Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma - 03

siete italiani,--vi dico:--Occupatevene tanto più perchè siete
italiani--fate quanto è in voi perchè il vostro popolo non rimanga
troppo addietro degli altri su questa via, se volete che, quando vegga
gli altri vicini alla meta, non sia tentato di raggiungerli con uno
sbalzo che lo potrebbe travolgere in un precipizio, nel quale sareste
travolti voi pure. Mettetevi alla sua testa e ai suoi fianchi invece
di sbarrargli la strada o di lasciarlo andar solo, come l'istinto e il
caso lo movono. Tempo verrà in cui sarete ringraziati e benedetti da
coloro stessi che ora vi supplicano o vi minacciano perchè vi tiriate
in disparte. Son tutti concordi nell'eccitarvi ad amare e a servir la
patria. Ebbene, l'amerete e la servirete sapientemente in tal modo.
Perchè la patria non è soltanto la terra, la storia e la bandiera: la
patria è viscere e sangue umano, e la felicità del popolo sta sopra
alla potenza dello Stato, e la giustizia è più grande della gloria.

V'è poi il coro dei mille, i quali vi gridano:--Passate oltre: la
guarigione delle infermità sociali è un'utopia.--Ma non l'ha dunque
ancora sfatato la storia del mondo questo grido malauguroso, tante
volte sbugiardato quante son le pietre miliari del cammino della
civiltà, questa vuota parola così comoda alla infingardaggine
intellettuale, così utile agli interessi minacciati, così abusata da
tutte le ignoranze e da tutte le paure, con la quale si sono vilipese,
beffate, respinte tutte le conquiste più gloriose della mente umana?
Voi tutti vi ricordate la notte tempestosa dell'«Innominato», quando
sul punto di bruciarsi le cervella con un colpo di pistola per
liberarsi dai rimorsi che lo dilaniano, egli domanda a sè stesso:--E
se quest'altra vita di cui m'hanno parlato quand'ero ragazzo, di cui
parlano sempre come se fosse cosa sicura, se quest'altra vita, non
c'è, se è un'invenzione dei preti; che fo io? perchè morire? che
cos'importa quello che ho fatto?... È una pazzia la mia!--Ma allora
gli balena un pensiero tremendo:--E se c'è quest'altra vita!--Voi
rammentate pure che cosa avviene a quel dubbio nell'anima
sua.--Ebbene, un che di simile segue nell'anima di chi è agitato dalla
nuova idea. Egli si domanda:--E se questa possibilità, che tanti
affermano come sicura, di scemare i dolori del mondo, di far trionfare
tra gli uomini la fraternità e la giustizia, se questa idea è
un'utopia, un sogno di filantropi allucinati, se avesse ragione quel
famoso parroco inglese che fissò il destino dell'umanità tra due
formole matematiche, che cosa importa allora quello ch'io faccia?
Perchè ho da combattere i privilegi di cui godo, da rendermi inviso
alla classe in cui son nato, da torturarmi il cuore e il cervello per
mali che non hanno rimedio, invece di badare ai miei interessi e di
viver beato?... È una pazzia la mia!--Ma a questo punto balena anche a
lui un altro pensiero.--E se non fosse un'utopia?--ed egli pure, a
questo pensiero, è stretto da un senso di sgomento. Sì, e se non fosse
un'utopia?--Utopia si può giudicare ogni idea che non abbia ancor
avuto la prova dell'attuazione, e quale grande idea sociale fu mai
provata prima che accettata? E la concordia di molti nel crederla
attuabile non è una delle prime condizioni dell'attuabilità d'ogni
idea? Sì, e se a questo organamento sociale che spreme la ricchezza
per uno dalle vene e dalle ossa di mille, che condanna milioni
d'uomini a un lavoro da bruti, non confortato da alcuna dolcezza di
vita, da alcun godimento intellettuale, da alcuna speranza di sorte
migliore, che smembra milioni di famiglie, che fa di milioni di case
un inferno, che sfrutta ed opprime la donna, e decima, corrompe e
deforma l'infanzia; se a questo stato di cose che, assoggettando una
parte dei lavoratori a una fatica inumana, ne ricaccia nell'ozio
