Storia degli Italiani, vol. 02 (di 15) - 20
quali dal prospero successo imbaldanziti, costrinsero il lor generale a
menarli alla mischia. Tant'era questo o mal servito o tradito, che solo
sul punto dell'attacco udì la vittoria dalla sua flotta riportata già
da venti giorni, e che mutava ragione a' suoi consigli quand'egli non
poteva più dar indietro[274].
Combatteva dunque mal suo grado; mal suo grado dovette far uccidere
parecchi prigionieri schiavi o liberi, perchè il custodirli occupava
troppi guerrieri; dei cittadini e liberti romani rinviò gran numero,
alcuni anche nascondendo e trafugando per sottrarli a' suoi uffiziali;
a questi dovè consegnare due buffoni che contraffacevano Cassio; e
per non vedersi abbandonato dall'esercito, prometteva il saccheggio
di Tessalonica e Sparta se uscisse vincitore (40); unico
delitto, dice il morale Plutarco, di cui siasi egli contaminato!
Anche la virtù aveva egli dunque sagrificato alla sua causa; onde
conturbata dal rimorso l'immaginazione, credette rivedere uno spettro
che aveagli promesso ricomparire a Filippi, e che gli prediceva
imminente la sua fine. Avversi augurj scoraggiavano il suo campo, che
egli tentò riconfortare, e — Giacchè avete per forza voluto mettere a
repentaglio una vittoria che aspettando era infallibile, acquistatevela
almeno col coraggio».
Più incalzanti argomenti proponevano i triumviri; l'alternativa di
morire di ferro o di fame. Si diè dentro colla rabbia d'una guerra
civile e i repubblicani soccombettero; l'esercito andò a macello; i
primarj uffiziali caddero al posto assegnato, tra cui il figlio di
Catone con generoso fine riparò una vita obbrobriosa.
Bruto fu salvato da Lucilio Lucino cavalier romano, che fintosi lui, si
lasciò menare prigioniero. Fuggendo, arrivò in una valle, e ringraziato
alquanti amici che non l'avessero abbandonato, gli esortò a tornare al
campo, ove credeva non disperate le cose. Allora pregò uno schiavo ad
ucciderlo; ma l'epirota Stratone, suo intimo, esclamò, — Non sia mai
detto che Bruto, in mancanza d'amici, è perito per mano d'uno schiavo»,
e gli presentò la punta della spada: Bruto vi si confisse, esclamando,
— O virtù, io t'aveva creduto qualcosa di reale, ma vedo non sei altro
che un sogno».
E un sogno era stata la vita sua, dietro a un fantasma senza realtà:
adesso giudicava la virtù dall'esito, com'è ridotto a fare chi a
quest'ordine di cose limita la vista. Compiva i trentasette anni, e
da quanti il conoscevano erasi fatto ammirare ed amare, e dal popolo
venerare per umanità, per carattere leale, pel costante proposito di
giustizia e di virtù, favorendo sempre non la parte cui lo inclinava
l'affetto o l'interesse, ma quella che credeva più giusta e più utile
alla patria. Dal turbolento ed ambizioso Cassio lasciossi indurre
all'uccisione di Cesare, che partorì la guerra civile, tanti anni di
desolazione, e il dominio di crudeli e di vili, in luogo del temperato
e generoso dittatore. Di quest'assassinio lo può scagionare il vederlo
conforme alle idee del suo tempo e del suo paese. Per legge di Roma
l'uccisione d'un usurpatore era esente da colpa[275]; le dottrine
greche faceano eroici simili atti, e inneggiavano Armodio e Timoteo;
lo stoicismo esaltava ciò che mostrasse forza: solo sarebbe a stupire
di veder oggi lodato Bruto da quei che si chiamano liberali, qualora
fossero meno conosciuti la storia delle opinioni e il pregiudizio
dell'imitazione[276].
Dallo stoicismo era pure suggerito il suicidio a lui ed a Cassio: ma
la loro fazione può incolparli d'aver deserto il posto mentre ancora
integre le forze, e quando avrebber dovuto adoperarsi a ristabilire
la repubblica che credevano a sè confidata. Gli avversarj stessi
compiansero Bruto, come si fa de' nemici sinceri; Antonio gettò un
ricco mantello sul cadavere di lui, ne ordinò magnifici funerali,
e volle amico quel Lucilio che l'avea salvato; Messala presentò ad
Ottaviano il retore Stratone, dicendo: — È lui che rese l'estremo
uffizio al mio generale». Esso Ottaviano, che nella sua viltà insultò
dapprima al cadavere di quello dinanzi al quale era poc'anzi fuggito,
avendo poi veduta la statua erettagli in Milano dai Cisalpini, li lodò
per questa memore riconoscenza.
Il campo di Bruto fornì di viveri i soldati de' triumviri, e di
tesori per regalare i veterani e congedarli, da che s'erano resi
insubordinati. Antonio mandò a morte altri suoi nemici: Livio Druso,
suocero di Ottaviano, gli si sottrasse uccidendosi. Ottaviano, più
fiero perchè più vile, aggiungeva l'oltraggio al supplizio; a chi gli
chiese almeno la sepoltura: — La provvederanno gli avoltoj»; costrinse
un figlio ad immergere la spada nel seno del padre, indi ritorcerla
contro se stesso. Perciò i prigionieri il caricavano d'imprecazioni, e
boccheggiando nella morte rinfacciavangli la codardia sua atroce.
Non era terminata la guerra: e Sesto Pompeo (41)
raggomitolava in Sicilia i fuggiaschi proscritti; Domizio Enobarbo
e Stazio Macro comandavano le flotte vincitrici sulle coste della
Macedonia e dell'Jonia; Cassio Parmense ne conduceva un'altra in Asia,
ingrossata dai Rodiani. Pertanto Ottaviano mosse contro Pompeo, Antonio
contro l'Oriente; e ambendo gli applausi della Grecia, la attraversò,
assistendo a giuochi e dispute, e largheggiando; in Asia ebbe
accoglienze adulatorie da re e regine; ad Efeso la pompa usata nelle
solennità di Bacco. Egli, che erasi mostrato eroe nel pericolo e vero
autore delle vittorie, ora straripava ai vizj della prosperità; quelle
orgie e le laute piacenterie ripagava con generosità, e talora con
pazza prodigalità, come allorchè, trovando squisito il pranzo, regalò
al cuoco la casa d'un primario cittadino di Magnesia.
Nè per ciò rimetteva del sanguinario rigore. Trovando indocili le
legioni di Macedonia, chiama nel padiglione trecento principali, e
li fa scannare; persegue a morte chi cospirò contro Cesare; confisca
ricchezze per darle a mimi e adulatori. Gli faceano gola i tesori che
il commercio procacciava a Palmira, la quale, sorgente in un'oasi del
deserto di Siria, serviva di stazione alle carovane; ma gli abitanti
le trasferirono di là dell'Eufrate, e coi Siri e coi Palestini esausti
dalle imposizioni, e cogli Aradiani che avevano trucidato gli esattori,
invocarono i Parti, rinnovando così a Roma le costoro terribili
nimicizie.
Bisognava che i triumviri compensassero i soldati; e Ottaviano
s'incaricò di distribuir loro terreni, Antonio denari, per aver i
quali si era vôlto all'Oriente. La bella Cleopatra, regina d'Egitto,
avea sposato la parte de' triumviri; ma perchè qualche generale di lei
era stato costretto a favorire Crasso, Antonio, giunto in Cilicia,
la chiamò a giustificarsi. Ella comparve a Tarso, montata sopra una
galea guarnita con quanto lusso l'Oriente sapesse; dorata la poppa,
di porpora le vele, argentati i remi, che batteano a suon di flauti
e di lire; amorini e nereidi faceano corteggio ad essa, che in abito
di dea sedeva tra i profumi, onde il popolo cantava: — Venere trae a
visitar Bacco». Portando somme ingenti e una bellezza rara, cresciuta
dai raffinamenti della galanteria e dalla coltura dell'ingegno, potea
dubitare di soggettarsi Antonio? Da quel punto egli le fu schiavo; non
era ingiustizia che per lei negasse commettere; uccideva signori onde
confiscar beni per essa; mandò soldati a trucidare Arsinoe sorella di
lei, che privatamente viveva in Asia; poi seguitatala in Egitto, vi
svernò fra delizie.
