Spagna - 11
confitta nelle carni, irrigando il terreno di sangue, mandando altissimi
muggiti, divincolandosi e scontorcendosi in mille modi per liberarsi da
quella tortura; e in quell'impetuosa corsa, qualche volta la spada salta
via; qualche volta si configge più addentro, e gli cagiona la morte.
Sovente l'_espada_ è costretto a dargli una seconda stoccata, non di
rado una terza, talora una quarta; il toro versa un torrente di sangue;
tutte le _capas_ dei _capeadores_ ne sono intrise, n'è macchiato
l'_espada_, n'è aspersa la barriera, per tutto cola sangue, gli
spettatori indignati coprono il _torero_ d'ingiurie. Qualche volta il
toro profondamente ferito, cade a terra; ma non muore, e resta là
immobile, colla testa alta, minaccioso, come per dire:--Venite,
assassini, se vi basta l'animo!--Allora la lotta è finita; bisogna
accorciar l'agonia; un uomo misterioso scavalca la barriera, s'avvicina
a passi furtivi, si apposta dietro al toro, e colto il momento, gli
vibra un colpo di pugnale nella testa, che gli penetra al cervello e lo
fredda. Spesso neanche questo colpo non riesce; l'uomo misterioso deve
vibrarne due, tre, persino quattro; allora l'indignazione del popolo si
scatena come una tempesta, gli danno del boia, del codardo, dell'infame,
gli augurano la morte, se lo avesser nelle mani, lo strozzerebbero come
un cane. Altre volte il toro, ferito a morte, barcolla un pezzo prima di
cadere, e barcollando s'allontana a lento passo dal luogo dove fu
colpito per andar a morir in pace in un canto appartato; tutti i
_toreros_ lo seguono lentamente, come un corteggio funebre, a una certa
distanza; la folla tien dietro cogli occhi a tutti i suoi movimenti,
conta i suoi passi, misura il progresso dell'agonía; un silenzio
profondo accompagna i suoi ultimi momenti; la sua morte ha qualcosa di
maestoso e di solenne. Vi son dei tori indomabili, che non vogliono
chinar la testa se non traendo l'ultimo respiro; tori che, versando
ruscelli di sangue per la bocca, minacciano ancora; tori che, trafitti
da dieci colpi di spada, pugnalati, dissanguati, alzano ancora il collo
con un movimento superbo che fa retrocedere lo stuolo dei loro
persecutori fino a metà dell'arena; tori che hanno un'agonía più
spaventevole della loro prima furia, che straziano i cavalli morti,
spezzano la barriera, calpestano rabbiosamente le _capas_ sparse per
l'arena, saltano nella corsia, corrono intorno colla testa alta
guardando gli spettatori con un'aria di sfida, cadono, si rialzano,
muoiono muggendo.
L'agonia dei cavalli, meno lunga, è più dolorosa. Ad alcuni il toro
spezza una gamba, ad altri trafigge il collo da parte a parte, altri
uccide, con una cornata al petto, sul colpo, senza che versin neanco una
goccia di sangue; altri, presi dallo spavento, piglian la carriera,
diritto davanti a sè, e vanno a urtare la testa con un tremendo colpo
contro la barriera, e cadono morti; altri si dibattono lungo tempo in un
lago di sangue prima di morire; altri, feriti, sanguinosi, sbudellati,
storpiati, galoppano ancora con una furia disperata, vanno incontro al
toro, stramazzano, si rialzano e combattono ancora, fin che son portati
via, disfatti, ma vivi; e allora gli si rimetton gl'intestini al posto,
gli si cucisce la pancia, e servono per un'altra volta; altri, paurosi,
all'avvicinarsi della belva, tremano verga a verga, scalpitano,
rinculano, nitriscono, non vogliono morire; e son quelli che destano più
pietà. Qualche volta un sol toro ne uccide cinque; qualche volta, in una
_corrida_, ne muoion venti, tutti i _picadores_ sono intrisi di sangue,
l'arena sparsa di viscere fumanti, i tori stanchi di uccidere.
I _toreros_, anch'essi, hanno i loro brutti momenti. I _picadores_,
talvolta, invece di cadere sotto il cavallo, cadono tra il cavallo e il
toro; allora questo si precipita su di loro per ucciderli; la folla
getta un grido; ma un _capeador_ ardito getta la _capa_ sugli occhi alla
belva, e rischiando la sua vita salva quella del compagno. Sovente,
invece di slanciarsi contro la _muleta_, il toro accorto, si slancia
contro l'_espada_, lo rasenta, lo investe, lo insegue, lo costringe a
buttar via l'arma e a salvarsi, pallido e tremante, di là dalla
barriera. Qualche volta l'urta colla testa e lo atterra; l'_espada_
sparisce in un nuvolo di polvere, la folla grida:--È morto!--il toro
passa, l'_espada_ è salvo. Qualche volta gli arriva sotto ad un tratto,
lo solleva colla testa e lo sbatte da un lato. Non di rado il toro non
si lascia pigliar di mira colla spada, il _matador_ non riesce a
coglierlo di fronte, e poichè non lo può ferire, giusta gli statuti, che
in quel dato punto e in quel dato modo, si stanca inutilmente per lunga
pezza, e stancandosi si confonde, e corre cento volte il rischio di
farsi uccidere; e intanto la folla urla, fischia, l'insulta; finchè il
pover uomo, disperato, si risolve a uccidere o a morire, e vibra il
colpo come vien viene; ed o gli riesce ed è levato a cielo, o gli
fallisce, ed è vilipeso, schernito, tempestato di scorze d'arancio,
fosse anche il più intrepido, il più valente, il più decantato _torero_
della Spagna.
Nella folla, poi, durante lo spettacolo, seguono mille avvenimenti. Di
tratto in tratto scoppia una rissa fra due spettatori. Pigiata com'è la
gente, qualche bastonata tocca ai vicini; i vicini dan di mano ai
bastoni e picchiano anch'essi; il circolo delle bastonate s'allarga, la
rissa si estende a tutto lo scompartimento della gradinata; in pochi
momenti, cappelli in aria, cravatte in brani, visi sanguinosi, grida da
intronare il cielo, tutti gli spettatori in piedi, le guardie in moto,
i _toreros_, di attori, divenuti spettatori. Altre volte è un gruppo di
giovanotti burloni che si voltan tutti insieme da una parte gridando:
"Eccolo là."--"Chi?"--Nessuno; ma intanto i vicini si alzano, i lontani
salgono in piedi sui sedili, le signore si sporgon fuori dei palchi; in
un momento tutto il Circo è sossopra. Allora il gruppo dei giovanotti dà
in una sonora risata; i vicini, per non parer minchioni, fanno eco; si
ride nei palchi, si ride nelle gallerie, diecimila persone ridono. Altre
volte è uno straniero, spettatore per la prima volta della corsa dei
tori, che sviene; la notizia si spande in un baleno, tutti s'alzano,
tutti cercano, tutti gridano, si fa un casa del diavolo che non ha nome.
Altre volte è un bell'umore che saluta un suo amico posto all'estremità
opposta del Circo con un portavoce che fa l'effetto d'uno scoppio di
tuono. Quella grande folla è agitata in pochi istanti da mille
sentimenti contrarli; passa con una vicenda incessante dal terrore
all'entusiasmo, dall'entusiasmo alla pietà, dalla pietà all'ira,
dall'ira all'allegrezza, alla meraviglia, alla gioia sfrenata.
