Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma - 02


Torino 1891.


III.
Per la quistione sociale.

AGLI STUDENTI.
Quando per la seconda volta mi faceste l'onore d'invitarmi a parlare,
sopra un argomento di mia scelta, nella vostra Associazione, mi venne
in mente alla prima di parlarvi della quistione sociale. Ma quasi ad
un tempo pensai che non sarebbe stato onesto il venir qui ad esporre
intorno a un soggetto gravissimo opinioni e giudizi, da cui molti
potevan dissentire, senza esser preparati a confutarli. Dissi quindi
tra me: non entrerò, per questa volta, nel cuore dell'argomento; non
enuncierò uno solo dei principii del socialismo, i quali, d'altra
parte, son noti: mi restringerò a parlare ai miei giovani amici del
dovere, che, a senso mio, spetta a loro più che ad altri, di occuparsi
della quistione; e compirò io stesso, così facendo, un dovere. Debbo
anche premettere che non ho l'arroganza di rivolgere le mie parole a
quelli tra voi, che le quistioni sociali e economiche hanno nel loro
corso universitario, poichè questi potrebbero venire al mio posto e
parlare in vece mia. Io non mi rivolgo che alla parte di voi, che
della quistione sociale non s'occupa, e suppongo sia la parte
maggiore; del che non ho ragione di stupirmi nè di farvi rimprovero,
essendo un fatto razionale e comune che, nella vita affollata di
passioni e di pensieri a cui tutti, di tutte le età, siamo costretti
oggigiorno, sfuggano a molti per lungo tempo interi aspetti della
società, ordini interi di idee, e anche di avvenimenti periodici e
notissimi, che per l'osservatore attento sono i segni indubitabili di
una grande trasformazione sociale.

Mi domanderete per prima cosa: ma voi, per quistione sociale, che cosa
intendete?
È questa una delle molte domande alle quali non si può meglio
rispondere che con un'altra domanda.
Ed ecco la mia risposta interrogativa.
Questo fatto della vita misera e del malcontento giustificato del
maggior numero degli uomini, fatto comune a paesi poveri e ricchi, di
tutti i gradi di civiltà, è effetto d'una legge di natura o delle
leggi umane? Questa forza che accumula a un polo della società la
ricchezza e la cultura, e all'altro il pauperismo e l'ignoranza, che
restringe quasi a una classe sola gli effetti benefici della civiltà e
della scienza, che preclude quasi affatto alle moltitudini
l'educazione e la vita dello spirito, che fa sussistere gli uni in
faccia agli altri tanti tesori superflui e tanti bisogni
insoddisfatti, tanti ozi felici e tante disperate fatiche, è un
destino dell'umanità o deriva da viziose istituzioni sociali? Che la
civiltà procedente stritoli sotto i suoi passi miriadi di creature
umane; che sotto i piedi di questa società incivilita stia aperta,
come una minaccia per tutti, la voragine spaventosa della miseria; che
prenda forma più selvaggia ogni giorno questa battaglia per la vita
che assorbe il meglio delle forze di tutti, e perverte le coscienze e
inferocisce i cuori, atterrando intorno a ogni vincitore cento vinti;
che milioni d'uomini che lavorano sian ridotti a paventare e a
maledire come un flagello ogni invenzione dell'ingegno umano la quale
abbia per effetto di scemare il bisogno che ha la società dei loro
sudori; che il pane, che l'esistenza di famiglie innumerevoli
dipendano anche in tempi ordinari dalle mille vicende di una
disordinata e furiosa guerra mercantile, della quale esse non hanno nè
colpa nè coscienza; è una necessità ineluttabile o è conseguenza d'una
lunga serie d'errori? Che, in fine, ogni nazione abbia nel suo seno
due popoli, di cui l'uno diffida e teme e l'altro freme e minaccia;
che per contenere non pochi ribelli, ma moltitudini intere, sian
necessari il terrore delle leggi e la forza delle armi; che le grida
festose di pochi inneggianti al progresso siano costantemente coperte
dal lamento immenso, crescente, implacabile d'una folla infinita, è
questo il prodotto d'una misteriosa legge sociale su cui l'uomo non
può nulla, o è effetto dell'egoismo umano compenetratosi con le
istituzioni e con gli usi, di qualche impedimento enorme che sia
nell'organesimo della società, rimosso il quale circolerebbe
agevolmente il sangue in tutte le sue membra e le verrebbe la salute e
la pace? In una parola, v'è o non v'è qualche sovrano rimedio, o un
complesso di rimedi, a tanto cumulo di mali?
