Santa Cecilia - 9

almeno che il conte Emanuele sia morto.
— Egli è mio suocero; dovete saperlo; e se egli fosse qui, come ci sono
io, non farebbe diverso da quello che io faccio, e scaccerebbe il signor
Calisto Caselli dalla sua terra.
— Lo credo, lo credo. Ed io me ne andrei via sollecito, se non avessi
l'uso di non andarmene mai da un luogo, nel quale mi si parla con quel
piglio arrogante che voi, signor marchese, adoperate con me. —
Dopo queste parole si fece un po' di silenzio, durante il quale stettero
ambidue a guardarsi, combattuti dallo sdegno che minacciava prorompere.
Il marchese di Cardiana fu allora il primo a parlare.
— Che fate voi qui? Che cosa volete? Tutte le notti vi si vede quassù,
intento a guardare quella finestra, ostinato, importuno, come eravate a
Parigi. Credete forse che io non vi abbia veduto, colà, ronzar di
continuo intorno alla mia abitazione, seguire i nostri passi, per cercar
sempre gli sguardi della donna che porta il mio nome, nelle passeggiate,
ai teatri, da per tutto? Se io non ho potuto farvi pentire allora della
vostra audacia, perchè temevo lo scandalo, vi pensate forse che io vi
abbia concessa la impunità? Qui siete in casa mia, e state spiando
quella finestra. Aspettavate che la dama dei vostri pensieri si
affacciasse al davanzale, per gittarle un fiore o bisbigliarle una dolce
promessa?
— Badate, signor marchese! — gli rispose con piglio severo il Caselli. —
Voi calunniate la donna che porta il vostro nome. Siete un codardo.
— Bravo! — disse in cuor suo il vecchio Giovanni, a quella difesa
eloquente della sua padroncina.
Ma la sua gioia ebbe poca durata. Appunto a quelle parole, lo scudiscio
del marchese di Cardiana aveva fischiato per aria ed era andato con
impeto a percuotere il viso di Calisto.
V'ebbe allora un istante in cui Giovanni credette che que' due uomini si
sarebbero avventati l'uno sull'altro con la rabbiosa furia di due belve
sdegnate.
E infatti Calisto aveva alzato le mani e preso lo slancio; ma si
rattenne, sebbene a stento, e, con voce da cui trapelava il più fiero
corruccio, disse al suo nemico:
— Marchese! Credevo che i pari vostri non adoperassero lo scudiscio, se
non per stimolare le loro cavalcature, e per i galantuomini avessero il
coraggio di riserbare la punta di una spada, o la canna di una pistola.
— Non dico di no, — rispose l'altro con alterigia. — Io non mando
cartelli di sfida che ai miei pari; gli insolenti di più bassa levatura
uso castigarli a questo modo. Ma se volete sapere di più, eccovi
servito. Io vado quasi ogni mattina a caccia. Domani, per esempio, esco
sull'alba, e passo co' miei cacciatori da quella parte là, verso la
_Scogliera_. È un bel luogo; e c'è appunto un rialzo di terreno dove
mancano affatto gli alberi, e da dove io sto quasi sempre a contemplare
il nascere del sole, mentre la comitiva mi precede nei boschi. Ho
sempre, come ora, le mie pistole alla cintola; e se c'è qualcuno a cui
piaccia di assaggiarne....
— Basta, basta! — interruppe Calisto. — Ci sarò; non dubitate; e sarà
l'ultima levata di sole che io vi lascerò contemplare. —
Con queste parole ebbe fine il dialogo. Il marchese di Cardiana diede
una crollata di spalle alla minaccia del suo nemico, e si allontanò da
quella parte dond'era venuto; Calisto, a sua volta, si fece con passo
misurato a discendere la costiera.
Anche Giovanni aveva pensato a togliersi dal suo nascondiglio e
tornarsene al castello; ma vedendo Calisto così vicino a sè, non seppe
resistere al desiderio di parlare col signorino; epperò tenne un
sentieruolo, per cui s'andava ad incontrarlo in un tal punto, dove il
Cardiana, anco se fosse rimasto al suo posto sull'alto, non avrebbe
potuto vederli, nè udirli.