La bella, congiungendo l'accortezza di Mitradate e l'ardimento di
Cesare, favellava diverse lingue; spargea di leggiadre vivezze la
conversazione; compariva or da guerriera, or da cacciatrice, or da
pescatrice; se accorgevasi che Antonio si faceva attaccar pesci all'amo
per vanità di mostrarsi fortunato pescatore, mandava palombari che glie
ne attaccassero di cotti, e celiando gli diceva: — Va, e piglia città e
regni, fatiche da te; a noi lascia l'insidiare ai pesci». Poi con esso
giocava, beveva, usciva notturna per le vie a far burle ai passeggeri e
mescolarsi sconosciuta ai beoni nelle taverne, esponendosi a ingiurie
e busse, per isfoggiare grazia nel narrarle poi alla Corte. A gara
s'imbandivano desinari, e Cleopatra vinceva lui in ricchezza e gusto.
Ammirando una volta Antonio la quantità di vasi preziosi, disposti
sul buffetto, ella disse — Sono a tua disposizione», e glieli mandò,
pregandolo che il domani tornasse a lei con maggior compagnia. Tornato,
ritrovò più riccamente guernite le credenze, e al fine del pasto il
vasellame fu scompartito fra i convivi. Ornava essa le orecchie con
due perle, stimate ciascuna un tesoro: ne staccò una, stemprolla e
la bevve; e accingeasi a far lo stesso dell'altra, ma rattenuta, la
regalò. Filota medico d'Amfrissa, invitato da un cuoco a vedere i
preparativi della cucina d'Antonio, meravigliossi della varietà dei
cibi, ma soprattutto il colpì la vista di otto cinghiali, allestiti
sugli spiedi, e domandò che folla di commensali s'aspettasse. Ma il
cuoco: — Dodici soli; però potendo Antonio voler cenare all'istante,
fra un'ora, fra due o più tardi, conviene per ogni momento tener lesto
un compiuto desinare».
Uom di passioni, Antonio doveva soccombere a Ottaviano uom di calcolo.
Il quale, profittando di que' lubrici riposi, dell'Italia fece sua
preda; giusta l'accordo tolse a donare ai veterani i beni di tutti
quelli che non avessero preso le armi per loro; onde Antonio disse:
— Ottaviano va in Italia per distribuire le città e le ville, o, a
dir più giusto, per tramutare tutte le proprietà dell'Italia in altre
mani». Così fece di fatto: e i miseri, respinti dal fondo avito,
accorrevano a Roma a fiotti, esclamando all'ingiustizia di far pagare
al popolo una guerra, vantaggiosa unicamente ai triumviri; e di
ripartire anche ingiustamente l'aggravio, colpendo le città migliori
e i terreni più pingui. Ottaviano vi dava ipocrito ascolto, nè però
cessava dalla spropriazione; eppure l'ingordo esercito, che colla
fantasia esagerava i tesori tocchi ai fedeli di Silla, imperversava
contro il triumviro, incapace di saziarlo; e giudicava rubato a sè
tutto ciò ch'era lasciato ai legittimi possessori.
Gli scontenti (41) fecero capo a Lucio Antonio fratello
e a Fulvia moglie di Marc'Antonio, quell'atroce dissoluta di cui
già dicemmo, e che fattasi potente sopra i consoli e sopra Lepido,
governava Roma a talento. Irata al marito che i nuovi amori ostentava,
aborriva anche Ottaviano perchè le negava corrispondenza[277],
e tanto più quand'egli ripudiò Clodia figlia di lei; lo tacciava
che coi distribuiti terreni volesse agevolarsi il tiranneggiare: i
veterani d'Antonio che doveano aver denari non terreni, e gl'Italiani
spossessati patteggiavano con essa, donde ogni giorno capiglie e
uccisioni, incolte le campagne, chiuso il mare dai Pompejani, Italia
affamata. Anelante di vendetta, e persuasa che solo la guerra potesse
svellere Antonio dalle braccia di Cleopatra, Fulvia si ritirò a
Preneste, e quivi con elmo e spada passava in rassegna le legioni, dava
la parola d'ordine e tutto come capitano. L'esercito, dichiarandosi
arbitro fra i competitori, citò Ottaviano e Fulvia a Gubio. Il primo
venne sommessamente: l'altra se ne rise, e questo fu la sua rovina.
Malgrado che alcuni senatori cedessero ad essa i loro gladiatori,
Lucio Antonio si trovò chiuso in Perugia, e ridotto a fame rabbiosa:
onde lasciati morire gli schiavi e i servi, per salvar tanti prodi,
uscì in persona a trattare con Ottaviano, che promise perdono a
chiunque cedesse. Ma avuta la città, fece uccidere alcuni primarj; e
trecento cavalieri e senatori perugini condannò ad essere scannati dai
sagrificatori, gli idi di marzo, sull'altare di Cesare[278]: (40) la città andò in cenere; Lucio fu mandato proconsole in Ispagna;
Fulvia ed altri ricoverarono in Sicilia o in Grecia. Ottaviano, rimasto
unico padrone d'Italia, entrò in Roma, trionfante de' proprj cittadini
in guerra deplorabilissima, ove non si trattava che del ripartire le
spoglie tra i forti.
Antonio dai molli ozj d'Egitto fu scosso allo schianto della guerra di
Perugia e alle minacce dei Parti; e udito che Ottaviano aveva occupato
la Gallia Transalpina, per patto predestinata a sè, l'ebbe come una
dichiarazione ostile, e volse all'Italia, congiungendosi i Pompejani, e
sconfiggendo chi s'opponeva. I soldati, stanchi di battaglie e vogliosi
omai di godersi nella pace i campi ottenuti, costrinsero Ottaviano a
cercare accomodamento: e a Brindisi abbracciatisi i due gran nemici, si
stipulò che i triumviri dimenticherebbero il passato; Antonio, essendo
morta Fulvia, sposerebbe Ottavia, sorella del collega, bellissima e
virtuosissima: poi si spartirono il dominio in modo, che restavano
a Ottaviano la Dalmazia, le due Gallie, la Spagna, la Sardegna; ad
Antonio quant'era dall'Adriatico all'Eufrate; a Lepido l'Africa;
l'Italia in comune per levarvi truppe colle quali farebbero guerra,
Antonio ai Parti, Ottaviano al giovane Sesto Pompeo.
Questo, scampato dalla strage di Munda (pag. 231), a guisa degli
Olandesi dopo vinti per terra, erasi buttato al mare, facendosi capo
di que' pirati che suo padre avea creduto distruggere; prese per patria
le galee, mentre i triumviri davano centomila sesterzj a chi uccidesse
un proscritto, egli ne prometteva duecento a chi ne salvasse uno;
e padrone del mare e delle isole, avea preso molte città, bloccava
l'Italia, affamava Roma, e poteva preparare duro cozzo ai triumviri se
quanto mostrò valentia personale e abilità in sì difficili emergenze,
tanta avesse avuta risolutezza di volontà per reggersi da sè, mentre
s'uniformava sempre ai consigli d'amici, onde fu detto ch'era liberto
de' suoi liberti. I triumviri lo invitano a patti, e alfine (38) a Miseno si conviene ch'egli conservi per cinque anni la Sicilia,
la Sardegna, il Peloponneso; restituitigli settanta milioni di sesterzj
per equivalente de' beni paterni confiscati; conferito il pontificato
massimo, e permesso di brigare il consolato benchè a stento;
alleggerita la condizione de' proscritti; ai legionarj suoi, terminata
la capitolazione, si concedano terreni come a quelli dei triumviri;
egli in ricambio lascerebbe libero il navigare, nè molesterebbe le
coste, anzi sbratterà dai pirati, non accoglierà schiavi fuggiaschi,
fornirà Roma di viveri. Mentre il trattato si festeggiava sulla
capitana fra lui e i triumviri, Mena liberto, consigliere di partiti
estremi a Pompeo, gli disse: — Lascia ch'io sferri; porta via costoro,
e tu sei padrone dell'impero romano». Pompeo, ambizioso a metà, vacillò
e rispose: — Dovevi farlo senza dirmelo».