A questa domanda il socialismo risponde:--Sì.
Milioni di voci rispondono:--No.
Ebbene, io non son qui per sostenere l'affermazione. Io son
venuto--poichè suppongo che nella classe in cui vivete v'accada più
sovente di udir la seconda risposta che la prima--son venuto a
dirvi:--Non accettate la risposta che vi suggeriscono: cercatela voi
stessi;--son venuto a combattere le ragioni di coloro che vi voglion
distogliere dal cercarla perchè accettiate a occhi chiusi la loro.
Queste ragioni son parecchie e assai diverse, e credo che a pochi tra
voi non sia già occorso di udirle tutte.
La più ovvia è questa. Vi dicono:--Raccoglietevi nei vostri studi,
pensate a diventar nella vostra professione valenti ed utili, e avrete
compiuto il vostro dovere verso la società; pensino altri a
raddrizzare il mondo.--Non date retta a costoro. Non è più onestamente
possibile di restringersi a servire la società solo quel tanto che è
necessario per provvedere ai nostri interessi. Le condizioni del tempo
in cui viviamo son così fatte che convien correggere la definizione
antica dell'uomo onesto, e dire che per essere tale non basta più ad
alcuno neppur l'esercizio delle più elette virtù private, se egli
chiude l'orecchio e il cuore al grido dei dolori umani, s'egli non
s'adopera direttamente per la rigenerazione dei suoi simili e per il
trionfo della giustizia, se non volge almeno una parte della propria
operosità a cercare coscienziosamente al servizio di qual dottrina
sociale, per il bene di tutti, debba impiegare le sue forze. E non
badate neppure a chi vi consiglia l'astensione, dicendo che
v'occuperete della quistione sociale più tardi, perchè quelli stessi
che vi dicono ora:--Attenetevi ai vostri studi--vi diranno
allora:--Attenetevi ai vostri affari,--e vi vorranno relegare nella
fortezza della casa e dell'ufficio come ora vi vogliono chiudere nel
santuario della letteratura e della scienza. Occupatevi ora di quella
quistione, ora che avete l'intelletto e l'animo aperto a tutte le
grandi idee, ora che potete esperimentare in voi la verità di quello
che un economista dottissimo disse: che l'intelligenza della scienza
sociale procede dal cuore anche più che dallo spirito, ora che la
durezza della lotta per la vita e la esperienza della tristizia umana
non v'hanno ancora rintuzzato il senso della generosità e della
compassione. Milioni di vostri fratelli a cui la fortuna ha negato il
conforto e l'onore degli studi, e chiuso la via d'ogni agiatezza,
confidano nell'opera della gioventù studiosa, sperano che almeno voi
studierete spassionatamente la loro causa; e a questo noi
v'esorteremmo del pari, quand'anche dalle vostre meditazioni doveste
esser condotti a una fede opposta alla nostra, poichè noi pure, come
quel focoso flagellatore dell'«Indifferenza religiosa», preferiamo gli
avversari dichiarati che, combattendoci, soffiano nel nostro ardore,
agli indifferenti che rifiutano di combattere; davanti ai quali ci
cadono le armi dal pugno e gli entusiasmi dal cuore. Occupatevi della
quistione fin d'ora, perchè in nessun modo riuscirete a scansarla
nell'avvenire, qualunque campo d'azione siate per scegliere; perchè
essa vi si leverà davanti negli studi solitari, nell'esercizio della
professione, nell'educazione dei figlioli, nell'adempimento d'ogni
vostro ufficio di cittadini; perchè essa s'attraversa oramai a tutti i
passi della vita e s'affaccia a tutti gli sbocchi dell'intelligenza;
perchè tutte le questioni di politica europea, e le lotte dei partiti
parlamentari, e le splendide feste delle arti e delle industrie, e le
grandi solennità patriottiche, e perfin le guerre internazionali, non
son che episodi della storia, che la nascondono per brevi spazi di
tempo; passati i quali essa riappare all'orizzonte, altissima,
immobile, eterna, come la piramide di Cheope quando cade il vento del
Sahara e il turbinìo delle arene si queta.