forzato e nella fame l'altra parte, metà della quale, dopo aver
lottato invano per risalire, cade nella mendicità, nella prostituzione
e nel delitto; se a questa sciagurata divisione del mondo che,
provocando di sotto l'odio e di sopra il terrore, fa somigliare la
società civile a un triste castello dell'età media, dove la famiglia
dei signori, seduta a banchetto, rabbrividisce al suono dei singhiozzi
e delle imprecazioni dei prigionieri sepolti sotto i suoi piedi; se a
questo mucchio d'orrori ci fosse davvero un rimedio, che uomo sarei io
che non me ne curo, che non cerco di giovare quanto posso a scemarlo,
che anzi concorro, pur non volendo, ad accrescerlo, e voglio
fabbricarvi su la mia fortuna? Con che fronte posso io parlare di
progresso, di civiltà, di fratellanza, di patria? E quand'anche fosse
un'utopia il rinnovamento della società che ci propongono, quando non
ci fosse che una minima parte di idee sane e di speranze fondate, non
dovrei dedicare ogni mia forza a far sì che almeno quella minima parte
s'attuasse? Utopia! S'è spenta pochi giorni sono quella menta vasta e
limpida d'economista, che, or fa trent'anni, metteva il mondo a rumore
con quella sua sentenza:--Il diritto di proprietà si modificherà nel
senso sociale, o si sfascierà il consorzio civile.--È stato sepolto
ieri quel generoso cardinale Manning che disse non potersi andare
innanzi sulla via della vendita abusiva della forza e dell'attività
umana, sulla via che dei fanciulli e delle madri fa delle macchine
viventi, e delle spose e dei padri delle bestie da soma.--Riposa poco
lontano di qui il grande statista italiano che ci profetò la guerra
civile se non si migliorassero le sorti delle classi inferiori; onde è
credibile che ei non stimasse quell'intento una follia. E vivo ancora
e soggiorna fra noi quel venerando ministro d'Inghilterra che disse ai
lavoratori:--Voi sarete presto i padroni del mondo.--E son menti
elette e potenti d'ogni razza che studiano i mali e i rimedi, che
affrontano da tutti i lati il problema, e cercano ad uno ad uno gli
organi vitali della società nuova, con una costanza maravigliosa e una
fede invitta. Oh vediamo un poco se l'ordinamento della società, che
s'è andato mutando così profondamente a traverso ai secoli, abbia
raggiunto davvero una tal perfezione, che debba dare un fermo alla
storia, che non si possa più correggere o mutare in alcuna sua parte
essenziale, senza fare il peggio anche del maggior numero, a cui
riesce intollerabile ancora. L'affermazione, se non alttro, è ardita.
Vediamo un po' col giudizio nostro se quello che ci propongono è
veramente un'utopia!
Per questo io vi ripeto, concludendo:--Occupatevi voi pure, quanto i
vostri studi ve lo consentono, della quistione sociale.

A quelli di voi che non si sono ancora affacciati alla nuova
letteratura (già ricchissima e svariatissima) o per mitezza d'animo
che rifugge dai cimenti della coscienza, o per il falso concetto,
diffuso da quelli a cui giova, che le idee socialistiche sian proprie
per essenza loro delle nature acri e violente o di gente invelenita
dalla mala fortuna, io dico:--Entratevi anche per poco, non
v'arrestate davanti alla sua parte arida o volgare, irta di cifre o
gonfia di rettorica, procedete oltre le sue lacune nebbiose, e vedrete
quante anime nobili e belle vi si son consacrate; quanti fortunati del
mondo ne sono i più ardenti cavalieri; quante pagine forti e splendide
di pensiero, quante altre riboccanti di pietà e di amore e di tutti
gli affetti più delicati e più santi essa conta già fra le sue; e vi
troverete pure delle rivelazioni di miserie che ignoravate e che
vinceranno ogni vostra idea, ed esempi di virtù e d'eroismo che vi
strapperanno un grido d'ammirazione, e raggi sublimi di speranza, e
sogni fors'anche, ma così vasti e luminosi che tutta l'anima vostra ne
uscirà abbagliata e commossa come da una visione dell'umanità ideale
di Cristo.