Roma giubilò, redenta dalla lunga fame, e vedendo tanti illustri
proscritti ripatriare per merito di Sesto, nel quale sognava rinate le
virtù di Pompeo Magno, idolo suo e sua compassione: ma non andò guari
a conoscere che non aveva altro se non acquistato un quarto tiranno.
L'antico odio di Cesare con Pompeo si rinfocò ne' loro figli: Ottaviano
occhieggiava il destro d'invadere la Sicilia, Sesto faceva armi per
difenderla: il primo pretendeva che le tasse dovute dal Peloponneso
alla repubblica avanti il trattato spettassero ai triumviri; l'altro
le chiedeva per sè, come di paese ceduto senza restrizione: ogni giorno
nuovi dissidj; inevitabile la guerra.
Dai colleghi era lassamente ajutato Ottaviano; ma di gran vantaggio
gli tornò la diserzione di Mena, il quale, indispettito con Pompeo che
sapeva confidarsegli solo a metà, o volendo disgregare la sua causa
da chi non era abbastanza ribaldo per trionfare, recò al nemico molta
abilità, risoluti consigli, tre legioni, grossa flotta, e le isole di
Corsica e di Sardegna.
Fortuna maggiore di Ottaviano furono due cavalieri da lui sollevati,
Vipsanio Agrippa e Cajo Mecenate. Quest'ultimo, della chiarissima
famiglia Cilnia discendente da un lare etrusco, copiosissimo ricco,
ingegnoso uomo, ma dalla felicità svigorito[279], s'appagava di restare
cavalier romano, onde avere maggior agio ai godimenti, e diceva: —
Fatemi zoppo, monco, gobbo, sdentato, purch'io viva; anche in croce,
purch'io viva». Ma gran senno mostrava ne' consigli; e perchè non
ambiva onori, potea dire verità disgustose a Ottaviano, che, uomo
nuovo, godeva di vedersi a fianco uno i cui avi erano stati re. E
Mecenate lo piegava a mansuetudine; e udendolo un giorno dal tribunale
proferir sentenze contro i suoi nemici, nè potendosegli avvicinare, gli
gettò una cartolina iscritta — Alzati, o boja». Così giovava a quel
che deve esser primo intento della politica dopo gravi tempeste, il
rappacificamento; mentre a torre di mezzo i nemici s'adoperava Agrippa.
Questi, nato bassissimamente, amico di Ottaviano da fanciullo,
l'incoraggiò ad accettare la precoce importanza, cui lo chiamava
la morte di Cesare, e gli amicò i veterani di questo; represse
l'insurrezione dei Galli Transalpini, e crebbe col crescere
d'Ottaviano. Questi due, inetti ad occupare il primo grado, provvidero
a collocarvi Ottaviano col risarcire l'ordine, surrogare agli indocili
veterani di Farsaglia un esercito che volesse e potesse tener fronte
agli artifizj di Antonio e al valore di Pompeo.
Radunate nuove flotte, Agrippa rimediava alle turpi fughe di Ottaviano
osteggiando Pompeo nel mar di Sicilia; e in fine lo vinse fra Mile
e Nauloco (35), mandandone l'armata in fiamme. Dei capi,
alcuni furono uccisi, altri s'uccisero: Ottaviano che, non reggendo a
veder la mischia, erasi coricato supino in una galea, si trovò colmo di
gloria non meritata: Pompeo, ridotto a diciassette vascelli, invece di
ritentar la fortuna, prese a bordo sua figlia, alcuni amici e i tesori,
e passò in Asia per invocare ed assistere i Parti, o trattar con
Antonio, il quale (35) o lo fece o lo lasciò assassinare.
Per assecondare questa guerra, Lepido era venuto d'Africa con
grand'esercito; e vedendo che solo Ottaviano mieteva gloria e potere,
mise in campo le sue pretensioni come triumviro. Ma avendone l'altro
sedotti gli uffiziali, si trovò deserto da tutti i soldati; onde,
vestito a bruno, venne a rendere omaggio ad Ottaviano, che, nol
temendo, gli concesse la vita e i beni. Scaduto così da un posto, cui
nè valore, nè destrezza, ma pura fortuna l'avevano sollevato, tristo
cittadino, sommovitore di partiti che poi era incapace di dirigere, fu
ridotto alla carica la più inconcludente, quella di sommo pontefice;
e finì a Circeo nel Lazio in quella oscurità, da cui non sarebbe mai
dovuto uscire.
Restavano a disputarsi l'impero Ottaviano e Marco Antonio. Il
primo accennava ad un esercita quale nessun altro generale romano;
quarantacinque legioni, venticinquemila cavalli, trentasettemila
fanti alla leggera, seicento vascelli grossi. Chiedendo costoro
tumultuosamente le ricompense medesime concedute ai vincitori di
Filippi, Ottaviano tentò chetarli distribuendo collane, braccialetti,
corone; ma un tribuno gli disse: — Serba cotesti balocchi pe' tuoi
bambini». L'esercito applaudì all'ardito; Ottaviano si ritirò: ma il
tribuno più non comparve, e tutti credendolo assassinato per ordine del
generale, divennero più mansi: ventimila che ostinavansi a chiedere
denaro o congedo, furono rinviati, gli altri imboniti con donativi
estorti alla Sicilia e con terreni comprati nella Campania, o che i
prischi coloni lasciavano deserti.
Roma al reduce Ottaviano prestò onori splendidissimi e congratulazioni
come a trionfante, e gli eresse una statua col titolo di _pacificatore
della terra e del mare_. Egli ricusò alcune eccessive dimostrazioni,
assolse coloro che dovevano al tesoro per pubbliche cause, mandò a
sperdere le masnade che devastavano la campagna e le borgate, procacciò
abbondanza di grani; le lettere di senatori trovate a Pompeo recò in
piazza, ed arse inviolate; e protestò deporrebbe l'autorità non appena
Antonio tornasse d'Oriente. Preso da tanta liberalità, il popolo gli
conferì il titolo di tribuno della plebe in perpetuo, che lo rendeva
inviolabile, e che gli spianava la via al dominio assoluto.
Che faceva intanto Antonio? passato in Grecia colla nuova moglie
Ottavia, in Atene ricevè gli omaggi servili cui lo aveva abituato
Cleopatra; nelle processioni vestivasi da Bacco; sposò la dea
Minerva, poi ne pretese la dote di mille talenti. Ventidio Basso suo
ajutante aveva in questo mezzo felicemente guidata la guerra contro
i Parti, che sostenuti anche da Romani fuorusciti, (36)
aveano devastato l'Asia Minore e fin al Mediterraneo. Ventidio colle
vittorie vendicato Crasso, avrebbe potuto dilatare l'imperio fino al
Tigri, se non l'avesse rattenuto la gelosia del suo generale. Il quale
rimandatolo a Roma sotto il pretesto d'ottenervi il trionfo, unico che
i Romani celebrassero sovra i Parti, prese egli stesso il comando:
ma l'esercito, disgustato, mal lo secondò, sicchè dovette con poco
onore conchiuder la guerra. Cajo Sosio, altro suo ajutante, sottopose
Gerusalemme e la Giudea, lasciandovi regnare Erode il grande; Canidio
penetrò nell'Armenia (35), occupando le gole del Caucaso per
cui avevano passaggio le popolazioni scitiche: per modo che le armi di
Antonio occupavano le tre grandi vie del commercio, quelle del Caucaso,
di Palmira, d'Alessandria.