Colà giunto, con voce sommessa si fece a chiamarlo per nome. Calisto si
volse tra turbato e sdegnoso a quell'improvvisa chiamata, ma tosto
riconobbe il vecchio servitore, e allora gli si fe' incontro a sua
volta, stendendogli la mano.
— Dio mio! — esclamò Giovanni, in quella che stringeva commosso la mano
del giovine. — Che cos'è avvenuto egli mai!
— Tu hai veduto tutto? — gli chiese Calisto.
— Tutto, tutto; veduto ed udito. Oh Dio mio! ed ora Ella si batterà....
— Sì, Giovanni; ma questo è il meno, e non è da pensarci su più che
tanto. È uno dei molti fastidi della vita, e piacesse al cielo che fosse
anche l'ultimo! Ma dimmi, la contessina che fa?... —
E qui, senza neppure dar tempo alla risposta, il giovine proseguì
sollecito:
— Tu hai bene udito ogni cosa, Giovanni? Io, la contessina Cecilia non
l'ho veduta mai più, dal mio viaggio di Parigi in poi; nè più le ho
parlato dal giorno di quell'ultimo colloquio che ebbi col conte
Emanuele, qui sulla loggia del castello. Però, tu lo vedi; egli, il
marito, l'ha calunniata, quella nobilissima tra tutte le creature; l'ha
vilmente calunniata.
— Oh, lo so, signorino, lo so! — rispose con accento affettuosamente
concitato il vecchio servitore di Villa Cervia. — Ella poi fa molto bene
a chiamarla sempre la contessina. Neppur io ho potuto mandarlo giù, quel
nuovo titolo che è venuto dal suo matrimonio.
— Bravo, Giovanni! Tu dunque ti ricordi di me? Mi ami ancora un poco?
— E come no, signorino? Io non ho mica il cuore fatto come tanti altri,
io! Ella ha avuto torto a tornare; lo lasci dire a me, che ho un tantino
di esperienza, ha avuto torto. Ma, in fin dei conti, quali torti non
hanno scusa dall'amore?
— Grazie, Giovanni. Vedi, non ho saputo resistere. Non ho potuto vincere
il desiderio, la necessità di avvicinarmi a questi luoghi, a respirare
la medesima aria che ella respira. —
Qui venne una lunga conversazione, sebbene molto scucita, tra i due, in
quella che Calisto proseguiva la sua strada. Il vecchio servitore
accompagnò Calisto fino al Castagneto, dove que' buoni fittaiuoli
avevano dato due delle loro stanzucce al signorino, nel quale essi
scorgevano il loro antico padrone. Colà il giovine innamorato aveva
raccolte le cose sue, povero, senza speranze, senza un disegno formato
per il futuro, e in quella stanzuccia passava le intere giornate,
consacrando le notti alle sue tristi passeggiate fino alle spalle del
castello, e in tutti quei luoghi che gli ricordassero un saluto, una
stretta di mano, un sorriso della donna amata.
Tutte queste cose seppe Giovanni da lui, e, quando lo lasciò, per
tornarsene al castello, aveva gli occhi gonfi di lagrime, e andava
ripetendo tra sè: povero signorino! povero signorino! E questo fu il
pensiero che lo accompagnò fino al giaciglio solitario, quando, entrato
per l'uscio della cappella, di cui con provvido consiglio aveva recata
seco la chiave, si fu chiuso nella sua cameretta.
Alla dimane non potè ritenersi dal dire ogni cosa alla marchesa Cecilia.
Il marito era andato a caccia, annunziando che sarebbe tornato il giorno
dopo; e Giovanni, trovatala sola un tratto, le narrò tutto per filo e
per segno.
La marchesa Cecilia lo ascoltò con molta attenzione, interrogandolo ad
ogni momento su cento particolari; nè per allora disse altro che potesse
chiarire a Giovanni quali fossero i disegni che la tenevano sovra
pensieri.


XXI.

L'alba era appena sul rompere, e Calisto era già alla posta sul ripiano
della _Scogliera_.
Il marchese di Cardiana non istette però molto a giungere, dopo aver
detto ai cacciatori, ch'erano di brigata con lui, andassero pure
innanzi, ed egli li avrebbe raggiunti un quarto d'ora dopo, in un certo
punto del bosco.
I due avversari si videro, e appena il Cardiana fu giunto egli pure sul
ripiano, ambedue cavarono le pistole, senza scambiare una parola, e
nemmeno un saluto.