Dico a quelli di voi che, essendosi già affacciati a questi studi, ne
hanno respinto alla prima le conclusioni:--Diffidate di voi stessi,
fate ancora uno sforzo per proseguire, per sciogliervi dai pregiudizi
fra cui voi ed io siamo nati, dalle idee che ci furono inculcate con
l'educazione, e dalla suggestione delle consuetudini della vita che
sono più forti delle idee; fate ancora uno sforzo per correggervi di
quel nostro difetto congenito all'organo visivo dell'intelligenza, il
quale ci fa apparire il mondo di scorcio, atteggiato in modo che gli
interessi intellettuali e materiali della nostra classe ci si
presentano come gli interessi della società tutta quanta; fate ancora
per poco questo sforzo, che è di tutti il più difficile, poichè si
tratta d'uscir da noi stessi, e di tutti il più fecondo, poichè, a chi
lo compie, si mostra ogni cosa sotto un aspetto nuovissimo, e gli par
di ricominciare la vita dello spirito e di avanzarsi in un mondo
ignorato. E se, fatto quest'ultimo sforzo, rimanete fermi nelle prime
idee, palesatele e lottate per esse a viso aperto, perchè nella grande
battaglia sarete più rispettati e più utili come nemici appassionati
che come scettici spettatori; e non scendete mai nello sciame
innumerevole dei farisei, che strisciano chi è in alto per ambizione e
adulano chi è in basso per paura, che commiserando con finto affetto
la plebe che disprezzano, con una mano si picchiano il petto e con
l'altra nascondon la borsa, per chiederle poi dei voti con tutte e
due.
A quelli di voi, finalmente, il cui cuore è già vinto e batte col mio,
io mando il saluto del compagno e il bacio del fratello, e
dico:--Perseverate, o prediletti, anche nel campo più faticoso, nella
parte rigidamente economica di questi studi, perchè il periodo
idillico del socialismo è chiuso da un pezzo, perchè esso è giunto a
tal grado di maturità, che non basta più il portargli il semplice
contributo della passione: dovere di tutti ora è di tradurre i
sentimenti in idee, di rispondere ad ogni lamento del popolo con una
ricerca alacre e paziente dell'intelletto. E andate innanzi senza
alcun fine, senza attender nè sperar alcuna gratitudine, non cercando
il premio che nella soddisfazione altissima di operare secondo
coscienza, di non aver più bisogno di mentire, nè di soffocar la voce
dell'anima, nè di mascherar l'egoismo; il che vi riuscirà assai più
facile che non pensiate, perchè la grande quistione sociale, la quale
tocca tutte le scienze come l'oceano bacia tutte le terre, ha pure
questo di benefico, che schiaccia col peso della sua grandezza, che
offusca con la forza del suo splendore ogni meschina vanità, ogni
basso interesse di colui che le si consacra. Comprendendola
degnamente, voi abbraccerete nel vostro affetto fiammeggiante non
soltanto le classi sociali che più lo meritano e più n'han bisogno, ma
pure la vostra, per la quale v'entrerà nel cuore una sollecitudine
nuova e profonda; sentirete sorgere in voi attitudini e forze
sconosciute; sentirete nel vostro ingegno e nel vostro petto dilatati
fremere il soffio dell'umanità, come il palpito d'una seconda
giovinezza, più poderosa e più dolce di quella che già vi ferve nel
sangue e vi splende sul viso.
Voi conoscete l'immaginazione terribile del Carlyle, che raffigura il
mondo presente in una landa selvaggia e caotica, coperta di nebbie
pestilenti, gravata d'un'atmosfera di piombo, nella quale scrosciano
diluvi e guizzano lampi di rivoluzione, e per le vaste tenebre non
luccicano che le fosforescenze della filantropia, e non v'è più stelle
nel cielo. Ebbene, manca un'immagine al quadro: una moltitudine che
empie tutto l'orizzonte, estenuata e lacera, rivolta tutta verso un
punto dove biancheggia il cielo, con le braccia stese a invocare il
nuovo sole, il sole che le asciughi le lagrime, che le riscaldi le
membra, che le abbellisca la terra, che le faccia amare la vita. Oh,
questo sole splenderà, abbiamone fede! Possiate voi, che siete
giovani, vederlo sorgere, e felici quelli che, salutando il suo primo
raggio, potranno dire nella propria coscienza:--Io l'ho desiderato ed
atteso!

Torino 1892.


IV.
Per il 1.º Maggio.

AGLI OPERAI.
