deva dirsi Tito Maccio Plauto, nè altrimenti pensano l'editore di
Plauto Ritschl e Lachmann; così trovando in un palinsesto. Non pare
abbiano ragione.
[11] Per esempio:
_Obsequium amicos, veritas odium parit._
_Amantium iræ amoris integratio est._
_Homo sum; humani nihil a me alienum puto._
[12]
_Atque ideo hoc argumentum græcissat, tamen_
_Non atticissat, verum at sicilissat._
Prologo dei _Menæchmi_.
Anche Cicerone (_Divin. in Verrem_) rinfacciava a Cecilio, suo
competitore, d'avere imparato le greche lettere non in Atene ma al
Lilibeo, le latine non a Roma ma in Sicilia. Ciò proveniva dall'usarsi
nell'isola e il latino e il greco, il che guastava entrambe le lingue;
e forse più il commercio co' Cartaginesi.
Nel vol. III delle _Memorie sulla Sicilia_ è inserita una dissertazione
di Giuseppe Crispi «intorno al dialetto parlato e scritto in Sicilia
quando fu abitata dai Greci», corredata di esempj che scendono fino
alla dominazione normanna, cioè al sottentrare dell'italiano.
[13] Anche Terenzio alcuni pretendono sia scritto in prosa; tante sono
le licenze a cui bisogna ricorrere per ridurlo a versi giambi trimetri,
cioè di sei piedi, nei quali la sola regola che _quasi sempre_ egli
osserva è di finire con un giambo.
[14] Lo snodarsi ordinario degli intrecci col ricomparire d'un
personaggio creduto morto, o col far riconoscere un padre o un figlio,
trovava giustificazione fra gli antichi dall'abitudine di esporre i
bambini e ridurre schiavi i prigioni di guerra, dalle frequenti rapine
de' corsari, e dalle scarse comunicazioni fra' paesi. Quanto agli a
parte e alla doppia azione, restavano meno sconci per la vastità dei
teatri, e perchè la scena per lo più rappresentava una piazza, cui
molte strade metteano capo.
Di Terenzio cantava Cesare:
_Tu quoque, tu in summis, o dimidiate Menander,_
_Poneris, et merito, puri sermonis amator;_
_Lenibus atque utinam scriptis adjuncta foret vis,_
_Comica ut æquato virtus polleret honore_
_Cum Græcis, neque in hac despectus parte jaceres!_
_Unum hoc maceror, et doleo tibi deesse, Terenti._
Sebbene la frase _vis comica_ sia divenuta vulgata, inclino a credere
che il terzo e quarto verso vadano punteggiati come ho fatto, unendo il
_comica_ a _virtus_. Vedasi tom. I, pag. 364.
[15]
_Quod si personis iisdem uti aliis non licet,_
_Qui magis licet currentes servos scribere,_
_Bonas matronas facere, meretrices malas,_
_Parasitum edacem, gloriosum militem,_
_Puerum supponi, falli per servum senem,_
_Amare, odisse, suspicari? Denique_
_Nullum est jam dictum quod non dictum sit prius._
Prologo dell'_Eunuco_.
Ecco l'intreccio di tutte le commedie.
Sui comici latini porta questo giudizio Vulcazio Sedigito, vivente
sotto gl'imperatori:
_Multos incertos certare hanc rem vidimus_
_Palmam poetæ comico cui deferant._
_Eum, meo judicio, errorem dissolvam tibi,_
_Ut, contra si quis sentiat, nihil sentiat._
_Cæcilio palmam Statio do comico:_
_Plautus secundus facile exsuperat ceteros:_
_Dein Nævius qui fervet, pretio in tertio est:_
_Si erit quod quarto detur, dabitur Licinio:_
_Attilium post Licinium facio insequi;_
_In sexto sequitur hos loco Terentius:_
_Turpilius septimum, Trabea octavum obtinet:_
_Nono loco esse facile facio Luscium;_
_Decimum addo causa antiquitatis Ennium._
Presso A. GELLIO, XV. 24.
Sembra non abbia voluto indicare che gli autori di commedie _palliatæ_,
e perciò lasciasse daccanto persino Afranio, illustre nelle _togatæ_.
[16]
_Poeta, cum primum animum ad scribendum appulit,_
_Id sibi negotii credidit solum dari_
_Populo ut placerent quas fecisset fabulas._
TERENZIO, prologo dell'_Andria_.
... _Eum esse quæstum in animum induxi maxumum,_
_Quam maxume servire vestris commodis._
Prologo dell'_Eautontimorumenos_.
[17] Perchè Roma non ebbe tragedie? Tale questione è magistralmente
trattata da Nisard, _Etudes sur les mœurs et les poètes de la
décadence_, a proposito di Seneca. — Lance (_Vindiciæ romanæ tragediæ_.
Lipsia 1822) raccolse ben quaranta tragici romani. — Vedi pure
_Tragicorum romanorum reliquiæ: recensuit Otto Ribbeck_. Lipsia 1852.
[18] _Si quis populo occentassit, carmenve condisti, quod infamiam
faxit flagitiumve alteri, fuste ferito._ Cicerone, _De republica_,
dice: — Le XII Tavole avendo statuita la morte per pochissimi fatti,
tra questi stimarono non doverne andar esente colui che avesse detto
villanie, e composto versi in altrui infamia e vitupero. E ottimamente,
perchè il viver nostro dev'essere sottoposto alle sentenze de'
magistrati ed alle dispute legittime, non al capriccio de' poeti; nè
dobbiamo udir villanie se non a patto che ci sia lecito il rispondere e
difenderci in giudizio». Elegantissimamente Orazio soggiunge nella già
più volte citata _Epistola_ II. 1:
_Libertasque recurrentes accepta per annos_
_Lusit amabiliter, donec jam sævus apertam_
_In rabiem verti cœpit jocus, et per honestas_
_Ire domos impune minax. Doluere cruento_
_Dente lacessiti: fuit intactis quoque cura_
_Conditione super communi: quin etiam lex_
_Pœnaque lata, malo quæ nollet carmine quemquam_
_Describi. Vertere modum, formuline fustis_
_Ad bene dicendum, delectandumque redacti._
[19] Quando Cicerone fu richiamato in patria, Esopo tragico, recitando
il _Telamone_ di Azzio e cambiando poche parole, fece applauso a lui
con questi motti: _Quid enim? Qui rempublicam certo animo adjuverit,
statuerit, steterit cum Argivis... re dubia nec dubitarit vitam
offerre, nec capiti pepercerit... summum animum summo in bello...
summo ingenio præditum... O pater!... hæc omnia vidi inflammari...
O ingratifici Argivi, inanes Graji, immemores beneficii!... Exulare
sinitis, sinitis pelli, pulsum patinimi etc._
Nei giuochi Apollinari, avendo Difilo recitato questi versi,
_Nostra miseria tu es magnus_...
_Tandem virtutem istam veniet tempus cum graviter gemes_...
_Si neque leges, neque mores cogunt_...,
il popolo volle vedervi un'allusione a Pompeo, e costrinse l'attore a
replicarli migliaja di volte; _millies coactus est dicere_. CICERONE,
_ad Attico_, II. 19.
Sotto Nerone, un attore dovendo pronunziare, _Addio, padre mio;
addio, madre mia_, accompagnò il primo coll'atto del bere, il secondo
coll'atto del nuotare, per alludere al genere di morte dei genitori
di Nerone. Poi in un'atellana proferendo, _L'Orco vi tira pei piedi_
(_Orcus vobis ducit pedes_), voltavasi verso i senatori.
