Storia degli Italiani, vol. 02 (di 15) - 04
demagoghi; e non avendo nè le tradizioni avite, nè la venerazione per
le costumanze romane, nè l'esecrazione pei re, spianava il calle a
coloro che omai aspiravano a cangiare radicalmente la costituzione.
Non sembra che Roma sevisse contro i vinti; e quantunque penuriasse
a segno da dover vendere alcuni terreni attorno al Campidoglio, che
da tempo immemorabile lasciavansi ai pontefici ed agli auguri, non
confiscò il territorio de' Socj, eccetto quello degli Ascolani, nè
mandò al supplizio che alquanti capi. Il pericolo di veder soccombere
Roma prima ch'ella compisse la provvidenziale sua missione di unificare
il mondo civile in una sapiente amministrazione, era schivato. L'Italia
restavale ancora sottomessa, ma non più schiava, e i migliori cittadini
verrebbero a questa da altri paesi. Un nome solo abbracciava coloro
che prima chiamavansi Latini, Etruschi, Sanniti, Lucani; un solo
linguaggio parlavano; e mentre quel di Roma corrompeasi per l'affluenza
di tanti forestieri, restava come fisso l'idioma del Lazio. L'avvenire
nazionale sarebbe potuto dirsi assicurato, se fra breve questa
fusione dell'Italia con Roma non si fosse pur fatta di tutto il mondo
coll'Italia, togliendole l'originalità, il vigore, l'attività, facendo
che sparpagliasse lontanissimo la vita, invece di concentrarla in sè;
per modo che, quando un cozzo esterno ne staccherebbe le provincie,
ella, cessando d'essere signora del mondo, neppur rimanesse paese uno e
compatta nazione.
CAPITOLO XXI.
Silla. — Mitradate. — Prima guerra civile. — Restaurazione
aristocratica.
Ma Roma volgea contro se stessa il ferro, aguzzato contro Italiani e
stranieri, prorompendo la inimicizia fra Mario e Silla.
Lucio Silla, (n. 137) dell'illustre gente Cornelia ma di
mediocre fortuna, passò la giovinezza fra stravizzi; poi quando
Nicopoli cortigiana lo testò erede universale, prese posto fra i
cavalieri meglio stanti, e al gusto de' piaceri aggiunse l'amor
della gloria e del potere. Attribuito questore a Mario nella guerra
numidica, da questo fu lasciato in Italia come effeminato; ma quando
lo raggiunse in Africa colla riserva, si mostrò intrepido nelle
fazioni, esatto al dovere, più atto di Mario a conciliarsi gli animi.
Mettevasi però a tavola? giù ogni contegno; e allegro, spassone, senza
più voler intendere d'affari, si abbandonava alle tazze, a cantarine,
a saltatrici. Per rimovere l'invidia, le imprese ben succedutegli
attribuiva alla fortuna; nelle proprie _Memorie_ mostrava essergli
riusciti meglio i partiti improvvisi che non i meditati; ed esortava
Lucullo, cui erano dirette, a riporre intera fiducia nelle cose che in
sogno sentisse comandarsi dagli Dei.
Mario in prima disprezzò, da poi ne prese ombra, principalmente dacchè
Bocco re di Mauritania dedicò in Campidoglio un gruppo, rappresentante
se stesso in atto di consegnare Giugurta non a Mario ma a Silla,
parendo attribuire a questo il merito d'aver compita essa guerra. Da
ciò rancori che non doveano ammorzarsi neppure in torrenti di sangue.
Mario arrischiato e ad impeti; Silla calcolava e misurava verso un fine
prefisso, qualunque fossero le vie. Mario allevato in contado, appariva
zotico a segno, che a fabbricar un tempio per la vittoria sopra i
Cimri adoprò un mastro romano e pietre informi: Silla, raffinato nella
greca coltura, sui vizj suoi stendeva una lusinghiera vernice, dalle
sue depredazioni raccoglieva libri, quadri, vasi, onde abbellire i
proprj palazzi e la città. L'uno e l'altro valorosi in guerra e cupidi
d'onori, Mario per brighe spudorate e per denaro ottenne sei consolati
quasi consecutivi, Silla si professò stanco di servire a questa specie
di re; e avendo già quarantaquattro anni, brogliò la pretura, comprando
i voti e promettendo spettacoli che i pari mai non si sarebbero veduti;
e per mezzo di re Bocco ebbe cento leoni che espose a combattere con
uomini, avvezzando a tali spettacoli Roma, quasi in rimpatto de'
sacrifizj umani, allora appunto proibiti dal senato; e divenne il
corifeo della parte nobile, come Mario era della popolare. Lo vedemmo
adoprarsi più utilmente di questo nella guerra degli Alleati; ed aveva
ottenuto il comando supremo contro Mitradate re del Ponto, (88) allorchè il popolo, sollecitato dal tribuno Sulpicio a mostrarsi
riconoscente delle leggi liberali, affidò quella guerra a Mario, che,
quantunque vecchio, indispettivasi di non esser più il primo uomo di
Roma, e aborriva colui che l'eclissava.
Allorchè l'oro dava piaceri e dignità, tutti ambivano le capitananze
in Asia, dove si poteva rubare a man salva; laonde Silla, che già
l'avea depredata col desiderio, risolse vendicare l'affronto ricevuto;
e poichè, vegliando tuttora la guerra Sociale, egli stringeva i
Sanniti in Nola, il torto fattogli racconta all'esercito suo, il quale
rispondendo con una voce sola alla mozione di pochi intriganti, grida:
— Corriamo sopra Roma». Se i soldati semplici erano dediti al generale
che potea promoverli, gli uffiziali, che ricevevano le promozioni dai
comizj popolari, non vollero partecipare al parricidio: pure Silla
volse l'esercito sopra Roma, apprestando fiaccole per incendiarla; e ai
pretori mandati per mitigarlo rispondeva sbraveggiando.
Il popolo, sorpreso dall'inaudita temerità, si difende con tegoli
e sassi, armi plebee: ma Silla appicca il fuoco, prende la città,
fa scannare Sulpicio, bandire una taglia sopra la testa di Mario in
vendetta degli amici uccisigli, de' beni predatigli; e radunati i
comizj, arringando come se stilla di sangue non si fosse versata,
propone che veruna legge sia portata avanti al popolo se non dopo
approvata dal senato; i comizj non si tengano più per tribù, ma
per centurie; chi sia stato tribuno non possa esercitare altra
magistratura; e si cassino tutte le proposizioni di Sulpicio.
Il popolo esprimeva il suo dispetto coll'eleggere magistrati avversi
a Silla; e questi simulava di compiacersene, quasi una prova della
libertà che aveva restituita alle loro elezioni. (87) Di
fatto, con Gneo Ottavio, patrizio amico di lui, fu eletto console
Cornelio Cinna suo nemico; il quale però salito in Campidoglio e
slanciando un sasso, imprecò: — Se mai contrafarò a Silla, possa
vedermi cacciato di città com'io ne caccio questa pietra».
Allora Silla mandò ad inseguire Mario fuggiasco. Il vincitore dei
Cimri, soletto con suo figlio e col genero, si era trafugato di casale
in casale per quell'Italia ch'egli avea voluto far tutta cittadina; ad
Ortea s'imbarcò; ma sospinto a terra presso Circeo, errò mendicando
pane da chi scontrava, serenando la notte nel fitto delle boscaglie,
e fra i canneti del Liri celandosi dai sicarj che l'ormavano. Colà
tuffato nella melma fin alle spalle, lo scoprirono essi, e gettatagli
una soga al collo, il trassero a Minturno. Quegl'Italiani però,
memori dell'interesse di lui per la causa de' Socj, non soffrirono
che perisse, e probabilmente inventarono la storiella, che essendo
mandato uno schiavo cimro per dargli morte in prigione, esso gli
gridò, — Miserabile! oserai tu uccidere Cajo Mario?» e lo schiavo fuggì
esclamando, — M'è impossibile trafiggerlo».
