Ricordi d'infanzia e di scuola - 10

si mise a picchiar botte da orbo sul banco, come se fosse irritato
dalla mia presenza. Mi ricredetti subito, peraltro. Era quella una
delle sue _bambole infrangibili_, benedette dai padri di famiglia, ed
egli ne faceva quel mal governo per provarmi l'invulnerabilità delle
sue creature.
Poi, alzando le sottanine alla bambola, mi fece osservare come fossero
ben riprodotte le forme anche delle gambe; ciò che una volta non si
faceva. Erano due belle gambe, infatti, ma di donna, non di bimba; anzi
così bene imitate che l'atto del Bonini sarebbe potuto parer disonesto.
E prese a discorrere familiarmente. Riconobbi subito l'artista al
modo con cui mi raccontò, colorandosi in viso, come egli e sua moglie
avessero fatto un viaggio a Parigi per visitare i grandi magazzini
di bambole, e _rubare_ — è la sua espressione — _con gli occhi_.
Scopersi poi sotto l'artista il filosofo quando, dicendomi che le
mamme preferiscono le bambole “vestite da bimba„ a quelle “vestite da
signora„ perchè queste “svegliano nelle ragazze delle idee ambiziose„
fece un fine sorriso, che voleva dire evidentemente: — Ha capito?
Lei credeva forse che fosse il lusso delle mamme quello che sveglia
l'ambizione nelle figliuole.... Si disinganni; è il lusso delle
bambole. —
Conosciuto l'uomo, decisi di fare un interrogatorio minuto, tanto
più che, piovendo, non si era disturbati dagli avventori. La grande
affluenza, del resto, è dopo mezzogiorno, e sopra tutto in dicembre,
sotto Natale. Allora la bottega è affollata dalla mattina alla sera,
il numero raddoppiato dei commessi basta appena al servizio, son
tutti costretti qualche giorno a far di meno della colazione, e dopo
chiusa la bottega, il lavoro dura ancora nel laboratorio, dove molte
ragazze passano le notti intere ad allestir corredi straordinari; e si
succedono così le giornate fra un tal rimescolìo e una tal confusione
di bambole e di bimbe, di vocine naturali e di vocine meccaniche, di
braccini di carne e di braccini di legno, gesticolanti ad un tempo,
e d'occhietti viventi e d'occhietti di vetro luccicanti da tutte le
parti, che in qualche momento, dice il Bonini, stanco di corpo e di
mente e come preso da un'allucinazione, egli è sul punto di confondere
la merce con la clientela, di rivolger la parola a una puppattola e di
dar la corda a una signorina.
*
— In tanti anni — gli dissi — avrà potuto fare sulla sua clientela
molte osservazioni preziose.
Sì, ne fece molte e curiose. La prima è che, rispetto alle bambole, le
clienti si possono dividere in tre famiglie: quelle che le desiderano e
le amano moderatamente, le appassionate ardenti, e quelle indifferenti
o quasi, o per precocità d'altri gusti o per apatìa di natura.
Quest'ultime, però, sono assai rare.
E corrugando le ciglia, dopo un breve silenzio, come per interporre
uno spazio, che impedisse il sospetto d'un accordo interessato tra il
fabbricante e il filosofo, soggiunse: — Difficilmente queste riescono
buone madri.
— Anch'io lo credo, — risposi, e stavo per citare sbadatamente il
proverbio “chi non ama le bestie non ama i cristiani„, ma tacqui perchè
mi parve un'offesa all'arte.
— Lei dovrebbe vedere, — rispose il Bonini, — è un divertimento. — E
parlò delle “appassionate„. Ce n'è di quelle che entrano nella bottega
con la febbre, che prorompono in grida di ammirazione, in esclamazioni
di gioia, in risa, in trilli di piacere, da parer che ammattiscano.
Alcune, non di meno, si mostran poi ragionevoli, si contentano o,
meglio, si rassegnano a _quella_ che conviene alla borsa del padre o
della madre. Ma altre no, e fanno scene di tragedia, singhiozzando e
pestando i piedi, fino a buttarsi sul pavimento e a rivoltolarvisi,
menando in aria le _piote_, come frenetiche. — Ma anche quelle che si
rassegnano, se vedesse che sguardi lanciano alle bambole a cui debbono
rinunziare; sguardi d'amore, sospiri, se sentisse, addii, col capo
rivolto indietro, con certe espressioni di tenerezza e di struggimento,
che nessuna attrice drammatica sarebbe capace di rifarle. Mi fa pena a
vederle, qualche volta, glie l'assicuro.