[20] Erano Britanni quei che abbassavano, noi diremmo alzavano gli
scenarj:
_Vel scena ut versis discedat frondibus, utque_
_Purpurea intexti tollant aulæa Britanni._
VIRGILIO, _Georg._, III. 24.
[21] Della critica di Acilio un bel saggio ci conservò A Gellio,
intendendo mostrarcene la _simplicissima suavitas et rei et orationis_
(XI. 14): _Eundem Romulum dicunt ad cœnam vocatum, ibi non multum
bibisse, quia postridie negotium haberet. Ei dicunt: — Romule, si istud
omnes homines faciant, vinum vilius sit». Is respondit: — Immo vero
carum, si quantum quisque volet, bibat; nam ego bibi quantum volui_».
C'è bene da disgradare le _cronicacce di frati_, contro cui se la
piglia Carlo Botta.
[22] Εἰ γὰρ, ἧς πάντες εὐχόμεθα τοῖς Θεοῖς τυχεῖν, καὶ πᾶν ὑπομένομεν
ἱμείροντες αὺτῆς μετασκεῖν, καὶ μόνον τοῦτο τῶν νομιζομένων ἀγαθῶν
ἀναμφισβήτητόν ἐστι παρ’ ἀνθρώποις (λέγω δὴ τὴν εἰρήνην) κ. τ. λ.
[23] Ὅτι σφόδρα οἱ ̔Ρωμαῖοι φιλοτιμοῦνται δικαίους ἐνίστασθαι τοὺς
πολέμους. _Framm._ XXXII. 4. 5.
[24] Anche Eumachio di Napoli avea descritto le geste di Annibale.
Celidonio Errante ha un discorso sui difetti della primitiva storia
siciliana, derivati dall'esserci giunta solo per frammenti; e suggeriva
di supplirvi in qualche modo col radunare que' frammenti. Cominciò
egli stesso l'opera nella _Biblioteca greco-sicula_ (Palermo 1847), ove
discorre di varj storici, quali Antioco, Temistogene, Filisto, Dicearco
ed altri.
[25] _Libros tuos conserva, et noli desperare eos me meos facere posse;
quod si assequero, supero Crassum divitiis, atque omnium vicos et
prato contemno._ Ad Attico, I. 4. — _Bibliothecam tuam cave cuiquam
despondeas, quamvis acrem amatorem inveneris: nam omnes vindemiolas eo
reservo, ut illud subsidium senectuti parem._ Ivi, 10. E spesso ritocca
la corda.
[26] _De latinis (libris) quo me vertam nescio; ita mendose et
scribuntur et veneunt._ CICERONE, _ad Quintum_, III. 5.
[27] Fuvvi bibliotecario Giulio Igino, che scrisse delle api e degli
alveari. Giulio Attico e Grecino trattarono della coltura delle viti.
[28] _Acad. Quæst._, I. 3: — Noi peregrini e quasi stranieri nella
città nostra, i tuoi libri condussero, per così dire, a casa, talchè
potessimo conoscere chi e dove fossimo. Tu l'età della patria, tu la
descrizione dei tempj, tu la ragione delle cose sacre e dei sacerdoti,
tu la disciplina domestica e la guerresca, tu la sede dei paesi e
dei luoghi, tu ci mostrasti delle cose tutte umane e divine i nomi, i
generi, gli uffizj, le cause, ecc.
[29] Le etimologie di Varrone sono già derise da Quintiliano, _Inst.
orat._, I. 6: _Cui non post Varronem sit venia? qui_ agrum, _quod
in eo_ agatur _aliquid; et_ graculos _quia gregatim volent, dictos
Ciceroni persuadere voluit; cum alterum ex græco sit manifestum duci,
alterum ex vocibus avium? Sed huic tanti fuit vertere, ut merula, quæ
sola volat, quasi mera volans, nominaretur._
[30] Fra le sentenze di Varrone, alcune vengono opportune anche oggi,
specialmente a coloro che l'erudizione antepongono a tutto.
_Non tam laudabile est meminisse quam invenisse: hoc enim alienum est,
illud proprii muneris est._
_Elegantissimum est docendi genus exemplorum subditio._
_Amator veri non tam spectat qualiter dicitur, quam quid._
_Illum elige eruditorem, quem magis mireris in suis quam in alienis._
_Non refert quis, sed quid dicat._
_Sunt quædam quæ eradenda essent ab animo scientis, quæ inserendi veri
locum occupant._
_Multum interest utrum rem ipsam, an libros inspicias. Libri nonnisi
scientiarum paupercula monimenta sunt; principia inquirendorum
continent, ut ab his negotiandi principia sumat animus._
_Eo tantum studia intermittantur, ne obmittantur. Gaudent varietate
musæ, non otio._
_Nil magnificum docebit qui a se nil didicit. Falso magistri
nuncupantur auditorum narratores. Sic audiendi sunt ut qui rumores
recensent._
_Utile sed ingloriosum est ex illaborato in alienos succedere labores._
[31] _Nat. hist._, XXXV. 2. — Raoul-Rochette li credeva miniati.
[32] _Nudi sunt, recti et venusti, omni ornatu orationis, tamquam
veste, detracto; sed dum voluit alios habere, parata unde sumerent qui
vellent scribere historiam, ineptis gratum fortasse fecit qui volunt
illa calamistris inurere; sanos quidem homines a scribendo deterruit:
nihil enim est in historia pura et illustri brevitate dulcius._
CICERONE, De orat., 75. — _Summus auctorum divus Julius._ TACITO. —
_Tanta in eo vis est, id acumen, ea concitatio, ut illum eodem animo
dixisse quo bellavit appareat._ QUINTILIANO, Inst. orat., X. 1.
L'ottavo libro della _Guerra gallica_ si ascrive comunemente a un
Irzio, che stese pure i commentarj sulle guerre d'Alessandria, d'Africa
e di Spagna.
[33] SVETONIO, in _Cesare_, 20, in _Augusto_, 36. — Le Clerc, nella
sua opera de' _Giornali fra i Romani_ (Parigi 1838), non solo intende
provare ch'essi aveano effemeridi al modo nostro, ma che, per mezzo
di queste e degli Annali Pontifizj, può rendersi alla storia de' primi
tempi la certezza che la critica tende a rapirle. Vedansi pure
LIEBERKUEHN, _Commentatio de actis Romanorum diurnis_. Weimar 1840.
SCHMIDT, _Zeitschrift für Geschichtswissenschaft_. Berlino 1844.
HUEBNER, _De senatus populique romani actis_. Lipsia 1860.
Eccone qualche esempio:
III. _Kal. Aprileis_.
_Fasces penes Æmilivm· lapidibvs plvit invejenti· Postvmivs trib.
pleb. viatorem misit ad eos quod is eo die senatum nolvisset
cogere· intercessione P. Decimii trib. pleb. res est svblata· Q.
Avfidivs mensarivs tabernæ argentariæ ad scvtvm cimbricvm cvm magna
vi æris alieni cessit foro· retractus ex itinere cavsam dixit apvd
P. Fontejvm Balbvm præt. et cvm liqvidum factum esset evm nvlla
fecisse detrimenta jvssus est in solidum æs totum dissolvere._
IV. _Kal. Aprileis_.
_Fasces penes Licinivm· fvlgvravit tonvit et qvercvs tacta in svmma
velia pavllvm a meridie· rixa ad Janvm infimvm in cavpona et cavpo
ad vrsum galeatvm graviter savciatvs· C. Titinivs æd. pl. mvlctavit
lanios qvod carnem vendidissent popvlo non inspectam· de pecunia
mulctatitia cella extrvcta ad tellvris lavernæ._
[34] _Candidissimus omnium magnorum ingeniorum æstimatur Livius._
SENECA. I suoi libri erano cinquantadue, arrivando da Romolo fino alla
morte di Druso nel 744. Ne restano trentacinque non seguenti, cioè
i primi dieci dalla fondazione di Roma sino al 460; manca tutta la
seconda decade; poi si ha dal libro XXI al XL, cioè dal principio della
seconda guerra punica fino al 586: del restante i sommarj, che credonsi
di Floro.