Cotesto almeno fu argomentato da due persone, le quali salivano in
fretta un sentieruolo alle spalle della _Scogliera_, ed avevano veduto,
fin da quando erano alle falde dell'erta, la persona di Calisto spiccare
là in cima come un'ombra nello spazio azzurrognolo. I due viandanti
mutavano i passi con molta sollecitudine, sperando giungere in tempo
lassù.
Da alcuni movimenti di Calisto, si accorsero che l'avversario doveva
esser giunto al ritrovo. Raddoppiarono la corsa affannosa; ma in quella
che si avvicinavano alla meta, si udì improvvisamente uno sparo. Calisto
era rimasto in piedi.
Che cosa era avvenuto? Come furono giunti anch'essi a pari del ripiano,
trovarono il Caselli esterrefatto, con lo sguardo fiso, il capo scoperto
per il moto convulsivo di una mano che era corsa alla fronte in atto di
spavento, e la pistola impugnata dall'altra. Dieci passi più oltre era
il marchese di Cardiana, disteso a terra, con la tempia forata.
Pallida, scarmigliata, anelante, la donna (imperocchè voi già avrete
inteso che l'uno dei due accorrenti era una donna, e appunto la marchesa
Cecilia, accompagnata dal vecchio servitore) giunse accanto al corpo
disteso del marito.
— Ah! gridò ella con accento disperato. — Sono giunta ancora troppo
tardi. Voi l'avete ucciso!
— Io, signora?... — rispose Calisto, e stette come uno smemorato a
guardarla. Egli non sapeva che dire; il colpo repentino, la caduta
dell'avversario, senza che egli neppure avesse montato il grilletto
della pistola, e l'improvvisa venuta della marchesa Cecilia, lo avevano
sbalordito. Quando si riebbe si avvicinò a lei, e facendole vedere la
sua pistola carica:
— Signora marchesa, — soggiunse, — vostro marito mi aveva insultato, e
ci eravamo dati la posta quassù, perchè uno di noi due non avesse a
tornarne vivo. Ma io, come vedete, non ho neppure sparato il mio
colpo....
— Che dite voi mai? —
Ma in quella che Cecilia volgeva questa dimanda a Calisto, fu udito uno
strepito di persone accorrenti, e poco stante cinque uomini armati di
tutto punto balzarono fuori dai cespugli della macchia vicina. Il primo
di costoro era un uomo dal volto truce, il quale rideva
sgangheratamente.
Calisto allora riconobbe il Bruno, il capo di masnadieri, e ne pronunziò
il nome con dolorosa maraviglia.
— Sì, il Bruno! — rispose il malandrino. — Ah voi non credevate, signor
Caselli, di trovarmi da queste parti, e vi dispiacerà che io vi abbia
vinto la mano. Ma che volete? Anche noi ci abbiamo le nostre vendette da
fare, e, poichè siamo povera gente perseguitata, abbiamo il diritto
della precedenza su chicchessia. Sicuro, bella signora, che mi guardate
con quell'aria sgomentata, come se io fossi la befana; questo signorino
che è qui sforacchiato, mi paga certi suoi amorazzi con Maddalena, una
sgualdrina la quale si era dimenticata un tantino della nostra persona,
e che noi abbiamo già trattato come si meritava.
— Bruno, — disse Calisto, — io non entro nei fatti vostri con quell'uomo
che è morto. Ma voi avete fatto assai male a vendicarvene oggi, poichè
si crederà che voi siate stato il mio complice, mentre io in quella vece
vi conosco appena per essermi imbattuto qualche volta nelle vostre
scorribande notturne.