Ringrazio l'Associazione generale dell'invito onorevole che m'ha
rivolto, e mi affretto a dire che, accettandolo, ho compreso l'intento
a cui era ispirato e il dovere che quell'invito m'imponeva. Ho
compreso che questa grande Associazione, la quale non ha carattere
politico, ed è composta di operai d'opinioni e di tendenze diverse,
intendeva di esprimere il suo consenso, in questo giorno, a quel che
v'è di comune nelle aspirazioni di tutti i lavoratori, a qualunque
partito appartengano; e che perciò, nel commemorare qui il 1.º
Maggio,--pure dichiarando e spiegando la mia ferma fede socialista,
condizione sottintesa della mia accettazione,--avrei dovuto, non solo
non offendere in alcun modo gli uditori d'opinione contraria, ma
mantener l'animo a un'altezza, così serena, esporre il mio pensiero
con parola così cauta e pacata, da render accetto il mio modesto
discorso anche a coloro che avessero giudicato inopportuno l'invito di
cui ero onorato.
Parlare serenamente! Non mi costerà alcuno sforzo, lo potete credere.
Come si può aver l'animo inclinato alla violenza e al rancore in un
giorno di festa? Tale, infatti, è oramai il 1.º Maggio. Festa
singolare, non di meno, che desta tanti pensieri, tanti sentimenti
diversi ed opposti! Pochi anni sono, prima che il Congresso
internazionale dei lavoratori, tenutosi a Parigi nell'89, accettando
la deliberazione già presa dalla «Federazione americana del lavoro»
nel Congresso di San Luigi, fissasse alla data del 1.º Maggio la
grande manifestazione per la giornata d'otto ore, ognuno, svegliandosi
in questo giorno, rivolgeva la mente, come sempre, ai propri affari
quotidiani: era questo un giorno come gli altri per tutti. Ora, non
v'è più cittadino di paese civile, a qualunque classe o condizione
sociale appartenga, il quale, aprendo gli occhi la mattina del 1.º
Maggio, non volga i suoi pensieri sul nuovo significato che questa
data ha assunto nel mondo.
Sono, in milioni d'uomini, pensieri d'allegrezza e di speranza; sono,
in altri milioni, pensieri inquieti e tristi; è, in molti ancora, un
sentimento irragionevole di terrore; è, anche negli spiriti più
leggieri e più scettici, questo pensiero: che v'ha in tutti i paesi
una quistione, più importante d'ogni avvenimento politico, la quale
abbraccia tutti gli interessi dello Stato e degli individui, e che può
a quando a quando e per varie cause esser dimenticata, mascherata,
sopita; ma che incessantemente, fatalmente, anno per anno, giorno per
giorno, si dilata, s'inalza, soverchia ogni altra quistione, attira a
sè tutti gli sguardi e tutte le menti come un grande fenomeno della
natura. Ed è già questo un effetto benefico, che nessun lavoratore può
disconoscere, della festa del 1.° Maggio. E noi più che gli altri
siamo indotti a meditare, noi che abbiamo una visione più larga e più
netta di quello che accade in questo giorno sulla faccia della terra.
Noi pensiamo che in quest'ora stessa, in centinaia di città, in
villaggi innumerevoli, altre migliaia d'oratori stanno dicendo, in
dieci lingue diverse, ad altre migliaia d'adunanze come questa, le
stesse cose ch'io sto per dire a voi; noi vediamo nei grandi sobborghi
di Berlino, di Parigi e di Bruxelles, nell'Hyde-Park a Londra, nel
Prater a Vienna, nel Buen Retiro a Madrid, nel parco Cismigiu a
Bucarest, nello square dell'Unione a Nuova York, nelle vaste piazze
delle nuove città dell'Australia, dove il 1.° Maggio è già una festa
ufficiale in più Stati, vediamo per tutto legioni di lavoratori, che
in forma d'assemblee, di processioni, di cortei simbolici, di feste
campestri e di canti solenni esprimono tutti una sola idea e una sola
speranza; e a questa visione ci si commove l'anima come davanti a uno
degli spettacoli più maravigliosi di cui ci dia esempio la storia.