I Minturnesi pertanto dissero: — Vada ove vuole a compiere il destino
suo; così gli Dei non ci puniscano di cacciar via Mario ignudo e
bisognoso». E l'esposero sulla riva, dove trovò un vascello che il
tradusse in Africa, nella quale suo figlio Cajo Mario, campato da
pericoli non meno pressanti, erasi condotto a cercare ajuti al numida
Jemsale. Proteggevano il fuggitivo da una parte la gloria del suo nome,
dall'altra il sapere che la fazione sua, sopita non spenta, poteva
da un giorno all'altro rivendicarsi. I magistrati romani non osarono
sturbarlo allorchè il videro sedere fra le ruine di Cartagine: grande
sventurato sulle ruine d'una grande città sventurata[35].
Il giovane Mario intanto, con aspetto di cortesia tenuto prigione nella
Corte del re numida, da una donna fu ajutato a fuggire e raggiungere
il padre, col quale veleggiò verso l'Italia. Qui aveva sostenuto la
loro parte Cornelio Cinna, audace fin all'imprudenza e insieme timido,
che non faceasi coscienza d'un delitto, poi sbigottiva nel coglierne
i frutti, e che, malgrado il giuramento prestato, fece dal tribuno
Virginio citar Silla per render conto del suo operato.
Questo non vi badò, ma come si fu trasferito coll'esercito in Asia, la
fazione sua soccombette, e Cinna rialzò la causa italiana, riproponendo
di ripartire i Socj fra tutte le trentacinque tribù, il che equivaleva
a dar loro la prevalenza. Ottavio, incorrotto fautore del senato, vi
si oppose; e per prova del quanto fosse rigoroso osservatore della
giustizia, Plutarco narra che, stimolato in quel pericolo a rendere
la libertà agli schiavi, protestò: — Come! vorrei far partecipi della
patria i servi, io che dalla patria respinsi Mario per tutelare le
leggi?»
Fino alle armi si corse, e le vie di Roma inondò sangue d'Italiani:
diecimila si dice perissero, gli altri con Cinna e con sei tribuni
dovettero uscire di città. Il senato dichiarò destituito Cinna,
il quale presentatosi all'esercito supplichevolmente e in aspetto
di martire della violenza, e corifeo della causa de' Socj, ebbe
dall'Italia uomini e denaro tanto da formare trenta legioni, e
richiamò i fuorusciti. Mario approda a Telamone, festosamente accolto
dagl'Italiani; chiama gli schiavi a libertà, arruola i più forzosi
contadini, i quali fatti liberi dalla legge Giulia, mentre sognavano
tutti i beni della libertà, si erano trovati poveri, costretti alla
milizia, ai tributi, alle requisizioni; del che incolpando il senato,
insorgeano volontieri contro di esso. Mario si congiunge con Cinna, e
difilasi su Roma pur ricusando ogni titolo e distinzione, e camminando
dimesso, come attrito da inenarrabili patimenti.
Sotto Roma, affrettatamente munita dal senato, con fierezza
battagliarono cittadini contro cittadini: di due combattenti l'uno
ferì l'altro a morte, poi nello spogliarlo il conobbe per suo fratello,
onde abbracciandolo, e raccogliendone l'estremo anelito, esclamò: — I
partiti ci divisero, ci congiunga il rogo», e si trafisse colla spada
fratricida[36]. Tremendo simbolo della sorte di noi Italiani.
I consoli trincerati sul monte Albano erano poco atti alla difesa:
Pompeo Strabone, richiamato dalla guerra che faceva agl'insorti in riva
all'Adriatico, operò così in tentenno, che si dubitò mirasse a lasciar
disanguarsi le due parti onde erigere se stesso; poi morì dell'epidemia
allora sviluppatasi. Fu dunque spedito ordine a Metello Numidico, che
alla meglio terminasse la guerra contro i non ancora domi Sanniti, e
venisse. Ma quando stava per istipulare, Mario propose ai Sanniti più
larghe condizioni, talchè s'avventarono di nuovo nell'armi, e Metello
dovè tornare senza esercito.
Crescevano le diserzioni dalle file senatorie; e Mario, prese o
avute le città marittime ed Ostia, bloccò Roma, che estenuata da
fame, contagi, sollevamenti di schiavi, dovette rendersi. Cinna non
volle entrare prima d'essere riconosciuto novamente console. Mario
s'arrestò alla porta, dicendo: — Non s'addice a me misero proscritto
il penetrarvi»; ma non ancora tutte le tribù aveano votato il suo
richiamo, ch'egli fu dentro, ordinando a una scorta di schiavi
uccidessero tutti quelli cui rendeva il saluto.
Allora cominciò orrido macello, quasi una vendetta de' ragunaticci
Italioti contro di Roma. Ottavio console e i senatori di miglior fama
furono trucidati: Catulo, reo d'aver avuto merito principale alla
vittoria sui Cimri, coll'avvelenarsi tolse all'invidioso Mario la
voluttà d'ucciderlo: Cornelio Merula console e flamine di Giove, nel
tempio deposte le sacre bende e seduto sulla cattedra pontificale,
si fece aprir le vene, e spruzzandone gli altari con tremende
imprecazioni, morì. L'oratore Marc'Antonio, meraviglia del suo tempo,
riparò alla villa d'un fedele amico, il quale, lieto di tanto ospite,
mandò il servo alla bettola pel miglior vino: quest'imprudente non
tacque all'ostiere chi fosse ricoverato dal padrone, e l'ostiere
il denunziò: e i satelliti di Mario, benchè un istante rattenuti
dall'eloquenza e dalla maestà di lui, lo decollarono. Mario abbracciò
il manigoldo che gli portò quella testa, e la fece esporre sui
rostri, ove tanti anni avea difeso il giusto, e dove poco dipoi
doveva sospendersi quella d'un altro sommo oratore. Sovra i padroni
gli schiavi sfogavano le covate vendette: solo quelli di Cornuto lo
trafugarono in villa, impiccando in sua vece e insultando un cadavere.
I generali posero fine alle stragi: pure la banda etrusca di Mario
ogni giorno usciva dal campo a saccheggiare e uccidere, poi tornava a
prendervi riposo; finchè Sertorio con un branco di Galli la tagliò a
pezzi.
Altri schiavi da Mario arrolati tumultuavano pel tardare de' soldi
promessi da Cinna; e Mario li fece raccogliere nel fôro, e quivi a
migliaja trucidare. Inebbriato di sangue, console per la settima volta
com'eragli stato predetto, tentò invano tuffare nel vino i rimorsi e
l'invidia contro Silla, cui s'apparecchiava a combattere quando breve
malattia il trasse settagenario alla tomba. (86) Mario
suo figlio, sottentratogli nel potere, fa scannare quanti senatori
fossero a Roma, e nominar console Valerio Flacco sua creatura, il
quale si ingrazianisce il popolo col ridurre i debiti a un quarto.
Sostenuto dai cittadini nuovi, che divisi fra le trentacinque tribù
prevaleano agli antichi e al senato, Cinna, neppur convocati i comizj,
dichiarossi console per la terza volta di seguito (85) con
Papirio Carbone, e distribuì le cariche cui volle: ma egli medesimo era
dominato dalla ciurmaglia che avea preso gusto al sangue, e che al fine
ad Ancona lo trucidò. (84)
In questi miseri dissidj struggevasi Roma, mentre all'esterno la
minacciava gravissimo pericolo, contro cui stava il proscritto Silla.
Questi, sapendo gl'Italiani propensi a Mario, risolve imbarcarsi
per l'Asia, onde rendersi devote le legioni col vincere. Va, e come
tant'altri ambiziosi, s'appoggia affatto sugli armati; gli abitua a
considerarsi del tale o tal capitano, non della repubblica; poi col
movere l'esercito contro la patria, spiana la via per cui cammineranno
Cesare, Antonio, Augusto, traverso a guerre civili, dove si combatterà
non per assicurarsi liberi, ma per darsi un padrone.
