Ricordi d'infanzia e di scuola - 22

Questi, quasi fuor di sè, rispose balbettando. Disse com'eran venuti
là, per impedire ai loro padri di battersi, e come avevano scavalcato
il muro, incrostato di scheggie di vetro. Nell'afferrarvisi, Arturo
s'era ferito al polso. Non se n'era accorto subito. Poi, correndo a
traverso al giardino, sentendosi mancar le forze, aveva scoperto la
ferita; aveva perduto molto sangue; era caduto là, fra le sue braccia.
— Dottore! — gridava intanto il Pironi, — dottore, me lo salvi!
Il dottore, che aveva esaminato il braccio e lo stava fasciando,
lo rassicurò, dicendo, che era stata ferita l'arteria radiale, ma
leggermente, che il compagno, comprimendola, aveva arrestato in tempo
l'effusione del sangue, e che non c'era pericolo.
Ma il Pironi, invaso dallo sgomento, non vedendo il figliuolo dar segno
di vita, non gli credette, e gridò più affannosamente: — Mi muore! mi
muore! ma non lo vede che mi muore?
— No, — rispose il medico, avvicinando alle nari del ferito una
boccetta, — ecco che rivive.
Arturo aperse gli occhi, riconobbe suo padre, gli sorrise, e alzando il
braccio illeso fece l'atto di mettergli la mano sulla spalla.
Il padre gettò un grido di gioia e gli coperse la fronte di baci,
singhiozzando.
— Babbo —, mormorò Arturo appena potè raccogliere la voce —, è
stato Carlo.... Io ero caduto per la strada..., mi rialzò, mi fece
coraggio.... È lui che mi ha tirato su pel muro.... Senza di lui
non sarei qui.... Egli m'ha fermato il sangue.... È lui che ha fatto
tutto....
Il Pironi alzò il viso verso Carlo, che gli stava ritto al fianco,
lo fissò negli occhi, e gli disse: — Tu sei un uomo! — e lo baciò sul
cuore.
Poi balzò in piedi, raccolse la sciabola che aveva buttata via, e
voltatosi verso il Bussi, che stava immobile a pochi passi, gli disse
con un accento risoluto, che discordava dallo sguardo, sfavillante di
gratitudine per il suo figliuolo:
— Son pronto!
— Io pure! — rispose fieramente il Bussi, e gettò la sciabola a terra.
Il Pironi gli s'avventò al collo, e mentre s'abbracciavano, gli disse
nell'orecchio: — Dimentica! — Poi, svincolandosi, a voce alta, perchè
tutti sentissero: — Perdonami!
Pochi minuti dopo, il ragazzo ferito, sorretto sulle braccia dai due
padri, sulle cui spalle appoggiava le mani ancora insanguinate, facendo
fra l'uno e l'altro come un vincolo vivo, e il suo bravo compagno,
sollevato anch'egli da terra, in sogno di festa, da due padrini,
furono portati alle carrozze, fra gli applausi e gli evviva, come in
trionfo....
. . . . . . .
Ma l'avvocato Pironi non doveva arrivare a casa senz'aver provato un
nuovo affanno. Nella carrozza, dove entrarono il Bussi e il medico
con lui e con Arturo, questi, dopo esser rimasto un pezzo assopito,
ridestatosi, volle rispondere a tutte le domande che gli eran rivolte,
e s'affaticò per modo che, nel punto che stavano per sboccare da via
Sacchi sul corso Vittorio Emanuele, ebbe un leggero deliquio. — Che
cos'è questo? — domandò il Pironi spaventato. Era debolezza. Il medico
consigliò un cordiale. Il Pironi gridò: — Ferma! — La carrozza si fermò
all'angolo del caffè Mogna. Dissero tutti e tre insieme: — Un cognac?
— Del vino chinato? — Un Marsala? — Arturo aperse gli occhi languidi e
mormorò sorridendo: — No.... un gelato di crema.
Poi soggiunse, richiudendo gli occhi: — Doppio.