— No, per Dio! — rispose l'altro, con quel suo feroce sogghigno. — Vi
farei troppo onore a lasciar credere che fossimo stati di balla in
questo negozio. Eravate uno spiantato a cui non si sarebbe potuto
togliere il becco di un quattrino, quando io vi ho veduto per la prima
volta. Sapevo dei vostri amori notturni da pipistrello e dei vostri
sdegni; vi ho proposto, da buon compare, di aiutarci un tratto in un
certo colpetto un po' delicato, lasciando a voi la vostra parte di
bottino, quella appunto per cui ronzavate tutte le notti intorno ad una
certa rocca munita; voi non vi siete sentito da tanto. E che cosa ne
avete guadagnato, dalla vostra dappocaggine? Un colpo di scudiscio sul
viso. Oh, io ho veduto anche questo. Il Bruno, già lo sapete, si trova
in molti luoghi, dove non lo si aspettava punto; qui verbigrazia! —
Mentre questo dialogo durava tra i due, la marchesa Cecilia, con la
fronte china, le braccia prosciolte, rassomigliava alla statua del
dolore. Vi hanno di certe donne alle quali per nessuna cosa si scema il
pregio della bellezza, anzi appaiono dieci cotanti più belle in quei
momenti di scompiglio della persona, nei quali una signora non ama farsi
scorgere dalla gente. La marchesa Cecilia, col suo viso pallido, i suoi
capelli scomposti, appariva sempre più bella, e tutti que' malandrini la
divoravano con gli occhi.
— Signora, — le disse Calisto, poi che il masnadiere ebbe finito, —
perdonatemi! Avete udito da quest'uomo a qual partito mi trovassi, e
come questo duello fosse necessario. Io, poi, non ho neppur macchiate le
mani del sangue di vostro marito; ma so tuttavia di essere come un uomo
morto per voi. Il destino ha voluto così, e sia. Concedetemi almeno
un'ultima grazia, quella di accompagnarvi fino al castello. —
Il giovane, come avrete già indovinato, parlava a quel modo per far
uscire da quelle angustie la marchesa. Ma quello che egli presentiva
avvenne; le sue parole fecero ridere da capo il masnadiere.
— Che cosa? — interruppe egli. — E le spoglie del vincitore? Ho studiato
_umanità_, io, e so che i guerrieri dei tempi antichi portavano le
spoglie.... aiutatemi a dire.... le spoglie.... basta, non mi ricordo la
parola, ma so benissimo la cosa; e queste spoglie fo conto di prenderle.
Un giorno vi ho proposto di lasciarle a voi, queste medesime spoglie;
non avete voluto, e tanto peggio per voi. —
E così dicendo, si fece innanzi per afferrare la donna, la quale, per un
moto istintivo, andò a gittarsi nelle braccia di Calisto, a cui non
aveva fino a quel punto rivolto lo sguardo. Ma così avviene in tutti i
momenti supremi della vita, che il male maggiore, il più urgente, fa
dimenticare il minore, e la giovane sventurata, che non avrebbe più mai
guardato in volto, anche amandolo nel profondo del suo cuore, il nemico
di suo marito, gli si gettò nelle braccia, chiedendo al nobile affetto
del giovane un aiuto contro gli assalti brutali di quella bordaglia.
Calisto avea già tutta considerata la gravità del pericolo, e
riconosciuta la necessità di operare gagliardo. Accolse Cecilia e la
strinse nel braccio sinistro; poi, senza dir motto, aggiustò la canna
della pistola che gli era rimasta tra mani contro il petto del Bruno, e
la palla di Calisto trapassò il cuore del masnadiere.
— Ah cane! — gridò egli, e cadde irrigidito.
Ma con la morte di Bruno non era salvata Cecilia. I quattro malandrini
che lo accompagnavano saltarono furibondi su Calisto. Giovanni,
tuttavia, non istava con le mani alla cintola. Egli aveva già adocchiata
la pistola che era accanto al cadavere del Cardiana; afferrarla, e
spararla a bruciapelo nel volto del primo malandrino che ardì accostarsi
alla sua padroncina, fu un punto solo.
Erano ancora tre gli assalitori, ed armati; eglino soli, a tempestarli
di quasi inutili colpi col calcio delle pistole scariche. Fu una lotta
terribile e disperata, degna del pennello di Salvator Rosa, se pure è
lecito in cosiffatti supremi momenti fermarsi a guardare l'effetto
pittoresco di una scena come quella che i primi raggi del sole
illuminavano sul ripiano della Scogliera.
— Uccidetemi! — gridò Cecilia a Calisto, con accento supplichevole. —
Uccidetemi, anzi che lasciarmi in balìa di costoro. —
Al giovane, quelle sconsolate parole non facevano che accrescere il
furore di quella disperata difesa. Il braccio e il petto gli grondavano
sangue per i colpi toccati dai coltelli dei tre superstiti; anche
Giovanni portava i segni sanguinosi della lotta, ed ambedue, più feroci
che mai, rispondevano agli assalti, senza sperare di trarre a salvamento
la sventurata Cecilia.