L'impressione insomma che lascia nell'animo questo spettacolo è
indescrivibile, è un miscuglio di sentimenti nel quale è impossibile
raccapezzar nulla di schietto, non si sa che pensarne. A momenti,
inorriditi, vorreste fuggire dal Circo, e giurate di non tornarci mai
più; a momenti, meravigliati, rapiti, quasi ebbri, non vorreste che lo
spettacolo avesse mai fine; ora vi sentite quasi pigliar male; ora
anche voi, come i vostri vicini, prorompete in grida, in risa e in
applausi; il sangue vi fa ribrezzo, ma il coraggio meraviglioso
dell'uomo vi esalta; il pericolo vi stringe il cuore, ma la vittoria vi
rallegra; a poco a poco la febbre che agita la folla s'impadronisce di
voi; non riconoscete più voi stesso; siete un altro; avete anche voi
degli accessi d'ira, di ferocia, d'entusiasmo; vi sentite vigoroso e
audace; la lotta vi accende il sangue; il balenío della spada vi mette
un fremito; e poi quelle migliaia di visi, quello strepito, quella
musica, quei muggíti, quel sangue, quei silenzi profondi, quei fragori
improvvisi, quella vastità, quella luce, quei colori, quel non so che di
grande, di forte, di crudele, di magnifico, che v'abbarbaglia, vi
stordisce e vi rimescola....
Bello è il veder uscir la gente; son dieci torrenti che sgorgano da
dieci porte e allagano in pochi minuti il borgo di Salamanca, il Prado,
i viali di _Recoletos_, la strada Alcalà; migliaia di carrozze aspettano
nei dintorni del Circo; per un'ora, da qualunque parte uno si volga, non
vede che un formicolaio a perdita d'occhio; e tutti tacciono; le
emozioni hanno spossato tutti; non si sente che il rumore dei passi;
pare che la folla voglia dileguarsi furtivamente; una specie di
tristezza è sottentrata alla clamorosa allegria di poc'anzi. Io, per mio
conto, la prima volta che uscii da quel Circo, avevo appena tanta forza
da reggermi in piedi; la testa mi girava come un arcolaio, le orecchie
mi fischiavano, per tutto vedevo corna di tori, occhi iniettati di
sangue, cavalli morti, luccichío di spade. Presi la via più corta per
andare a casa, e appena arrivato, mi cacciai in letto, e m'addormentai
d'un sonno profondo. L'indomani mattina venne in gran fretta la padrona
di casa a domandarmi: "Ebbene? che gliene parve? s'è divertito? ci
tornerà? che cosa ne dice?"--"Non so" risposi "mi par d'aver sognato,
gliene parlerò poi, ho bisogno di pensarci."--Venne il sabato, la
vigilia della seconda corsa dei tori. "Ci va?" mi domandò la padrona.
"No..." risposi pensando ad altro. Uscii, infilai la strada d'Alcalà, mi
trovai, senza accorgermene, davanti alla bottega dove si vendono i
biglietti; c'era un visibilio di gente; dissi fra me:--Ci ho da
andare?... Sì?... No?...--"Vuole un biglietto?" mi domandò un ragazzo:
"_un asiento de sombra, tendido numero seis, barrera, quince reales?_"
Ed io risposi: "Qua!"
* * * * *
Ma per comprender bene la natura di codesto spettacolo, bisogna
conoscerne la storia. Quando si sia fatto per la prima volta un
combattimento coi tori, non si sa in modo sicuro; la tradizione narra
che fu il _Cid Campeador_ il primo cavaliere che scese colla lancia
nell'arena, e uccise da cavallo il formidabile animale. D'allora in poi
i giovani nobili si dedicarono con grande ardore a questo esercizio; in
tutte le feste solenni vi furon corse di tori; e solamente alla nobiltà
era concesso l'onore di combattere; i re stessi scendevan nell'arena;
durante tutto il medio-evo era codesto lo spettacolo favorito delle
corti, e l'esercizio prediletto dei guerrieri, non solo tra gli
Spagnuoli, ma anco tra gli Arabi; e gli uni e gli altri gareggiavano
nell'arena toresca come sul campo di battaglia. Isabella la Cattolica
volle proibire le corse dei tori, perchè, avendone vista una, le aveva
fatto orrore; ma i molti e potenti partigiani dello spettacolo la
distolsero dal mandare ad effetto quel disegno. Dopo Isabella, le corse
presero un grande incremento. Carlo V stesso uccise di propria mano un
toro nella piazza maggiore di Valladolid; Ferdinando Pizzarro, il
celebre conquistatore del Perù, fu un _torero_ valente; il re Don
Sebastiano di Portogallo colse nell'arena più d'un alloro; Filippo III
fece abbellire il circo di Madrid; Filippo IV vi combattè; Carlo II
protesse l'arte; sotto il regno di Filippo V, si costrussero, per ordine
del Governo, parecchi circhi; ma l'onore di _torear_ apparteneva sempre
esclusivamente alla nobiltà; non si _toreaba_ che a cavallo, e con
cavalli bellissimi, e però non si spargeva altro sangue che quello del
toro. Solamente verso la metà del secolo scorso l'arte si estese al
popolo, e sorsero i _toreros_ propriamente detti, artisti di
professione, che combattevano a piedi e a cavallo. Il famoso Francisco
Romero de Ronda perfezionò il _toreo_ a piedi, introdusse l'uso di
uccidere il toro, faccia a faccia, con la spada e la _muleta_, e fissò
le regole dell'arte. D'allora in poi lo spettacolo diventò nazionale e
il popolo vi accorse con entusiasmo. Il re Carlo II lo proibì; ma la sua
proibizione non fece che convertire l'entusiasmo popolare, come dice un
cronista spagnuolo, in una _aficion epidémica_. Il re Ferdinando VII,
appassionato pei tori, istituì una scuola di tauromachía a Siviglia;
Isabella II fu più entusiasta di Ferdinando VII; Amedeo _primero_ non fu
da meno, a quello che si dice, di Isabella II. Ed ora il _toreo_
fiorisce più che mai nella Spagna; più di cento sono i grandi
proprietarii che allevano tori per gli spettacoli; Madrid, Siviglia,
Barcellona, Cadice, Valenza, Jerez, Porto di Santa Maria hanno un circo
di tori di prim'ordine; non meno di cinquanta sono i piccoli circhi
capaci di tremila fino a novemila spettatori; in tutti i villaggi, dove
non c'è circo, si fanno le _corridas_ nelle piazze; a Madrid tutte le
domeniche, nelle altre città ogni volta che si può, da per tutto con
immenso concorso di gente dalle città vicine, dai villaggi, dalla
campagna, dai monti, dalle isole, e persino di fuori Stato. Non tutti
gli Spagnuoli, è vero, son matti di codesto spettacolo; molti non ci
vanno mai; non pochi lo disapprovano, lo condannano, lo vorrebbero veder
bandito dalla Spagna; qualche giornalista, di tanto in tanto, alza un
grido di protesta; qualche deputato, l'indomani dell'uccisione d'un
_torero_, parla di fare un'interpellanza al Governo; ma son tutti nemici
timidi e fiacchi. Per contro si scrivono apologie delle corse dei tori,
si fabbricano nuovi circhi, si rinnovano gli antichi, si deridono gli
stranieri che gridano alla barbarie spagnuola.
E non si fan solo _corridas_ di tori l'estate, nè lo spettacolo è sempre
uguale. L'inverno, nel circo di Madrid, ogni domenica c'è
rappresentazione; non sono quei tori belli e focosi dell'estate, non
sono i grandi artisti che la Spagna ammira; son torelli di picciola mole
e di piccolo animo, sono _toreros_ non ancora provetti nell'arte; ma c'è
spettacolo a ogni modo, e benchè non ci vada il Re, nè il fiore della
cittadinanza, come alle corse d'estate, il circo è sempre pieno di
gente. Si sparge poco sangue, non si uccidono che due tori, si chiude lo
spettacolo con dei fuochi d'artifizio; è un divertimento, come dicono
con disprezzo i torofili appassionati, da serve e da bambini. Ma v'è un
episodio, negli spettacoli d'inverno, che diverte assai. Quando i
_toreros_ hanno ucciso i _toros de muerte_, l'arena rimane a
disposizione dei dilettanti; da tutte le parti ci salta dentro gente; in
un minuto v'è un centinaio di operai, di scolari, di monelli, chi con un
mantello in mano, chi con uno scialle, chi con un cencio qualunque,
affollati a destra e a sinistra del _toril_, pronti a ricevere il toro.