Tra i paesi dell'Asia anteriore, sottrattisi alla Persia al tempo
d'Alessandro Magno e de' successori suoi, s'avvicendavano guerre e
intrighi, e or prevaleva un regno or l'altro, e infine quello del
Ponto, il quale traeva nome dal Ponto Eusino che faceagli confine
a settentrione, mentre a mezzodì lo chiudeva la piccola Armenia;
la Colchide e il fiume Alis dagli altri lati. I Mitradati che lo
dominavano, e che di là stendeano la signoria sull'Eusino, stettero
ora in guerra ora in alleanza coi Romani, finchè cinse le regie bende
Mitradate VII Eupatore, (123) al quale la posterità conserva
il nome di grande, sebbene la mancanza di storici nazionali e la
superba noncuranza degli stranieri ci riduca soltanto a indovinare
la vastità de' suoi divisamenti. Salito al trono di dodici anni,
alla orientale fece morire sua madre e i più prossimi parenti; educò
il corpo e l'anima all'operosità; sposò la sorella Laodice, che poi
condannò a morte come traditrice; e girando l'Asia, studiando costumi,
leggi, uomini, formò il proposito di soggettarsela, proclamandosi
liberatore contro la tirannide de' Romani, e deliberato di riuscire
senza badare per quali mezzi. Già, oltre il Ponto, aveva ereditato la
Frigia (93) e pretensioni sui paesi contigui: la Paflagonia
occupò, a malgrado dei Romani: la Cappadocia soggiogò, di propria mano
scannando il nipote competitore.
Nicomede II re di Bitinia, adombrato degl'incrementi del vicino, mandò
a richiamarsene al senato di Roma, il quale decretò indipendenti
la Paflagonia e la Cappadocia, (91) destinandovi dei re
suoi ligi, e spedì Silla in aspetto d'ambasciatore, per conoscere e
sventare i disegni di Mitradate. Ma questi ruppe a guerra, sconfisse
i Bitinj e il nuovo re Nicomede III, costrinse i Romani a sgombrare
la Frigia, la Misia, l'Asia propria, e tutti i paesi che aveano o
sottomessi o amicati sino alla Jonia, e rimandò liberi quanti avea
fatti prigionieri. Gli abitanti di Laodicea tradirongli Quinto Appio
governatore della Pamfilia, che fu a lui condotto in catene, preceduto
per ischerno dai littori e dalle altre onoranze del suo grado. I Lesbj
gli menarono Manio Aquilio, che come sommovitore della Cappadocia, egli
fece legare piede a piede a un pubblico malfattore, sopra un asino
tradurre a Pergamo, ed ivi colargli in bocca dell'oro, a raffaccio
della sua ingordigia.
Da questo vizio era fatta esecrabile la dominazione dei Romani. Nella
stessa metropoli tutto vendevasi, e il traffico de' voti si compiva
così sfacciatamente, che non eccitava vergogna ma celie. Silla pretore,
insultato da Strabone Cesare, gl'intima, — Userò contro te i poteri
della mia carica»; e quegli, — Ben dicesti mia, poichè l'hai compra».
Un giovane, entrando alle magistrature per via dell'edilità, doveva
in questa spendere e spandere onde meritarsi i successivi favori del
popolo; quindi contrarre debiti e almanaccar le guise di spegnerli o
d'accreditarsi a nuovi. Divenuto pretore urbano, trattando soltanto
cause minute, sotto gli occhi del senato, dei censori, dei tribuni,
non può rubare che a spizzico: ma sa che poi gli sarà dal senato
conferita una provincia; su quella fa anticipato assegnamento a tutti
i creditori; e arrivatovi, ruba, dilapida, tien mano cogli esattori,
cogli usuraj; porta via robe, quadri, statue; e tornando, può mettere
splendido palazzo, una galleria che lo faccia acclamar protettore delle
arti, sedere sull'avorio del senato, dominare sopra mille schiavi,
ascendere al consolato.
Altra belva insaziabile erano gli esattori, cavalieri i più, che, prese
ad appalto le entrate d'un paese, non aveano freno nello smungerlo,
accumulando tesori per sè, esecrazione pel loro popolo. Marco Tullio
Cicerone, onest'uomo e gran persecutore dei depredatori, nel suo
governo di Cilicia pose da banda due milioni e ducentomila sesterzj
(quasi mezzo milione), e si vanta che fu legalmente[37]; ed al fratello
Quinto, governatore in Asia, scrive: — Sei lodato di diligenza per
avere impedito alle città di contrarre nuovi debiti, sollevate molte
dagli antichi, sciolta l'Asia dal peso dei donativi agli edili. Un
nostro nobile si lagna che tu gli abbia sottratto ducentomila lire
coll'impedire si facciano sovvenzioni pei giuochi. I pubblicani
porranno forte ostacolo alle tue rette intenzioni: e fa mente che
resistendo ad essi, alieneremmo dalla repubblica e da noi un corpo cui
tante obbligazioni ci legano; lentandone le briglie, accondiscenderemmo
alla ruina di coloro, di cui dobbiamo assicurar la salute e
gl'interessi. Quanto soffrano gli alleati nostri dai pubblicani, io
l'argomento dai molti ottimi nostri concittadini, che trattandosi di
abolire i pedaggi d'Italia, si lamentarono non tanto di questi, quanto
de' soprusi degli stradieri. Che sarà di alleati posti all'estremità
dell'impero? Qui si opina che, per soddisfare ai pubblicani, massime in
un appalto di sì grasso loro vantaggio, e al tempo stesso impedire la
rovina degli alleati, si richieda nulla meno che una virtù divina»[38].
Erano aperti i richiami, ma che ripromettersene se i giudizj stavano
in mano de' rei medesimi? Sempronio Asello pretore, che volle reprimere
le usure, fu trucidato sulla pubblica piazza, e nessuno ne fe ricerca.
Quando si propose di rimandare Marcello in Sicilia, i Siciliani
esclamarono: — Piuttosto ci sepellisca l'Etna», ed esposero le lunghe
concussioni di esso: ma che? ben presto si trovarono ridotti a placarlo
col buttarsegli ai piedi in pien senato, supplicandolo a riceverli
tutti come clienti; e a Siracusa istituirono annue feste in onore di
esso. (92) Muzio Scevola, pretore in Asia, citò i pubblicani
a render severa ragione delle crudeltà e delle concussioni, alcuni
incarcerò, pose in croce uno schiavo loro complice; ond'essi gli preser
odio a morte, e non potendo contro lui, sfogaronlo su Publio Rutilio
Rufo, consigliere suo in questo fatto, e accusandolo appunto della
colpa ond'egli aveva imputati loro, riuscirono a farlo condannare,
stando primario accusatore quell'Apicio, la cui ghiottoneria visse
in proverbio. Rutilio, premunito dalla filosofia contro la trista
fortuna, si ritirò in Asia, dove fu accolto come un liberatore; gli
Smirnei l'adottarono; e benchè richiamato, più non volle restituirsi
alla patria, della quale nel ritiro scrisse la storia in greco. Laonde
Cicerone, panegirista della virtù romana, esclamava: — Qual tempio fu
sacro pe' nostri magistrati? qual città santa? qual casa abbastanza
chiusa e munita? È difficile esprimere quanto siamo in odio fra gli
stranieri per le ingiustizie e le libidini di coloro che mandammo ai
comandi»[39]. Alfine Silvano Plauzio portò una nuova legge, (89) per cui ciascuna tribù dovesse eleggere ogni anno a giudici
quindici cittadini, tolti indifferentemente dai senatori, dai cavalieri
o dalla plebe: ma questo privare i cavalieri del privilegio di
giudicare divenne causa della guerra civile.