Negli archivj segreti di Torino giacciono le carte scritte
dall'infelice Pietro Giannone, durante la sua prigionia. Fra queste
sono i _Discorsi storici e politici sopra gli Annali di Tito Livio_,
ch'e' fece a imitazione del Machiavelli, ma con intento diverso,
giacchè si proponeva, non solo di gratificarsi Carlo Emanuèle III,
al quale non v'ha lode ch'egli non prodighi, ma di mostrare il suo
rispetto per la santa sede, e «manifestare al mondo i miei religiosi,
sinceri e cattolici sentimenti, ne' quali vivo e persisto; e.... a
riguardo dell'eminenza e superiorità della Chiesa di Roma sopra tutte
le altre Chiese del mondo cattolico, non ho io tralasciato le prove
più forti ed efficaci... chè ben dovrebbe essere studio e somma cura
di tutti gl'italici ingegni bene stabilirla, non essendo nella nostra
Italia rimasto oggi pregio maggiore e cotanto illustre ed insigne
che questo... Onde, se mai pe' miei precedenti scritti avess'io in
ciò errato e dato occasione ad altri di errare, è ben dovere che si
ricredano ora nella sincera dottrina... e se mai avesser seguito la
vestigia di un Pietro negante, giusto è che seguitino ora le pedate
dello stesso Pietro penitente...».
È bene ricordarsi che scriveva «in solitudine, fra' deserti monti delle
Langhe, senza libri, senza amici e senz'ajuto, e fra lo squallore e
la tabe d'una misera ed angusta prigione» (Discorso XIII). Non è da
aspettarsene gran senno critico, nè estesa filologia; ma assume diversi
punti, e per es. nel discorso III ragiona _della franchezza con la
quale Livio scrisse delle cose appartenenti alla religione romana, e
non solo intorno al culto degli Dei ed a' loro vantati miracoli, ma in
tutt'i suoi rapporti serbasse un'incorrotta sincerità di fedele storico
e di profondo e grave filosofo_.
_Ab uno disce omnes._ Questa, come altre opere del Giannone, venne
in luce per cura dell'illustre professore Pasquale Mancini, coi tipi
dell'Unione tipografico-editrice torinese.
[35] _Pompej Trogi fragmenta, quarum alia in codicibus manuscriptis
bibliothecæ Ossolinianæ invenit, alia in operibus scriptorum maxima
parte polonorum jam vulgatis primum animadvertit_... _Augustus
Bielowski_. Leopoli 1853.
[36]
... _Ausus es unus Italorum_
_Omne ævum tribus explicare chartis_
_Doctis, Jupiter! et laboriosis._
CATULLO.
[37] _Non ignorare debes, unum hoc genus latinarum literarum adhuc
non modo non respondere Græcis, sed omnino rude atque inchoatum morte
Ciceronis relictum. Ille enim fuit unus qui potuerit et etiam debuerit
historiam digna voce pronuntiare, quippe qui oratoriam eloquentiam,
rudem a majoribus acceptam, perpoliverit, philosophiam ante eum
incorruptam latina sua conformaverit oratione. Ex quo dubito, interitu
illius, utrum respublica an historia magis doleat._ Framm. — Cicerone
stesso (_De leg._, lib. I) si fa dire da Attico: _Postulatur a te
jamdiu, vel flagitatur potius historia. Sic enim putant, te illam
tractante, effici posse ut in hoc etiam genere Græciæ nihil cedamus:
atque, ut audias quid ego ipse sentiam, non solum mihi videris eorum
studiis qui literis delectantur, sed etiam patriæ debere hoc munus, ut
ea, quæ per te salva est, per te eundem sit ornata. Abest enim historia
literis nostris... Potes autem tu profecto satisfacere in ea, quippe
quum sit opus, ut tibi quidem videri solet, unum hoc oratorium maxime._
[38] _Quibusdam, et iis quidem non admodum indoctis, totum hoc
displicet philosophari._ CICERONE, De finib., I. 1. — _Vereor ne
quibusdam bonis viris philosophiæ nomen sit invisum._ De off., II. 1.
— _Reliqui, etiamsi hæc non improbent, tamen earum rerum disputationem
principibus civitatis non ita decorum putant._ Acad. Quæst., II. 2.
[39] CICERONE, _De finib._, IV. 28 e 9; _Acad. Quæst._, II. 44.
[40] CICERONE, _Topica. Quæst._ I.
[41] _Multi jam esse latini libri dicuntur, scripti inconsiderate ab
optimis illis quidem viris, sed non satis eruditis. Fieri autem potest
ut recte quis sentiat, sed id quod sentit, polite eloqui non possit...
Philosophiam multis locis inchoasti (o Varro) ad impellendum satis, ad
edocendum parum._ Lo stesso, _Acad._, I.
Tra i filosofi latini non vogliamo preterire Corellia, lodata da
Cicerone come _mirifice studio philosophiæ flagrans_, e da lui amata
troppo, se crediamo a Dione, lib. XLVI.
[42] _Sic parati ut... nullum philosophiæ locum esse pateremur, qui non
latinis literis illustratus pateret._ De divin., II. 2. Nel proemio
delle _Tusculane_ professa dolergli che molte opere latine siano
scritte neglettamente da valenti uomini, e che molti i quali pensano
bene, non sappiano poi disporre elegantemente, il che è un abusare del
tempo e della parola. Negli _Uffizj_ raccomanda a suo figlio di leggere
le sue filosofiche discussioni. — Quanto al fondo pensa quel che ne
vuoi: ma tal lettura non potrà che darti uno stile più fluido e ricco.
Umiltà a parte, io la cedo a molti in fatto di scienza filosofica, ma
per quel che sia d'oratore, cioè la nettezza e l'eleganza dello stile,
io consumai la vita intorno a quest'abilità, onde non fo che usare un
mio diritto col reclamarne l'onore».
[43] Ἀπόγραφα _sunt, minore labore fiunt; verba tantum affero, quibus
abundo._ Ad Attico, XII. 52.
[44] Platone quanto allo Stato non andava pensando a riforme, non
ad esaminare se il diritto sovrano stia in alto o in basso, e come
applicarlo; ma crede necessario educar l'uomo, e dargli le virtù
cardinali, che sono prudenza, fortezza, temperanza, giustizia. Con
queste, più non importa stillarsi a far regolamenti; senza queste, i
regolamenti saranno violati o elusi. — Fan da ridere davvero i nostri
politici che tornano ogni tratto sulle loro ordinanze, persuasi di
trovare un fine agli abusi, senza accorgersi ch'è un tagliar le teste
dell'idra». _De repub._, lib. IV. Queste parole dell'insigne Greco dopa
duemila anni non perdettero l'opportunità.
[45] _Turbatricem omnium rerum Academiam... Si invaserit in hæc, nimias
edet ruinas, quam ego placare cupio, submovere non audeo._ De leg., I.
13.
[46] La conchiusione del trattato sulla natura degli Dei è: _Ita
discessimus ut Vellejo Cottæ disputatio verior, mihi Balbi ad veritatis
similitudinem videretur esse propensior._
[47] _Tuscul._, v. 7.