La porta s'apre, un toro colle corna fasciate si slancia nell'arena, e
lì comincia un parapiglia da non potersi descrivere; la folla lo
circonda, lo insegue, lo tira di qua e di là, lo _capea_ coi mantelli e
cogli scialli, lo provoca e lo tormenta in mille maniere, finchè il
povero animale non potendone più, è fatto uscir dall'arena, e un altro
gli sottentra. È incredibile l'audacia con cui quei ragazzi gli si
caccian sotto, lo trascinan per la coda, gli saltano addosso;
incredibile l'agilità con cui ne scansano i colpi. Qualche volta il
toro, voltandosi all'improvviso, ne arriva qualcuno, lo atterra, lo
butta in aria, lo solleva in alto sulle corna; talora ne rovescia nella
polvere con un sol colpo una mezza dozzina, e toro ed uomini spariscono
in un nuvolo di polvere, e lo spettatore teme per un istante che ne sia
stato ammazzato qualcuno. Nemmanco per idea! Gl'intrepidi _capeadores_
s'alzano coll'ossa péste e col viso polveroso, scrollan le spalle, e
daccapo. Ma non è neanco questo il più bell'episodio degli spettacoli
d'inverno. Qualche volta invece dei _toreros_ affrontano il toro le
_toreras_; donne vestite da danzatrici di corda; faccie, davanti alle
quali, non gli angeli, ma Lucifero:
«Farìa dell'ali agli occhi una visiera;»
le _picadoras_ a cavallo a un asino, la _espada_--quella ch'io vidi era
una vecchia sessantenne, chiamata la _Martina_, asturiana, nota in tutti
i circhi di Spagna,--la _espada_ a piedi, collo stocco e la _muleta_,
come il più intrepido _matador_ del sesso forte; tutta la _cuadrilla_
accompagnata da un corteo di _chulos_ con grandi parrucche e grandi
gobbe. Per quaranta lire quelle disgraziate rischian la vita! Un toro,
il giorno ch'io assistei a quello spettacolo, ruppe un braccio a una
_banderillera_, e a un'altra lacerò le sottane per modo che la lasciò in
mezzo al circo con appena tanta roba addosso da coprir quello che
dev'essere assolutamente coperto.
Dopo le donne, le fiere. In vari tempi si fece combattere il toro coi
leoni e colle tigri; pochi anni or sono ebbe luogo una di codeste lotte
nel Circo di Madrid. È celebre quella che fece fare il conte duca di
Olivares per festeggiar il giorno onomastico, se non m'inganna la
memoria, di Don Baltasar Carlos d'Austria, principe delle Asturie. Il
toro combattè col leone, colla tigre, col leopardo, e riuscì vincitore
di tutti. Anche nel combattimento di pochi anni sono, la tigre e il
leone ebbero la peggio; l'una e l'altro si slanciarono impetuosamente
addosso al toro; ma prima di riuscire ad addentargli il collo, infilati
dal terribile corno, caddero a terra in un lago di sangue. Il solo
elefante, un elefante enorme che vive tuttora nei giardini del Buon
Ritiro, riportò la vittoria: il toro lo assalì, quegli non fece che
mettergli la testa sul dorso e premere, e la pressione fu così delicata
che il malcauto assalitore ne fu schiacciato come una polpetta. Ma è
agevole immaginare quanta destrezza, quanto coraggio, e che
imperturbabile tranquillità d'animo occorra ad un uomo per affrontare
con la spada un animale che uccide il leone, che assale l'elefante, e
che per tutto dove tocca, squarcia, spezza, rovescia ed insanguina! E vi
son degli uomini che l'affrontano tutti i giorni!
I _toreros_ non son mica artisti, come qualcuno può supporre, da
mettersi in un mazzo coi saltimbanchi, e pei quali il popolo non nutra
altro sentimento che quello dell'ammirazione. Il _torero_ è rispettato
anche fuori del Circo, gode la protezione dei giovani aristocratici, va
al teatro in palco, frequenta il più signorile caffè di Madrid, è
salutato per la strada con profonde scappellate da persone di garbo. Gli
_espada_ illustri, come il Frascuelo, il Lagartijo, il Cayetano,
guadagnano la bellezza di qualche diecina di mila lire all'anno,
possedono case e ville, abitano in appartamenti sontuosi, vestono con
isfarzo, profondon monti di scudi nei loro vestiti inargentati e dorati,
viaggiano da principi e fumano sigari d'Avana. Il loro vestire, fuor del
Circo, è curiosissimo: un cappello all'Orsini di velluto nero, una
giacchettina stretta alla vita, sbottonata, che non arriva a toccare i
calzoni; un panciotto aperto fino all'ombelico, che lascia vedere una
camicia bianca finissima; nessuna cravatta; una fascia di seta rossa o
azzurra intorno ai fianchi; un par di calzoni giusti alla gamba come
calze da ballerini, un par di scarpette di pelle del Marocco ornate di
ricami, un piccolo codino a treccia che scende sul dorso; e poi bottoni
d'oro, catenelle, diamanti, anelli, ciondoli, tutta una bottega da
orefice addosso. Molti tengon cavallo da sella, qualcuno carrozza, e
quando non ammazzano, son sempre in giro al Prado, alla Puerta del Sol,
nei giardini di Recoletos, colle loro spose o le loro amanti
splendidamente vestite e amorosamente superbe. I loro nomi, i loro visi,
le loro gesta sono assai più noti al popolo che le gesta, i visi e i
nomi dei comandanti d'esercito e dei ministri di Stato. _Toreros_ nelle
commedie, _toreros_ nelle canzoni, _toreros_ nei quadri, _toreros_ nelle
vetrine dei venditori di stampe, statue che rappresentan _toreros_,
ventagli coi ritratti dei _toreros_, fazzoletti con l'effigie dei
_toreros_; se ne vede, se ne rivede e se ne intravvede da tutte le
parti. Il mestiere del torero è il più lucroso e più onorifico mestiere
a cui un coraggioso figliuolo del popolo possa aspirare. Moltissimi, di
fatti, vi si dedicano. Ma pochissimi riescono eccellenti; i più rimangon
mediocri _capeadores_, pochi arrivano ad essere _banderilleros_ di
vaglia, meno ancora _picadores_ di grido; bravi _espada_, poi, non
diventano che pochi prediletti dalla natura e dalla fortuna; bisogna
esser venuti al mondo con quel bernoccolo; si nasce _espada_ come si
nasce poeta. Di uccisi dal toro ce n'è di rado, si contan sulle dita per
un lungo giro di tempo; ma gli stroppiati, i malconci, i ridotti in
stato da non poter più combattere, sono innumerevoli. Se ne vedono per
le città col bastone e le stampelle, chi senza un braccio, chi senza una
gamba. Il famoso _Tato_, che fu il primo dei _toreros_ contemporanei,
perdette una gamba; nei pochi mesi ch'io stetti in Spagna, fu mezzo
ammazzato un _banderillero_ a Siviglia, fu ferito gravemente un
_picador_ a Madrid, fu malconcio il Lagartijo, furono uccisi tre
_capeadores_ dilettanti in un villaggio. Non c'è quasi _torero_ che non
abbia sparso sangue nell'Arena.