Fra le “appassionate„ poi, v'è una “categoria„ particolare,
interessantissima. Son le dignitose che entrano col manifesto proposito
di dissimulare la propria passione. E a parole si mostran tranquille,
non spiccicando che monosillabi, non esprimendo con la voce nè
curiosità nè meraviglia: a chi non le osservi bene posson parere quasi
indifferenti. Ma tremano e fremono, si fanno pallide e rosse, schizzano
scintille dagli occhi, e al momento di metter la mano sulla bambola
desiderata e ottenuta, ma non sperata, quasi tutte si tradiscono.
Bisogna veder le mosse, lo slancio con cui alcune se ne impossessano e
se le serrano al petto: tigrette affamate che abbrancano la preda. — E
non vogliono a nessun patto che io mandi loro la bambola a casa: se la
vogliono portare da sè, anche se è pesante, a braccia incrociate, viso
contro viso, girando gli occhi diffidenti, scansando ogni bimba che
incontrano per la strada, “per paura di un colpo di mano„.
E le astute! Anche queste fanno delle scenette impagabili. Ce n'è delle
piccolissime che hanno già la finezza di fingere di non capire che
una certa bambola sia più cara d'un'altra, e cercan di dare alla loro
scelta una ragione diversa dalla vera, che paia anche una prova della
loro gentilezza di cuore: non vogliono quella tale perchè è più grande
e meglio abbigliata; ma perchè _ha l'aria più buona_. Altre credono
di pigliare all'amo i parenti con certi sotterfugi di un'evidenza
comicissima: vogliono una bambola da trenta lire, per esempio, invece
di una da cinque; ma quella si contentano di prenderla in camicia,
mentre questa è vestita; perchè c'è compenso, secondo loro. E bisogna
sentire qualche altra, quando la mamma, mentre contratta una bambola
già quasi accettata, cerca, movendosi, di non lasciargliene vedere
una più cara, che potrebbe far rifiutare la prima, bisogna sentire con
che tuono le dicono: — Eh, mamma, non serve che tu ti metta in mezzo:
l'ho già vista. Tu cerchi di pararla perchè costa di più. Ah, vedi che
diventi rossa! Ebbene, è quella lì appunto che io voglio. —
Fra le astute ci sono le ostinate impassibili, che sono un “genere„
tremendo; ed hanno tutte un procedimento uguale, come se l'avessero
imparato tutte da una sola. Si vede alle volte una intera famiglia,
disposta in cerchio intorno a una bimba alta un palmo, scalmanarsi
un'ora inutilmente, con le buone e con le brusche, per indurla a
cedere; e quella rimane là in mezzo immobile, incocciata a volere la
bambola preferita, dura e muta come un paracarro. Conosce i suoi polli,
ha fatto i suoi conti; sa per prova che, a tener duro, la spunterà,
senza darsi l'incomodo di piangere e di strepitare: le basta tacere
e non muoversi, respingendo a colpi di gomito ben assestati le mani
carezzevoli che tentano di posarsele sulle spalle per rabbonirla.
Non c'è che pigliarla in braccio e portarla via come un pacco. Ma le
bimbe che fanno così hanno dei parenti incapaci di quegli atti eroici.
Falliti i negoziati e sciupate le minacce, il padre o la madre finisce
con rassegnarsi e munger la borsa, con la magra consolazione — qualche
volta espressa a voce alta — di pensar che la sua figliuola _è un
carattere_.
Domandai al Bonini che parte egli rappresentasse in questi piccoli
drammi. — Una parte odiosa, — rispose sorridendo, — quasi sempre. — E
mi raccontò un fatterello divertente. Anni fa, gli venne in bottega,
con la mamma e una zia, una bella bimba, una ricciolina bruna, di
quelle “tragiche„; la quale fece tali furie perchè non le volevan
comprare una bambola delle più care, si mise a strillare e a dimenarsi
con tale frenesia, che la madre, sgomenta, affannata dal timore che
le pigliassero le convulsioni, si diede a gridare quasi piangendo: —
Dio mio! Che cosa fare! M'aiuti lei! Trovi qualche modo! — E il Bonini
trovò: agguantò la bambola desiderata, corse in fondo alla bottega,
fece mostra di ravvolgerla in un panno, dove mise invece quella scelta
dalla signora, ingrossando il volume con una dozzina di giornali, legò
l'involto traditore in fretta e in furia, e portatolo alla bimba, le
disse: — Prenda, se la porti a casa, aggiusteremo i conti un'altra
volta. — Ah, buon Dio! — esclamò; — seppi poi quello che era accaduto
a casa, all'apertura dell'involto: una tempesta, un inferno tale, caro
signore, che ebbi rimorso dell'opera mia.