[48] _Natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum
juris est._ De leg., I. 13. — _Studiis officiisque scientiæ præponenda,
sunt officia justitiæ, quæ pertinent ad hominum caritatem, qua nihil
homini debet esse antiquius._ De off., I. 43. _Quid est melius aut quid
præstantius bonitate et beneficentia?_ De nat. Deorum, I. 43.
[49] _De off._, II. 18. 16.
[50] _Quum se non unius circumdatum mœnibus loci, sed civem totius
mundi quasi unius urbis agnoverit._ De leg., I. 23. — _Qui autem civium
rationem dicunt habendam, externorum negant, ii dirimunt communem
humani generis societatem; qua sublata, beneficentia, liberalitas,
bonitas, justitia funditus tollantur._ De off., III. 6.
_Est autem non modo ejus qui servis, qui mutis pecudibus præsit, eorum
quibus præsit, commodis utilitatique servire._ Ad Quintum, I. 1. 8;
e più generosamente _De off._, I. 13: _Est infima conditio et fortuna
servorum: quibus non male præcipiunt qui ita jubent uti ut mercenariis;
operam exigendam, justa præbenda._
[51] _Bellum ita suscipiatur, ut nihil aliud nisi pax quæsita
videatur... Suscipienda sunt bella ob eam causam, ut sine injuria in
pace vivatur._ De off., e vedi I, 23.
[52] _De repub._, III. — _De off_., II.
Vedi FACCIOLATI, _Vita Ciceronis litteraria_. 1760.
HULSEMANN, _De indole philosophica Ciceronis, ex ingenio ipsius et
aliis rationibus æstimanda_. 1799.
GAUTIER DE SIBERT, _Examen de la philosophie de Cicéron_. Memorie
dell'Accademia d'Iscrizioni, tomi XLI. XLIII.
MEINERS, _Oratio de philosophia Ciceronis, ejusque in universam
philosophiam meritis_.
KUHNER, _M. T. Ciceronis in philosophiam ejusque partes merita_.
e tutti gli storici della filosofia.
La prima edizione compita delle opere di Cicerone, ove fossero compresi
anche i frammenti scoperti dal Maj nel 1814-1822, dal Niebuhr nel
1820, dal Peyron nel 1824, è quella di Le Clerc in latino e francese
1821-25, 30 vol. in-8º; e 1823-27, 35 vol. in-18º. Quella fatta dal
Pomba nel 1823-34 è in 16 vol. in-8º. Il meglio che l'erudizione abbia
accertato intorno al grande oratore, fu raccolto nell'_Onomasticum
Tullianum, continens M. T. Ciceronis vitam, historiam litterariam,
indicem geograficum historicum, indices legum et formularum, indicem
græco-latinum, fastos consulares. Curaverunt_ JO. GASP. ORELLIUS
_et_ JO. GEORG. RAITERUS, _professores turicenses_, 1837. È in corso
un'edizione compiuta delle opere di Cicerone a Lipsia per Teubner,
curata da Reinh. Klotz.
[53] Sono ottocensessantaquattro lettere; più di novanta scritte da
altri. Quelle ad Attico precedono il consolato di Cicerone; le altre
vanno dal 692 sino a quattro mesi prima della morte di lui. Alcune sono
vergate coll'intenzione che andassero attorno, e specialmente la lunga
al fratello Quinto, dove espone la propria amministrazione proconsolare
nell'Asia Minore. È noto che molte opere degli antichi perirono
allorchè, incarendosi pel chiuso Egitto la carta, si rase la primitiva
scrittura per sovrapporne una nuova. Si suol dare colpa ai frati di
quest'artifizio: eppure Cicerone convince che fino a' suoi tempi si
praticava: _Ut ad epistolas tuas redeam, cætera belle; nam quod in
palimpsesto, laudo equidem parcimoniam; sed miror quid in illa chartula
fuerit, quod delere malueris quam exscribere, nisi forte tuas formulas;
non enim puto te meas epistolas delere, ut deponas tuas. An hoc
significas nil fieri? frigere te? ne chartam quidem tibi suppeditare?_
Ad fam., VII. 18.
Ne trapela anche il nessun rispetto al secreto delle lettere, e
quanto poco si distinguessero i caratteri. Cicerone incarica Attico
di scrivere in vece sua: _Tu velim et Basilio, et quibus præterea
videbitur, conscribas nomine meo_. XI. 5. XII. 19. _Quod literas,
quibus putas opus esse curas dandas, facis commode_. XI. 7; e così 8,
12 e spesso. Talvolta accenna di scrivere di proprio pugno, quasi il
suo più grande amico non potesse riconoscerlo: _Hoc manu mea_. XIII.
28. Altrove dice allo stesso: — Ho creduto riconoscere la mano d'Alessi
nella tua lettera» (15. XV); e Alessi era il solito scrivano di Attico.
Bruto dal campo di Vercelli scrive a Cicerone: — Leggi le lettere
che spedisco al senato, e se ti pare, cambiavi pure». Ad fam., XI.
19. Un capitano che dà incombenza all'amico di alterare un dispaccio
offiziale! Cicerone stesso apre la lettera di Quinto fratello, credendo
trovarvi grandi arcani, e la fa avere ad Attico dicendogli: — Mandala
alla sua destinazione: è aperta, ma niente di male, giacchè credo che
Pomponia tua sorella abbia il suggello di esso».
Da ciò la grande importanza data al suggello, ancor più che alla firma.
In fatti la scrittura, oltre essere tanto somigliante perchè unciale,
poteva facilmente falsificarsi o sulle tavolette di cera o sulla
cartapecora. Pertanto succedeva spesso di fare interi testamenti falsi,
come appare nel codice Giustinianeo _De lege Cornelia de falsis_, lib.
XI. tit. 22.
[54] Detta così dal nome osco di un piatto d'ogni sorta frutte,
solito offrirsi a Cerere e Bacco. Da ciò _lex satura_ una legge che
abbracciava diversi titoli; era vietato far votare il popolo per
_saturam_, cioè su diverse proposizioni a un tratto. Diomede definisce:
_Satira est carmen apud Romanos, nunc quidem maledictum, et ad carpenda
hominum vitia archææ comœdiæ charactere compositum, quale scripserunt
Lucilius, Horatius et Persius; sed olim carmen, quod ex variis
poematibus constabat, satira dicebatur, quale scripserunt Pacuvius et
Ennius_.
[55]
... _Arctis_
_Religionum animos vinclis exsolvere pergo._
Lib. IV.
[56]
nella scuola del passato.
FINE DEL TOMO TERZO
INDICE
CAPITOLO _pag._
XXXI. Il secolo d'oro della letteratura latina 1
XXXII. Tiberio 79
XXXIII. Un imperatore pazzo, uno imbecille,
uno artista 92
XXXIV. Prosperità materiale e depravazione
morale. Lo stoicismo 118
XXXV. La redenzione 183
XXXVI. Galba. — Otone. — Vitellio 207
XXXVII. I Flavj 217
XXXVIII. Imperatori stoici 235
XXXIX. Gli Antonini 252
XL. Economia pubblica e privata sotto gli
Antonini 272
XLI. Coltura de' Romani. Età d'argento della
loro letteratura 304
XLII. Belle arti. Edilizia 392
NOTE:
[1] Orazio, Ep. II.
[2]
_Græcia capta, ferum victorem cepit, et artes_
_Intulit agresti Latio_...
_Serus enim græcis admovit acumina chartis._
Ep. II. 1.
(*) Mommsen vorrebbe che i versi fescennini e le atellane fossero detti
non dalle distrutte città di Fescennio e Atella, ma dal porsi in queste
città la scena delle commedie, affine di satirizzare senza incorrere le
gravi pene comminate a chi ingiuriasse un cittadino romano.