* * * * *
Prima di partire da Madrid volli parlare col tanto celebrato Frascuelo,
il principe degli _espadas_, l'idolo del popolo di Madrid, la gloria
dell'arte. Un genovese, capitano di bastimento, che lo conosceva,
s'incaricò di fare la presentazione; fissammo il giorno, ci trovammo nel
caffè imperiale della _Puerta del Sol_. Mi vien da ridere quando penso
all'emozione che provai vedendolo comparire da lontano e venire verso di
noi. Era vestito con gran lusso, carico di ciondoli, luccicante come un
generale in grande uniforme; attraversò il caffè, mille teste si
voltarono, mille occhi si fissarono su di lui, su di me, sul mio
compagno: io mi sentii diventar pallido. "Ecco il signor Salvador
Sanchez," disse il Capitano (Frascuelo è un soprannome). E poi,
presentando me a Frascuelo: "Ecco il signor tale dei tali, suo
ammiratore." L'illustre _matador_ s'inchinò, io feci una riverenza,
sedemmo e cominciammo a discorrere. Che strano uomo! A sentirlo
discorrere si sarebbe detto che non aveva cuore d'infilzare una mosca
con una spilla. È un giovanotto di venticinque anni, di mezzana statura,
svelto, bruno, bello, con uno sguardo fisso e un sorriso d'uomo
distratto. Gli domandai mille cose intorno all'arte sua e alla sua vita;
parlava a monosillabi; bisognava che gli cavassi le parole di bocca, a
una a una, a furia di domandare. Ai complimenti rispondeva guardandosi
la punta dei piedi con uno sguardo modesto. Gli chiesi se fosse mai
stato ferito: si toccò un ginocchio, una coscia, la spalla, il petto, e
disse: "Qui, e poi qui, e poi qui e poi ancora qui;" sorridendo colla
semplicità d'un bambino. Mi scrisse l'indirizzo di casa sua, mi invitò
ad andarlo a trovare, mi diede un sigaro, e se n'andò. Tre giorni dopo,
alla corsa dei tori, ero in un posto vicino alla barriera; egli mi passò
davanti per raccogliere i sigari che gli gettavano gli spettatori; gli
lanciai un sigaro di Milano di quei colla paglia; lo prese, lo guardò,
sorrise, e cercò chi gliel'aveva gettato; gli feci un cenno, mi vide, ed
esclamò:--_Ah! el italiano!_--Mi pare ancora di vederlo: aveva un
vestito color cenerino coperto di ricami d'oro e una mano macchiata di
sangue.....
* * * * *
Ma, insomma, un giudizio finale sulle corse dei tori! Sono o no una cosa
barbara, indegna d'un popolo civile? Sono o no uno spettacolo che guasta
il cuore? Fuori una parola schietta! Una parola schietta? Io non voglio,
rispondendo in un modo, tirarmi addosso un diluvio d'invettive, e
rispondendo in un altro, darmi della zappa sui piedi, dacchè debbo
confessare che sono andato al Circo tutte le domeniche. Ho narrato e
descritto, il lettore ne sa quanto me, giudichi lui, e mi conceda di non
metterci bocca.
* * * * *
Vidi, a Madrid, la famosa cerimonia funebre che si celebra ogni anno, il
2 di maggio, in onore degli Spagnuoli che morirono combattendo, o furon
passati per l'armi dai soldati francesi, sessantacinque anni or sono, in
quella tremenda giornata che empì d'orrore l'Europa e fece scoppiare la
guerra d'indipendenza.
All'alba tuona il cannone, e in tutte le chiese parrocchiali di Madrid,
e dinanzi a un altare eretto accanto al Monumento si comincia a celebrar
messe, e si seguita fino a sera. La ceremonia consiste in una solenne
processione che parte per lo più dalle vicinanze del palazzo reale, va a
sentire un sermone nella chiesa di Sant'Isidoro, dove giacquero sepolte
fino al 1840 le ossa del morti; e poi si reca al Monumento a sentire la
messa.
In tutte le strade per le quali dovea passare la processione erano
schierati i battaglioni dei volontari, i reggimenti di fanteria, gli
squadroni di corazzieri, le guardie civili a piedi, le artiglierie, i
cadetti; da ogni parte suonavan trombe, tamburi, bande; si vedeva da
lontano, al di sopra della folla, un viavai continuo di cappelli di
generali, di pennacchi d'aiutanti, di bandiere, di spade; accorrevano da
tutte le strade le carrozze del Senato e delle Cortes, grandi come carri
trionfali, dorate fin nelle ruote, listate di velluto e di seta,
sopraccariche di frangie e di fiocchi, e tirate da superbi cavalli
impennacchiati. Le finestre di tutte le case erano ornate di arazzi e di
fiori; tutto il popolo di Madrid era in moto.
Vidi passare la processione per la strada d'Alcalà. Venivano innanzi i
cacciatori della milizia cittadina a cavallo; poi i ragazzi di tutti i
collegi, di tutti gli asili, di tutti gli ospizi di Madrid, a due a due,
migliaia; poi gl'invalidi dell'esercito, quali con le stampelle, quali
con la testa fasciata, alcuni sorretti dai compagni, altri decrepiti,
quasi portati; soldati, generali, con antiche divise, col petto coperto
di ciondoli e di nastri, e lunghe spade e cappelli piumati; poi una
folla d'ufficiali di tutti i Corpi, luccicanti d'oro e d'argento, e
vestiti di mille colori; poi gli alti impiegati dello Stato, i deputati
provinciali, i deputati del Congresso, i Senatori; poi gli araldi del
Municipio e delle Camere, con ampie toghe di velluto e le mazze
d'argento; poi tutti gli impiegati municipali, tutti gli _alcaldes_ di
Madrid, vestiti di nero, colle medaglie al collo; infine il Re, vestito
da generale, a piedi, accompagnato dal Sindaco, dal capitano generale
della Provincia, dai generali, dai ministri, dai deputati, dagli
ufficiali d'ordinanza, dagli aiutanti di campo, tutti col capo scoperto.
Chiudevano la processione le cento guardie a cavallo, sfolgoreggianti
come guerrieri del medio evo; le guardie reali a piedi, con gran
berretto di pelo alla foggia della guardia napoleonica, tunica rossa a
coda di rondine, calzoni bianchi, due larghe tracolle incrociate sul
petto, ghette nere fino al ginocchio, spada, fiocchi, cordoni, fermagli,
gingilli; poi ancora volontari, soldati di fanteria, artiglieri, popolo.
Tutti andavano a passo lento; sonavano tutte le bande e tutte le
campane; il popolo era silenzioso; e quell'insieme di bambini, di
poveri, di preti, di magistrati, di veterani mutilati, di grandi di
Spagna, presentava un aspetto gentile e magnifico, che ispirava ad un
tempo tenerezza e riverenza.
La processione sboccò nel Prado e si diresse verso il Monumento. I
viali, i campi, i giardini erano pieni di popolo. Le signore ritte nelle
carrozze, sulle seggiole, sui sedili di pietra, coi bambini tra le
braccia; gente sugli alberi e sui tetti; a ogni passo, bandiere,
iscrizioni funebri, elenchi delle vittime del 2 di maggio, poesie
appiccicate ai tronchi delle piante, giornali listati di nero, stampe
rappresentanti episodi della strage, ghirlande, crocifissi, tavolini con
vassoi per limosine, candele accese, ritratti, statuette, giocattoli pei
ragazzi coll'immagine del Monumento; per tutto ricordi del 1808,
emblemi, segni di lutto, di festa, di guerra. Gli uomini quasi tutti
vestiti di nero; le donne in gran gala, con lunghi strascichi e il velo;
frotte di contadini accorsi da tutti i villaggi, coi loro panni festivi;
e in mezzo a tutta questa folla un gridìo assordante di acquaiuoli, di
guardie, di ufficiali.
Il Monumento del 2 maggio, che sorge nel punto dove furon fucilati il
maggior numero degli Spagnuoli, benchè non abbia un valore artistico
pari alla fama, è,--per servirmi d'una parola da strapazzo ma
significativa,--imponente. È semplice, nudo, e al parer di molti anche
pesante e sgraziato; ma arresta lo sguardo e il pensiero, anche di chi
non sappia che cosa sia; a prima vista, si capisce che in quel luogo
muggiti, divincolandosi e scontorcendosi in mille modi per liberarsi da
quella tortura; e in quell'impetuosa corsa, qualche volta la spada salta
via; qualche volta si configge più addentro, e gli cagiona la morte.