I malandrini, ai quali premeva di avere la donna, non avevano ancora
messo mano alle pistole, e continuavano a lavorar di punta, certi che
quella resistenza era sul punto di finire. Ma essi avevano fatto i conti
senza quella brigata di cacciatori che accompagnavano il marchese di
Cardiana, e che, non vedendolo giungere, si erano rifatti sui loro passi
per andarlo a cercare. Costoro udirono i colpi di pistola; ma, lontani
com'erano, giunsero in tempo appena per guastare il disegno a quei tre
ribaldi.
All'improvviso apparire dei cacciatori, questi ultimi dovettero darsi
alla fuga, non senza aver dapprima sparate le loro pistole sulla preda
che sfuggiva loro di mano.
Guardatevi dalla freccia del Parto fuggente! dicevano gli antichi.
L'ultimo colpo dei masnadieri fu per la bellissima donna. Invano, al
giungere dei cacciatori, Calisto e Giovanni respirarono, e invano si
volsero a consolare la vedova marchesa di Cardiana. Ella pareva svenuta,
e così a prima giunta credettero che fosse; ma il sangue, che le
gocciava dal seno poco sotto la clavicola, li fece accorti della
tristissima verità.
Dirvi qual senso facesse quella vista sull'animo loro, è inutile; chè
voi di leggeri argomenterete essere stato un momento di terribile
angoscia per ambedue. Sgomentati, immemori delle loro ferite, si tolsero
la donna morente fra le braccia e presero la via del castello.
Quei due uomini, i soli che avessero veramente e profondamente amata la
castellana di Villa Cervia, quantunque di un amore tanto diverso l'uno
dall'altro, erano stati i soli a difenderla; erano i soli a
trasportarla, muti ed anelanti, affratellati in un medesimo dolore, in
una medesima speranza. E la speranza indovinerete qual fosse: era la
speranza che quella divina creatura non avesse a morire.
Io non vi starò a descrivere con quanto disperato dolore fosse accolto
il mesto corteo dal conte Emanuele. Ricordo lo scultore greco che finse
un velo sul capo di Agamennone, quando ebbe ad effigiarlo testimone del
sacrificio della figlia.
La sventurata donna fu adagiata sul suo letto, e il padre gli stava
accanto, interrogando dello sguardo il medico del paesello, chiamato in
fretta a Villa Cervia. E come seppe che non c'era più speranza di
salvarla, il povero padre rimase immobile e triste a vedersi, come un
tronco d'albero percosso dalla folgore.
Appena ebbe ricuperato i sensi, Cecilia chiese del suo difensore, che fu
introdotto, lacero, insanguinato e cadente com'era. Calisto non parlava,
non piangeva, non muoveva neppur gli occhi; pareva, ed era infatti,
istupidito da tutte le repenti scosse di quella fiera catastrofe.
Cionondimeno, alla vista della moribonda, che egli aveva così fortemente
amata, gli scintillarono gli occhi, e corse a buttarsi ginocchioni al
suo capezzale.
Cecilia gli rese grazie del suo ardimento, e lo pregò che si calmasse;
egli non essere cagione della sua morte, bensì il disegno da lei fatto
di correre alla Scogliera, nello intento di impedire il duello. Poi gli
chiese perdono per tutto ciò che la casa sua gli aveva fatto patire, e
che ella sentiva di essere chiamata ad espiare con la sua morte.
La poveretta si moriva, ed era lei che consolava i viventi! Al padre che
si pentiva amaramente, tra i singhiozzi e le carezze disperate di non
averla fatta contenta, lasciando in disparte i pregiudizi sociali, ella
rispose dolcemente:
— Non vi dolga, padre mio, di quello che è stato fatto. Così ha voluto
il cielo. Voi avete operato come un buon padre il quale intende di
provvedere alla felicità dei suoi figli. Io ho amato quest'uomo senza
dirvelo; ecco la mia colpa; e l'amo ancora adesso; ma adesso non è più
colpa, poichè sono sul punto di morire. —
Furono le sue ultime parole. La bionda castellana di Villa Cervia spirò,
dopo aver ricevuto il bacio ultimo di suo padre, ed il primo di Calisto
Caselli.