[3] Lib. VII, cap. 2.
[4] Plauto nel prologo del _Trinummo_ dice: _Plautus vortit barbare_;
e _barbarica lex_ chiama la romana nei _Captivi_; e _Barbaria_ l'Italia
nel _Penulo_.
[5] _Vates_ da _fari_, come Fauni; ed è comune alle genti il chiamare
sè parlanti, e muti gli stranieri.
[6] ORAZIO, Ep. II. 1; TACITO, _Ann._, XIV. 21.
[7] Singolarmente un Rintone da Taranto, modello di Lucilio, e
inventore d'una non sappiamo quale specie di commedia (LYDUS, _De
magistratibus rom._, I. 41). Forse era quella che a Roma dicevasi
_Rintonica_.
[8] Ciò risulta da Diomede, III. 488, nella collezione di Putsch.
[9] Munck, _De atellanis fabulis_, pag. 52, crede Strabone s'ingannasse
sull'_osce loqui_, volendo questo dire non che si servissero della
lingua osca, ma che parlavano _oscamente_, cioè rusticamente.
[10] Martino Hertz, in una memoria stampata a Berlino il 1854, sostiene
che deva dirsi Tito Maccio Plauto, nè altrimenti pensano l'editore di
Plauto Ritschl e Lachmann; così trovando in un palinsesto. Non pare
abbiano ragione.
[11] Per esempio:
_Obsequium amicos, veritas odium parit._
_Amantium iræ amoris integratio est._
_Homo sum; humani nihil a me alienum puto._
[12]
_Atque ideo hoc argumentum græcissat, tamen_
_Non atticissat, verum at sicilissat._
Prologo dei _Menæchmi_.
Anche Cicerone (_Divin. in Verrem_) rinfacciava a Cecilio, suo
competitore, d'avere imparato le greche lettere non in Atene ma al
Lilibeo, le latine non a Roma ma in Sicilia. Ciò proveniva dall'usarsi
nell'isola e il latino e il greco, il che guastava entrambe le lingue;
e forse più il commercio co' Cartaginesi.
Nel vol. III delle _Memorie sulla Sicilia_ è inserita una dissertazione
di Giuseppe Crispi «intorno al dialetto parlato e scritto in Sicilia
quando fu abitata dai Greci», corredata di esempj che scendono fino
alla dominazione normanna, cioè al sottentrare dell'italiano.
[13] Anche Terenzio alcuni pretendono sia scritto in prosa; tante sono
le licenze a cui bisogna ricorrere per ridurlo a versi giambi trimetri,
cioè di sei piedi, nei quali la sola regola che _quasi sempre_ egli
osserva è di finire con un giambo.
[14] Lo snodarsi ordinario degli intrecci col ricomparire d'un
personaggio creduto morto, o col far riconoscere un padre o un figlio,
trovava giustificazione fra gli antichi dall'abitudine di esporre i
bambini e ridurre schiavi i prigioni di guerra, dalle frequenti rapine
de' corsari, e dalle scarse comunicazioni fra' paesi. Quanto agli a
parte e alla doppia azione, restavano meno sconci per la vastità dei
teatri, e perchè la scena per lo più rappresentava una piazza, cui
molte strade metteano capo.
Di Terenzio cantava Cesare:
_Tu quoque, tu in summis, o dimidiate Menander,_
_Poneris, et merito, puri sermonis amator;_
_Lenibus atque utinam scriptis adjuncta foret vis,_
_Comica ut æquato virtus polleret honore_
_Cum Græcis, neque in hac despectus parte jaceres!_
_Unum hoc maceror, et doleo tibi deesse, Terenti._
Sebbene la frase _vis comica_ sia divenuta vulgata, inclino a credere
che il terzo e quarto verso vadano punteggiati come ho fatto, unendo il
_comica_ a _virtus_. Vedasi tom. I, pag. 364.
[15]
_Quod si personis iisdem uti aliis non licet,_
_Qui magis licet currentes servos scribere,_
_Bonas matronas facere, meretrices malas,_
_Parasitum edacem, gloriosum militem,_
_Puerum supponi, falli per servum senem,_
_Amare, odisse, suspicari? Denique_
_Nullum est jam dictum quod non dictum sit prius._
Prologo dell'_Eunuco_.
Ecco l'intreccio di tutte le commedie.
Sui comici latini porta questo giudizio Vulcazio Sedigito, vivente
sotto gl'imperatori:
_Multos incertos certare hanc rem vidimus_
_Palmam poetæ comico cui deferant._
_Eum, meo judicio, errorem dissolvam tibi,_
_Ut, contra si quis sentiat, nihil sentiat._
_Cæcilio palmam Statio do comico:_
_Plautus secundus facile exsuperat ceteros:_
_Dein Nævius qui fervet, pretio in tertio est:_
_Si erit quod quarto detur, dabitur Licinio:_
_Attilium post Licinium facio insequi;_
_In sexto sequitur hos loco Terentius:_
_Turpilius septimum, Trabea octavum obtinet:_
_Nono loco esse facile facio Luscium;_
_Decimum addo causa antiquitatis Ennium._
Presso A. GELLIO, XV. 24.
Sembra non abbia voluto indicare che gli autori di commedie _palliatæ_,
e perciò lasciasse daccanto persino Afranio, illustre nelle _togatæ_.
[16]
_Poeta, cum primum animum ad scribendum appulit,_
_Id sibi negotii credidit solum dari_
_Populo ut placerent quas fecisset fabulas._
TERENZIO, prologo dell'_Andria_.
... _Eum esse quæstum in animum induxi maxumum,_
_Quam maxume servire vestris commodis._
Prologo dell'_Eautontimorumenos_.
[17] Perchè Roma non ebbe tragedie? Tale questione è magistralmente
trattata da Nisard, _Etudes sur les mœurs et les poètes de la
décadence_, a proposito di Seneca. — Lance (_Vindiciæ romanæ tragediæ_.
Lipsia 1822) raccolse ben quaranta tragici romani. — Vedi pure
_Tragicorum romanorum reliquiæ: recensuit Otto Ribbeck_. Lipsia 1852.
[18] _Si quis populo occentassit, carmenve condisti, quod infamiam
faxit flagitiumve alteri, fuste ferito._ Cicerone, _De republica_,
dice: — Le XII Tavole avendo statuita la morte per pochissimi fatti,
tra questi stimarono non doverne andar esente colui che avesse detto
villanie, e composto versi in altrui infamia e vitupero. E ottimamente,
perchè il viver nostro dev'essere sottoposto alle sentenze de'
magistrati ed alle dispute legittime, non al capriccio de' poeti; nè
dobbiamo udir villanie se non a patto che ci sia lecito il rispondere e
difenderci in giudizio». Elegantissimamente Orazio soggiunge nella già
più volte citata _Epistola_ II. 1:
_Libertasque recurrentes accepta per annos_
_Lusit amabiliter, donec jam sævus apertam_
_In rabiem verti cœpit jocus, et per honestas_
_Ire domos impune minax. Doluere cruento_
_Dente lacessiti: fuit intactis quoque cura_
_Conditione super communi: quin etiam lex_
_Pœnaque lata, malo quæ nollet carmine quemquam_
_Describi. Vertere modum, formuline fustis_
_Ad bene dicendum, delectandumque redacti._
[19] Quando Cicerone fu richiamato in patria, Esopo tragico, recitando
il _Telamone_ di Azzio e cambiando poche parole, fece applauso a lui
con questi motti: _Quid enim? Qui rempublicam certo animo adjuverit,
statuerit, steterit cum Argivis... re dubia nec dubitarit vitam
offerre, nec capiti pepercerit... summum animum summo in bello...
summo ingenio præditum... O pater!... hæc omnia vidi inflammari...