Sovente l'_espada_ è costretto a dargli una seconda stoccata, non di
rado una terza, talora una quarta; il toro versa un torrente di sangue;
tutte le _capas_ dei _capeadores_ ne sono intrise, n'è macchiato
l'_espada_, n'è aspersa la barriera, per tutto cola sangue, gli
spettatori indignati coprono il _torero_ d'ingiurie. Qualche volta il
toro profondamente ferito, cade a terra; ma non muore, e resta là
immobile, colla testa alta, minaccioso, come per dire:--Venite,
assassini, se vi basta l'animo!--Allora la lotta è finita; bisogna
accorciar l'agonia; un uomo misterioso scavalca la barriera, s'avvicina
a passi furtivi, si apposta dietro al toro, e colto il momento, gli
vibra un colpo di pugnale nella testa, che gli penetra al cervello e lo
fredda. Spesso neanche questo colpo non riesce; l'uomo misterioso deve
vibrarne due, tre, persino quattro; allora l'indignazione del popolo si
scatena come una tempesta, gli danno del boia, del codardo, dell'infame,
gli augurano la morte, se lo avesser nelle mani, lo strozzerebbero come
un cane. Altre volte il toro, ferito a morte, barcolla un pezzo prima di
cadere, e barcollando s'allontana a lento passo dal luogo dove fu
colpito per andar a morir in pace in un canto appartato; tutti i
_toreros_ lo seguono lentamente, come un corteggio funebre, a una certa
distanza; la folla tien dietro cogli occhi a tutti i suoi movimenti,
conta i suoi passi, misura il progresso dell'agonía; un silenzio
profondo accompagna i suoi ultimi momenti; la sua morte ha qualcosa di
maestoso e di solenne. Vi son dei tori indomabili, che non vogliono
chinar la testa se non traendo l'ultimo respiro; tori che, versando
ruscelli di sangue per la bocca, minacciano ancora; tori che, trafitti
da dieci colpi di spada, pugnalati, dissanguati, alzano ancora il collo
con un movimento superbo che fa retrocedere lo stuolo dei loro
persecutori fino a metà dell'arena; tori che hanno un'agonía più
spaventevole della loro prima furia, che straziano i cavalli morti,
spezzano la barriera, calpestano rabbiosamente le _capas_ sparse per
l'arena, saltano nella corsia, corrono intorno colla testa alta
guardando gli spettatori con un'aria di sfida, cadono, si rialzano,
muoiono muggendo.
L'agonia dei cavalli, meno lunga, è più dolorosa. Ad alcuni il toro
spezza una gamba, ad altri trafigge il collo da parte a parte, altri
uccide, con una cornata al petto, sul colpo, senza che versin neanco una
goccia di sangue; altri, presi dallo spavento, piglian la carriera,
diritto davanti a sè, e vanno a urtare la testa con un tremendo colpo
contro la barriera, e cadono morti; altri si dibattono lungo tempo in un
lago di sangue prima di morire; altri, feriti, sanguinosi, sbudellati,
storpiati, galoppano ancora con una furia disperata, vanno incontro al
toro, stramazzano, si rialzano e combattono ancora, fin che son portati
via, disfatti, ma vivi; e allora gli si rimetton gl'intestini al posto,
gli si cucisce la pancia, e servono per un'altra volta; altri, paurosi,
all'avvicinarsi della belva, tremano verga a verga, scalpitano,
rinculano, nitriscono, non vogliono morire; e son quelli che destano più
pietà. Qualche volta un sol toro ne uccide cinque; qualche volta, in una
_corrida_, ne muoion venti, tutti i _picadores_ sono intrisi di sangue,
l'arena sparsa di viscere fumanti, i tori stanchi di uccidere.
I _toreros_, anch'essi, hanno i loro brutti momenti. I _picadores_,
talvolta, invece di cadere sotto il cavallo, cadono tra il cavallo e il
toro; allora questo si precipita su di loro per ucciderli; la folla
getta un grido; ma un _capeador_ ardito getta la _capa_ sugli occhi alla
belva, e rischiando la sua vita salva quella del compagno. Sovente,
invece di slanciarsi contro la _muleta_, il toro accorto, si slancia
contro l'_espada_, lo rasenta, lo investe, lo insegue, lo costringe a
buttar via l'arma e a salvarsi, pallido e tremante, di là dalla
barriera. Qualche volta l'urta colla testa e lo atterra; l'_espada_
sparisce in un nuvolo di polvere, la folla grida:--È morto!--il toro
passa, l'_espada_ è salvo. Qualche volta gli arriva sotto ad un tratto,
lo solleva colla testa e lo sbatte da un lato. Non di rado il toro non
si lascia pigliar di mira colla spada, il _matador_ non riesce a
coglierlo di fronte, e poichè non lo può ferire, giusta gli statuti, che
in quel dato punto e in quel dato modo, si stanca inutilmente per lunga
pezza, e stancandosi si confonde, e corre cento volte il rischio di
farsi uccidere; e intanto la folla urla, fischia, l'insulta; finchè il
pover uomo, disperato, si risolve a uccidere o a morire, e vibra il
colpo come vien viene; ed o gli riesce ed è levato a cielo, o gli
fallisce, ed è vilipeso, schernito, tempestato di scorze d'arancio,
fosse anche il più intrepido, il più valente, il più decantato _torero_
della Spagna.
Nella folla, poi, durante lo spettacolo, seguono mille avvenimenti. Di
tratto in tratto scoppia una rissa fra due spettatori. Pigiata com'è la
gente, qualche bastonata tocca ai vicini; i vicini dan di mano ai
bastoni e picchiano anch'essi; il circolo delle bastonate s'allarga, la
rissa si estende a tutto lo scompartimento della gradinata; in pochi
momenti, cappelli in aria, cravatte in brani, visi sanguinosi, grida da
intronare il cielo, tutti gli spettatori in piedi, le guardie in moto,
i _toreros_, di attori, divenuti spettatori. Altre volte è un gruppo di
giovanotti burloni che si voltan tutti insieme da una parte gridando:
"Eccolo là."--"Chi?"--Nessuno; ma intanto i vicini si alzano, i lontani
salgono in piedi sui sedili, le signore si sporgon fuori dei palchi; in
un momento tutto il Circo è sossopra. Allora il gruppo dei giovanotti dà
in una sonora risata; i vicini, per non parer minchioni, fanno eco; si
ride nei palchi, si ride nelle gallerie, diecimila persone ridono. Altre
volte è uno straniero, spettatore per la prima volta della corsa dei
tori, che sviene; la notizia si spande in un baleno, tutti s'alzano,
tutti cercano, tutti gridano, si fa un casa del diavolo che non ha nome.
Altre volte è un bell'umore che saluta un suo amico posto all'estremità
opposta del Circo con un portavoce che fa l'effetto d'uno scoppio di
tuono. Quella grande folla è agitata in pochi istanti da mille
sentimenti contrarli; passa con una vicenda incessante dal terrore
all'entusiasmo, dall'entusiasmo alla pietà, dalla pietà all'ira,
dall'ira all'allegrezza, alla meraviglia, alla gioia sfrenata.