E quale anima potrebbe rimaner chiusa e fredda all'udir le parole che
s'alzano da quei milioni di cuori?--Sia affrancato e onorato il lavoro
e diventi una legge per tutti--Siano confederati gli uomini nella
lotta contro la natura e abbia tregua la lotta feroce per l'esistenza
fra uomo e uomo--Cadano le barriere che dividono ogni nazione in due
popoli, e si diffondano egualmente nelle moltitudini, come la luce
nell'aria, i benefizi della civiltà, che sono frutto dell'opera
comune--Cessi lo spargimento del sangue, cessino gli odi fra le
nazioni, perchè l'ultima meta di tutte è una sola, e occorrono a
raggiungerla gli sforzi concordi della razza umana.--Belle e sante
utopie!--ci rispondono,--e la prova che sono utopie è che sono antiche
quanto la vita sociale e non sono ancora diventate realtà.--Ah!
v'ingannate. Erano aspirazioni solitarie degli umili, erano
aspirazioni sparse e divise, che assumevano nelle menti incolte forme
indeterminate o mostruose, e prendevano forza in una gente quando
cadevano oppresse in un'altra; ma ora sono il proposito fermo di
moltitudini d'ogni paese, ordinate e alleate, che operano
concordemente e ad un tempo: la scienza le formola e le sostiene, le
forze che le comprimevano si sfasciano, la coscienza universale le
accetta; erano chiarori di lampo che solcavano la notte, e ora sono
l'alba che rischiara l'orizzonte; erano soffi di vita che scotevano a
quando a quando un'atmosfera morta e ora sono la primavera che
risveglia il mondo.

A queste aspirazioni consente, in fondo, chiunque abbia senso d'umanità e
di giustizia. Nasce il dissenso quando s'entra a discuterle fino a che
punto e in qual forma esse possano tradursi in realtà. Studiando i fenomeni
sociali e economici, noi osserviamo l'accentrarsi progressivo delle
industrie e delle ricchezze, e il conseguente estendersi del proletariato,
il trasformarsi continuo dei mezzi privati di lavoro in mezzi che non
possono più essere impiegati che socialmente, l'incremento del principio di
cooperazione e dello spirito di solidarietà e d'eguaglianza, e da questi e
da altri cento fatti che a questi si collegano deduciamo certe leggi, per
forza delle quali crediamo che si verrà necessariamente ad un ordinamento
nuovo, in cui, diventati proprietà collettiva della nazione tutti i grandi
mezzi di produzione, i membri tutti della società produrranno direttamente
per la società medesima; la quale, accentrando i prodotti, li ripartirà
equamente fra i lavoratori, in ragione della qualità e della quantità del
loro lavoro. I dissenzienti ci dicono di no, affermano che un tale
ordinamento non s'attuerà mai, che è impossibile ad attuarsi perchè vi si
oppongono altre leggi, che essi ritengono, sopra tutte le trasformazioni
sociali, immutabili. Ebbene, noi non stimiamo questa una ragiona
sufficiente perchè debba avversare il grande moto della nostra idea chi
concorda con noi nella critica della società presente e nel sentimento
della necessità d'una riforma fondamentale. Ci pare un errore il combattere
il socialismo nel suo disegno compiuto di ricostruzione sociale, invece di
considerarlo--come riconosce che si dovrebbe anche un nostro illustre
avversario--«nella sua intima ispirazione e nell'obbiettivo generale a cui
tende, nel che esso risponde innegabilmente all'evoluzione umana»; nel che,
aggiungiamo noi, è riposta la sua vera forza. Noi, sull'ordinamento della
società futura, potremmo ragionevolmente rifiutare ogni discussione. E
anche in questo ci dànno ragione molti dei nostri più autorevoli
avversari. Potremmo rispondere con le parole loro che: «intorno ai fenomeni
sociali non sono possibili se non previsioni e predizioni generali:
riguardanti cioè l'avviamento e l'andamento generale dei fenomeni stessi,
non speciali, particolari, individue». Potremmo domandare, come domandò il
Bebel al Reichstag, se, nel dar la mossa alla grande rivoluzione, la
borghesia francese poteva prevedere quale sarebbe stata in tutti i
particolari la struttura intima della società che ne doveva