O ingratifici Argivi, inanes Graji, immemores beneficii!... Exulare
sinitis, sinitis pelli, pulsum patinimi etc._
Nei giuochi Apollinari, avendo Difilo recitato questi versi,
_Nostra miseria tu es magnus_...
_Tandem virtutem istam veniet tempus cum graviter gemes_...
_Si neque leges, neque mores cogunt_...,
il popolo volle vedervi un'allusione a Pompeo, e costrinse l'attore a
replicarli migliaja di volte; _millies coactus est dicere_. CICERONE,
_ad Attico_, II. 19.
Sotto Nerone, un attore dovendo pronunziare, _Addio, padre mio;
addio, madre mia_, accompagnò il primo coll'atto del bere, il secondo
coll'atto del nuotare, per alludere al genere di morte dei genitori
di Nerone. Poi in un'atellana proferendo, _L'Orco vi tira pei piedi_
(_Orcus vobis ducit pedes_), voltavasi verso i senatori.
[20] Erano Britanni quei che abbassavano, noi diremmo alzavano gli
scenarj:
_Vel scena ut versis discedat frondibus, utque_
_Purpurea intexti tollant aulæa Britanni._
VIRGILIO, _Georg._, III. 24.
[21] Della critica di Acilio un bel saggio ci conservò A Gellio,
intendendo mostrarcene la _simplicissima suavitas et rei et orationis_
(XI. 14): _Eundem Romulum dicunt ad cœnam vocatum, ibi non multum
bibisse, quia postridie negotium haberet. Ei dicunt: — Romule, si istud
omnes homines faciant, vinum vilius sit». Is respondit: — Immo vero
carum, si quantum quisque volet, bibat; nam ego bibi quantum volui_».
C'è bene da disgradare le _cronicacce di frati_, contro cui se la
piglia Carlo Botta.
[22] Εἰ γὰρ, ἧς πάντες εὐχόμεθα τοῖς Θεοῖς τυχεῖν, καὶ πᾶν ὑπομένομεν
ἱμείροντες αὺτῆς μετασκεῖν, καὶ μόνον τοῦτο τῶν νομιζομένων ἀγαθῶν
ἀναμφισβήτητόν ἐστι παρ’ ἀνθρώποις (λέγω δὴ τὴν εἰρήνην) κ. τ. λ.
[23] Ὅτι σφόδρα οἱ ̔Ρωμαῖοι φιλοτιμοῦνται δικαίους ἐνίστασθαι τοὺς
πολέμους. _Framm._ XXXII. 4. 5.
[24] Anche Eumachio di Napoli avea descritto le geste di Annibale.
Celidonio Errante ha un discorso sui difetti della primitiva storia
siciliana, derivati dall'esserci giunta solo per frammenti; e suggeriva
di supplirvi in qualche modo col radunare que' frammenti. Cominciò
egli stesso l'opera nella _Biblioteca greco-sicula_ (Palermo 1847), ove
discorre di varj storici, quali Antioco, Temistogene, Filisto, Dicearco
ed altri.
[25] _Libros tuos conserva, et noli desperare eos me meos facere posse;
quod si assequero, supero Crassum divitiis, atque omnium vicos et
prato contemno._ Ad Attico, I. 4. — _Bibliothecam tuam cave cuiquam
despondeas, quamvis acrem amatorem inveneris: nam omnes vindemiolas eo
reservo, ut illud subsidium senectuti parem._ Ivi, 10. E spesso ritocca
la corda.
[26] _De latinis (libris) quo me vertam nescio; ita mendose et
scribuntur et veneunt._ CICERONE, _ad Quintum_, III. 5.
[27] Fuvvi bibliotecario Giulio Igino, che scrisse delle api e degli
alveari. Giulio Attico e Grecino trattarono della coltura delle viti.
[28] _Acad. Quæst._, I. 3: — Noi peregrini e quasi stranieri nella
città nostra, i tuoi libri condussero, per così dire, a casa, talchè
potessimo conoscere chi e dove fossimo. Tu l'età della patria, tu la
descrizione dei tempj, tu la ragione delle cose sacre e dei sacerdoti,
tu la disciplina domestica e la guerresca, tu la sede dei paesi e
dei luoghi, tu ci mostrasti delle cose tutte umane e divine i nomi, i
generi, gli uffizj, le cause, ecc.
[29] Le etimologie di Varrone sono già derise da Quintiliano, _Inst.
orat._, I. 6: _Cui non post Varronem sit venia? qui_ agrum, _quod
in eo_ agatur _aliquid; et_ graculos _quia gregatim volent, dictos
Ciceroni persuadere voluit; cum alterum ex græco sit manifestum duci,
alterum ex vocibus avium? Sed huic tanti fuit vertere, ut merula, quæ
sola volat, quasi mera volans, nominaretur._
[30] Fra le sentenze di Varrone, alcune vengono opportune anche oggi,
specialmente a coloro che l'erudizione antepongono a tutto.
_Non tam laudabile est meminisse quam invenisse: hoc enim alienum est,
illud proprii muneris est._
_Elegantissimum est docendi genus exemplorum subditio._
_Amator veri non tam spectat qualiter dicitur, quam quid._
_Illum elige eruditorem, quem magis mireris in suis quam in alienis._
_Non refert quis, sed quid dicat._
_Sunt quædam quæ eradenda essent ab animo scientis, quæ inserendi veri
locum occupant._
_Multum interest utrum rem ipsam, an libros inspicias. Libri nonnisi
scientiarum paupercula monimenta sunt; principia inquirendorum
continent, ut ab his negotiandi principia sumat animus._
_Eo tantum studia intermittantur, ne obmittantur. Gaudent varietate
musæ, non otio._
_Nil magnificum docebit qui a se nil didicit. Falso magistri
nuncupantur auditorum narratores. Sic audiendi sunt ut qui rumores
recensent._
_Utile sed ingloriosum est ex illaborato in alienos succedere labores._
[31] _Nat. hist._, XXXV. 2. — Raoul-Rochette li credeva miniati.
[32] _Nudi sunt, recti et venusti, omni ornatu orationis, tamquam
veste, detracto; sed dum voluit alios habere, parata unde sumerent qui
vellent scribere historiam, ineptis gratum fortasse fecit qui volunt
illa calamistris inurere; sanos quidem homines a scribendo deterruit:
nihil enim est in historia pura et illustri brevitate dulcius._
CICERONE, De orat., 75. — _Summus auctorum divus Julius._ TACITO. —
_Tanta in eo vis est, id acumen, ea concitatio, ut illum eodem animo
dixisse quo bellavit appareat._ QUINTILIANO, Inst. orat., X. 1.
L'ottavo libro della _Guerra gallica_ si ascrive comunemente a un
Irzio, che stese pure i commentarj sulle guerre d'Alessandria, d'Africa
e di Spagna.
[33] SVETONIO, in _Cesare_, 20, in _Augusto_, 36. — Le Clerc, nella
sua opera de' _Giornali fra i Romani_ (Parigi 1838), non solo intende
provare ch'essi aveano effemeridi al modo nostro, ma che, per mezzo
di queste e degli Annali Pontifizj, può rendersi alla storia de' primi
tempi la certezza che la critica tende a rapirle. Vedansi pure
LIEBERKUEHN, _Commentatio de actis Romanorum diurnis_. Weimar 1840.
SCHMIDT, _Zeitschrift für Geschichtswissenschaft_. Berlino 1844.