Egli si tragittò in Italia; e Ottavia, sostenuta da Mecenate e da
Agrippa, indusse il fratello ad abboccarsi con lui; ove convennero
del come distruggere i nemici, e prolungare cinque altri anni il
triumvirato.
Se bontà, amorevolezza, prudenza fossero bastate ad allacciare Antonio,
Ottavia il poteva; ma pel soldato ambizioso e grossolano, che valevano
mai le virtù della bella suora d'Ottaviano a petto di Cleopatra,
regina e amante, adorata per dea nella città più degna d'esser capo
del mondo? Abbandonata pertanto in Italia la moglie, tornò a Cleopatra,
la quale, più ambiziosa che amante, lo consigliava a fare Alessandria
capitale d'un nuovo impero, che coll'Egitto abbracciasse i paesi
marittimi e trafficanti del Mediterraneo orientale. Intanto assalì i
Parti (34), e assediò Praaspa capitale della Media; ma il
valore congiunto de' Medi e de' Parti lo obbligò a calare a patti.
Re Fraate IV, che gli aveva promesso sicura ritirata, ben dieci volte
l'assalì ne' ventisette giorni che quella continuò, e durante la quale,
in fatiche e privazioni orribili perdette ventiquattromila compagni
prima di toccare la provincia. Altri ottomila ne perdette in una marcia
forzata per paesi nevicosi, consigliatagli dalla smania di rivedere
Cleopatra. Questa a Leucopoli lo raggiunse con abiti pei soldati e
con denari; gl'impedì di vedere la buona Ottavia, giunta in Atene
con munizioni e cavalli assai, e duemila guerrieri in tutto punto e
larghi doni; e che rejetta, tornò a Roma senza voler però uscire dalla
casa del marito, nè permettere che il fratello la vendicasse; educava
diligentemente i figli d'Antonio, e sosteneva del suo credito quelli
ch'esso raccomandava per impieghi.
Tali virtù davano risalto alla turpe condotta del marito; il quale
in Alessandria festeggiando e sollazzando, raccolti i cittadini a
splendidissimo banchetto, vestito da Osiride sedette sopra un trono
d'oro, mentre s'un altro eguale sorgeva Cleopatra, con a' piedi i suoi
figliolini; dichiarò (33) lei regina d'Egitto, di Cipro,
dell'Africa, della Celesiria, associandole Cesarione natole da Cesare;
ai tre figli da essa partoritigli assegnò altre provincie, col titolo a
tutti di re dei re. Ottaviano avea cura di divulgare siffatte azioni, e
aggiungeva che Antonio mulinasse trasferir Roma sul Nilo, o dare Roma a
Cleopatra, la quale giurava con questa formola: — Come spero dar leggi
in Campidoglio»[280].
Fremeva il patriotismo romano a questa prodigalità di regni, e alle
pompe ch'erano privilegio del Campidoglio: e Ottaviano, che facea suo
pro d'ogni errore d'Antonio, lo accusa al senato e al popolo d'avere
smembrato l'impero, e disonestatane la dignità col suscitare cotesto
intruso Cesarione. Antonio di rimpatto rinfaccia ad Ottaviano di non
aver partita seco la Sicilia tolta a Pompeo, nè l'autorità e l'esercito
tolti a Lepido, e distribuita l'Italia tutta fra' proprj soldati,
nulla serbando pe' suoi; al che l'altro celiando rispose: — Come può
desiderare questi ritagli esso che ha conquistato l'Armenia, la Media
e l'impero de' Parti?» L'ironia punse sul vivo Antonio, che chiarita
nimicizia, preparò grande sforzo sul mare Jonio: sostenuto coi tesori e
co' vascelli di Cleopatra, a Samo, dov'era dato il convegno alle forze
di tutti i principi e popoli dall'Egitto all'Eusino e dall'Armenia
all'Illiria, i due amanti dividevano il tempo tra apparecchi di guerra
e piaceri sontuosi, che sarebbero stati soverchi anche dopo un trionfo.
Ottaviano, cacciando i due consoli che vi si opponevano (32),
indusse Roma a bandir guerra, non ad Antonio, ma a Cleopatra. Antonio
allora ripudiò Ottavia, la quale si ritirò dalla casa maritale, non
d'altro dolendosi che d'essere pretesto di una guerra civile.
Se Antonio si fosse affrettato sopra l'Italia mentre era mal
provveduta, e disgustati i migliori Romani per la mal dissimulata
ambizione d'Ottaviano, e l'Italia per un'imposizione straordinaria,
forse altrimenti piegavano le sorti del mondo: ma parte i piaceri,
parte i preparativi, l'indussero a differir la guerra all'anno
successivo. Se ne giovò Ottaviano per sedare gli animi: tolto per
violenza alle Vestali ove stava depositato, pubblicò un testamento di
Antonio, tutto favorevole agli Egizj, e quindi ingratissimo ai Romani;
poi ogni giorno facea spargere incolpazioni nuove, e aneddoti nulla
più autorevoli che le dicerie de' giornali, ma che allora gli valsero
mirabilmente, e che poi la condiscendente storia adottò.
Dalle provincie d'Asia e d'Africa (31) Antonio avea raccolto
ducentomila pedoni, dodicimila cavalieri, ottocento vascelli: lo
seguivano in persona i re della Mauritania, della Cilicia, della
Cappadocia, della Paflagonia, della Comagene, della Tracia; truppe del
Ponto, degli Arabi, degli Ebrej, della Licaonia, della Galazia; una
turba poi di Geti si movea per secondarlo. Ottaviano, che governava
dall'Illiria all'Oceano, e la Gallia, la Spagna, la costa d'Africa che
fronteggia l'Italia, non aveva seco pur un principe straniero; soli
ottantamila pedoni, dodicimila cavalli e ducencinquanta vascelli, ma
assai meglio forniti e disciplinati.
Con questi raggiunse Antonio, che teneva l'esercito presso il
promontorio d'Azio e la flotta nel vicino golfo d'Ambracia. Agrippa
devastava le coste di Grecia, intercettava i soccorsi d'Egitto, di
Siria e d'Asia, e prendea città sotto gli occhi stessi dell'inimico:
onde molti disertarono da questo, che divenuto sospettoso, molti
ne fece morire fra' tormenti. Carridio suo generale lo dissuadeva
di mettersi alla ventura colla flotta d'Ottaviano, addestrata nelle
battaglie contro Pompeo; cercasse piuttosto le pianure di Tracia e di
Macedonia, ove il valore e il numero de' suoi comparissero interi:
ma Cleopatra lo determinò ad azzuffarsi in mare. Ottaviano, benchè
incoraggiato da prosperi augurj[281], si tenne discosto dal pericolo:
Antonio vi si espose col coraggio d'un veterano. Il primo aveva agili
navi e aggirate maestrevolmente, l'altro elevate e pesanti: d'ambo i
lati si facevano prove supreme di valore, quando si vedono veleggiare
(7 7bre) verso il Peloponneso i sessanta vascelli egizj,
che unici si erano riserbati per fare scorta a Cleopatra, la quale,
disperando della fortuna d'Antonio, volea serbarsi a conquistare un
altro vincitore. Antonio, dimenticando e prodezza e onore, le corre
dietro, e così restano decise la battaglia e la prevalenza d'Ottaviano.
Perocchè, mancato il capo, la flotta andò in rotta: l'esercito di
terra, forte di oltre centomila uomini, rimase sette giorni inerte
alla presenza del nemico, finchè trovando follìa il serbar fede ad un
generale che lo abbandonava per una donna, passò ad Ottaviano; colpo
decisivo più che la battaglia di mare. Il vincitore si trovò arbitro
dell'Asia; alcuni principi depose, tutti multò ad esorbitanza; a molti
Romani perdonò, d'altri prese l'estremo supplizio. Solo i gladiatori
che Antonio faceva nodrire a Cizico, traversarono l'Asia Minore, la
Siria, la Fenicia, il deserto, per raggiungerlo.