— E poi? — domandai.
— E poi.... La bimba è tornata qui altre volte.... Da anni non ci
vien più, è una signorina da marito, la vedo qualche volta passar per
via Roma: ebbene, lo vuol credere? Lo capisco dalle occhiate che mi
tira.... Non mi ha ancor perdonato!
Gli domandai fino a che età venissero le ragazze a comperar bambole.
Sorrise, e rispose sottovoce: — Alcune vengono fino a un'età....
incredibile. — E si mostrò osservatore fine ed artista parlando
del come certe ragazze grandi si presentano, nelle ore che non c'è
nessuno, un po' impacciate, con due rose vive sulle guance, sorridendo
e vergognandosi a un tempo: graziosissime, veramente. E qualche volta
egli s'avvede benissimo della commediola concertata che recitano
insieme, per salvare la dignità, la figliuola e la mamma; le quali
esaminano la merce discorrendo fra loro come se la compera fosse
destinata ad una sorella più piccola, di cui non esiste l'effigie.
Quante ne ha viste passare in ventidue anni! Quante ne riconosce
ancora, che hanno preso marito e son madri! Per alcune, tra l'ultima
bambola che comprarono per sè e la prima che vengono a comperare per la
loro bambina, non passano che cinque o sei anni. Vedendole comparire,
dopo qualche tempo, con una governante che ha un batuffolo in braccio,
gli par che vengano a restituire l'ultimo acquisto che hanno fatto
nella sua bottega. Qualcuna gli dice scherzando: — Quando le comperavo
per me, non tirava i prezzi a questo modo. — E spesso egli vede la
bambina far le medesime scenate che fece la madre, e quando questa le
dice: — Ma che modi son questi? Ma non hai vergogna a farti sentire?
Ma non vedi che tutti ti guardano, ecc. — si ricorda che eran proprio
quelle stesse parole che la nonna diceva a lei, pochi anni addietro,
e proprio sulle stesse pianelle del pavimento, e con lo stessissimo
frutto; e ha buona speranza di veder ancor ripetere la scena dalla
bambina presente con una bambina futura.
*
Di un gran numero delle sue clienti serba i nomi in un registro
“a figlia e matrice„ dove sono segnate le riparazioni da fare
alle bambole: poichè egli non è meno rinomato raccomodatore che
fabbricatore, e fa l'agevolezza del pagamento cumulativo in fin d'anno,
come i medici. Diedi un'occhiata all'ultimo libro: in poco più d'un
anno quasi tremila riparazioni: è un bel rompere. Si trovano in quei
fogli i nomi d'un gran numero di famiglie note dell'aristocrazia,
dell'alta industria, dell'alta finanza e della politica, e le
registrazioni sono fatte in modo che, a legger quel libro altrove,
senza sapere a chi appartiene, si fremerebbe d'orrore e di pietà, e
si riderebbe anche cordialmente. Figuratevi! — Signorina A. B. _le
gambe rotte_ — Contessa S. D. R. _perduti gli occhi_ — Marchesa D. O.
T. — _una parrucca_ — Signora E. Z. — _cambiarle le calze_; e avanti
così. A una baronessa va _rinnovato il meccanismo_, un'altra signora
ha _perduto la voce_, un'altra _ha perduto la testa_. Ma in realtà non
c'è da ridere, perchè molte delle clienti vengono a portar la bambola
con gli occhi ancora lagrimosi, addolorate come d'una disgrazia vera,
e, lasciandola, fanno raccomandazioni su raccomandazioni, con voce
commossa, come la madre al chirurgo che deve operare il figliuolo.