Non dovrei ribatter nemmeno coloro che vi consigliano di lasciar da un
lato la quistione sociale dicendovi che essa riguarda una classe sola,
o certe classi, non la vostra; perchè son certo che voi non siete
tanto sdegnati dell'egoismo miserabile di quest'argomento quanto mossi
a pietà dall'insensatezza di chi considera come una parte trascurabile
della società la parte di lei più importante per il suo numero, più
necessaria per la sua funzione, più benemerita per le sue fatiche;
quella senza di cui la nazione non ha fondamento, la patria non ha
difesa, e il mondo non ha nè vesti, nè tetto, nè utensili, nè pane. Ma
l'argomento, pure intrinsecamente è falso. La quistione sociale
abbraccia ormai tutte le classi poichè anche le classi medie, sebbene
con minore intensità, per ora, e con effetti meno visibilmente
dolorosi, risentono già tutti i danni di cui le inferiori si lagnano.
Vi è già una gran parte della borghesia per cui l'esistenza non è meno
minacciosamente precaria che per le classi chiamate con maggior
proprietà lavoratrici; vi sono in tutti i campi del commercio e
dell'industria le mezze fortune oppresse nella lotta disperata con le
grandi; vi è un popolo di possidenti che mendica; v'è una concorrenza
di cento paria per ogni stipendio che basti appena alla vita; vi sono
migliaia di giovani d'ingegno e di studio a cui non è possibile di
guadagnare quanto un bracciante prima dei trent'anni; v'è la
vecchiezza pensionata che disputa il posto alla gioventù esordiente,
la donna che lo contende all'uomo, l'uomo che lo contrasta al ragazzo;
v'è una tal ressa di naufraghi intorno a ogni trave galleggiante, che
quando uno per negligenza o per forza lascia andare la sua, non gli
resta quasi più speranza d'afferrarne un'altra, e annega le più volte
nella miseria. Il posto umilissimo che, per l'inferiorità forzata
della sua educazione e per la falsità vanitosa della nostra, è
assegnato nella società al lavoratore manuale, la cui opera si onora
in astratto e si disprezza impersonata, e la scarsa e mutevole e
spesso umiliante mercede con cui quell'opera è retribuita avendo per
effetto che tutti rifuggano o cerchino d'uscire in qualunque modo
dalla bolgia delle classi inferiori, ne segue che s'abbia un eccesso
di produzione anche nel campo dell'intelligenza, che vi sia una
sovrabbondanza enorme di gioventù colta alla quale la coltura non
serve a nulla come l'oro all'affamato in mezzo al deserto, un esercito
di riserva intellettuale, che, come quello della classe operaia, offre
il suo lavoro in ribasso, e accetta ogni condizione di vita, e non
trova a vivere nemmeno accettando ogni condizione. E il torrente
ingrossa ogni giorno, e la piena è giunta per tutto a tal segno, che
fin nel paese che deve alla sua grande coltura la supremazia politica
e militare in Europa, si vede costretto il Governo a rifiutare il suo
consenso alla fondazione di nuovi istituti d'insegnamento, perchè
quelli che esistono sono già esuberanti al bisogno che ha la società
di candidati. Lasciate ora che alle donne, poichè v'è anche per esse
una quistione sociale, si schiudano tutte le vie, come accadrà per
forza invincibile delle cose; supponete che si compia il voto del cor
di tutti, d'un dimezzamento degli eserciti, che getterebbe nella
concorrenza altre migliaia di giovani, i quali, per l'indole della
loro educazione e per i pregiudizi connaturati allo stato presente
della società, rifuggirebbero dal lavoro meccanico; e s'avrà allora un
proletariato borghese non meno temibile, benchè men numeroso, anzi più
potente e più attivo perchè più colto, di quel della plebe. Ma egli è
già tale, e non più legato che da un così tenue vincolo di tradizione
e d'interesse con la classe superiore, che è diventato in qualche
paese una delle forze più vive del socialismo, un focolare spaurevole
di malcontento e di ribellione acceso nel seno stesso della borghesia.