Fra vergogna e dispetto tre giorni egli continuò la fuga; regalati
lautamente gli amici, consigliolli a cercarsi miglior destino, e andò
ad Alessandria con Cleopatra, alla quale erasi riconciliato. Colla
menarli alla mischia. Tant'era questo o mal servito o tradito, che solo
sul punto dell'attacco udì la vittoria dalla sua flotta riportata già
da venti giorni, e che mutava ragione a' suoi consigli quand'egli non
poteva più dar indietro[274].
Combatteva dunque mal suo grado; mal suo grado dovette far uccidere
parecchi prigionieri schiavi o liberi, perchè il custodirli occupava
troppi guerrieri; dei cittadini e liberti romani rinviò gran numero,
alcuni anche nascondendo e trafugando per sottrarli a' suoi uffiziali;
a questi dovè consegnare due buffoni che contraffacevano Cassio; e
per non vedersi abbandonato dall'esercito, prometteva il saccheggio
di Tessalonica e Sparta se uscisse vincitore (40); unico
delitto, dice il morale Plutarco, di cui siasi egli contaminato!
Anche la virtù aveva egli dunque sagrificato alla sua causa; onde
conturbata dal rimorso l'immaginazione, credette rivedere uno spettro
che aveagli promesso ricomparire a Filippi, e che gli prediceva
imminente la sua fine. Avversi augurj scoraggiavano il suo campo, che
egli tentò riconfortare, e — Giacchè avete per forza voluto mettere a
repentaglio una vittoria che aspettando era infallibile, acquistatevela
almeno col coraggio».
Più incalzanti argomenti proponevano i triumviri; l'alternativa di
morire di ferro o di fame. Si diè dentro colla rabbia d'una guerra
civile e i repubblicani soccombettero; l'esercito andò a macello; i
primarj uffiziali caddero al posto assegnato, tra cui il figlio di
Catone con generoso fine riparò una vita obbrobriosa.
Bruto fu salvato da Lucilio Lucino cavalier romano, che fintosi lui, si
lasciò menare prigioniero. Fuggendo, arrivò in una valle, e ringraziato
alquanti amici che non l'avessero abbandonato, gli esortò a tornare al
campo, ove credeva non disperate le cose. Allora pregò uno schiavo ad
ucciderlo; ma l'epirota Stratone, suo intimo, esclamò, — Non sia mai
detto che Bruto, in mancanza d'amici, è perito per mano d'uno schiavo»,
e gli presentò la punta della spada: Bruto vi si confisse, esclamando,
— O virtù, io t'aveva creduto qualcosa di reale, ma vedo non sei altro
che un sogno».
E un sogno era stata la vita sua, dietro a un fantasma senza realtà:
adesso giudicava la virtù dall'esito, com'è ridotto a fare chi a
quest'ordine di cose limita la vista. Compiva i trentasette anni, e
da quanti il conoscevano erasi fatto ammirare ed amare, e dal popolo
venerare per umanità, per carattere leale, pel costante proposito di
giustizia e di virtù, favorendo sempre non la parte cui lo inclinava
l'affetto o l'interesse, ma quella che credeva più giusta e più utile
alla patria. Dal turbolento ed ambizioso Cassio lasciossi indurre
all'uccisione di Cesare, che partorì la guerra civile, tanti anni di
desolazione, e il dominio di crudeli e di vili, in luogo del temperato
e generoso dittatore. Di quest'assassinio lo può scagionare il vederlo
conforme alle idee del suo tempo e del suo paese. Per legge di Roma
l'uccisione d'un usurpatore era esente da colpa[275]; le dottrine
greche faceano eroici simili atti, e inneggiavano Armodio e Timoteo;
lo stoicismo esaltava ciò che mostrasse forza: solo sarebbe a stupire
di veder oggi lodato Bruto da quei che si chiamano liberali, qualora
fossero meno conosciuti la storia delle opinioni e il pregiudizio
dell'imitazione[276].
Dallo stoicismo era pure suggerito il suicidio a lui ed a Cassio: ma
la loro fazione può incolparli d'aver deserto il posto mentre ancora
integre le forze, e quando avrebber dovuto adoperarsi a ristabilire
la repubblica che credevano a sè confidata. Gli avversarj stessi
compiansero Bruto, come si fa de' nemici sinceri; Antonio gettò un
ricco mantello sul cadavere di lui, ne ordinò magnifici funerali,
e volle amico quel Lucilio che l'avea salvato; Messala presentò ad
Ottaviano il retore Stratone, dicendo: — È lui che rese l'estremo
uffizio al mio generale». Esso Ottaviano, che nella sua viltà insultò
dapprima al cadavere di quello dinanzi al quale era poc'anzi fuggito,
avendo poi veduta la statua erettagli in Milano dai Cisalpini, li lodò
per questa memore riconoscenza.
Il campo di Bruto fornì di viveri i soldati de' triumviri, e di
tesori per regalare i veterani e congedarli, da che s'erano resi
insubordinati. Antonio mandò a morte altri suoi nemici: Livio Druso,
suocero di Ottaviano, gli si sottrasse uccidendosi. Ottaviano, più
fiero perchè più vile, aggiungeva l'oltraggio al supplizio; a chi gli
chiese almeno la sepoltura: — La provvederanno gli avoltoj»; costrinse
un figlio ad immergere la spada nel seno del padre, indi ritorcerla
contro se stesso. Perciò i prigionieri il caricavano d'imprecazioni, e
boccheggiando nella morte rinfacciavangli la codardia sua atroce.
Non era terminata la guerra: e Sesto Pompeo (41)
raggomitolava in Sicilia i fuggiaschi proscritti; Domizio Enobarbo
e Stazio Macro comandavano le flotte vincitrici sulle coste della
Macedonia e dell'Jonia; Cassio Parmense ne conduceva un'altra in Asia,
ingrossata dai Rodiani. Pertanto Ottaviano mosse contro Pompeo, Antonio
contro l'Oriente; e ambendo gli applausi della Grecia, la attraversò,
assistendo a giuochi e dispute, e largheggiando; in Asia ebbe
accoglienze adulatorie da re e regine; ad Efeso la pompa usata nelle
solennità di Bacco. Egli, che erasi mostrato eroe nel pericolo e vero
autore delle vittorie, ora straripava ai vizj della prosperità; quelle
orgie e le laute piacenterie ripagava con generosità, e talora con
pazza prodigalità, come allorchè, trovando squisito il pranzo, regalò
al cuoco la casa d'un primario cittadino di Magnesia.
Nè per ciò rimetteva del sanguinario rigore. Trovando indocili le
legioni di Macedonia, chiama nel padiglione trecento principali, e
li fa scannare; persegue a morte chi cospirò contro Cesare; confisca
ricchezze per darle a mimi e adulatori. Gli faceano gola i tesori che
il commercio procacciava a Palmira, la quale, sorgente in un'oasi del
deserto di Siria, serviva di stazione alle carovane; ma gli abitanti
le trasferirono di là dell'Eufrate, e coi Siri e coi Palestini esausti
dalle imposizioni, e cogli Aradiani che avevano trucidato gli esattori,
invocarono i Parti, rinnovando così a Roma le costoro terribili
nimicizie.
Bisognava che i triumviri compensassero i soldati; e Ottaviano
s'incaricò di distribuir loro terreni, Antonio denari, per aver i
quali si era vôlto all'Oriente. La bella Cleopatra, regina d'Egitto,
avea sposato la parte de' triumviri; ma perchè qualche generale di lei
era stato costretto a favorire Crasso, Antonio, giunto in Cilicia,
la chiamò a giustificarsi. Ella comparve a Tarso, montata sopra una
galea guarnita con quanto lusso l'Oriente sapesse; dorata la poppa,
di porpora le vele, argentati i remi, che batteano a suon di flauti
e di lire; amorini e nereidi faceano corteggio ad essa, che in abito
di dea sedeva tra i profumi, onde il popolo cantava: — Venere trae a
visitar Bacco». Portando somme ingenti e una bellezza rara, cresciuta
dai raffinamenti della galanteria e dalla coltura dell'ingegno, potea
dubitare di soggettarsi Antonio? Da quel punto egli le fu schiavo; non
era ingiustizia che per lei negasse commettere; uccideva signori onde
confiscar beni per essa; mandò soldati a trucidare Arsinoe sorella di
lei, che privatamente viveva in Asia; poi seguitatala in Egitto, vi
svernò fra delizie.