HUEBNER, _De senatus populique romani actis_. Lipsia 1860.
Eccone qualche esempio:
III. _Kal. Aprileis_.
_Fasces penes Æmilivm· lapidibvs plvit invejenti· Postvmivs trib.
pleb. viatorem misit ad eos quod is eo die senatum nolvisset
cogere· intercessione P. Decimii trib. pleb. res est svblata· Q.
Avfidivs mensarivs tabernæ argentariæ ad scvtvm cimbricvm cvm magna
vi æris alieni cessit foro· retractus ex itinere cavsam dixit apvd
P. Fontejvm Balbvm præt. et cvm liqvidum factum esset evm nvlla
fecisse detrimenta jvssus est in solidum æs totum dissolvere._
IV. _Kal. Aprileis_.
_Fasces penes Licinivm· fvlgvravit tonvit et qvercvs tacta in svmma
velia pavllvm a meridie· rixa ad Janvm infimvm in cavpona et cavpo
ad vrsum galeatvm graviter savciatvs· C. Titinivs æd. pl. mvlctavit
lanios qvod carnem vendidissent popvlo non inspectam· de pecunia
mulctatitia cella extrvcta ad tellvris lavernæ._
[34] _Candidissimus omnium magnorum ingeniorum æstimatur Livius._
SENECA. I suoi libri erano cinquantadue, arrivando da Romolo fino alla
morte di Druso nel 744. Ne restano trentacinque non seguenti, cioè
i primi dieci dalla fondazione di Roma sino al 460; manca tutta la
seconda decade; poi si ha dal libro XXI al XL, cioè dal principio della
seconda guerra punica fino al 586: del restante i sommarj, che credonsi
di Floro.
Negli archivj segreti di Torino giacciono le carte scritte
dall'infelice Pietro Giannone, durante la sua prigionia. Fra queste
sono i _Discorsi storici e politici sopra gli Annali di Tito Livio_,
ch'e' fece a imitazione del Machiavelli, ma con intento diverso,
giacchè si proponeva, non solo di gratificarsi Carlo Emanuèle III,
al quale non v'ha lode ch'egli non prodighi, ma di mostrare il suo
rispetto per la santa sede, e «manifestare al mondo i miei religiosi,
sinceri e cattolici sentimenti, ne' quali vivo e persisto; e.... a
riguardo dell'eminenza e superiorità della Chiesa di Roma sopra tutte
le altre Chiese del mondo cattolico, non ho io tralasciato le prove
più forti ed efficaci... chè ben dovrebbe essere studio e somma cura
di tutti gl'italici ingegni bene stabilirla, non essendo nella nostra
Italia rimasto oggi pregio maggiore e cotanto illustre ed insigne
che questo... Onde, se mai pe' miei precedenti scritti avess'io in
ciò errato e dato occasione ad altri di errare, è ben dovere che si
ricredano ora nella sincera dottrina... e se mai avesser seguito la
vestigia di un Pietro negante, giusto è che seguitino ora le pedate
dello stesso Pietro penitente...».
È bene ricordarsi che scriveva «in solitudine, fra' deserti monti delle
Langhe, senza libri, senza amici e senz'ajuto, e fra lo squallore e
la tabe d'una misera ed angusta prigione» (Discorso XIII). Non è da
aspettarsene gran senno critico, nè estesa filologia; ma assume diversi
punti, e per es. nel discorso III ragiona _della franchezza con la
quale Livio scrisse delle cose appartenenti alla religione romana, e
non solo intorno al culto degli Dei ed a' loro vantati miracoli, ma in
tutt'i suoi rapporti serbasse un'incorrotta sincerità di fedele storico
e di profondo e grave filosofo_.
_Ab uno disce omnes._ Questa, come altre opere del Giannone, venne
in luce per cura dell'illustre professore Pasquale Mancini, coi tipi
dell'Unione tipografico-editrice torinese.
[35] _Pompej Trogi fragmenta, quarum alia in codicibus manuscriptis
bibliothecæ Ossolinianæ invenit, alia in operibus scriptorum maxima
parte polonorum jam vulgatis primum animadvertit_... _Augustus
Bielowski_. Leopoli 1853.
[36]
... _Ausus es unus Italorum_
_Omne ævum tribus explicare chartis_
_Doctis, Jupiter! et laboriosis._
CATULLO.
[37] _Non ignorare debes, unum hoc genus latinarum literarum adhuc
non modo non respondere Græcis, sed omnino rude atque inchoatum morte
Ciceronis relictum. Ille enim fuit unus qui potuerit et etiam debuerit
historiam digna voce pronuntiare, quippe qui oratoriam eloquentiam,
rudem a majoribus acceptam, perpoliverit, philosophiam ante eum
incorruptam latina sua conformaverit oratione. Ex quo dubito, interitu
illius, utrum respublica an historia magis doleat._ Framm. — Cicerone
stesso (_De leg._, lib. I) si fa dire da Attico: _Postulatur a te
jamdiu, vel flagitatur potius historia. Sic enim putant, te illam
tractante, effici posse ut in hoc etiam genere Græciæ nihil cedamus:
atque, ut audias quid ego ipse sentiam, non solum mihi videris eorum
studiis qui literis delectantur, sed etiam patriæ debere hoc munus, ut
ea, quæ per te salva est, per te eundem sit ornata. Abest enim historia
literis nostris... Potes autem tu profecto satisfacere in ea, quippe
quum sit opus, ut tibi quidem videri solet, unum hoc oratorium maxime._
[38] _Quibusdam, et iis quidem non admodum indoctis, totum hoc
displicet philosophari._ CICERONE, De finib., I. 1. — _Vereor ne
quibusdam bonis viris philosophiæ nomen sit invisum._ De off., II. 1.
— _Reliqui, etiamsi hæc non improbent, tamen earum rerum disputationem
principibus civitatis non ita decorum putant._ Acad. Quæst., II. 2.
[39] CICERONE, _De finib._, IV. 28 e 9; _Acad. Quæst._, II. 44.
[40] CICERONE, _Topica. Quæst._ I.
[41] _Multi jam esse latini libri dicuntur, scripti inconsiderate ab
optimis illis quidem viris, sed non satis eruditis. Fieri autem potest
ut recte quis sentiat, sed id quod sentit, polite eloqui non possit...
Philosophiam multis locis inchoasti (o Varro) ad impellendum satis, ad
edocendum parum._ Lo stesso, _Acad._, I.
Tra i filosofi latini non vogliamo preterire Corellia, lodata da
Cicerone come _mirifice studio philosophiæ flagrans_, e da lui amata
troppo, se crediamo a Dione, lib. XLVI.
[42] _Sic parati ut... nullum philosophiæ locum esse pateremur, qui non
latinis literis illustratus pateret._ De divin., II. 2. Nel proemio
delle _Tusculane_ professa dolergli che molte opere latine siano
scritte neglettamente da valenti uomini, e che molti i quali pensano
bene, non sappiano poi disporre elegantemente, il che è un abusare del
tempo e della parola. Negli _Uffizj_ raccomanda a suo figlio di leggere
le sue filosofiche discussioni. — Quanto al fondo pensa quel che ne
vuoi: ma tal lettura non potrà che darti uno stile più fluido e ricco.
Umiltà a parte, io la cedo a molti in fatto di scienza filosofica, ma
per quel che sia d'oratore, cioè la nettezza e l'eleganza dello stile,
io consumai la vita intorno a quest'abilità, onde non fo che usare un
mio diritto col reclamarne l'onore».
[43] Ἀπόγραφα _sunt, minore labore fiunt; verba tantum affero, quibus
abundo._ Ad Attico, XII. 52.