Che se per ora, e fra noi specialmente, si fa meno avvertire, perchè è
sparso e dubitante e perchè, trovandosi i suoi elementi in più diretta
dipendenza dai privilegiati della fortuna, corrono maggior pericolo
d'esser segnati e buttati sul lastrico, lasciate che scemino i suoi
timori e ingrandiscano le sue speranze con l'allargarsi del socialismo
nella moltitudine, nel parlamento e nella stampa, e vedrete come
leverà il grido delle rivendicazioni, senza che gli si possa negare il
diritto di levarlo. Non date dunque ascolto a chi vi dice che la
quistione sociale non è che una quistione operaia ed agricola: il che
sarebbe già qualche cosa, mi sembra; no, è la quistione di tutti,
fuorchè di un pugno di ciechi e di sordi.
Altri vi dicono:--A che pro occuparvi della quistione sociale? Essa è
antica come il mondo. Non mutano che i nomi: invece di schiavi, servi;
invece di servi, salariati; i vinti della lotta darwiniana hanno sempre
empito il mondo delle loro querele. Il socialismo rimarrà nello stato
permanente di spauracchio e di freno all'individualismo prevaricatore, e
sarà bene; ma null'altro. La miseria del maggior numero, come disse il
Thiers, è nel piano della Provvidenza.--Domandate prima di tutto a costoro
se la Provvidenza abbia mai fatto vedere al Thiers o ad altri il suo
piano. Quanto alla teoria del Darwin, contentiamoci di domandare se le
leggi della lotta fra le razze inferiori s'abbiano da riferire all'umanità,
nella quale i vinti, che invece di sparire, si moltiplicano, non avrebbero
che da unirsi, e lo possono, perchè i vincitori svaniscano come un nuvolo
di polvere nell'uragano. Dicono:--la quistione è antica quanto il mondo.--E
sia concesso. Ma quel che non è antico quanto il mondo è il grado a cui è
pervenuto lo svolgimento del principio dell'uguaglianza, che è il fatto più
generale, più costante, più ribelle a ogni umana opposizione che si conosca
nella storia. Quel che non è antico come il mondo è la coscienza acquisita
dell'uguaglianza civile e politica, che fanno sentire più profondamente che
mai le disuguaglianze economiche; è la cultura maggiore che acuisce nelle
moltitudini tutti i patimenti dell'animo derivanti, dallo spettacolo delle
troppo grandi disparità delle classi; è la __miseria relativa__
smisuratamente cresciuta col moltiplicarsi delle ricchezze e dei
raffinamenti sensuali della vita in un piccolo numero; è il decadimento
progressivo di quello spirito religioso di rassegnazione che faceva
sopportare i mali presenti con la speranza di una ricompensa futura; è,
infine, un clero di tutte le chiese che, sollecitando delle riforme
sociali, ossia riconoscendo che ai mali della terra c'è rimedio, fa
comprendere agli sfortunati, se non con le parole, col fatto, che non si
può pretendere da loro l'antica rassegnazione.