E la sala delle operazioni è là presso, tutta ingombra di ferri, di
pinze, di fili, di piccoli congegni per tener unite le membra avulse,
di boccette di colori per ritingere i visi slavati, di vasetti di
pasta per curare le scoriazioni e le piaghe; e vi si vedono sui
tavoli, sulle seggiole, sul davanzale delle finestre, buttate in
tutti gli atteggiamenti, grandi bambole nude, con le capigliature
tragicamente arrovesciate, con “gli occhi mobili„ stralunati, con
le “bocche parlanti„ spalancate, le une cieche, le altre zoppe, le
altre mutilate, teste separate dal busto, tronchi con le braccia tese,
braccia e gambe disperse; uno spettacolo orrendo, che mi ricordò un
cert'antro fantastico di _Jack lo squartatore_, visto in un baraccone
di Piazza Vittorio Emanuele, nel carnevale passato. Ma v'è in un angolo
un cassone che dà anche meglio l'idea di tutti gli strazi che possono
fare di un simulacro fragile di corpo umano quegli artiglietti così
industriosi e pazienti nel lavoro di distruzione che son le manine
fanciullesche eccitate dalla curiosità istintiva dell'anatomia del
giocattolo: un cassone che vi richiamerebbe alla mente il carnaio
della casa di Sédan, descritto dallo Zola, dov'era ammucchiato tutto
quello che cadeva dalle tavole d'operazione del dottore Bouroche. È
una miscela miseranda di pezzi di cranio, di mezze facce, di occhi
divelti, di frammenti d'arti superiori e inferiori, di manine e di
piedini recisi, e di nasetti staccati e di chiome bruciate, che fanno
pensare a mille accidenti domestici e pianti e dolori e scenate e
diverbi coniugali conseguenti.... — Sei tu che l'hai avvezzata male. —
Ma se ha il tuo carattere per l'appunto! — Non è il mio carattere, è la
tua educazione. — Ma come?... — Ma certo!... — Ah, che esistenza, Dio
mio!...
*
Merce ve n'è da contentare il bel sesso di tutte le scuole elementari
della penisola: cassetti sopra cassetti, casse dietro casse, strati
sopra strati, collegi, folle, generazioni di bambole; e poichè le
straniere, per scemar le spese della dogana, che prende due lire il
chilogramma per le bambole intere, si fanno venire divise in due, e
anche le indigene, per occupar meno spazio, si dividono, così ci sono
casse piene di corpi senza testa, e casse piene di teste scompagnate,
in modo che le clienti possono metter la testa che vogliono sul corpo
che loro piace: operazione che scongiurerebbe tanti guai se si potesse
fare nei matrimoni! E poichè pagano di meno le teste senz'occhi, ci
sono casse piene di teste con le occhiaie vuote e casse piene d'occhi
di tutti i colori, che, al levar del coperchio, vi fissano in viso
cento sguardi interrogatori, come stupiti della luce improvvisa. E
poi ancora scatole sopra scatole piene di piccole capigliature bionde,
brune, castagne, arricciolate, increspate, ondulate, incipriate, che
danno l'immagine di tanti cofanetti di don Giovanni, contenenti le
ciocche delle cento belle sedotte. Ma quelle cassette di teste, con
quei cartellini scritti a grossi caratteri, quanto fanno pensare di
più! Ce n'è tanta varietà quanta ne può offrire una Camera di deputati:
_Teste di legno — Teste di ferro — Teste di cera — Teste infrangibili
— Teste piccole — Teste grandi — Teste fini_.... — E v'è accanto a
questo un altro grande compartimento, quello delle marionette, che sono
pure una “specialità„ del Bonini; altri scatoloni innumerevoli, con
certi strani accoppiamenti di nomi sulle etichette, come _vecchie e
streghe — monache e diavoli — fantasmi e garibaldini_, — e fra le più
appariscenti, tre scatole che si toccano, su cui è scritto: — _dottori
— assassini — sindaci._ — E poi bambole da capo, il compartimento
dei corredi, dove sono maraviglie di piccolissime calze di tutte le
tinte, con legaccioli che paiono anelli da dito, di camicine trinate,
di ombrellini, di manicotti in cui non entra il mignolo, di piccoli
corredi compiuti, che costano lo stipendio d'un anno di molti maestri
elementari del regno d'Italia; e poi il magazzino delle stoviglie
da tavola e da lavamani, che un tempo venivan tutte di fuori e ora
si fabbricano con molto gusto e a mite prezzo a Laveno; e in fine
la sezione dei mobili, dove ai prodotti di fabbrica sono frammiste
tavole e seggiole minuscole, fatte pazientemente a mano da lavoratori
solitari, da giovani artisti senza impiego, e anche da vecchi servitori
dello Stato pensionati e cavalieri, che, serbando l'incognito, si
guadagnano con quei gingilli il tabacco da naso.