Non a torto dunque Mitradate potè vantarsi, — Tutta l'Asia mi aspetta».
Questa sonava allora di applausi al liberatore, al padre, al dio, al
solo monarca; le città libere gli apersero le porte; Mitilene, Efeso,
Magnesia abbatterono i monumenti eretti dai dominatori. E poichè gran
numero di cittadini romani eransi accasati nelle provincie, (88) il re del Ponto propose di sbrattarsene d'un colpo: e per segreto
ordine, a un giorno determinato furono uccisi tanti quanti côlti, con
donne, fanciulli e servi; i beni loro ripartiti fra l'erario e gli
assassini; resi liberi gli schiavi che trucidassero i loro padroni;
perdonato mezzo il debito a chi uccidesse il creditore; morte a
chiunque celasse un Italiano. Quali furono strappati dall'invocato
altare di Efeso, o dal tempio di Esculapio a Pergamo; quali raggiunti
mentre a nuoto tragittavansi a Lesbo coi figliuoli in collo: i Caunj
straziavano con lungo spasimo i fanciulli al cospetto delle madri, che
altre ne perdettero la vita, altre la ragione; i Trallj, non volendo
eseguire l'atroce comando, ne diedero l'incarico ad un Paflagone, che
scannò i Romani nel tempio della Concordia[40]. A cencinquantamila
fanno alcuni ascendere le vittime di quel giorno.
Assicurato nell'interno, Mitradate vola a sottoporre vicini e lontani,
dalle regioni del Caucaso fino ad Atene e a tutta la Grecia, sicchè ben
venticinque nazioni a lui obbedivano, delle quali tutte egli intendeva
e parlava le lingue. Ripieghi sempre nuovi gli porgeva l'indomita sua
attività; uomini la Scizia; denaro le città della costa e dell'interno,
arricchite dalla pesca dell'Eusino, dall'ubertà della Tauride, dai
cambj cogli Sciti, e massime dal commercio delle Indie, che traversava
per l'Oxo, il mar Caspio e il Caucaso. Con quattrocento vascelli
custodisce il mar Nero, e coi barbari circostanti a questo macchinava
quel che Annibale avea intrapreso coi popoli d'Africa, di Spagna,
della Gallia, disciplinarli per condurli contro Roma dalla parte del
settentrione.
Fremette Roma all'orrore del sofferto danno e alla minaccia del nuovo,
(87) e la vendetta affidò a colui che più ardente erasi
mostrato contro gl'insorti Italiani, Silla. Quei barbari ragunaticci
mal potevano resistere alla romana disciplina; e a Cheronea, capitanati
da Archelao generale di Mitradate, furono sconfitti sì, che Silla
scrisse averne ucciso centodiecimila, perdendo soli dodici de' suoi:
due altre non meno sanguinose giornate nella Beozia terminarono la
campagna. Nel primo esercito si contavano fin quindicimila schiavi
fuggiti dai Romani, che vendettero a carissimo prezzo la vita
(PLUTARCO).
Silla assediò Atene, e diecimila carrette a muli portavano i materiali
per le macchine; i boschi sacri, le deliziose piantagioni del Liceo
e dell'Accademia furono tagliati; fame sì rabbiosa desolava la più
colta città del mondo, che si lasciò fino spegner la lampada avanti
al simulacro di Pallade: alfine restò presa d'assalto, mediante quei
traditori che mai non mancarono nelle guerre greche. Silla, entratovi
per la breccia a suon di trombe, la inondò di sangue, e voleva
distruggerla; poi si lasciò mitigare, e perdonò ai vivi (dicea) per
riguardo ai morti. Faceasi mandar le spoglie di tutti i tempj, e co'
suoi celiando diceva: — Ho in pugno la vittoria, dacchè gli stessi
Dei soldano le mie truppe». Fremevano i Greci, e rammentavano come
Flaminino, Acilio, Paolo Emilio non avessero posto la mano nelle cose
sacre: essi d'alto animo e di viver parco, avrebbero creduto pari viltà
il condiscendere a' soldati, e il temere i nemici. Ma quelli erano
legalmente eletti, con truppe disciplinate; i presenti salivano al
comando per violenza o prezzo, onde erano costretti andar a' versi de'
loro fautori, vendere tutto per comprarsi o voti nella piazza o partito
nell'esercito: corruttrici largizioni, di cui Silla fu il primo a dar
in grande lo scandalo.
Ma mentre qui trionfava, egli era proscritto in patria, e dovea
difendersi contro eserciti della fazione avversa, mandati per
contrariarlo od anche ucciderlo. Un Fimbria, esecrabile per forsennate
crudeltà, nel funerale di Mario manda per assassinare l'augure Quinto
Scevola; fallito il colpo, lo cita in giudizio; e chiedendo tutti con
maraviglia di che potesse imputare personaggio sì santo, rispose: —
Del non aver ricevuto tutto il pugnale nel corpo»[41]. Logica che non
manca d'imitatori. Fatto luogotenente di Valerio Flacco, (86) console destinato a governare e vincere l'Asia, venne in urto con
lui, e a Nicomedia lo assassinò; e recatesi in mano tutte le forze di
quella provincia, per sostenersi permetteva ogni licenza a' soldati
ed ai fautori suoi. Avendo un giorno fatto rizzare delle forche, e
trovatone il numero maggiore di quello dei malfattori, fe cogliere
alcuni spettatori a caso per riempierne i vuoti. Non mancandogli
però valore, ruppe i generali di Mitradate, e lui assediò in Pitana.
Per espugnare questa fortezza, avea bisogno della flotta: ma Lucullo
che la comandava, e che professavasi avverso alla fazione di Mario
e di Fimbria; ricusò prestarla; onde il re ebbe campo di ritirarsi
a Mitilene. Fimbria, espugnata Pitana, assediò Troja; e pigliatala
d'assalto, sterminò uomini ed edifizj, vantandosi aver in dieci giorni
compito quel che Agamennone appena in dieci anni.
Mitradate, preso tra due fuochi, mandò proposizioni a Silla, il quale,
da un lato desideroso di mescolare le cose d'Italia, dall'altro di
togliere la gloria delle imprese a Fimbria, (85) accettò un
colloquio con esso a Dardano nella Troade. Il re del Ponto vi giunse
con ventimila uomini, seicento cavalli, innumerevoli carri falcati,
sessanta vascelli; Silla con due legioni e duecento cavalli, e dettò i
patti. E furono che il re richiamerebbe le truppe da tutte le città che
non fossero state alla sua obbedienza prima della guerra, renderebbe i
prigionieri senza taglia, pagherebbe duemila talenti, e darebbe a Silla
ottanta vascelli in tutto punto con cinquecento arcieri. — Che mi lasci
dunque?» chiese Mitradate. — Ti lascio la destra, con cui firmasti il
macello di centomila Romani».
Così Silla, in non tre anni menata a buon compimento una guerra
pericolosissima, ebbe ricuperata la Grecia, la Jonia, la Macedonia,
l'Asia; dichiarati liberi ed alleati i Rodj, i Magnesj, i Trojani,
gli Scioti; uccisi a Mitradate censessantamila uomini; e avrebbe anche
potuto prenderlo, e risparmiare trent'anni di guerra alla sua patria.
Fimbria, che ricusava sottomettersi, fu ridotto a tali strette che
s'uccise.
Per avidità di dominare l'Italia, Silla espilava l'Asia, imponendole
una contribuzione di ventimila talenti (100 milioni), mandando soldati
a vivere a carico di chiunque erasi mostrato ostile; ed amicavasi
i soldati chiudendo gli occhi sull'ingordigia e la libidine loro.
Espilati i tempj di Delfo, d'Olimpia, d'Epidauro, essi godeano le
suntuose mollezze d'Asia, i palazzi, i bagni, i teatri, gli schiavi,
le donne: e mentre la flotta congedata da Mitradate erasi sbrancata in
squadriglie che corseggiando desolavano il litorale, i Sillani dandola
le costumanze romane, nè l'esecrazione pei re, spianava il calle a
coloro che omai aspiravano a cangiare radicalmente la costituzione.