[44] Platone quanto allo Stato non andava pensando a riforme, non
ad esaminare se il diritto sovrano stia in alto o in basso, e come
applicarlo; ma crede necessario educar l'uomo, e dargli le virtù
cardinali, che sono prudenza, fortezza, temperanza, giustizia. Con
queste, più non importa stillarsi a far regolamenti; senza queste, i
regolamenti saranno violati o elusi. — Fan da ridere davvero i nostri
politici che tornano ogni tratto sulle loro ordinanze, persuasi di
trovare un fine agli abusi, senza accorgersi ch'è un tagliar le teste
dell'idra». _De repub._, lib. IV. Queste parole dell'insigne Greco dopa
duemila anni non perdettero l'opportunità.
[45] _Turbatricem omnium rerum Academiam... Si invaserit in hæc, nimias
edet ruinas, quam ego placare cupio, submovere non audeo._ De leg., I.
13.
[46] La conchiusione del trattato sulla natura degli Dei è: _Ita
discessimus ut Vellejo Cottæ disputatio verior, mihi Balbi ad veritatis
similitudinem videretur esse propensior._
[47] _Tuscul._, v. 7.
[48] _Natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum
juris est._ De leg., I. 13. — _Studiis officiisque scientiæ præponenda,
sunt officia justitiæ, quæ pertinent ad hominum caritatem, qua nihil
homini debet esse antiquius._ De off., I. 43. _Quid est melius aut quid
præstantius bonitate et beneficentia?_ De nat. Deorum, I. 43.
[49] _De off._, II. 18. 16.
[50] _Quum se non unius circumdatum mœnibus loci, sed civem totius
mundi quasi unius urbis agnoverit._ De leg., I. 23. — _Qui autem civium
rationem dicunt habendam, externorum negant, ii dirimunt communem
humani generis societatem; qua sublata, beneficentia, liberalitas,
bonitas, justitia funditus tollantur._ De off., III. 6.
_Est autem non modo ejus qui servis, qui mutis pecudibus præsit, eorum
quibus præsit, commodis utilitatique servire._ Ad Quintum, I. 1. 8;
e più generosamente _De off._, I. 13: _Est infima conditio et fortuna
servorum: quibus non male præcipiunt qui ita jubent uti ut mercenariis;
operam exigendam, justa præbenda._
[51] _Bellum ita suscipiatur, ut nihil aliud nisi pax quæsita
videatur... Suscipienda sunt bella ob eam causam, ut sine injuria in
pace vivatur._ De off., e vedi I, 23.
[52] _De repub._, III. — _De off_., II.
Vedi FACCIOLATI, _Vita Ciceronis litteraria_. 1760.
HULSEMANN, _De indole philosophica Ciceronis, ex ingenio ipsius et
aliis rationibus æstimanda_. 1799.
GAUTIER DE SIBERT, _Examen de la philosophie de Cicéron_. Memorie
dell'Accademia d'Iscrizioni, tomi XLI. XLIII.
MEINERS, _Oratio de philosophia Ciceronis, ejusque in universam
philosophiam meritis_.
KUHNER, _M. T. Ciceronis in philosophiam ejusque partes merita_.
e tutti gli storici della filosofia.
La prima edizione compita delle opere di Cicerone, ove fossero compresi
anche i frammenti scoperti dal Maj nel 1814-1822, dal Niebuhr nel
1820, dal Peyron nel 1824, è quella di Le Clerc in latino e francese
1821-25, 30 vol. in-8º; e 1823-27, 35 vol. in-18º. Quella fatta dal
Pomba nel 1823-34 è in 16 vol. in-8º. Il meglio che l'erudizione abbia
accertato intorno al grande oratore, fu raccolto nell'_Onomasticum
Tullianum, continens M. T. Ciceronis vitam, historiam litterariam,
indicem geograficum historicum, indices legum et formularum, indicem
græco-latinum, fastos consulares. Curaverunt_ JO. GASP. ORELLIUS
_et_ JO. GEORG. RAITERUS, _professores turicenses_, 1837. È in corso
un'edizione compiuta delle opere di Cicerone a Lipsia per Teubner,
curata da Reinh. Klotz.
[53] Sono ottocensessantaquattro lettere; più di novanta scritte da
altri. Quelle ad Attico precedono il consolato di Cicerone; le altre
vanno dal 692 sino a quattro mesi prima della morte di lui. Alcune sono
vergate coll'intenzione che andassero attorno, e specialmente la lunga
al fratello Quinto, dove espone la propria amministrazione proconsolare
nell'Asia Minore. È noto che molte opere degli antichi perirono
allorchè, incarendosi pel chiuso Egitto la carta, si rase la primitiva
scrittura per sovrapporne una nuova. Si suol dare colpa ai frati di
quest'artifizio: eppure Cicerone convince che fino a' suoi tempi si
praticava: _Ut ad epistolas tuas redeam, cætera belle; nam quod in
palimpsesto, laudo equidem parcimoniam; sed miror quid in illa chartula
fuerit, quod delere malueris quam exscribere, nisi forte tuas formulas;
non enim puto te meas epistolas delere, ut deponas tuas. An hoc
significas nil fieri? frigere te? ne chartam quidem tibi suppeditare?_
Ad fam., VII. 18.
Ne trapela anche il nessun rispetto al secreto delle lettere, e
quanto poco si distinguessero i caratteri. Cicerone incarica Attico
di scrivere in vece sua: _Tu velim et Basilio, et quibus præterea
videbitur, conscribas nomine meo_. XI. 5. XII. 19. _Quod literas,
quibus putas opus esse curas dandas, facis commode_. XI. 7; e così 8,
12 e spesso. Talvolta accenna di scrivere di proprio pugno, quasi il
suo più grande amico non potesse riconoscerlo: _Hoc manu mea_. XIII.
28. Altrove dice allo stesso: — Ho creduto riconoscere la mano d'Alessi
nella tua lettera» (15. XV); e Alessi era il solito scrivano di Attico.
Bruto dal campo di Vercelli scrive a Cicerone: — Leggi le lettere
che spedisco al senato, e se ti pare, cambiavi pure». Ad fam., XI.
19. Un capitano che dà incombenza all'amico di alterare un dispaccio
offiziale! Cicerone stesso apre la lettera di Quinto fratello, credendo
trovarvi grandi arcani, e la fa avere ad Attico dicendogli: — Mandala
alla sua destinazione: è aperta, ma niente di male, giacchè credo che
Pomponia tua sorella abbia il suggello di esso».
Da ciò la grande importanza data al suggello, ancor più che alla firma.
In fatti la scrittura, oltre essere tanto somigliante perchè unciale,
poteva facilmente falsificarsi o sulle tavolette di cera o sulla
cartapecora. Pertanto succedeva spesso di fare interi testamenti falsi,
come appare nel codice Giustinianeo _De lege Cornelia de falsis_, lib.
XI. tit. 22.
[54] Detta così dal nome osco di un piatto d'ogni sorta frutte,
solito offrirsi a Cerere e Bacco. Da ciò _lex satura_ una legge che
abbracciava diversi titoli; era vietato far votare il popolo per
_saturam_, cioè su diverse proposizioni a un tratto. Diomede definisce:
_Satira est carmen apud Romanos, nunc quidem maledictum, et ad carpenda
hominum vitia archææ comœdiæ charactere compositum, quale scripserunt
Lucilius, Horatius et Persius; sed olim carmen, quod ex variis
poematibus constabat, satira dicebatur, quale scripserunt Pacuvius et
Ennius_.
[55]
... _Arctis_
_Religionum animos vinclis exsolvere pergo._
Lib. IV.
[56]
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