*
Il Bonini mi mostrò le bambole più belle, chiomate e vestite, chiuse
in una scatola, e le scoperse come fa con le piccole clienti, levando
il coperchio con un gesto rapido e presentando la scatola ritta, in
modo che la bambola apparisca tutt'a un tratto, come sur un uscio
spalancato, in tutta la sua virtù seduttrice. E si capisce come, così
presentate, facciano colpo. Alcune appariscono con un braccio teso,
come per porgere la mano alla compratrice; altre con un piede alzato,
come per slanciarsi verso di lei; questa con la testina inclinata
da una parte, come per vezzo; quella con gli “occhi mobili„ voltati
in su come se dicesse: — Sia ringraziato il cielo! Son libera! —
E altre ancora in atteggiamenti drammatici, tutte con quel visetto
fatto a pesca, con quella bocca a botton di rosa, con quegli occhi
grandi e freddi di damine senza cuore e di _cocottes_ senza pensieri.
E vedendole così passare pensavo al loro diverso destino, ai mille
scopi diversi con cui sarebbero state comprate. — Per questa, forse,
la compratrice è già per la strada, gongolante, e sarà qui a momenti;
per quella, o sta per nascere o non è ancor concepita; e quest'altra
apparterrà a una bambina che, per ottenerla, sta stillandosi il
cervello sull'aritmetica e sulla geografia. E quante serviranno a
strappare il consenso all'estrazione d'un dente o alla trafittura degli
orecchi per le piccole búccole! L'una dormirà la notte di Natale sotto
un cuscino da letto, l'altra la sua prima notte libera sulla strada
ferrata, e parecchie saranno regalate alla figliuola per ripagare d'un
favore il babbo, o serviranno a distrarre la bimba mentre il donatore
parlerà nell'orecchio alla mamma. Ed altre son destinate a rallegrar
la convalescenza di piccole inferme, e forse più d'una ad esser pôrta,
soffocando i singhiozzi, da una madre desolata, ultimo conforto a
una malattia senza speranza, e a cadere un giorno dalla piccola mano
scarnita, e a spezzarsi sul pavimento nel punto che la sua mammina
adottiva chiuderà gli occhi per sempre. E quante carezze amorose,
quante parole gentili, quanti teneri baci avranno questi corpicini
insensibili, quanti piccoli cuori palpiteranno contro questi brevi
petti pieni di tritura di sughero, su quante innocenti e soavi nudità
premeranno queste fantoccie i loro labbruzzi freddi di porcellana,
strette fra due braccini candidi e scaldate da un alito odoroso,
dentro un lettuccio visitato da sogni azzurri! — Eh, sì; ma molte
si buscheranno anche delle pacche secche, poichè è sempre in vigore,
m'immagino, quel bell'uso materno, così sapientemente educativo, di
consolar la bimba che cade picchiando la bambola ch'essa ha fatto
cadere con sè; e poi perchè.... _où il y a des femmes il y a des
claques_, come dice il proverbio dei nostri amici.
*
Vidi infine le rarità: prima fra queste una piccola montanara di
Varallo, dove nacque il “re delle bambole„, vestita di tutto punto come
le sue compaesane vive, con quei ricami variopinti, che paiono mazzetti
di fiori, con quei calzoncini di panno nero, con quelle treccie solide,
con quegli ori antichi: una bella maschiotta bionda, che costò al
Bonini e a sua moglie mesi di lavoro, e fece furore all'Esposizione
di Palermo; per il che è conservata in bottega come una gloria di
famiglia. — Questa non si vende, — mi disse l'autore de' suoi giorni.
Infatti, aveva un'aria onesta. Ma le altre “rarità„ che rappresentano
contadine sarde, romane e napolitane, si vendono; ed è curioso che
sono quasi tutti viaggiatori stranieri quelli che le comprano, non
come giocattoli, ma come esemplari di vestiari italiani, per non
comprare un quadro del Michetti, del Quadrone o del Corelli; facendo
così una economia non disprezzabile. Domandai al Bonini se avesse delle
bambole col fonografo dentro. Mi rispose che n'aveva avute; ma che non
ne possedeva più. — Il modello che avevo fatto venire — soggiunse —
cantava una strofetta francese e poi faceva una risata.... Ma sa, di
quelle risate sguaiate, da canzonettiste parigine, che in una famiglia
per bene fanno un brutto sentire.... — Bambole corrotte, — osservai; —
ha fatto bene a farle fuori, perchè.... basta alle volte una sola anche
in un grande magazzino.... — Ed ero sul punto d'aggiungere: —.... per
guastare tutte le altre, — ma rinvenni a tempo dalla mia distrazione e
fermai al volo lo sproposito.