La bella, congiungendo l'accortezza di Mitradate e l'ardimento di
Cesare, favellava diverse lingue; spargea di leggiadre vivezze la
conversazione; compariva or da guerriera, or da cacciatrice, or da
pescatrice; se accorgevasi che Antonio si faceva attaccar pesci all'amo
per vanità di mostrarsi fortunato pescatore, mandava palombari che glie
ne attaccassero di cotti, e celiando gli diceva: — Va, e piglia città e
regni, fatiche da te; a noi lascia l'insidiare ai pesci». Poi con esso
giocava, beveva, usciva notturna per le vie a far burle ai passeggeri e
mescolarsi sconosciuta ai beoni nelle taverne, esponendosi a ingiurie
e busse, per isfoggiare grazia nel narrarle poi alla Corte. A gara
s'imbandivano desinari, e Cleopatra vinceva lui in ricchezza e gusto.
Ammirando una volta Antonio la quantità di vasi preziosi, disposti
sul buffetto, ella disse — Sono a tua disposizione», e glieli mandò,
pregandolo che il domani tornasse a lei con maggior compagnia. Tornato,
ritrovò più riccamente guernite le credenze, e al fine del pasto il
vasellame fu scompartito fra i convivi. Ornava essa le orecchie con
due perle, stimate ciascuna un tesoro: ne staccò una, stemprolla e
la bevve; e accingeasi a far lo stesso dell'altra, ma rattenuta, la
regalò. Filota medico d'Amfrissa, invitato da un cuoco a vedere i
preparativi della cucina d'Antonio, meravigliossi della varietà dei
cibi, ma soprattutto il colpì la vista di otto cinghiali, allestiti
sugli spiedi, e domandò che folla di commensali s'aspettasse. Ma il
cuoco: — Dodici soli; però potendo Antonio voler cenare all'istante,
fra un'ora, fra due o più tardi, conviene per ogni momento tener lesto
un compiuto desinare».
Uom di passioni, Antonio doveva soccombere a Ottaviano uom di calcolo.
Il quale, profittando di que' lubrici riposi, dell'Italia fece sua
preda; giusta l'accordo tolse a donare ai veterani i beni di tutti
quelli che non avessero preso le armi per loro; onde Antonio disse:
— Ottaviano va in Italia per distribuire le città e le ville, o, a
dir più giusto, per tramutare tutte le proprietà dell'Italia in altre
mani». Così fece di fatto: e i miseri, respinti dal fondo avito,
accorrevano a Roma a fiotti, esclamando all'ingiustizia di far pagare
al popolo una guerra, vantaggiosa unicamente ai triumviri; e di
ripartire anche ingiustamente l'aggravio, colpendo le città migliori
e i terreni più pingui. Ottaviano vi dava ipocrito ascolto, nè però
cessava dalla spropriazione; eppure l'ingordo esercito, che colla
fantasia esagerava i tesori tocchi ai fedeli di Silla, imperversava
contro il triumviro, incapace di saziarlo; e giudicava rubato a sè
tutto ciò ch'era lasciato ai legittimi possessori.
Gli scontenti (41) fecero capo a Lucio Antonio fratello
e a Fulvia moglie di Marc'Antonio, quell'atroce dissoluta di cui
già dicemmo, e che fattasi potente sopra i consoli e sopra Lepido,
governava Roma a talento. Irata al marito che i nuovi amori ostentava,
aborriva anche Ottaviano perchè le negava corrispondenza[277],
e tanto più quand'egli ripudiò Clodia figlia di lei; lo tacciava
che coi distribuiti terreni volesse agevolarsi il tiranneggiare: i
veterani d'Antonio che doveano aver denari non terreni, e gl'Italiani
spossessati patteggiavano con essa, donde ogni giorno capiglie e
uccisioni, incolte le campagne, chiuso il mare dai Pompejani, Italia
affamata. Anelante di vendetta, e persuasa che solo la guerra potesse
svellere Antonio dalle braccia di Cleopatra, Fulvia si ritirò a
Preneste, e quivi con elmo e spada passava in rassegna le legioni, dava
la parola d'ordine e tutto come capitano. L'esercito, dichiarandosi
arbitro fra i competitori, citò Ottaviano e Fulvia a Gubio. Il primo
venne sommessamente: l'altra se ne rise, e questo fu la sua rovina.
Malgrado che alcuni senatori cedessero ad essa i loro gladiatori,
Lucio Antonio si trovò chiuso in Perugia, e ridotto a fame rabbiosa:
onde lasciati morire gli schiavi e i servi, per salvar tanti prodi,
uscì in persona a trattare con Ottaviano, che promise perdono a
chiunque cedesse. Ma avuta la città, fece uccidere alcuni primarj; e
trecento cavalieri e senatori perugini condannò ad essere scannati dai
sagrificatori, gli idi di marzo, sull'altare di Cesare[278]: (40) la città andò in cenere; Lucio fu mandato proconsole in Ispagna;
Fulvia ed altri ricoverarono in Sicilia o in Grecia. Ottaviano, rimasto
unico padrone d'Italia, entrò in Roma, trionfante de' proprj cittadini
in guerra deplorabilissima, ove non si trattava che del ripartire le
spoglie tra i forti.
Antonio dai molli ozj d'Egitto fu scosso allo schianto della guerra di
Perugia e alle minacce dei Parti; e udito che Ottaviano aveva occupato
la Gallia Transalpina, per patto predestinata a sè, l'ebbe come una
dichiarazione ostile, e volse all'Italia, congiungendosi i Pompejani, e
sconfiggendo chi s'opponeva. I soldati, stanchi di battaglie e vogliosi
omai di godersi nella pace i campi ottenuti, costrinsero Ottaviano a
cercare accomodamento: e a Brindisi abbracciatisi i due gran nemici, si
stipulò che i triumviri dimenticherebbero il passato; Antonio, essendo
morta Fulvia, sposerebbe Ottavia, sorella del collega, bellissima e
virtuosissima: poi si spartirono il dominio in modo, che restavano
a Ottaviano la Dalmazia, le due Gallie, la Spagna, la Sardegna; ad
Antonio quant'era dall'Adriatico all'Eufrate; a Lepido l'Africa;
l'Italia in comune per levarvi truppe colle quali farebbero guerra,
Antonio ai Parti, Ottaviano al giovane Sesto Pompeo.
Questo, scampato dalla strage di Munda (pag. 231), a guisa degli
Olandesi dopo vinti per terra, erasi buttato al mare, facendosi capo
di que' pirati che suo padre avea creduto distruggere; prese per patria
le galee, mentre i triumviri davano centomila sesterzj a chi uccidesse
un proscritto, egli ne prometteva duecento a chi ne salvasse uno;
e padrone del mare e delle isole, avea preso molte città, bloccava
l'Italia, affamava Roma, e poteva preparare duro cozzo ai triumviri se
quanto mostrò valentia personale e abilità in sì difficili emergenze,
tanta avesse avuta risolutezza di volontà per reggersi da sè, mentre
s'uniformava sempre ai consigli d'amici, onde fu detto ch'era liberto
de' suoi liberti. I triumviri lo invitano a patti, e alfine (38) a Miseno si conviene ch'egli conservi per cinque anni la Sicilia,
la Sardegna, il Peloponneso; restituitigli settanta milioni di sesterzj
per equivalente de' beni paterni confiscati; conferito il pontificato
massimo, e permesso di brigare il consolato benchè a stento;
alleggerita la condizione de' proscritti; ai legionarj suoi, terminata
la capitolazione, si concedano terreni come a quelli dei triumviri;
egli in ricambio lascerebbe libero il navigare, nè molesterebbe le
coste, anzi sbratterà dai pirati, non accoglierà schiavi fuggiaschi,
fornirà Roma di viveri. Mentre il trattato si festeggiava sulla
capitana fra lui e i triumviri, Mena liberto, consigliere di partiti
estremi a Pompeo, gli disse: — Lascia ch'io sferri; porta via costoro,
e tu sei padrone dell'impero romano». Pompeo, ambizioso a metà, vacillò
e rispose: — Dovevi farlo senza dirmelo».