sorgere. Potremmo dire che il pretender questo da noi è pretender cosa
superiore alla potenza della mente umana.--E nondimeno--ci si può
rispondere--voi mostrate al mondo, come una bandiera, un programma di
ricostruzione sociale compiuta.--Ma questo è logico. Noi abbiamo scritto
sulla nostra bandiera un ideale, perchè nessun grande moto sociale è
possibile intorno a un programma di riforme circoscritte e parziali; perchè
è istinto dell'anima umana, in ogni sua più nobile aspirazione, il mirar
più alto e più lontano della possibilità immediata di conseguire il suo
fine; perchè soltanto una grande riforma, che oltre ad includere un
riordinamento del lavoro e della proprietà, porta con sè un profondo
rinnovamento morale, sociale e politico, e abbraccia tutte le quistioni che
agitano l'umanità, soltanto l'idea d'una riforma simile può raccogliere
intorno a sè le moltitudini e suscitar gli entusiasmi e le forze per
combattere la lotta enorme a cui siamo chiamati. Domandiamo dunque ai
nostri avversari benevoli:--Perchè non venite con noi, voi che pure volete
grandi miglioramenti, poichè la nostra bandiera è la sola intorno a cui si
possa raccogliere l'esercito per combattere anche le battaglie minori, per
compiere anche le conquiste parziali, da noi volute? Una sola cosa può
trattenervi, ed è il timore che la tentata attuazione d'un'idea da voi
giudicata inattuabile produca nella società uno sconvolgimento funesto. Ma
è un timore infondato. I fatti economici e sociali, che, a nostro giudizio,
debbono condurre la società all'ordinamento da noi presagito, noi possiamo
assecondarli, ma non farli nascere. Se le leggi che deduciamo da quei fatti
sono erronee, il nostro ideale non s'attuerà. Se, giunto il proletariato
socialista al potere, non fosse ancora pronta nei suoi elementi la
organizzazione nuova che deve sostituirsi all'antica, esso si troverebbe
impotente non diciamo a compiere, ma nemmeno a tentare una sostituzione
precipitata, e dovrebbe restringersi a una serie di riforme preparatorie e
graduali. Noi primi siamo persuasi che una trasformazione economica così
profonda non si potrà mai attuare prematuramente e con la violenza. È una
verità riconosciuta anche dai nostri più fieri oppositori che «parallelo al
presente movimento sociale corre un movimento scientifico e razionale che
lo trattiene nella giusta misura e impedisce alla società moderna di
precipitare nelle catastrofi che hanno ucciso la civiltà antica».
Vedete dunque--ripetiamo ai nostri avversari trattabili--che quel
timore non dovrebbe trattenervi dal venire a noi. Avversando il nostro
moto, invece, non per altro che perchè non consentite nel nostro
programma ideale, voi ritardate anche il conseguimento delle riforme
vostre; voi v'opponete anche alla vittoria di quel nostro programma
minimo, che in gran parte approvate, e di cui molte idee--di quelle,
in specie, che si riferiscono alla politica sociale dei comuni--sono
già attuate o in via d'attuarsi in molte grandi città d'Europa e
d'America; voi ingrossate il numero di coloro che respingono, come nel
parlamento francese, le più eque, le più logiche imposte, come quella
progressiva sul reddito, per la sola ragione che il socialismo le
propugna, e che condannano a morte qualunque più benefica riforma
dicendo che v'è in essa «un germe di socialismo»; voi, finalmente,
perchè credete che non si possa giungere fin dove noi vogliamo andare,
voi, che pur volete procedere, v'arrestate all'imboccatura della
strada e crescete forza alla schiera di quegli «immobili» che voi
stessi condannate; i quali, alla loro volta, proteggono e
incoraggiano, pur non volendolo, tutti quegli altri che voltano le
spalle all'avvenire e tentano di risuscitare il passato. Dice il
senatore Pasquale Villari che non ci saranno più tra poco in Italia
che tre partiti: i socialisti, i loro avversari intransigenti, e gli
iniziatori audaci di riforme pratiche a vantaggio dei lavoratori. Ma
egli mostra di dubitare che questi iniziatori sorgano in tempo.