Non sembra che Roma sevisse contro i vinti; e quantunque penuriasse
a segno da dover vendere alcuni terreni attorno al Campidoglio, che
da tempo immemorabile lasciavansi ai pontefici ed agli auguri, non
confiscò il territorio de' Socj, eccetto quello degli Ascolani, nè
mandò al supplizio che alquanti capi. Il pericolo di veder soccombere
Roma prima ch'ella compisse la provvidenziale sua missione di unificare
il mondo civile in una sapiente amministrazione, era schivato. L'Italia
restavale ancora sottomessa, ma non più schiava, e i migliori cittadini
verrebbero a questa da altri paesi. Un nome solo abbracciava coloro
che prima chiamavansi Latini, Etruschi, Sanniti, Lucani; un solo
linguaggio parlavano; e mentre quel di Roma corrompeasi per l'affluenza
di tanti forestieri, restava come fisso l'idioma del Lazio. L'avvenire
nazionale sarebbe potuto dirsi assicurato, se fra breve questa
fusione dell'Italia con Roma non si fosse pur fatta di tutto il mondo
coll'Italia, togliendole l'originalità, il vigore, l'attività, facendo
che sparpagliasse lontanissimo la vita, invece di concentrarla in sè;
per modo che, quando un cozzo esterno ne staccherebbe le provincie,
ella, cessando d'essere signora del mondo, neppur rimanesse paese uno e
compatta nazione.
CAPITOLO XXI.
Silla. — Mitradate. — Prima guerra civile. — Restaurazione
aristocratica.
Ma Roma volgea contro se stessa il ferro, aguzzato contro Italiani e
stranieri, prorompendo la inimicizia fra Mario e Silla.
Lucio Silla, (n. 137) dell'illustre gente Cornelia ma di
mediocre fortuna, passò la giovinezza fra stravizzi; poi quando
Nicopoli cortigiana lo testò erede universale, prese posto fra i
cavalieri meglio stanti, e al gusto de' piaceri aggiunse l'amor
della gloria e del potere. Attribuito questore a Mario nella guerra
numidica, da questo fu lasciato in Italia come effeminato; ma quando
lo raggiunse in Africa colla riserva, si mostrò intrepido nelle
fazioni, esatto al dovere, più atto di Mario a conciliarsi gli animi.
Mettevasi però a tavola? giù ogni contegno; e allegro, spassone, senza
più voler intendere d'affari, si abbandonava alle tazze, a cantarine,
a saltatrici. Per rimovere l'invidia, le imprese ben succedutegli
attribuiva alla fortuna; nelle proprie _Memorie_ mostrava essergli
riusciti meglio i partiti improvvisi che non i meditati; ed esortava
Lucullo, cui erano dirette, a riporre intera fiducia nelle cose che in
sogno sentisse comandarsi dagli Dei.
Mario in prima disprezzò, da poi ne prese ombra, principalmente dacchè
Bocco re di Mauritania dedicò in Campidoglio un gruppo, rappresentante
se stesso in atto di consegnare Giugurta non a Mario ma a Silla,
parendo attribuire a questo il merito d'aver compita essa guerra. Da
ciò rancori che non doveano ammorzarsi neppure in torrenti di sangue.
Mario arrischiato e ad impeti; Silla calcolava e misurava verso un fine
prefisso, qualunque fossero le vie. Mario allevato in contado, appariva
zotico a segno, che a fabbricar un tempio per la vittoria sopra i
Cimri adoprò un mastro romano e pietre informi: Silla, raffinato nella
greca coltura, sui vizj suoi stendeva una lusinghiera vernice, dalle
sue depredazioni raccoglieva libri, quadri, vasi, onde abbellire i
proprj palazzi e la città. L'uno e l'altro valorosi in guerra e cupidi
d'onori, Mario per brighe spudorate e per denaro ottenne sei consolati
quasi consecutivi, Silla si professò stanco di servire a questa specie
di re; e avendo già quarantaquattro anni, brogliò la pretura, comprando
i voti e promettendo spettacoli che i pari mai non si sarebbero veduti;
e per mezzo di re Bocco ebbe cento leoni che espose a combattere con
uomini, avvezzando a tali spettacoli Roma, quasi in rimpatto de'
sacrifizj umani, allora appunto proibiti dal senato; e divenne il
corifeo della parte nobile, come Mario era della popolare. Lo vedemmo
adoprarsi più utilmente di questo nella guerra degli Alleati; ed aveva
ottenuto il comando supremo contro Mitradate re del Ponto, (88) allorchè il popolo, sollecitato dal tribuno Sulpicio a mostrarsi
riconoscente delle leggi liberali, affidò quella guerra a Mario, che,
quantunque vecchio, indispettivasi di non esser più il primo uomo di
Roma, e aborriva colui che l'eclissava.
Allorchè l'oro dava piaceri e dignità, tutti ambivano le capitananze
in Asia, dove si poteva rubare a man salva; laonde Silla, che già
l'avea depredata col desiderio, risolse vendicare l'affronto ricevuto;
e poichè, vegliando tuttora la guerra Sociale, egli stringeva i
Sanniti in Nola, il torto fattogli racconta all'esercito suo, il quale
rispondendo con una voce sola alla mozione di pochi intriganti, grida:
— Corriamo sopra Roma». Se i soldati semplici erano dediti al generale
che potea promoverli, gli uffiziali, che ricevevano le promozioni dai
comizj popolari, non vollero partecipare al parricidio: pure Silla
volse l'esercito sopra Roma, apprestando fiaccole per incendiarla; e ai
pretori mandati per mitigarlo rispondeva sbraveggiando.
Il popolo, sorpreso dall'inaudita temerità, si difende con tegoli
e sassi, armi plebee: ma Silla appicca il fuoco, prende la città,
fa scannare Sulpicio, bandire una taglia sopra la testa di Mario in
vendetta degli amici uccisigli, de' beni predatigli; e radunati i
comizj, arringando come se stilla di sangue non si fosse versata,
propone che veruna legge sia portata avanti al popolo se non dopo
approvata dal senato; i comizj non si tengano più per tribù, ma
per centurie; chi sia stato tribuno non possa esercitare altra
magistratura; e si cassino tutte le proposizioni di Sulpicio.
Il popolo esprimeva il suo dispetto coll'eleggere magistrati avversi
a Silla; e questi simulava di compiacersene, quasi una prova della
libertà che aveva restituita alle loro elezioni. (87) Di
fatto, con Gneo Ottavio, patrizio amico di lui, fu eletto console
Cornelio Cinna suo nemico; il quale però salito in Campidoglio e
slanciando un sasso, imprecò: — Se mai contrafarò a Silla, possa
vedermi cacciato di città com'io ne caccio questa pietra».
Allora Silla mandò ad inseguire Mario fuggiasco. Il vincitore dei
Cimri, soletto con suo figlio e col genero, si era trafugato di casale
in casale per quell'Italia ch'egli avea voluto far tutta cittadina; ad
Ortea s'imbarcò; ma sospinto a terra presso Circeo, errò mendicando
pane da chi scontrava, serenando la notte nel fitto delle boscaglie,
e fra i canneti del Liri celandosi dai sicarj che l'ormavano. Colà
tuffato nella melma fin alle spalle, lo scoprirono essi, e gettatagli
una soga al collo, il trassero a Minturno. Quegl'Italiani però,
memori dell'interesse di lui per la causa de' Socj, non soffrirono
che perisse, e probabilmente inventarono la storiella, che essendo
mandato uno schiavo cimro per dargli morte in prigione, esso gli
gridò, — Miserabile! oserai tu uccidere Cajo Mario?» e lo schiavo fuggì
esclamando, — M'è impossibile trafiggerlo».