Questi mise un grido disperato appena fu morta; poi non parlò più, non
pianse, non diede altro segno del suo dolore. L'infelice era impazzito.


XXII.

Qui il bravo don Luigi, parroco di M...., pose fine al suo racconto, che
inumidì più volte le ciglia al dotto carabiniere.
— Voi narrate con un garbo meraviglioso, — diss'io, — e nel correre del
vostro discorso vi dimenticate perfino.... scusate....
— Che cosa? Vorreste dire che mi dimentico di esser prete?
— Non dico già questo; ma mi parete uomo da aver fortemente sentito gli
affetti, e lo fate nobilmente scorgere a chi vi ascolta.
— Eh, figliuol mio, — rispose con molto candore il parroco, — tutti
contiamo le nostre; ora io faccio il prete e tiro innanzi. Mi saranno
forse uscite di bocca delle massime poco ortodosse; altre faranno a
calci con certune che professo di presente; ma voi, che capite certe
stranezze del cuore, le metterete sul conto della umana natura, della
quale ha sentenziato Sallustio....
— Lasciamo Sallustio nel suo scaffale, — interruppi io, — e narratemi
invece dove andò a parare il mio povero Calisto.
— Calisto? Non ve l'ho detto? era impazzito. Il conte Emanuele, pochi
giorni dopo, lasciò il castello, e si ridusse a vivere gli ultimi anni
della sconsolata sua vita in Torino. Il povero pazzo, che non aveva
tetto nè letto, fu ricoverato presso gli Scolopii di Carcare, dove
attendeva ad umili uffici. Per lunga pezza stette tranquillo, e, salvo
l'ostinata sua taciturnità, non mostrava quasi di aver perduta la
ragione.
Ma venne un giorno che i gravi sintomi di una monomania religiosa si
manifestarono in lui; e fu allorquando egli narrò pubblicamente di
essere stato l'amante riamato di santa Cecilia, vergine e martire. La
cosa, come potete facilmente credere, fece chiasso, e se n'ebbe a
commuovere tutto il collegio.
Che eragli avvenuto? Lo seppe, o per meglio dire, lo indovinò il
rettore, quando si fu accorto che da mesi parecchi il Caselli non aveva
altro in mano che le _Vite dei Santi_ e non leggeva altra vita che
quella di santa Cecilia.
Era questo il nome della sventurata Castellana di Villa Cervia, e
l'epiteto di santa lo aveva avuto dalla immaginosa riverenza di quei
terrazzani. Lascio pensare a voi come quel poveretto, che aveva il
cervello in volta, si mettesse tutto quanto in quella lettura, fino al
segno di confondere la martire cristiana con la donna uccisa nelle sue
braccia.
La sua pazzia, come vedete, seguiva un indirizzo più certo che non
quella di tanti altri sventurati, i quali si son fitti in capo di
essere, quale il Padre Eterno, quale lo Spirito Santo, Napoleone, o
Carlomagno. E Dio sa che faticoso lavoro si facesse in quell'anima
ottenebrata; che lenta cristallizzazione di concetti, per giungere fino
a quella creazione fantastica che egli vi ha narrata in Genova! Il
Cardiana diventò Valeriano; la contessina una martire del cristianesimo;
il Bruno s'ingigantì e si scempiò nei due personaggi di Almaco e di
Trebazio; l'organo e il cembalo furono il nesso logico, o, se vi piace,
illogico della sua mesta allucinazione.
Il Caselli stette qualche anno a Carcare, e pareva risanato. Di tratto
in tratto si rifaceva da capo con la narrazione; poi ricadeva nello
scemo. Un bel giorno volle andarsene via, e seppi più tardi che si era
dato a girare il mondo con un certo suo arnese sgangherato in forma di
cembalo. Il resto lo sapete voi.
— Poveretto, — dissi io, asciugando una lagrima. — Egli è più sventurato
di tutti gli altri che non sono più; imperocchè egli vive e porta il suo
dolore, assiduo compagno, adagiato, come un despota solitario, in quella
parte di sè, dove prima albergava la ragione. E così Dio voglia metter
fine ai suoi mali, come egli ha diritto a riposarsi, dopo tanti
travolgimenti affannosi.

FINE.