L'impressione insomma che lascia nell'animo questo spettacolo è
indescrivibile, è un miscuglio di sentimenti nel quale è impossibile
raccapezzar nulla di schietto, non si sa che pensarne. A momenti,
inorriditi, vorreste fuggire dal Circo, e giurate di non tornarci mai
più; a momenti, meravigliati, rapiti, quasi ebbri, non vorreste che lo
spettacolo avesse mai fine; ora vi sentite quasi pigliar male; ora
anche voi, come i vostri vicini, prorompete in grida, in risa e in
applausi; il sangue vi fa ribrezzo, ma il coraggio meraviglioso
dell'uomo vi esalta; il pericolo vi stringe il cuore, ma la vittoria vi
rallegra; a poco a poco la febbre che agita la folla s'impadronisce di
voi; non riconoscete più voi stesso; siete un altro; avete anche voi
degli accessi d'ira, di ferocia, d'entusiasmo; vi sentite vigoroso e
audace; la lotta vi accende il sangue; il balenío della spada vi mette
un fremito; e poi quelle migliaia di visi, quello strepito, quella
musica, quei muggíti, quel sangue, quei silenzi profondi, quei fragori
improvvisi, quella vastità, quella luce, quei colori, quel non so che di
grande, di forte, di crudele, di magnifico, che v'abbarbaglia, vi
stordisce e vi rimescola....
Bello è il veder uscir la gente; son dieci torrenti che sgorgano da
dieci porte e allagano in pochi minuti il borgo di Salamanca, il Prado,
i viali di _Recoletos_, la strada Alcalà; migliaia di carrozze aspettano
nei dintorni del Circo; per un'ora, da qualunque parte uno si volga, non
vede che un formicolaio a perdita d'occhio; e tutti tacciono; le
emozioni hanno spossato tutti; non si sente che il rumore dei passi;
pare che la folla voglia dileguarsi furtivamente; una specie di
tristezza è sottentrata alla clamorosa allegria di poc'anzi. Io, per mio
conto, la prima volta che uscii da quel Circo, avevo appena tanta forza
da reggermi in piedi; la testa mi girava come un arcolaio, le orecchie
mi fischiavano, per tutto vedevo corna di tori, occhi iniettati di
sangue, cavalli morti, luccichío di spade. Presi la via più corta per
andare a casa, e appena arrivato, mi cacciai in letto, e m'addormentai
d'un sonno profondo. L'indomani mattina venne in gran fretta la padrona
di casa a domandarmi: "Ebbene? che gliene parve? s'è divertito? ci
tornerà? che cosa ne dice?"--"Non so" risposi "mi par d'aver sognato,
gliene parlerò poi, ho bisogno di pensarci."--Venne il sabato, la
vigilia della seconda corsa dei tori. "Ci va?" mi domandò la padrona.
"No..." risposi pensando ad altro. Uscii, infilai la strada d'Alcalà, mi
trovai, senza accorgermene, davanti alla bottega dove si vendono i
biglietti; c'era un visibilio di gente; dissi fra me:--Ci ho da
andare?... Sì?... No?...--"Vuole un biglietto?" mi domandò un ragazzo:
"_un asiento de sombra, tendido numero seis, barrera, quince reales?_"
Ed io risposi: "Qua!"
* * * * *
Ma per comprender bene la natura di codesto spettacolo, bisogna
conoscerne la storia. Quando si sia fatto per la prima volta un
combattimento coi tori, non si sa in modo sicuro; la tradizione narra
che fu il _Cid Campeador_ il primo cavaliere che scese colla lancia
nell'arena, e uccise da cavallo il formidabile animale. D'allora in poi
i giovani nobili si dedicarono con grande ardore a questo esercizio; in
tutte le feste solenni vi furon corse di tori; e solamente alla nobiltà
era concesso l'onore di combattere; i re stessi scendevan nell'arena;
durante tutto il medio-evo era codesto lo spettacolo favorito delle
corti, e l'esercizio prediletto dei guerrieri, non solo tra gli
Spagnuoli, ma anco tra gli Arabi; e gli uni e gli altri gareggiavano
nell'arena toresca come sul campo di battaglia. Isabella la Cattolica
volle proibire le corse dei tori, perchè, avendone vista una, le aveva
fatto orrore; ma i molti e potenti partigiani dello spettacolo la
distolsero dal mandare ad effetto quel disegno. Dopo Isabella, le corse
presero un grande incremento. Carlo V stesso uccise di propria mano un
toro nella piazza maggiore di Valladolid; Ferdinando Pizzarro, il
celebre conquistatore del Perù, fu un _torero_ valente; il re Don
Sebastiano di Portogallo colse nell'arena più d'un alloro; Filippo III
fece abbellire il circo di Madrid; Filippo IV vi combattè; Carlo II
protesse l'arte; sotto il regno di Filippo V, si costrussero, per ordine
del Governo, parecchi circhi; ma l'onore di _torear_ apparteneva sempre
esclusivamente alla nobiltà; non si _toreaba_ che a cavallo, e con
cavalli bellissimi, e però non si spargeva altro sangue che quello del
toro. Solamente verso la metà del secolo scorso l'arte si estese al
popolo, e sorsero i _toreros_ propriamente detti, artisti di
professione, che combattevano a piedi e a cavallo. Il famoso Francisco
Romero de Ronda perfezionò il _toreo_ a piedi, introdusse l'uso di
uccidere il toro, faccia a faccia, con la spada e la _muleta_, e fissò
le regole dell'arte. D'allora in poi lo spettacolo diventò nazionale e
il popolo vi accorse con entusiasmo. Il re Carlo II lo proibì; ma la sua
proibizione non fece che convertire l'entusiasmo popolare, come dice un
cronista spagnuolo, in una _aficion epidémica_. Il re Ferdinando VII,
appassionato pei tori, istituì una scuola di tauromachía a Siviglia;
Isabella II fu più entusiasta di Ferdinando VII; Amedeo _primero_ non fu
da meno, a quello che si dice, di Isabella II. Ed ora il _toreo_
fiorisce più che mai nella Spagna; più di cento sono i grandi
proprietarii che allevano tori per gli spettacoli; Madrid, Siviglia,
Barcellona, Cadice, Valenza, Jerez, Porto di Santa Maria hanno un circo
di tori di prim'ordine; non meno di cinquanta sono i piccoli circhi
capaci di tremila fino a novemila spettatori; in tutti i villaggi, dove
non c'è circo, si fanno le _corridas_ nelle piazze; a Madrid tutte le
domeniche, nelle altre città ogni volta che si può, da per tutto con
immenso concorso di gente dalle città vicine, dai villaggi, dalla
campagna, dai monti, dalle isole, e persino di fuori Stato. Non tutti
gli Spagnuoli, è vero, son matti di codesto spettacolo; molti non ci
vanno mai; non pochi lo disapprovano, lo condannano, lo vorrebbero veder
bandito dalla Spagna; qualche giornalista, di tanto in tanto, alza un
grido di protesta; qualche deputato, l'indomani dell'uccisione d'un
_torero_, parla di fare un'interpellanza al Governo; ma son tutti nemici
timidi e fiacchi. Per contro si scrivono apologie delle corse dei tori,
si fabbricano nuovi circhi, si rinnovano gli antichi, si deridono gli
stranieri che gridano alla barbarie spagnuola.
E non si fan solo _corridas_ di tori l'estate, nè lo spettacolo è sempre
uguale. L'inverno, nel circo di Madrid, ogni domenica c'è
rappresentazione; non sono quei tori belli e focosi dell'estate, non
sono i grandi artisti che la Spagna ammira; son torelli di picciola mole
e di piccolo animo, sono _toreros_ non ancora provetti nell'arte; ma c'è
spettacolo a ogni modo, e benchè non ci vada il Re, nè il fiore della
cittadinanza, come alle corse d'estate, il circo è sempre pieno di
gente. Si sparge poco sangue, non si uccidono che due tori, si chiude lo
spettacolo con dei fuochi d'artifizio; è un divertimento, come dicono
con disprezzo i torofili appassionati, da serve e da bambini. Ma v'è un
episodio, negli spettacoli d'inverno, che diverte assai. Quando i
_toreros_ hanno ucciso i _toros de muerte_, l'arena rimane a
disposizione dei dilettanti; da tutte le parti ci salta dentro gente; in
un minuto v'è un centinaio di operai, di scolari, di monelli, chi con un
mantello in mano, chi con uno scialle, chi con un cencio qualunque,
affollati a destra e a sinistra del _toril_, pronti a ricevere il toro.