Roma giubilò, redenta dalla lunga fame, e vedendo tanti illustri
proscritti ripatriare per merito di Sesto, nel quale sognava rinate le
virtù di Pompeo Magno, idolo suo e sua compassione: ma non andò guari
a conoscere che non aveva altro se non acquistato un quarto tiranno.
L'antico odio di Cesare con Pompeo si rinfocò ne' loro figli: Ottaviano
occhieggiava il destro d'invadere la Sicilia, Sesto faceva armi per
difenderla: il primo pretendeva che le tasse dovute dal Peloponneso
alla repubblica avanti il trattato spettassero ai triumviri; l'altro
le chiedeva per sè, come di paese ceduto senza restrizione: ogni giorno
nuovi dissidj; inevitabile la guerra.
Dai colleghi era lassamente ajutato Ottaviano; ma di gran vantaggio
gli tornò la diserzione di Mena, il quale, indispettito con Pompeo che
sapeva confidarsegli solo a metà, o volendo disgregare la sua causa
da chi non era abbastanza ribaldo per trionfare, recò al nemico molta
abilità, risoluti consigli, tre legioni, grossa flotta, e le isole di
Corsica e di Sardegna.
Fortuna maggiore di Ottaviano furono due cavalieri da lui sollevati,
Vipsanio Agrippa e Cajo Mecenate. Quest'ultimo, della chiarissima
famiglia Cilnia discendente da un lare etrusco, copiosissimo ricco,
ingegnoso uomo, ma dalla felicità svigorito[279], s'appagava di restare
cavalier romano, onde avere maggior agio ai godimenti, e diceva: —
Fatemi zoppo, monco, gobbo, sdentato, purch'io viva; anche in croce,
purch'io viva». Ma gran senno mostrava ne' consigli; e perchè non
ambiva onori, potea dire verità disgustose a Ottaviano, che, uomo
nuovo, godeva di vedersi a fianco uno i cui avi erano stati re. E
Mecenate lo piegava a mansuetudine; e udendolo un giorno dal tribunale
proferir sentenze contro i suoi nemici, nè potendosegli avvicinare, gli
gettò una cartolina iscritta — Alzati, o boja». Così giovava a quel
che deve esser primo intento della politica dopo gravi tempeste, il
rappacificamento; mentre a torre di mezzo i nemici s'adoperava Agrippa.
Questi, nato bassissimamente, amico di Ottaviano da fanciullo,
l'incoraggiò ad accettare la precoce importanza, cui lo chiamava
la morte di Cesare, e gli amicò i veterani di questo; represse
l'insurrezione dei Galli Transalpini, e crebbe col crescere
d'Ottaviano. Questi due, inetti ad occupare il primo grado, provvidero
a collocarvi Ottaviano col risarcire l'ordine, surrogare agli indocili
veterani di Farsaglia un esercito che volesse e potesse tener fronte
agli artifizj di Antonio e al valore di Pompeo.
Radunate nuove flotte, Agrippa rimediava alle turpi fughe di Ottaviano
osteggiando Pompeo nel mar di Sicilia; e in fine lo vinse fra Mile
e Nauloco (35), mandandone l'armata in fiamme. Dei capi,
alcuni furono uccisi, altri s'uccisero: Ottaviano che, non reggendo a
veder la mischia, erasi coricato supino in una galea, si trovò colmo di
gloria non meritata: Pompeo, ridotto a diciassette vascelli, invece di
ritentar la fortuna, prese a bordo sua figlia, alcuni amici e i tesori,
e passò in Asia per invocare ed assistere i Parti, o trattar con
Antonio, il quale (35) o lo fece o lo lasciò assassinare.
Per assecondare questa guerra, Lepido era venuto d'Africa con
grand'esercito; e vedendo che solo Ottaviano mieteva gloria e potere,
mise in campo le sue pretensioni come triumviro. Ma avendone l'altro
sedotti gli uffiziali, si trovò deserto da tutti i soldati; onde,
vestito a bruno, venne a rendere omaggio ad Ottaviano, che, nol
temendo, gli concesse la vita e i beni. Scaduto così da un posto, cui
nè valore, nè destrezza, ma pura fortuna l'avevano sollevato, tristo
cittadino, sommovitore di partiti che poi era incapace di dirigere, fu
ridotto alla carica la più inconcludente, quella di sommo pontefice;
e finì a Circeo nel Lazio in quella oscurità, da cui non sarebbe mai
dovuto uscire.
Restavano a disputarsi l'impero Ottaviano e Marco Antonio. Il
primo accennava ad un esercita quale nessun altro generale romano;
quarantacinque legioni, venticinquemila cavalli, trentasettemila
fanti alla leggera, seicento vascelli grossi. Chiedendo costoro
tumultuosamente le ricompense medesime concedute ai vincitori di
Filippi, Ottaviano tentò chetarli distribuendo collane, braccialetti,
corone; ma un tribuno gli disse: — Serba cotesti balocchi pe' tuoi
bambini». L'esercito applaudì all'ardito; Ottaviano si ritirò: ma il
tribuno più non comparve, e tutti credendolo assassinato per ordine del
generale, divennero più mansi: ventimila che ostinavansi a chiedere
denaro o congedo, furono rinviati, gli altri imboniti con donativi
estorti alla Sicilia e con terreni comprati nella Campania, o che i
prischi coloni lasciavano deserti.
Roma al reduce Ottaviano prestò onori splendidissimi e congratulazioni
come a trionfante, e gli eresse una statua col titolo di _pacificatore
della terra e del mare_. Egli ricusò alcune eccessive dimostrazioni,
assolse coloro che dovevano al tesoro per pubbliche cause, mandò a
sperdere le masnade che devastavano la campagna e le borgate, procacciò
abbondanza di grani; le lettere di senatori trovate a Pompeo recò in
piazza, ed arse inviolate; e protestò deporrebbe l'autorità non appena
Antonio tornasse d'Oriente. Preso da tanta liberalità, il popolo gli
conferì il titolo di tribuno della plebe in perpetuo, che lo rendeva
inviolabile, e che gli spianava la via al dominio assoluto.
Che faceva intanto Antonio? passato in Grecia colla nuova moglie
Ottavia, in Atene ricevè gli omaggi servili cui lo aveva abituato
Cleopatra; nelle processioni vestivasi da Bacco; sposò la dea
Minerva, poi ne pretese la dote di mille talenti. Ventidio Basso suo
ajutante aveva in questo mezzo felicemente guidata la guerra contro
i Parti, che sostenuti anche da Romani fuorusciti, (36)
aveano devastato l'Asia Minore e fin al Mediterraneo. Ventidio colle
vittorie vendicato Crasso, avrebbe potuto dilatare l'imperio fino al
Tigri, se non l'avesse rattenuto la gelosia del suo generale. Il quale
rimandatolo a Roma sotto il pretesto d'ottenervi il trionfo, unico che
i Romani celebrassero sovra i Parti, prese egli stesso il comando:
ma l'esercito, disgustato, mal lo secondò, sicchè dovette con poco
onore conchiuder la guerra. Cajo Sosio, altro suo ajutante, sottopose
Gerusalemme e la Giudea, lasciandovi regnare Erode il grande; Canidio
penetrò nell'Armenia (35), occupando le gole del Caucaso per
cui avevano passaggio le popolazioni scitiche: per modo che le armi di
Antonio occupavano le tre grandi vie del commercio, quelle del Caucaso,
di Palmira, d'Alessandria.
Egli si tragittò in Italia; e Ottavia, sostenuta da Mecenate e da
Agrippa, indusse il fratello ad abboccarsi con lui; ove convennero
del come distruggere i nemici, e prolungare cinque altri anni il
triumvirato.