I Minturnesi pertanto dissero: — Vada ove vuole a compiere il destino
suo; così gli Dei non ci puniscano di cacciar via Mario ignudo e
bisognoso». E l'esposero sulla riva, dove trovò un vascello che il
tradusse in Africa, nella quale suo figlio Cajo Mario, campato da
pericoli non meno pressanti, erasi condotto a cercare ajuti al numida
Jemsale. Proteggevano il fuggitivo da una parte la gloria del suo nome,
dall'altra il sapere che la fazione sua, sopita non spenta, poteva
da un giorno all'altro rivendicarsi. I magistrati romani non osarono
sturbarlo allorchè il videro sedere fra le ruine di Cartagine: grande
sventurato sulle ruine d'una grande città sventurata[35].
Il giovane Mario intanto, con aspetto di cortesia tenuto prigione nella
Corte del re numida, da una donna fu ajutato a fuggire e raggiungere
il padre, col quale veleggiò verso l'Italia. Qui aveva sostenuto la
loro parte Cornelio Cinna, audace fin all'imprudenza e insieme timido,
che non faceasi coscienza d'un delitto, poi sbigottiva nel coglierne
i frutti, e che, malgrado il giuramento prestato, fece dal tribuno
Virginio citar Silla per render conto del suo operato.
Questo non vi badò, ma come si fu trasferito coll'esercito in Asia, la
fazione sua soccombette, e Cinna rialzò la causa italiana, riproponendo
di ripartire i Socj fra tutte le trentacinque tribù, il che equivaleva
a dar loro la prevalenza. Ottavio, incorrotto fautore del senato, vi
si oppose; e per prova del quanto fosse rigoroso osservatore della
giustizia, Plutarco narra che, stimolato in quel pericolo a rendere
la libertà agli schiavi, protestò: — Come! vorrei far partecipi della
patria i servi, io che dalla patria respinsi Mario per tutelare le
leggi?»
Fino alle armi si corse, e le vie di Roma inondò sangue d'Italiani:
diecimila si dice perissero, gli altri con Cinna e con sei tribuni
dovettero uscire di città. Il senato dichiarò destituito Cinna,
il quale presentatosi all'esercito supplichevolmente e in aspetto
di martire della violenza, e corifeo della causa de' Socj, ebbe
dall'Italia uomini e denaro tanto da formare trenta legioni, e
richiamò i fuorusciti. Mario approda a Telamone, festosamente accolto
dagl'Italiani; chiama gli schiavi a libertà, arruola i più forzosi
contadini, i quali fatti liberi dalla legge Giulia, mentre sognavano
tutti i beni della libertà, si erano trovati poveri, costretti alla
milizia, ai tributi, alle requisizioni; del che incolpando il senato,
insorgeano volontieri contro di esso. Mario si congiunge con Cinna, e
difilasi su Roma pur ricusando ogni titolo e distinzione, e camminando
dimesso, come attrito da inenarrabili patimenti.
Sotto Roma, affrettatamente munita dal senato, con fierezza
battagliarono cittadini contro cittadini: di due combattenti l'uno
ferì l'altro a morte, poi nello spogliarlo il conobbe per suo fratello,
onde abbracciandolo, e raccogliendone l'estremo anelito, esclamò: — I
partiti ci divisero, ci congiunga il rogo», e si trafisse colla spada
fratricida[36]. Tremendo simbolo della sorte di noi Italiani.
I consoli trincerati sul monte Albano erano poco atti alla difesa:
Pompeo Strabone, richiamato dalla guerra che faceva agl'insorti in riva
all'Adriatico, operò così in tentenno, che si dubitò mirasse a lasciar
disanguarsi le due parti onde erigere se stesso; poi morì dell'epidemia
allora sviluppatasi. Fu dunque spedito ordine a Metello Numidico, che
alla meglio terminasse la guerra contro i non ancora domi Sanniti, e
venisse. Ma quando stava per istipulare, Mario propose ai Sanniti più
larghe condizioni, talchè s'avventarono di nuovo nell'armi, e Metello
dovè tornare senza esercito.
Crescevano le diserzioni dalle file senatorie; e Mario, prese o
avute le città marittime ed Ostia, bloccò Roma, che estenuata da
fame, contagi, sollevamenti di schiavi, dovette rendersi. Cinna non
volle entrare prima d'essere riconosciuto novamente console. Mario
s'arrestò alla porta, dicendo: — Non s'addice a me misero proscritto
il penetrarvi»; ma non ancora tutte le tribù aveano votato il suo
richiamo, ch'egli fu dentro, ordinando a una scorta di schiavi
uccidessero tutti quelli cui rendeva il saluto.
Allora cominciò orrido macello, quasi una vendetta de' ragunaticci
Italioti contro di Roma. Ottavio console e i senatori di miglior fama
furono trucidati: Catulo, reo d'aver avuto merito principale alla
vittoria sui Cimri, coll'avvelenarsi tolse all'invidioso Mario la
voluttà d'ucciderlo: Cornelio Merula console e flamine di Giove, nel
tempio deposte le sacre bende e seduto sulla cattedra pontificale,
si fece aprir le vene, e spruzzandone gli altari con tremende
imprecazioni, morì. L'oratore Marc'Antonio, meraviglia del suo tempo,
riparò alla villa d'un fedele amico, il quale, lieto di tanto ospite,
mandò il servo alla bettola pel miglior vino: quest'imprudente non
tacque all'ostiere chi fosse ricoverato dal padrone, e l'ostiere
il denunziò: e i satelliti di Mario, benchè un istante rattenuti
dall'eloquenza e dalla maestà di lui, lo decollarono. Mario abbracciò
il manigoldo che gli portò quella testa, e la fece esporre sui
rostri, ove tanti anni avea difeso il giusto, e dove poco dipoi
doveva sospendersi quella d'un altro sommo oratore. Sovra i padroni
gli schiavi sfogavano le covate vendette: solo quelli di Cornuto lo
trafugarono in villa, impiccando in sua vece e insultando un cadavere.
I generali posero fine alle stragi: pure la banda etrusca di Mario
ogni giorno usciva dal campo a saccheggiare e uccidere, poi tornava a
prendervi riposo; finchè Sertorio con un branco di Galli la tagliò a
pezzi.
Altri schiavi da Mario arrolati tumultuavano pel tardare de' soldi
promessi da Cinna; e Mario li fece raccogliere nel fôro, e quivi a
migliaja trucidare. Inebbriato di sangue, console per la settima volta
com'eragli stato predetto, tentò invano tuffare nel vino i rimorsi e
l'invidia contro Silla, cui s'apparecchiava a combattere quando breve
malattia il trasse settagenario alla tomba. (86) Mario
suo figlio, sottentratogli nel potere, fa scannare quanti senatori
fossero a Roma, e nominar console Valerio Flacco sua creatura, il
quale si ingrazianisce il popolo col ridurre i debiti a un quarto.
Sostenuto dai cittadini nuovi, che divisi fra le trentacinque tribù
prevaleano agli antichi e al senato, Cinna, neppur convocati i comizj,
dichiarossi console per la terza volta di seguito (85) con
Papirio Carbone, e distribuì le cariche cui volle: ma egli medesimo era
dominato dalla ciurmaglia che avea preso gusto al sangue, e che al fine
ad Ancona lo trucidò. (84)
In questi miseri dissidj struggevasi Roma, mentre all'esterno la
minacciava gravissimo pericolo, contro cui stava il proscritto Silla.
Questi, sapendo gl'Italiani propensi a Mario, risolve imbarcarsi
per l'Asia, onde rendersi devote le legioni col vincere. Va, e come
tant'altri ambiziosi, s'appoggia affatto sugli armati; gli abitua a
considerarsi del tale o tal capitano, non della repubblica; poi col
movere l'esercito contro la patria, spiana la via per cui cammineranno
Cesare, Antonio, Augusto, traverso a guerre civili, dove si combatterà
non per assicurarsi liberi, ma per darsi un padrone.