La porta s'apre, un toro colle corna fasciate si slancia nell'arena, e
lì comincia un parapiglia da non potersi descrivere; la folla lo
circonda, lo insegue, lo tira di qua e di là, lo _capea_ coi mantelli e
cogli scialli, lo provoca e lo tormenta in mille maniere, finchè il
povero animale non potendone più, è fatto uscir dall'arena, e un altro
gli sottentra. È incredibile l'audacia con cui quei ragazzi gli si
caccian sotto, lo trascinan per la coda, gli saltano addosso;
incredibile l'agilità con cui ne scansano i colpi. Qualche volta il
toro, voltandosi all'improvviso, ne arriva qualcuno, lo atterra, lo
butta in aria, lo solleva in alto sulle corna; talora ne rovescia nella
polvere con un sol colpo una mezza dozzina, e toro ed uomini spariscono
in un nuvolo di polvere, e lo spettatore teme per un istante che ne sia
stato ammazzato qualcuno. Nemmanco per idea! Gl'intrepidi _capeadores_
s'alzano coll'ossa péste e col viso polveroso, scrollan le spalle, e
daccapo. Ma non è neanco questo il più bell'episodio degli spettacoli
d'inverno. Qualche volta invece dei _toreros_ affrontano il toro le
_toreras_; donne vestite da danzatrici di corda; faccie, davanti alle
quali, non gli angeli, ma Lucifero:
«Farìa dell'ali agli occhi una visiera;»
le _picadoras_ a cavallo a un asino, la _espada_--quella ch'io vidi era
una vecchia sessantenne, chiamata la _Martina_, asturiana, nota in tutti
i circhi di Spagna,--la _espada_ a piedi, collo stocco e la _muleta_,
come il più intrepido _matador_ del sesso forte; tutta la _cuadrilla_
accompagnata da un corteo di _chulos_ con grandi parrucche e grandi
gobbe. Per quaranta lire quelle disgraziate rischian la vita! Un toro,
il giorno ch'io assistei a quello spettacolo, ruppe un braccio a una
_banderillera_, e a un'altra lacerò le sottane per modo che la lasciò in
mezzo al circo con appena tanta roba addosso da coprir quello che
dev'essere assolutamente coperto.
Dopo le donne, le fiere. In vari tempi si fece combattere il toro coi
leoni e colle tigri; pochi anni or sono ebbe luogo una di codeste lotte
nel Circo di Madrid. È celebre quella che fece fare il conte duca di
Olivares per festeggiar il giorno onomastico, se non m'inganna la
memoria, di Don Baltasar Carlos d'Austria, principe delle Asturie. Il
toro combattè col leone, colla tigre, col leopardo, e riuscì vincitore
di tutti. Anche nel combattimento di pochi anni sono, la tigre e il
leone ebbero la peggio; l'una e l'altro si slanciarono impetuosamente
addosso al toro; ma prima di riuscire ad addentargli il collo, infilati
dal terribile corno, caddero a terra in un lago di sangue. Il solo
elefante, un elefante enorme che vive tuttora nei giardini del Buon
Ritiro, riportò la vittoria: il toro lo assalì, quegli non fece che
mettergli la testa sul dorso e premere, e la pressione fu così delicata
che il malcauto assalitore ne fu schiacciato come una polpetta. Ma è
agevole immaginare quanta destrezza, quanto coraggio, e che
imperturbabile tranquillità d'animo occorra ad un uomo per affrontare
con la spada un animale che uccide il leone, che assale l'elefante, e
che per tutto dove tocca, squarcia, spezza, rovescia ed insanguina! E vi
son degli uomini che l'affrontano tutti i giorni!
I _toreros_ non son mica artisti, come qualcuno può supporre, da
mettersi in un mazzo coi saltimbanchi, e pei quali il popolo non nutra
altro sentimento che quello dell'ammirazione. Il _torero_ è rispettato
anche fuori del Circo, gode la protezione dei giovani aristocratici, va
al teatro in palco, frequenta il più signorile caffè di Madrid, è
salutato per la strada con profonde scappellate da persone di garbo. Gli
_espada_ illustri, come il Frascuelo, il Lagartijo, il Cayetano,
guadagnano la bellezza di qualche diecina di mila lire all'anno,
possedono case e ville, abitano in appartamenti sontuosi, vestono con
isfarzo, profondon monti di scudi nei loro vestiti inargentati e dorati,
viaggiano da principi e fumano sigari d'Avana. Il loro vestire, fuor del
Circo, è curiosissimo: un cappello all'Orsini di velluto nero, una
giacchettina stretta alla vita, sbottonata, che non arriva a toccare i
calzoni; un panciotto aperto fino all'ombelico, che lascia vedere una
camicia bianca finissima; nessuna cravatta; una fascia di seta rossa o
azzurra intorno ai fianchi; un par di calzoni giusti alla gamba come
calze da ballerini, un par di scarpette di pelle del Marocco ornate di
ricami, un piccolo codino a treccia che scende sul dorso; e poi bottoni
d'oro, catenelle, diamanti, anelli, ciondoli, tutta una bottega da
orefice addosso. Molti tengon cavallo da sella, qualcuno carrozza, e
quando non ammazzano, son sempre in giro al Prado, alla Puerta del Sol,
nei giardini di Recoletos, colle loro spose o le loro amanti
splendidamente vestite e amorosamente superbe. I loro nomi, i loro visi,
le loro gesta sono assai più noti al popolo che le gesta, i visi e i
nomi dei comandanti d'esercito e dei ministri di Stato. _Toreros_ nelle
commedie, _toreros_ nelle canzoni, _toreros_ nei quadri, _toreros_ nelle
vetrine dei venditori di stampe, statue che rappresentan _toreros_,
ventagli coi ritratti dei _toreros_, fazzoletti con l'effigie dei
_toreros_; se ne vede, se ne rivede e se ne intravvede da tutte le
parti. Il mestiere del torero è il più lucroso e più onorifico mestiere
a cui un coraggioso figliuolo del popolo possa aspirare. Moltissimi, di
fatti, vi si dedicano. Ma pochissimi riescono eccellenti; i più rimangon
mediocri _capeadores_, pochi arrivano ad essere _banderilleros_ di
vaglia, meno ancora _picadores_ di grido; bravi _espada_, poi, non
diventano che pochi prediletti dalla natura e dalla fortuna; bisogna
esser venuti al mondo con quel bernoccolo; si nasce _espada_ come si
nasce poeta. Di uccisi dal toro ce n'è di rado, si contan sulle dita per
un lungo giro di tempo; ma gli stroppiati, i malconci, i ridotti in
stato da non poter più combattere, sono innumerevoli. Se ne vedono per
le città col bastone e le stampelle, chi senza un braccio, chi senza una
gamba. Il famoso _Tato_, che fu il primo dei _toreros_ contemporanei,
perdette una gamba; nei pochi mesi ch'io stetti in Spagna, fu mezzo
ammazzato un _banderillero_ a Siviglia, fu ferito gravemente un
_picador_ a Madrid, fu malconcio il Lagartijo, furono uccisi tre
_capeadores_ dilettanti in un villaggio. Non c'è quasi _torero_ che non
abbia sparso sangue nell'Arena.