Sì, la quistione sociale sarà antica come il mondo. Ma quello che è
nuovo è la gigantesca potenza accumulatasi con l'oro in mano di
cittadini privati, che s'alzano come sovrani in mezzo a popoli liberi,
che posseggono parti della loro patria vaste come Stati, che tengon
nella propria borsa la sorte di centinaia di migliaia d'uomini, che
possono turbare a vantaggio proprio gl'interessi d'un'intera nazione e
corrompere scopertamente moltitudini e poteri. Quello che è nuovo è
che di fronte a questi monarchi della ricchezza, e alle loro
strapotenti federazioni, che allargano intorno a sè come una landa
sinistra la servitù morale e il salariato, siano sorte delle società
di settecento mila lavoratori, delle «Unioni di mestieri» numerose
come popoli e organate come eserciti, che in tutte le città dei paesi
civili, chiamati a raccolta dalla grande industria, si vadano
agglomerando i proletari in battaglioni e in reggimenti, che
s'intendono, si disciplinano, e s'affratellano. Quello che è nuovo
pure è che si raccolgano congressi operai ai quali intervengono i
delegati di diciannove nazioni, rappresentanti cinque milioni di
lavoratori; che vi sian paesi dove venti città si dichiarino in favore
del «socializzamento» della terra; che nel paese più colto e più
potente d'Europa si mandino al Parlamento quaranta campioni della
nuova idea, con maggior numero di voti che non ne raccolga alcun altro
partito della nazione; quello che è nuovo è un accordo internazionale
di agitatori che con una parola d'ordine lanciata da Parigi a Sidney e
da Berlino a Nuova York fa nello stesso giorno dell'anno disertar gli
opifici a nove milioni di operai, e vegliare sull'armi dieci eserciti
come sotto l'imminenza d'uno sfacelo degli Stati. Quello che è nuovo
affatto è che si spandano ogni giorno, da mille città, verso ogni
parte, su tutta la faccia della terra, milioni di fogli parlanti, che
predicano una speranza comune e soffiano in una sola passione, e
s'accumulano nelle soffitte e nei tuguri come una provvigione di
polvere da guerra. Ed è un'altra cosa nuova, che migliaia di poveri
lavoratori d'ogni paese, finite le loro dieci ore di lavoro
estenuante, si assoggettino la sera a una nuova fatica per istruirsi
nelle quistioni sociali, si strappino il pane dalla bocca per
sostenere il giornale che li protegge, e consacrino gli ultimi resti
delle proprie forze alla propaganda delle loro idee e all'ordinamento
del loro partito, e perdurino in questa opera con una febbre di
passione, che ne conduce molti alla fossa. E non è men nuovo nè men
grave che questa gran moltitudine incolta e ribollente abbia e sappia
d'avere alla sua testa uno stato maggiore intrepido d'uomini di studio
e d'uomini di Stato, di vessilliferi di ogni scienza e di ogni arte,
che propugnano la loro causa in tutte le regioni del pensiero e in
tutte le congiunture della vita. Infine, la quistione sociale sarà
antica quanto il mondo; ma quello che è tutto proprio del tempo
nostro, credo io, e che non fu nemmeno negli ultimi anni che
precedettero la rivoluzione francese, nei quali le classi minacciate
andavano incontro all'avvenire con una quasi balda spensieratezza, è
questo turbamento che tutti risentiamo, qualunque sia il nostro grado
di fortuna, qualunque siano le nostre idee sociologiche, davanti allo
stato attuale delle cose; è questa scontentezza della ragione e del
cuore, è questa lotta sorda e continua fra la nostra coscienza di
cittadini e il nostro interesse di privati, è questo sentimento
confuso di colpa, è questo presentimento vago di qualche cosa di
grande e di fatale, che ci fa guardare intorno con occhio inquieto
come viaggiatori senza guida che s'avanzino alla ventura per una terra
sconosciuta.

V'è pure chi cerca di stornarvi da questo pensiero affermando che non
bisogna lasciarsi illudere da certe scosse improvvise e solitarie,
dalle apparenze ingrandite ad arte di certi avvenimenti; che, in
realtà, il movimento è lentissimo e intralciato da discordie
inconciliabili, che ha periodi lunghi di sosta, e che non saranno
neppure i figli dei nostri figli che vedranno la società in grave
pericolo.--Non credete nemmeno a costoro. Sotto le maggiori apparenze
di quiete, anzi più sotto queste, il movimento procede con una
celerità non sperata neanche da chi lo seconda. Il socialismo
germanico fece i suoi più rapidi passi nel periodo delle leggi
eccezionali, da cui pareva stato strozzato. La maggior parte delle sue
