Ricordi di Parigi - 10
Dopo vari giorni feci un altro passo. Gervaise è giovane; è
naturale che si rimariti; si rimarita, sposa un operaio, Coupeau. Ecco
quello che morirà a Sant'Anna. Ma qui rimasi in asso da capo. Per
mettere a posto i personaggi e le scene che avevo in mente, per dare
un'ossatura qualunque al romanzo, mi occorreva ancora un fatto, uno
solo, che facesse nodo coi due precedenti. Questi tre soli fatti mi
bastavano; il rimanente era tutto trovato, preparato, e come già
scritto per disteso nella mia mente. Ma questo terzo fatto non
riuscivo a raccappezzarlo. Passai varii giorni agitato e scontento.
Una mattina, improvvisamene, mi balena un'idea. Lantier ritrova
Gervaise,--fa amicizia con Coupeau,--s'installa in casa sua.... _et
alors il s'établit un ménage a trois, comme j'en ai vu plusieurs_;
e ne segue la rovina. Respirai. Il romanzo era fatto.
Detto questo, aperse un cassetto, prese un fascio di manoscritti e me
li mise sotto gli occhi. Erano i primi studi dell'_Assommoir_, in
tanti foglietti volanti.
Sui primi fogli c'era uno schizzo dei personaggi: appunti sulla
persona, sul temperamento, sull'indole. Ci trovai lo «specchio
caratteristico» di Gervaise, di Coupeau, di maman Coupeau, dei
Lorilleux, dei Boche, di Goujet, di madame Lérat: c'eran tutti.
Parevano note d'un registro di questura, scritte in linguaggio
laconico, e liberissimo, come quello del romanzo, e interpolate di
brevi ragionamenti, come:--Nato così, educato così; si porterà
in questo modo.--In un luogo c'era scritto:--E che può far altro una
canaglia di questa specie?--M'è rimasto impresso, fra gli altri, lo
schizzo di Lantier, che era un filza d'aggettivi, che formavano una
gradazione crescente d'ingiurie:--_grossier, sensuel, brutal, egoiste,
polisson_.--In alcuni punti c'era detto:--servirsi del tale--una persona
conosciuta dall'autore. Tutto scritto in caratteri grossi e chiari, e
con ordine.
Poi mi caddero sotto gli occhi gli schizzi dei luoghi, fatti a penna,
accuratamente, come un disegno d'ingegnere. Ce n'era un mucchio: tutto
l'_Assommoir_ disegnato: le strade del quartiere in cui si svolge il
romanzo, colle cantonate, e coll'indicazione delle botteghe; i zig-zag
che faceva Gervaise per scansare i creditori; le scappate domenicali
di _Nana_; le pellegrinazioni della comitiva dei briaconi di
_bastringue_ in _bastringue_ e di _bousingot_ in _bousingot_;
l'ospedale e il macello, fra cui andava e veniva, in quella terribile
sera, la povera stiratrice straziata dalla fame. La gran casa del
Marescot era tracciata minutissimamente; tutto l'ultimo piano; i
pianerottoli, le finestre, lo stambugio del becchino, la buca di
_père Bru_, tutti quei corridori lugubri, in cui si sentiva _un
souffle de crevaison_, quei muri che risonavano come pancie vuote,
quelle porte da cui usciva una perpetua musica di legnate e di strilli
di _mioches_ morti di fame. C'era pure la pianta della bottega di
Gervaise, stanza per stanza, coll'indicazione dei letti e delle
tavole, in alcuni punti cancellata e corretta. Si vedeva che lo Zola
ci s'era divertito per ore e per ore, dimenticando forse anche il
romanzo, tutto immerso nella sua finzione, come in un proprio ricordo.
Su altri fogli c'erano appunti di vario genere. Ne notai due
principalmente:--venti pagine di descrizione della tal cosa,--dodici
pagine di descrizione della tal scena, da dividersi in tre parti.--Si
capisce che aveva la descrizione in capo, formulata prima d'essere
fatta, e che se la sentiva sonar dentro cadenzata e misurata, come
un'arietta a cui dovesse ancora trovare le parole. Son meno rare di
quello che si pensi, queste maniere di lavorare, anche in cose
d'immaginazione, col compasso. Lo Zola è un grande meccanico. Si
vede come le sue descrizioni procedono simmetricamente, a riprese,
separate qualche volta da una specie d'intercalare, messo là
perchè il lettore ripigli rifiato, e divise in parti quasi
uguali; come quella dei fiori del parco nella _Faute de l'abbé
Mouret_, quella del temporale nella _Page d'amour_, quella della morte
del Coupeau nell'_Assommoir_. Si direbbe che la sua mente, per lavorar
poi tranquilla e libera intorno alle minuzie, ha bisogno di tracciarsi
prima i confini netti del suo lavoro, di sapere esattamente in quali
punti potrà riposare, e quasi che estensione e che forma
presenterà nella stampa il lavoro proprio. Quando la materia gli
cresce, la recide per farla rientrare in quella forma, o quando gli
manca, fa un sforzo per tirarla a quel segno. È un invincibile
amore delle proporzioni armoniche, che qualche volta può generare
prolissità; ma che spesso, costringendo il pensiero ad insistere sul
suo soggetto, renda l'opera più profonda e più completa.