Tra i paesi dell'Asia anteriore, sottrattisi alla Persia al tempo
d'Alessandro Magno e de' successori suoi, s'avvicendavano guerre e
intrighi, e or prevaleva un regno or l'altro, e infine quello del
Ponto, il quale traeva nome dal Ponto Eusino che faceagli confine
a settentrione, mentre a mezzodì lo chiudeva la piccola Armenia;
la Colchide e il fiume Alis dagli altri lati. I Mitradati che lo
dominavano, e che di là stendeano la signoria sull'Eusino, stettero
ora in guerra ora in alleanza coi Romani, finchè cinse le regie bende
Mitradate VII Eupatore, (123) al quale la posterità conserva
il nome di grande, sebbene la mancanza di storici nazionali e la
superba noncuranza degli stranieri ci riduca soltanto a indovinare
la vastità de' suoi divisamenti. Salito al trono di dodici anni,
alla orientale fece morire sua madre e i più prossimi parenti; educò
il corpo e l'anima all'operosità; sposò la sorella Laodice, che poi
condannò a morte come traditrice; e girando l'Asia, studiando costumi,
leggi, uomini, formò il proposito di soggettarsela, proclamandosi
liberatore contro la tirannide de' Romani, e deliberato di riuscire
senza badare per quali mezzi. Già, oltre il Ponto, aveva ereditato la
Frigia (93) e pretensioni sui paesi contigui: la Paflagonia
occupò, a malgrado dei Romani: la Cappadocia soggiogò, di propria mano
scannando il nipote competitore.
Nicomede II re di Bitinia, adombrato degl'incrementi del vicino, mandò
a richiamarsene al senato di Roma, il quale decretò indipendenti
la Paflagonia e la Cappadocia, (91) destinandovi dei re
suoi ligi, e spedì Silla in aspetto d'ambasciatore, per conoscere e
sventare i disegni di Mitradate. Ma questi ruppe a guerra, sconfisse
i Bitinj e il nuovo re Nicomede III, costrinse i Romani a sgombrare
la Frigia, la Misia, l'Asia propria, e tutti i paesi che aveano o
sottomessi o amicati sino alla Jonia, e rimandò liberi quanti avea
fatti prigionieri. Gli abitanti di Laodicea tradirongli Quinto Appio
governatore della Pamfilia, che fu a lui condotto in catene, preceduto
per ischerno dai littori e dalle altre onoranze del suo grado. I Lesbj
gli menarono Manio Aquilio, che come sommovitore della Cappadocia, egli
fece legare piede a piede a un pubblico malfattore, sopra un asino
tradurre a Pergamo, ed ivi colargli in bocca dell'oro, a raffaccio
della sua ingordigia.
Da questo vizio era fatta esecrabile la dominazione dei Romani. Nella
stessa metropoli tutto vendevasi, e il traffico de' voti si compiva
così sfacciatamente, che non eccitava vergogna ma celie. Silla pretore,
insultato da Strabone Cesare, gl'intima, — Userò contro te i poteri
della mia carica»; e quegli, — Ben dicesti mia, poichè l'hai compra».
Un giovane, entrando alle magistrature per via dell'edilità, doveva
in questa spendere e spandere onde meritarsi i successivi favori del
popolo; quindi contrarre debiti e almanaccar le guise di spegnerli o
d'accreditarsi a nuovi. Divenuto pretore urbano, trattando soltanto
cause minute, sotto gli occhi del senato, dei censori, dei tribuni,
non può rubare che a spizzico: ma sa che poi gli sarà dal senato
conferita una provincia; su quella fa anticipato assegnamento a tutti
i creditori; e arrivatovi, ruba, dilapida, tien mano cogli esattori,
cogli usuraj; porta via robe, quadri, statue; e tornando, può mettere
splendido palazzo, una galleria che lo faccia acclamar protettore delle
arti, sedere sull'avorio del senato, dominare sopra mille schiavi,
ascendere al consolato.
Altra belva insaziabile erano gli esattori, cavalieri i più, che, prese
ad appalto le entrate d'un paese, non aveano freno nello smungerlo,
accumulando tesori per sè, esecrazione pel loro popolo. Marco Tullio
Cicerone, onest'uomo e gran persecutore dei depredatori, nel suo
governo di Cilicia pose da banda due milioni e ducentomila sesterzj
(quasi mezzo milione), e si vanta che fu legalmente[37]; ed al fratello
Quinto, governatore in Asia, scrive: — Sei lodato di diligenza per
avere impedito alle città di contrarre nuovi debiti, sollevate molte
dagli antichi, sciolta l'Asia dal peso dei donativi agli edili. Un
nostro nobile si lagna che tu gli abbia sottratto ducentomila lire
coll'impedire si facciano sovvenzioni pei giuochi. I pubblicani
porranno forte ostacolo alle tue rette intenzioni: e fa mente che
resistendo ad essi, alieneremmo dalla repubblica e da noi un corpo cui
tante obbligazioni ci legano; lentandone le briglie, accondiscenderemmo
alla ruina di coloro, di cui dobbiamo assicurar la salute e
gl'interessi. Quanto soffrano gli alleati nostri dai pubblicani, io
l'argomento dai molti ottimi nostri concittadini, che trattandosi di
abolire i pedaggi d'Italia, si lamentarono non tanto di questi, quanto
de' soprusi degli stradieri. Che sarà di alleati posti all'estremità
dell'impero? Qui si opina che, per soddisfare ai pubblicani, massime in
un appalto di sì grasso loro vantaggio, e al tempo stesso impedire la
rovina degli alleati, si richieda nulla meno che una virtù divina»[38].
Erano aperti i richiami, ma che ripromettersene se i giudizj stavano
in mano de' rei medesimi? Sempronio Asello pretore, che volle reprimere
le usure, fu trucidato sulla pubblica piazza, e nessuno ne fe ricerca.
Quando si propose di rimandare Marcello in Sicilia, i Siciliani
esclamarono: — Piuttosto ci sepellisca l'Etna», ed esposero le lunghe
concussioni di esso: ma che? ben presto si trovarono ridotti a placarlo
col buttarsegli ai piedi in pien senato, supplicandolo a riceverli
tutti come clienti; e a Siracusa istituirono annue feste in onore di
esso. (92) Muzio Scevola, pretore in Asia, citò i pubblicani
a render severa ragione delle crudeltà e delle concussioni, alcuni
incarcerò, pose in croce uno schiavo loro complice; ond'essi gli preser
odio a morte, e non potendo contro lui, sfogaronlo su Publio Rutilio
Rufo, consigliere suo in questo fatto, e accusandolo appunto della
colpa ond'egli aveva imputati loro, riuscirono a farlo condannare,
stando primario accusatore quell'Apicio, la cui ghiottoneria visse
in proverbio. Rutilio, premunito dalla filosofia contro la trista
fortuna, si ritirò in Asia, dove fu accolto come un liberatore; gli
Smirnei l'adottarono; e benchè richiamato, più non volle restituirsi
alla patria, della quale nel ritiro scrisse la storia in greco. Laonde
Cicerone, panegirista della virtù romana, esclamava: — Qual tempio fu
sacro pe' nostri magistrati? qual città santa? qual casa abbastanza
chiusa e munita? È difficile esprimere quanto siamo in odio fra gli
stranieri per le ingiustizie e le libidini di coloro che mandammo ai
comandi»[39]. Alfine Silvano Plauzio portò una nuova legge, (89) per cui ciascuna tribù dovesse eleggere ogni anno a giudici
quindici cittadini, tolti indifferentemente dai senatori, dai cavalieri
o dalla plebe: ma questo privare i cavalieri del privilegio di
giudicare divenne causa della guerra civile.
Non a torto dunque Mitradate potè vantarsi, — Tutta l'Asia mi aspetta».