*
Ma ora viene il meglio, un vero _finale_ da teatro. Stavo ancora
amoreggiando con la bella varallese, quando mi vedo buttar sul banco
una grossa bambola che agita le braccia e le gambe, gnaulando, come un
bimbo in culla, con una tale apparenza di vita, che mi desta quasi un
senso di ripugnanza. Mentre sto in ammirazione di quello sgambettìo,
sentendomi toccare una polpa, guardo giù, e vedo un'altra puppattolona
con la veste lunga, che mi fa intorno un giro di valzer. Non mi sono
ancora scansato, ed ecco un'altra bambola enorme, che alterna dei passi
sul pavimento, tenuta per le mani da un commesso, tale e quale come
un bimbo che impara a camminare. Un'altra bambola tanto fatta, nello
stesso tempo, mi viene incontro sul banco a passi risoluti, diritta,
gettando delle strida di galletto, come per domandarmi qualche cosa,
e, voltandomi a un leggero rumore, vedo dall'altra parte un'altra
fantocciona paffuta, in camicia, che succhia il poppaiolo a tutta
forza, come divorata dalla fame. Non so dire lo strano senso di stupore
e quasi d'inquietudine che provai in mezzo a quell'inaspettata eruzione
di vita artificiale, accompagnata da un ronzìo sordo di congegni
nascosti, somigliante ai borborigmi dei bimbi malati; tanto che mi
parve ad un tempo di trovarmi al teatro Regio a una scena del ballo
_Puppenfee_ e in una sala della Maternità in un momento di scompiglio.
E non badai a pregare il Bonini di non dar la corda ad altri automi, e
lasciai che dèsse un secondo giro anche ai primi, così che finii con
trovarmi in mezzo a un girìo e a uno sbracciamento di corpiciattoli
e a un concerto di miagolii, di gemiti e di strilli, che mi facevano
voltare in fretta di qua e di là, quasi inconsciamente, come se
m'avessero chiamato per nome da cento parti. Ma all'improvviso mi prese
un dubbio, che mi fece subito scrutare i miei sentimenti e interrogar
la coscienza, quasi diffidando, con curiosità viva ed attenta.... E
dissi tra me: — Come?... Sarebbe vero?... dopo quasi un mezzo secolo?
— Ed era proprio vero. — _Oh rossor!_ — come dice l'Alfieri — O vecchio
rimbambito! Insomma.... mi divertivo.
*
E scappai fuori per non cedere alla tentazione di comprare. Ma per
un pezzo, per la strada, non potei staccare il pensiero da quanto
avevo veduto, perchè la vista dei passanti, invece di distrarmi, mi
riconduceva la mente a quello spettacolo. Ed era ben naturale, tante
son le rassomiglianze che corrono fra questo bel mondo e la bottega del
signor Bonini! Persone senza il capo sulle spalle, occhi fissi che non
vedono, bocche aperte che non mangiano, e crani vuoti e facce pitturate
e parrucche, se ne vedono a ogni passo. E i bei visetti a prezzo fisso,
e i personaggi di gomma elastica, e gli uomini che hanno nel ventre
il principio motore d'ogni passo e d'ogni atteggiamento, e le donnine
eleganti che non hanno in corpo che tritura di sughero, non si contano.
E se son rare le creature femminine _infrangibili_, quanti non sono
gli uomini pubblici che s'agitano e gridano per un'idea, soltanto
fin che dura la corda che ha dato loro il padrone, e quanti i poveri
disgraziati che delle manine di bimba carezzano e spezzano per un
capriccio, e quante le belle signore che ballano il valzer allegramente
mentre il bambino abbandonato succhia del latte di vacca freddo da una
mammella di vetro!
E v'è anche questa rassomiglianza, che come delle accomodature delle
bambole malmenate dalle bambine non sono queste che fanno le spese,
così avviene quasi sempre nel mondo degli uomini, che rompono gli uni e
pagano gli altri.