C'erano, oltre a queste, delle note estratte dalla _Réforme sociale
en France_ del Le Play, dall'_Hérédité naturelle_ del dottor
Lucas, e da altre opere di cui si valse per scrivere il suo romanzo;
_Le sublime_, fra le altre, che dopo la pubblicazione dell'_Assommoir_
fu ristampato e riletto; poichè è un privilegio dei capolavori
quello di mettere in onore anche le opere mediocri di cui si sono
giovati.
Lo interrogammo intorno ai suoi studi di lingua.
Ne parlò con molta compiacenza. Si crede generalmente che abbia
studiato l'_argot_ nel popolo; sì, in parte; ma più nei
dizionarii speciali, che son parecchi, e buonissimi; come imparò in
special modo dai dizionari d'arti e mestieri quella ricchissima
terminologia d'officina e di bottega, che è nei suoi romanzi
popolari. Ma per scrivere l'_argot_ non bastava consultare il
dizionario; bisognava saperlo, ossia rifarselo. Si fece perciò un
dizionario diviso a soggetti, e vi andò man mano registrando le
parole e le frasi che trovava nei libri e che raccattava per la
strada. Scrivendo _Assommoir_, prima di trattare un soggetto, scorreva
la parte corrispondente del dizionario; poi scriveva tenendolo sotto
gli occhi, e cancellava con un lapis rosso ogni frase, via via che la
metteva nel libro, per evitar di ripeterla.--Io son un uomo paziente,
vedete,--disse poi;--lavoro colla placidità d'un vecchio
compilatore; provo piacere anche nelle occupazioni più materiali;
prendo amore alle mie note e ai miei scartafacci; mi cullo nel mio
lavoro, e mi ci trovo bene, come un pigro nella sua poltrona.
Lo strano è che diceva tutte queste cose senza sorridere; ma
nemmeno con un barlume di sorriso. Il suo viso pallidissimo non ebbe
mai una di quelle mille espressioni convenzionali di amabilità o di
gaiezza, che si usano dalle persone più fredde per dar colore alla
conversazione. In verità non ricordo d'aver mai visto al mondo un
viso più «indipendente.» Faceva un solo movimento di tratto
in tratto: dilatava le narici e stringeva i denti, facendo risaltar le
mascelle; il che gli dava un'espressione più vigorosa di
risoluzione e di fierezza.
Parlò del successo dell'_Assommoir_. Disse che, mentre scriveva
quel romanzo, era le mille miglia lontano dal prevedere il chiasso che
fece. Era stato costretto a interromperlo per una malattia della sua
signora; ci s'era poi rimesso di mala voglia; il cuore non gliene
diceva bene. Di più, un amico di cui egli faceva gran conto, letto
il manoscritto, gli aveva presagito un mezzo fiasco. A lui stesso
pareva che il soggetto non fosse «interessante.» Lasciò
indovinare, insomma, che nemmeno dopo il suo grande successo, non era
quello il romanzo a cui teneva di più.
--Qual è dunque?--gli domandai.
La sua risposta mi diede una grande soddisfazione.
--_Le ventre de Paris_,--rispose.
E infatti la storia di quel grasso e iniquo pettegolezzo plebeo, che
finisce per perdere un povero galantuomo, e che si svolge dalla prima
all'ultima pagina in quel singolarissimo teatro delle Halles, pieno di
colori, di sapori e d'odori, fra quelle pescivendole dalle rotondità
enormi e impudenti, fra quegli amori annidati nei legumi e nelle penne
di pollo, in mezzo a quello strano intreccio di rivalità bottegaie e
di congiure repubblicane, m'è sempre parsa una delle più originali
e delle più felici invenzioni dell'ingegno francese.
Venne a parlare delle critiche che si fecero all'_Assommoir_. Anche
parlando, egli sceglie sempre la frase più dura e più recisa per
esprimere il proprio pensiero. Accennando a una _scuola_ che non gli va
a genio, disse:--Vedrete che famoso colpo di scopa ci daremo dentro!--In
ogni sua parola si sente il suo carattere fortemente temprato, non solo
alle resistenze ostinate, ma agli assalti temerarii. Nelle sue critiche,
infatti, dà addosso a tutti. Ne raccolse parecchie in un volume e le
intitolò:--I miei odii.--Si capisce. Deve tutto a sè stesso, è
passato per tutte le prove, è coperto di cicatrici: la battaglia è
la sua vita; vuole la gloria, ma strappata a forza; e accompagnata dal
fragore della tempesta. Le critiche più spietate non fanno che
irritare il suo coraggio. Gli gridarono la croce per le crudità della
_Curée_; egli andò del doppio più in là nell'_Assommoir_.