conquiste è silenziosa, ed è la loro continuità medesima che, come
quella della cresciuta di un fiume, non ci consente di seguirne con
l'occhio la progressione. Dalla parte dov'è combattuto, all'ira ch'era
stata preceduta dal dileggio, è susseguita ora una discussione
universale e quasi continua, nella quale ai colti paladini della
borghesia accade assai sovente, con loro grande stupore, di trovarsi
davanti degli avversari d'officina, che in quistioni economiche di
propria spettanza non sono men forti di loro. A poco a poco il
socialismo invade il giornale, il libro, il teatro, penetra nelle
accademie dei dotti e nei gabinetti dei monarchi, si rizza sui
pergami, assalta l'una dopo l'altra le cattedre; le quali in più d'uno
Stato, con maggiore o minor restrizione di idee, sono in massima parte
già sue. Si può quasi asserire che meno rapidamente egli si diffonde
alla superficie di quanto si propaghi dal basso all'alto. Nella vasta
polemica scientifica ch'egli promove su tutte le quistioni che gli si
legano, e gli si legano tutte, ogni giorno strappa agli avversari una
concessione, disarma una resistenza, fa accettare un'idea. Ogni
giorno, nell'esercito formidabile che gli sta a fronte, nel campo
della politica, della scienza e delle lettere, un combattente
s'arresta incerto, o butta via le armi, o le ritorce contro i suoi; e
molti che continuano a combattere si sentono già spuntare nell'anima
l'amor del nemico, e hanno già la diserzione nel cuore, e non la
compiono se non per ragioni di personale interesse, o per timori e per
riguardi sociali, o perchè non hanno fede che in un trionfo troppo
lontano della causa che credon giusta. E di questo vacillamento e
rimescolìo di coscienze si vedon mille segni ed effetti per tutta la
scala della cittadinanza, dal maestro di scuola impacciato a dar
ragione alla fanciullezza di tante mostruose anomalie sociali che non
si possono più palliare coi sofismi antichi, al giudice che non sa più
troncare in bocca all'accusato volgare la dichiarazione di principii
che lesse egli medesimo nel libro d'un senatore del Regno, fino allo
scrittore borghese che non può più scrivere pel popolo senza girare
con artifici infiniti intorno alla grande quistione che gli si
presenta inevitabile e molesta a ogni passo, scompigliandogli nella
mente tutta la sua vecchia precettistica morale e patriottica, fino ai
grandi predicatori dell'igiene pubblica, fino agli amministratori
ufficiali dell'istruzione popolare, che dubitano e si scoraggiano
vedendo l'opera loro urtare da ogni parte ed infrangersi contro la
ferrea barriera della miseria e contro l'architettura stessa degli
ordinamenti sociali. La resistenza alle nuove idee si riduce sempre
più dal campo delle coscienze in quello degli interessi; per il che
può ben essere ancora risoluta e tenace e terribile; ma non ha più per
sè le grandi e belle passioni, davanti alle quali la furia degli
avversari dubita qualche volta e s'allenta. Ond'è che gli assalitori
che andavano ieri col passo di marcia, vanno oggi col passo di carica,
e andranno di corsa domani. E non è da credere che gli impediscano
gran fatto i dissensi e le divisioni che turbano le loro file.
Come,--secondo il detto di un di loro,--tutte le teorie e concezioni
diverse del socialismo, dal socialismo di stato del professore tedesco
al comunismo pastorale del romanziere russo, viste dall'alto, non
appaiono in antagonia fra di loro, ma si mostrano come i piani
graduali di un vastissimo panorama, o meglio come le forme successive,
le attuazioni o i tentativi di attuazione a mano a mano più larghi e
compiuti d'una stessa idea; così nell'ordine dell'azione, fautori del
collettivismo, apostoli della società senza Stato, ministri socialisti
della chiesa cattolica e delle chiese protestanti, benchè proponendo
riforme diverse e arrestandosi a diverse mete, poichè son tutti quasi
concordi, e quasi violenti del pari nella critica del presente,
concorrono tutti, volenti o no, ad uno stesso effetto finale, tutti
apparecchiano e spingon le moltitudini alla grande evoluzione, tutti,
o levino in alto il libro del Marx o la Bibbia, o la fiaccola, tutti
lavorano ad allargare e ad accelerare un moto, di cui non si riscontra
l'eguale--per dirla con le parole del più autorevole giornale
dell'Inghilterra--se non risalendo ai primi tempi del Cristianesimo o
a quelli dello sconvolgimento dello impero romano.