UN PICCOLO TEATRO CELEBRE.

Vidi una domenica, nella via Principe Amedeo, verso le tre dopo
mezzogiorno, un concorso straordinario al teatro dei fratelli Lupi,
dove si rappresentava _Le sette meraviglie del mondo_. La ressa era
tale che s'eran dovute mettere due guardie municipali ai due lati della
porta per impedire che seguissero disgrazie. La gente formava sulla
piccola scalinata esteriore un monte di teste, a cui sovrastavano i
visi ansiosi dei ragazzini tenuti in collo; alcuni dei quali, piangendo
per il timore di non poter entrare, tendevano le braccia verso lo
sportello del bullettinaio con un atto d'invocazione supplichevole,
che metteva pietà e faceva ridere. La strada era per un buon tratto
affollata, d'una folla diversa dalle solite: eran famiglie numerose
strette in gruppo, molte signore, moltissimi ragazzi, una falange di
governanti, di balie, di servitori, soldati di fanteria e bersaglieri,
gente di campagna, donne del popolo. Alcune di queste, vicino a
me, tenevano in mano il programma dello spettacolo, e lo leggevano
forte, compitando, masticando quelle misteriose parole: _Il mausoleo
d'Artemisia, gli orti pensili di Babilonia_, con un viso di divote
che sentissero nominare un miracoloso santuario sconosciuto. Intesi
un operaio, che aveva un po' d'accollo, dire in accento di trionfo
ai vicini, mostrando un suo ragazzetto con la medaglia delle scuole
municipali: — Questo non paga. I premiati hanno diritto. Ah, quei
Lupi, che uomini! — Da ogni parte, girando fra la folla, sentivo
commentare il programma, predir maraviglie della rappresentazione e
decantar la “compagnia„. C'erano ragazzi che saltavano dalla gioia,
che strepitavano dall'impazienza, che si cacciavano fra le gambe
alla gente come cani, e si facevan largo a gomitate e a capate; e
n'arrivavano altri continuamente, precedendo di corsa le loro famiglie,
ansanti e col viso rosso; e al veder la porta affollata qualcuno si
batteva il pugno sulla fronte in atto di disperazione. A un certo
punto arrivarono i musicanti che, dopo aver tentato invano di aprirsi
il passo, ritornando indietro per entrar dalla piazza Carlina, si
soffermarono intorno a un signore alto, in giacchetta e cappello alla
calabrese, fermo a una cantonata. In quel punto un ragazzo accanto
a me, accennando con la mano quel signore, esclamò con accento
appassionato d'ammirazione e di riverenza: — È lui!... Luigi Lupi! —
Fu quell'esclamazione che mi diede l'ultima spinta a scriver queste
pagine.
*
Dei Lupi era già marionettista il nonno, nato a Ferrara, che cominciò
in qualità di garzone o, come si dice in linguaggio teatrale, di
“personaggio„ d'un marionettista rinomato, il quale girava per le
città del Piemonte e veniva ogni anno a “far la stagione di carnevale„
a Torino. Vennero per molti anni al _Teatro Paesana_, nel palazzo dei
Conti di Paesana, in via della Consolata; poi il Lupi mise su teatro
da sè, e seguitando a girare come il suo maestro, continuò a venire a
Torino l'inverno, non più al _Paesana_, al _San Martiniano_, dove gli
succedette il figliuolo Enrico. Era un piccolo teatro senza facciata,
posto al crocicchio di due strade uggiose della vecchia Torino, e così
si chiamava dalla vicina chiesetta di San Martiniano, che fu abbattuta
quando s'aprì la nuova via Pietro Micca. Ricordo che vent'anni fa,
abitando là accanto, sentivo ogni sera tardi la musica del ballo e
qualche volta scoppi d'applausi e fucilate; ma senza badarci, perchè
non ci attirano le marionette se non quando ci danno una immagine del
mondo che non si conosce ancora o quando ci rappresentano la caricatura
della vita di cui s'è fatto esperienza. Quel nome del compagno di
martirio di San Processo fece per trent'anni battere il cuore di tutti
i ragazzi torinesi d'ogni condizione: non credo che ci sia un mio
concittadino della mia generazione a cui esso non desti un ricordo
confuso di vivi desideri e di vivi piaceri, e che, passando davanti