Se bontà, amorevolezza, prudenza fossero bastate ad allacciare Antonio,
Ottavia il poteva; ma pel soldato ambizioso e grossolano, che valevano
mai le virtù della bella suora d'Ottaviano a petto di Cleopatra,
regina e amante, adorata per dea nella città più degna d'esser capo
del mondo? Abbandonata pertanto in Italia la moglie, tornò a Cleopatra,
la quale, più ambiziosa che amante, lo consigliava a fare Alessandria
capitale d'un nuovo impero, che coll'Egitto abbracciasse i paesi
marittimi e trafficanti del Mediterraneo orientale. Intanto assalì i
Parti (34), e assediò Praaspa capitale della Media; ma il
valore congiunto de' Medi e de' Parti lo obbligò a calare a patti.
Re Fraate IV, che gli aveva promesso sicura ritirata, ben dieci volte
l'assalì ne' ventisette giorni che quella continuò, e durante la quale,
in fatiche e privazioni orribili perdette ventiquattromila compagni
prima di toccare la provincia. Altri ottomila ne perdette in una marcia
forzata per paesi nevicosi, consigliatagli dalla smania di rivedere
Cleopatra. Questa a Leucopoli lo raggiunse con abiti pei soldati e
con denari; gl'impedì di vedere la buona Ottavia, giunta in Atene
con munizioni e cavalli assai, e duemila guerrieri in tutto punto e
larghi doni; e che rejetta, tornò a Roma senza voler però uscire dalla
casa del marito, nè permettere che il fratello la vendicasse; educava
diligentemente i figli d'Antonio, e sosteneva del suo credito quelli
ch'esso raccomandava per impieghi.
Tali virtù davano risalto alla turpe condotta del marito; il quale
in Alessandria festeggiando e sollazzando, raccolti i cittadini a
splendidissimo banchetto, vestito da Osiride sedette sopra un trono
d'oro, mentre s'un altro eguale sorgeva Cleopatra, con a' piedi i suoi
figliolini; dichiarò (33) lei regina d'Egitto, di Cipro,
dell'Africa, della Celesiria, associandole Cesarione natole da Cesare;
ai tre figli da essa partoritigli assegnò altre provincie, col titolo a
tutti di re dei re. Ottaviano avea cura di divulgare siffatte azioni, e
aggiungeva che Antonio mulinasse trasferir Roma sul Nilo, o dare Roma a
Cleopatra, la quale giurava con questa formola: — Come spero dar leggi
in Campidoglio»[280].
Fremeva il patriotismo romano a questa prodigalità di regni, e alle
pompe ch'erano privilegio del Campidoglio: e Ottaviano, che facea suo
pro d'ogni errore d'Antonio, lo accusa al senato e al popolo d'avere
smembrato l'impero, e disonestatane la dignità col suscitare cotesto
intruso Cesarione. Antonio di rimpatto rinfaccia ad Ottaviano di non
aver partita seco la Sicilia tolta a Pompeo, nè l'autorità e l'esercito
tolti a Lepido, e distribuita l'Italia tutta fra' proprj soldati,
nulla serbando pe' suoi; al che l'altro celiando rispose: — Come può
desiderare questi ritagli esso che ha conquistato l'Armenia, la Media
e l'impero de' Parti?» L'ironia punse sul vivo Antonio, che chiarita
nimicizia, preparò grande sforzo sul mare Jonio: sostenuto coi tesori e
co' vascelli di Cleopatra, a Samo, dov'era dato il convegno alle forze
di tutti i principi e popoli dall'Egitto all'Eusino e dall'Armenia
all'Illiria, i due amanti dividevano il tempo tra apparecchi di guerra
e piaceri sontuosi, che sarebbero stati soverchi anche dopo un trionfo.
Ottaviano, cacciando i due consoli che vi si opponevano (32),
indusse Roma a bandir guerra, non ad Antonio, ma a Cleopatra. Antonio
allora ripudiò Ottavia, la quale si ritirò dalla casa maritale, non
d'altro dolendosi che d'essere pretesto di una guerra civile.
Se Antonio si fosse affrettato sopra l'Italia mentre era mal
provveduta, e disgustati i migliori Romani per la mal dissimulata
ambizione d'Ottaviano, e l'Italia per un'imposizione straordinaria,
forse altrimenti piegavano le sorti del mondo: ma parte i piaceri,
parte i preparativi, l'indussero a differir la guerra all'anno
successivo. Se ne giovò Ottaviano per sedare gli animi: tolto per
violenza alle Vestali ove stava depositato, pubblicò un testamento di
Antonio, tutto favorevole agli Egizj, e quindi ingratissimo ai Romani;
poi ogni giorno facea spargere incolpazioni nuove, e aneddoti nulla
più autorevoli che le dicerie de' giornali, ma che allora gli valsero
mirabilmente, e che poi la condiscendente storia adottò.
Dalle provincie d'Asia e d'Africa (31) Antonio avea raccolto
ducentomila pedoni, dodicimila cavalieri, ottocento vascelli: lo
seguivano in persona i re della Mauritania, della Cilicia, della
Cappadocia, della Paflagonia, della Comagene, della Tracia; truppe del
Ponto, degli Arabi, degli Ebrej, della Licaonia, della Galazia; una
turba poi di Geti si movea per secondarlo. Ottaviano, che governava
dall'Illiria all'Oceano, e la Gallia, la Spagna, la costa d'Africa che
fronteggia l'Italia, non aveva seco pur un principe straniero; soli
ottantamila pedoni, dodicimila cavalli e ducencinquanta vascelli, ma
assai meglio forniti e disciplinati.
Con questi raggiunse Antonio, che teneva l'esercito presso il
promontorio d'Azio e la flotta nel vicino golfo d'Ambracia. Agrippa
devastava le coste di Grecia, intercettava i soccorsi d'Egitto, di
Siria e d'Asia, e prendea città sotto gli occhi stessi dell'inimico:
onde molti disertarono da questo, che divenuto sospettoso, molti
ne fece morire fra' tormenti. Carridio suo generale lo dissuadeva
di mettersi alla ventura colla flotta d'Ottaviano, addestrata nelle
battaglie contro Pompeo; cercasse piuttosto le pianure di Tracia e di
Macedonia, ove il valore e il numero de' suoi comparissero interi:
ma Cleopatra lo determinò ad azzuffarsi in mare. Ottaviano, benchè
incoraggiato da prosperi augurj[281], si tenne discosto dal pericolo:
Antonio vi si espose col coraggio d'un veterano. Il primo aveva agili
navi e aggirate maestrevolmente, l'altro elevate e pesanti: d'ambo i
lati si facevano prove supreme di valore, quando si vedono veleggiare
(7 7bre) verso il Peloponneso i sessanta vascelli egizj,
che unici si erano riserbati per fare scorta a Cleopatra, la quale,
disperando della fortuna d'Antonio, volea serbarsi a conquistare un
altro vincitore. Antonio, dimenticando e prodezza e onore, le corre
dietro, e così restano decise la battaglia e la prevalenza d'Ottaviano.
Perocchè, mancato il capo, la flotta andò in rotta: l'esercito di
terra, forte di oltre centomila uomini, rimase sette giorni inerte
alla presenza del nemico, finchè trovando follìa il serbar fede ad un
generale che lo abbandonava per una donna, passò ad Ottaviano; colpo
decisivo più che la battaglia di mare. Il vincitore si trovò arbitro
dell'Asia; alcuni principi depose, tutti multò ad esorbitanza; a molti
Romani perdonò, d'altri prese l'estremo supplizio. Solo i gladiatori
che Antonio faceva nodrire a Cizico, traversarono l'Asia Minore, la
Siria, la Fenicia, il deserto, per raggiungerlo.
Fra vergogna e dispetto tre giorni egli continuò la fuga; regalati
lautamente gli amici, consigliolli a cercarsi miglior destino, e andò
ad Alessandria con Cleopatra, alla quale erasi riconciliato. Colla
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