Ebbene, se non sorgeranno, sarà quanto abbiam detto finora ampiamente
giustificato e provato, e se sorgeranno, sarà un negare la luce del
sole il negare che sia un terror salutare del socialismo, e non altro,
che li ha fatti sorgere. Ma sarebbe troppo tardi, temiamo. Per ciò, se
anche la nostra ragione ripudiasse la dottrina socialista, noi, con
piena e ferma coscienza d'operare il bene, ci raccoglieremo egualmente
sotto la nuova bandiera; lo faremmo non foss'altro che per ottenere il
primo e necessario risultato della prevalenza delle classi lavoratrici
nella rappresentanza legale della nazione. E questo è un punto su cui
tutti quei nostri avversari, che desiderano sinceramente un salutare
rinnovamento sociale, non possono dissentire da noi, perchè non
possono non esser persuasi che fin che gli interessi della classe
proletaria non saranno direttamente rappresentati da cittadini
appartenenti o legati al proletariato, questi interessi non avranno
mai una rappresentanza sincera e feconda; perchè è illogico il
pretendere o sperare che una maggioranza di rappresentanti della
classe superiore possa consentire a riforme gravemente lesive degli
interessi della sua classe; perchè nessuna classe sociale votò mai
volontariamente, per puro spirito d'altruismo, la propria decadenza;
perchè ogni vantaggio, ogni conquista importante nel campo economico
non potrà mai essere che l'opera della classe che n'ha bisogno e che
v'ha diritto; perchè siamo in un momento della civiltà umana--ed è un
dotto statista conservatore che lo disse,--in cui nessuna classe è
difesa dall'altra e bisogna che ciascuna si difenda da sè.--Ora noi
vediamo che il socialismo soltanto--lo vediamo in Francia, in Germania
e nel Belgio,--è riuscito, dopo tanti anni di regime rappresentativo,
a mandare nei Parlamenti una schiera di rappresentanti diretti del
proletariato, sufficiente per numero e per unità d'intenti a far
sentire l'azione propria sull'andamento della cosa pubblica. Supponete
pur dunque che il programma socialista non si possa attuare
mai,--ripetiamo ai nostri avversari ragionevoli,--ma il moto
socialista produrrà pur sempre l'effetto desiderato di togliere il
monopolio del potere alla minoranza,--ostacolo precipuo ad ogni grande
progresso sociale--o, se non altro, di mettere in faccia al potere un
sindacato potente, che ne moralizzi la funzione, ne stimoli le energie
e ne allarghi gli orizzonti. Non fosse che per ottenere questo fine,
ripetiamo, se anche noi credessimo un'utopia l'ideale socialista, noi
diremmo a chi l'annunzia:--Siamo con voi. In presenza dei fatti,
quello che v'è d'utopistico nel vostro programma, cadrà. Ma resterà
questo grande fatto compiuto, necessario e benefico: lo spostamento
dell'asse sociale da una piccola classe, serrata nel cerchio dei
propri interessi, a quella grande maggioranza, i cui interessi si
confondono con quelli della nazione.

Ho detto: se anche noi credessimo un'utopia l'ideale socialista....
Non debbono dar luogo a dubbi queste parole. Certo, la persuasione non
può essere nella più parte di noi così scientificamente fondata come è
in quei molti dei nostri compagni di fede, dotti cultori delle scienze
economiche, i quali, profondamente compresi della dottrina marxista,
ne hanno dedotto con lunghi studi tutte le conseguenze teoriche e
pratiche, trovando a tutte le obiezioni una risposta difficile a
confutarsi. Si fonda principalmente la nostra persuasione su questo:
che i vizi organici più gravi attribuiti all'ordinamento da noi voluto
ci appaiono meno gravi di quelli inerenti all'ordinamento attuale; i
quali sono gravi tanto da renderne impossibile, anche a giudizio dei
suoi difensori, una lunga durata, senza profonde modificazioni;
modificazioni che noi giudichiamo insufficienti a salvarlo. E ci
fondiamo anche più saldamente sulla ragione vittoriosa che crediamo di
poter opporre a quella che è l'obiezione capitale messaci innanzi da
tutti i nostri avversari: l'insufficienza, cioè, del sentimento
dell'interesse pubblico a sostituire come stimolo al lavoro il
sentimento dell'interesse privato, in quel tanto che questo secondo
interesse verrebbe ad essere, in una società collettivista, diminuito.
E questa ragione vittoriosa è una verità ammessa in parte dagli
avversari medesimi: che in una società in cui tutti fossero obbligati
al lavoro, e il lavoratore fosse direttamente interessato alla
distribuzione della ricchezza, la repugnanza istintiva al lavoro
stesso sarebbe grandemente scemata; e che questa repugnanza scemerebbe