* * * * *
Prima di partire da Madrid volli parlare col tanto celebrato Frascuelo,
il principe degli _espadas_, l'idolo del popolo di Madrid, la gloria
dell'arte. Un genovese, capitano di bastimento, che lo conosceva,
s'incaricò di fare la presentazione; fissammo il giorno, ci trovammo nel
caffè imperiale della _Puerta del Sol_. Mi vien da ridere quando penso
all'emozione che provai vedendolo comparire da lontano e venire verso di
noi. Era vestito con gran lusso, carico di ciondoli, luccicante come un
generale in grande uniforme; attraversò il caffè, mille teste si
voltarono, mille occhi si fissarono su di lui, su di me, sul mio
compagno: io mi sentii diventar pallido. "Ecco il signor Salvador
Sanchez," disse il Capitano (Frascuelo è un soprannome). E poi,
presentando me a Frascuelo: "Ecco il signor tale dei tali, suo
ammiratore." L'illustre _matador_ s'inchinò, io feci una riverenza,
sedemmo e cominciammo a discorrere. Che strano uomo! A sentirlo
discorrere si sarebbe detto che non aveva cuore d'infilzare una mosca
con una spilla. È un giovanotto di venticinque anni, di mezzana statura,
svelto, bruno, bello, con uno sguardo fisso e un sorriso d'uomo
distratto. Gli domandai mille cose intorno all'arte sua e alla sua vita;
parlava a monosillabi; bisognava che gli cavassi le parole di bocca, a
una a una, a furia di domandare. Ai complimenti rispondeva guardandosi
la punta dei piedi con uno sguardo modesto. Gli chiesi se fosse mai
stato ferito: si toccò un ginocchio, una coscia, la spalla, il petto, e
disse: "Qui, e poi qui, e poi qui e poi ancora qui;" sorridendo colla
semplicità d'un bambino. Mi scrisse l'indirizzo di casa sua, mi invitò
ad andarlo a trovare, mi diede un sigaro, e se n'andò. Tre giorni dopo,
alla corsa dei tori, ero in un posto vicino alla barriera; egli mi passò
davanti per raccogliere i sigari che gli gettavano gli spettatori; gli
lanciai un sigaro di Milano di quei colla paglia; lo prese, lo guardò,
sorrise, e cercò chi gliel'aveva gettato; gli feci un cenno, mi vide, ed
esclamò:--_Ah! el italiano!_--Mi pare ancora di vederlo: aveva un
vestito color cenerino coperto di ricami d'oro e una mano macchiata di
sangue.....
* * * * *
Ma, insomma, un giudizio finale sulle corse dei tori! Sono o no una cosa
barbara, indegna d'un popolo civile? Sono o no uno spettacolo che guasta
il cuore? Fuori una parola schietta! Una parola schietta? Io non voglio,
rispondendo in un modo, tirarmi addosso un diluvio d'invettive, e
rispondendo in un altro, darmi della zappa sui piedi, dacchè debbo
confessare che sono andato al Circo tutte le domeniche. Ho narrato e
descritto, il lettore ne sa quanto me, giudichi lui, e mi conceda di non
metterci bocca.
* * * * *
Vidi, a Madrid, la famosa cerimonia funebre che si celebra ogni anno, il
2 di maggio, in onore degli Spagnuoli che morirono combattendo, o furon
passati per l'armi dai soldati francesi, sessantacinque anni or sono, in
quella tremenda giornata che empì d'orrore l'Europa e fece scoppiare la
guerra d'indipendenza.
All'alba tuona il cannone, e in tutte le chiese parrocchiali di Madrid,
e dinanzi a un altare eretto accanto al Monumento si comincia a celebrar
messe, e si seguita fino a sera. La ceremonia consiste in una solenne
processione che parte per lo più dalle vicinanze del palazzo reale, va a
sentire un sermone nella chiesa di Sant'Isidoro, dove giacquero sepolte
fino al 1840 le ossa del morti; e poi si reca al Monumento a sentire la
messa.
In tutte le strade per le quali dovea passare la processione erano
schierati i battaglioni dei volontari, i reggimenti di fanteria, gli
squadroni di corazzieri, le guardie civili a piedi, le artiglierie, i
cadetti; da ogni parte suonavan trombe, tamburi, bande; si vedeva da
lontano, al di sopra della folla, un viavai continuo di cappelli di
generali, di pennacchi d'aiutanti, di bandiere, di spade; accorrevano da
tutte le strade le carrozze del Senato e delle Cortes, grandi come carri
trionfali, dorate fin nelle ruote, listate di velluto e di seta,
sopraccariche di frangie e di fiocchi, e tirate da superbi cavalli
impennacchiati. Le finestre di tutte le case erano ornate di arazzi e di
fiori; tutto il popolo di Madrid era in moto.
Vidi passare la processione per la strada d'Alcalà. Venivano innanzi i
cacciatori della milizia cittadina a cavallo; poi i ragazzi di tutti i
collegi, di tutti gli asili, di tutti gli ospizi di Madrid, a due a due,
migliaia; poi gl'invalidi dell'esercito, quali con le stampelle, quali
con la testa fasciata, alcuni sorretti dai compagni, altri decrepiti,
quasi portati; soldati, generali, con antiche divise, col petto coperto
di ciondoli e di nastri, e lunghe spade e cappelli piumati; poi una
folla d'ufficiali di tutti i Corpi, luccicanti d'oro e d'argento, e
vestiti di mille colori; poi gli alti impiegati dello Stato, i deputati
provinciali, i deputati del Congresso, i Senatori; poi gli araldi del
Municipio e delle Camere, con ampie toghe di velluto e le mazze
d'argento; poi tutti gli impiegati municipali, tutti gli _alcaldes_ di
Madrid, vestiti di nero, colle medaglie al collo; infine il Re, vestito
da generale, a piedi, accompagnato dal Sindaco, dal capitano generale
della Provincia, dai generali, dai ministri, dai deputati, dagli
ufficiali d'ordinanza, dagli aiutanti di campo, tutti col capo scoperto.
Chiudevano la processione le cento guardie a cavallo, sfolgoreggianti
come guerrieri del medio evo; le guardie reali a piedi, con gran
berretto di pelo alla foggia della guardia napoleonica, tunica rossa a
coda di rondine, calzoni bianchi, due larghe tracolle incrociate sul
petto, ghette nere fino al ginocchio, spada, fiocchi, cordoni, fermagli,
gingilli; poi ancora volontari, soldati di fanteria, artiglieri, popolo.
Tutti andavano a passo lento; sonavano tutte le bande e tutte le
campane; il popolo era silenzioso; e quell'insieme di bambini, di
poveri, di preti, di magistrati, di veterani mutilati, di grandi di
Spagna, presentava un aspetto gentile e magnifico, che ispirava ad un
tempo tenerezza e riverenza.
La processione sboccò nel Prado e si diresse verso il Monumento. I
viali, i campi, i giardini erano pieni di popolo. Le signore ritte nelle
carrozze, sulle seggiole, sui sedili di pietra, coi bambini tra le
braccia; gente sugli alberi e sui tetti; a ogni passo, bandiere,
iscrizioni funebri, elenchi delle vittime del 2 di maggio, poesie
appiccicate ai tronchi delle piante, giornali listati di nero, stampe
rappresentanti episodi della strage, ghirlande, crocifissi, tavolini con
vassoi per limosine, candele accese, ritratti, statuette, giocattoli pei
ragazzi coll'immagine del Monumento; per tutto ricordi del 1808,
emblemi, segni di lutto, di festa, di guerra. Gli uomini quasi tutti
vestiti di nero; le donne in gran gala, con lunghi strascichi e il velo;
frotte di contadini accorsi da tutti i villaggi, coi loro panni festivi;
e in mezzo a tutta questa folla un gridìo assordante di acquaiuoli, di
guardie, di ufficiali.
Il Monumento del 2 maggio, che sorge nel punto dove furon fucilati il
maggior numero degli Spagnuoli, benchè non abbia un valore artistico
pari alla fama, è,--per servirmi d'una parola da strapazzo ma
significativa,--imponente. È semplice, nudo, e al parer di molti anche
pesante e sgraziato; ma arresta lo sguardo e il pensiero, anche di chi
non sappia che cosa sia; a prima vista, si capisce che in quel luogo