Questa sonava allora di applausi al liberatore, al padre, al dio, al
solo monarca; le città libere gli apersero le porte; Mitilene, Efeso,
Magnesia abbatterono i monumenti eretti dai dominatori. E poichè gran
numero di cittadini romani eransi accasati nelle provincie, (88) il re del Ponto propose di sbrattarsene d'un colpo: e per segreto
ordine, a un giorno determinato furono uccisi tanti quanti côlti, con
donne, fanciulli e servi; i beni loro ripartiti fra l'erario e gli
assassini; resi liberi gli schiavi che trucidassero i loro padroni;
perdonato mezzo il debito a chi uccidesse il creditore; morte a
chiunque celasse un Italiano. Quali furono strappati dall'invocato
altare di Efeso, o dal tempio di Esculapio a Pergamo; quali raggiunti
mentre a nuoto tragittavansi a Lesbo coi figliuoli in collo: i Caunj
straziavano con lungo spasimo i fanciulli al cospetto delle madri, che
altre ne perdettero la vita, altre la ragione; i Trallj, non volendo
eseguire l'atroce comando, ne diedero l'incarico ad un Paflagone, che
scannò i Romani nel tempio della Concordia[40]. A cencinquantamila
fanno alcuni ascendere le vittime di quel giorno.
Assicurato nell'interno, Mitradate vola a sottoporre vicini e lontani,
dalle regioni del Caucaso fino ad Atene e a tutta la Grecia, sicchè ben
venticinque nazioni a lui obbedivano, delle quali tutte egli intendeva
e parlava le lingue. Ripieghi sempre nuovi gli porgeva l'indomita sua
attività; uomini la Scizia; denaro le città della costa e dell'interno,
arricchite dalla pesca dell'Eusino, dall'ubertà della Tauride, dai
cambj cogli Sciti, e massime dal commercio delle Indie, che traversava
per l'Oxo, il mar Caspio e il Caucaso. Con quattrocento vascelli
custodisce il mar Nero, e coi barbari circostanti a questo macchinava
quel che Annibale avea intrapreso coi popoli d'Africa, di Spagna,
della Gallia, disciplinarli per condurli contro Roma dalla parte del
settentrione.
Fremette Roma all'orrore del sofferto danno e alla minaccia del nuovo,
(87) e la vendetta affidò a colui che più ardente erasi
mostrato contro gl'insorti Italiani, Silla. Quei barbari ragunaticci
mal potevano resistere alla romana disciplina; e a Cheronea, capitanati
da Archelao generale di Mitradate, furono sconfitti sì, che Silla
scrisse averne ucciso centodiecimila, perdendo soli dodici de' suoi:
due altre non meno sanguinose giornate nella Beozia terminarono la
campagna. Nel primo esercito si contavano fin quindicimila schiavi
fuggiti dai Romani, che vendettero a carissimo prezzo la vita
(PLUTARCO).
Silla assediò Atene, e diecimila carrette a muli portavano i materiali
per le macchine; i boschi sacri, le deliziose piantagioni del Liceo
e dell'Accademia furono tagliati; fame sì rabbiosa desolava la più
colta città del mondo, che si lasciò fino spegner la lampada avanti
al simulacro di Pallade: alfine restò presa d'assalto, mediante quei
traditori che mai non mancarono nelle guerre greche. Silla, entratovi
per la breccia a suon di trombe, la inondò di sangue, e voleva
distruggerla; poi si lasciò mitigare, e perdonò ai vivi (dicea) per
riguardo ai morti. Faceasi mandar le spoglie di tutti i tempj, e co'
suoi celiando diceva: — Ho in pugno la vittoria, dacchè gli stessi
Dei soldano le mie truppe». Fremevano i Greci, e rammentavano come
Flaminino, Acilio, Paolo Emilio non avessero posto la mano nelle cose
sacre: essi d'alto animo e di viver parco, avrebbero creduto pari viltà
il condiscendere a' soldati, e il temere i nemici. Ma quelli erano
legalmente eletti, con truppe disciplinate; i presenti salivano al
comando per violenza o prezzo, onde erano costretti andar a' versi de'
loro fautori, vendere tutto per comprarsi o voti nella piazza o partito
nell'esercito: corruttrici largizioni, di cui Silla fu il primo a dar
in grande lo scandalo.
Ma mentre qui trionfava, egli era proscritto in patria, e dovea
difendersi contro eserciti della fazione avversa, mandati per
contrariarlo od anche ucciderlo. Un Fimbria, esecrabile per forsennate
crudeltà, nel funerale di Mario manda per assassinare l'augure Quinto
Scevola; fallito il colpo, lo cita in giudizio; e chiedendo tutti con
maraviglia di che potesse imputare personaggio sì santo, rispose: —
Del non aver ricevuto tutto il pugnale nel corpo»[41]. Logica che non
manca d'imitatori. Fatto luogotenente di Valerio Flacco, (86) console destinato a governare e vincere l'Asia, venne in urto con
lui, e a Nicomedia lo assassinò; e recatesi in mano tutte le forze di
quella provincia, per sostenersi permetteva ogni licenza a' soldati
ed ai fautori suoi. Avendo un giorno fatto rizzare delle forche, e
trovatone il numero maggiore di quello dei malfattori, fe cogliere
alcuni spettatori a caso per riempierne i vuoti. Non mancandogli
però valore, ruppe i generali di Mitradate, e lui assediò in Pitana.
Per espugnare questa fortezza, avea bisogno della flotta: ma Lucullo
che la comandava, e che professavasi avverso alla fazione di Mario
e di Fimbria; ricusò prestarla; onde il re ebbe campo di ritirarsi
a Mitilene. Fimbria, espugnata Pitana, assediò Troja; e pigliatala
d'assalto, sterminò uomini ed edifizj, vantandosi aver in dieci giorni
compito quel che Agamennone appena in dieci anni.
Mitradate, preso tra due fuochi, mandò proposizioni a Silla, il quale,
da un lato desideroso di mescolare le cose d'Italia, dall'altro di
togliere la gloria delle imprese a Fimbria, (85) accettò un
colloquio con esso a Dardano nella Troade. Il re del Ponto vi giunse
con ventimila uomini, seicento cavalli, innumerevoli carri falcati,
sessanta vascelli; Silla con due legioni e duecento cavalli, e dettò i
patti. E furono che il re richiamerebbe le truppe da tutte le città che
non fossero state alla sua obbedienza prima della guerra, renderebbe i
prigionieri senza taglia, pagherebbe duemila talenti, e darebbe a Silla
ottanta vascelli in tutto punto con cinquecento arcieri. — Che mi lasci
dunque?» chiese Mitradate. — Ti lascio la destra, con cui firmasti il
macello di centomila Romani».
Così Silla, in non tre anni menata a buon compimento una guerra
pericolosissima, ebbe ricuperata la Grecia, la Jonia, la Macedonia,
l'Asia; dichiarati liberi ed alleati i Rodj, i Magnesj, i Trojani,
gli Scioti; uccisi a Mitradate censessantamila uomini; e avrebbe anche
potuto prenderlo, e risparmiare trent'anni di guerra alla sua patria.
Fimbria, che ricusava sottomettersi, fu ridotto a tali strette che
s'uccise.
Per avidità di dominare l'Italia, Silla espilava l'Asia, imponendole
una contribuzione di ventimila talenti (100 milioni), mandando soldati
a vivere a carico di chiunque erasi mostrato ostile; ed amicavasi
i soldati chiudendo gli occhi sull'ingordigia e la libidine loro.
Espilati i tempj di Delfo, d'Olimpia, d'Epidauro, essi godeano le
suntuose mollezze d'Asia, i palazzi, i bagni, i teatri, gli schiavi,
le donne: e mentre la flotta congedata da Mitradate erasi sbrancata in
squadriglie che corseggiando desolavano il litorale, i Sillani dandola
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