Altri, pure riconoscendo l'importanza del movimento socialista in
Europa, vi dicono:--Non ve ne date pensiero perchè il nostro paese ne
è fuori,--e ripetono la sentenza pronunziata l'anno scorso alla Camera
da un illustre pensatore, a parer del quale, per ragion dell'indole e
delle condizioni proprie del popolo italiano, ci vorranno più secoli
prima che il socialismo metta larghe radici fra di noi.--Non credete
neppure a costoro. Come se intorno all'Italia ci fosse la gran
muraglia del Celeste Impero, come se il socialismo dottrinale e
popolare che ci venne tutto in questi ultimi anni dal di fuori non
dovesse continuare a discendere per le stesse vie per le quali è
entrato! Sarà vero che la quistione sociale in Italia sia agraria
principalmente, come tra i nostri fratelli latini d'occidente, e che
anche sotto questo aspetto, per la costituzione particolare del nostro
suolo, essa non sia della natura medesima che in altri paesi; ma non
scema l'importanza e l'urgenza della quistione per la singolarità
della sua natura. Certo v'è terreno men preparato al socialismo fra
noi, perchè v'è più bassa che altrove la coltura del popolo, perchè
v'è appena nascente la grande industria, perchè in più di mezzo il
paese, come gli stessi socialisti riconoscono, il ceto operaio come
ente collettivo non è ancor nato, e nell'altra metà è nato appena. Ma
non dobbiamo credere che non esista l'esercito perchè, invece di esser
serrato in colonne, è sparso in tiragliatori, nè che mancanza
d'organamento voglia dir mancanza d'elementi, nè che non vi sian le
passioni perchè mancano o sono informi le idee. E in questo appunto,
per chi ben considera, dovrebbero riconoscer gli illusi il maggior
pericolo. Le verità generali d'ordine sociale e economiche--è un
vecchio assioma--si ritrovano allo stato di intuizione istintiva anche
nell'animo dei più incolti, e però anche la parte più incolta del
proletariato italiano, confusamente, le intende. Senonchè le
idee--come dice un grande psicologo--seminate in menti incolte e
feconde si svolgono in escrescenze selvagge e si trasformano in
chimere mostruose; che è quel che avviene fra noi dove è tanto maggior
temerità di dottrine quanto minor capacità vera di metter in atto
anche le più ragionevoli. In luogo di rallegrarci, dunque,
dell'ignoranza e della mancanza d'ordinamento collettivo che
rallentano il moto fra noi, avremmo gran ragione di dolercene, poichè
è appunto quest'ignoranza e questo disordine che fa le moltitudini
impazienti e turbolente, come quelle in cui il furore dei desideri non
è temperato dalla coscienza sicura delle proprie forze e del proprio
avvenire, nè dalla soddisfazione che hanno i ceti operai d'altri paesi
di sentire la saldezza del proprio organesimo e di numerare giorno per
giorno i loro progressi e le loro vittorie, donde ricavan la virtù di
aspettare con pacatezza e di apparecchiarsi con raccoglimento. È
perchè là son colti e ordinati che studiano e discutono; è perchè
studiano e discutono che vedono tutte le difficoltà del problema
sociale e non credono che si possa risolvere d'un colpo. Ed è perchè
le classi superiori non oppongon loro, come tra noi, o un'indifferenza
o una negazione assoluta, l'una e l'altra insensata, ed entrambi
irritanti, che non trascorrono e neppure minaccian di trascorrere alla
violenza.
In verità, se anche fossi nei panni del più egoista e del più pauroso
dei conservatori, io desidererei che le nostre classi proletarie,
percorrendo il cammino di trent'anni in un solo, arrivassero d'un
tratto al grado di maturità civile che hanno raggiunto nella Germania
e nel Belgio; lo desidererei per esser ben certo che questo
spostamento, che è col tempo inevitabile, del centro di gravità del
sistema sociale dalle classi medie alle inferiori, si compisse senza
scosse funeste. Io vorrei esser persuaso d'ogni più sacra verità come
sono di questa: che compie un'opera santa e benefica per tutti ogni
colto giovine italiano, il quale, qualunque sia il suo giudizio
intorno all'essenza e all'avvenire del socialismo, ne studia con amore
le cause, le dottrine e le vicende per poterle esporre con schiettezza
al popolo e fargliele comprendere e discuterle con lui e sfrondargli
le illusioni pericolose ed eccitarlo, aiutarlo a istruirsi, a
ordinarsi, a mettersi in grado di attuare sensatamente, quando il
giorno verrà, la maggior parte possibile delle sue aspirazioni. Per
questo, invece di dirvi:--Lasciate stare la quistione sociale perchè