Prova una feroce voluttà nel provocare il pubblico. «Gli
insuccessi» non gli passano nemmeno la prima pelle. Avanti!--disse
dopo una delle sue più grandi cadute--; io sono a terra; ma l'arte
è in piedi. Forse che la battaglia è perduta perchè il soldato
è ferito? Al lavoro, e ricominciamo!--E dice il fatto suo alla
critica, alla sua maniera.--La critica francese manca d'intelligenza--;
nientemeno.--Non ci sono in tutta la Francia che tre o quattro uomini
capaci di giudicare un libro.--Gli altri o giudicano con tutti i
pregiudizii letterarii degli sciocchi, o sono pretti impostori.--Ha
questo gran difetto,--come gli diceva un amico:--che quando
parla con un imbecille, gli fa capire immediatamente che è un
imbecille;--difetto,--dice,--che gli chiuderà sempre tutte le porte.
Ma a lui non importa d'essere, amato. Egli considera il pubblico come il
suo nemico naturale. Che serve accarezzarlo? È una mala bestia che
risponde alle carezze coi morsi. Tanto vale mostrargli i denti e fargli
vedere che non sono meno forti dei suoi. Latri a sua posta, purchè ci
segua. Eppure s'ingannano quelli che argomentano da questa sua asprezza
di carattere ch'egli non abbia cuore. Tutti i suoi amici intimi lo
affermano. In casa, colla sua famiglia, è un altro Zola; ha pochi
amici, ma li ama fortemente; non è espansivo, ma servizievole. E
scrive delle lettere piene di sentimento. Ha un cuore affettuoso, sotto
una corazza d'acciaio.
Spiegò poi meglio il concetto che ha del pubblico, parlando della
vendita dei libri a Parigi.
--Qui non si fa nulla,--disse, smettendo per la prima volta il
pugnale, ma riafferrandolo subito,--nulla, se non si fa chiasso.
Bisogna essere discussi, maltrattati, levati in alto dal bollore delle
ire nemiche. Il parigino non compra quasi mai il libro spontaneamente,
per un sentimento proprio di curiosità; non lo compra che quando
glie ne hanno intronate le orecchie, quando è diventato come un
avvenimento da cronaca, del quale bisogna saper dir qualche cosa in
conversazione. Pur che se ne parli, comunque se ne parli, è una
fortuna. La critica vivifica tutto; non c'è che il silenzio che
uccida. Parigi è un oceano; ma un oceano in cui la calma perde, e
la burrasca salva. Come si può scuotere altrimenti l'indifferenza
di questa enorme città tutta intenta ai suoi affari e ai suoi
piaceri, ad ammassar quattrini e a profonderli? Essa non sente che i
ruggiti e le cannonate. E guai a chi non ha coraggio!
È quello che mi diceva il Parodi:--Qui non si stima chi mostra di
non stimare sè stesso. Per prima cosa bisogna affermare
risolutamente il proprio diritto alla gloria. Chi si fa piccino, è
perduto. Guai al modesto!
E lo Zola non è nè modesto, nè orgoglioso; è schietto. Colla
stessa schiettezza con cui riconosce i lati deboli del suo ingegno, come
si è visto, ne dice i lati forti. Parlando dei suoi studi dal vero
dice:--Non ho però bisogno di veder tutto; un aspetto mi basta, gli
altri li indovino; qui sta l'ingegno.--Quando scriveva la _Page
d'amour_, diceva:--Farò piangere tutta Parigi.--Difendendo una sua
commedia caduta dice:--Perchè è caduta? Perchè il pubblico
s'aspettava dall'autore dei Rougon-Macquart una commedia straordinaria,
di primissimo ordine; qualcosa di miracoloso.--Ma dice questo con una
sicurezza e con una semplicità, che non vien nemmeno in capo di
accusarlo di presunzione. E in ciò si rivela appunto la sua natura
italiana, meno inverniciata della francese, come si rivela nelle sue
critiche, in cui dice le più dure cose senza giri di frase e senza
epiteti lenitivi, e paccia le pillole amare senza dorarle; cosa che
ripugna all'indole della critica parigina. Ed è italiano anche in
questo, che ha la nostra causticità genuina, consistente più nella
cosa che nella parola, e non il vero spirito francese. E lo riconosce e
se ne vanta.--_Je n'ai pas cet entortillement d'esprit.--Je ne sais
parler le papotage à la mode._--Io detesto i _bons mots_ e il
pubblico li adora. Questa è la grande ragione per cui non ci possiamo
intendere.
Accennò pure, di volo, alla gran quistione del realismo e
dell'idealismo. Su questo argomento rispetto profondamente le opinioni
di uno scrittore come lo Zola. Ma a queste professioni di fede
irremovibile e a queste bandiere sventolate con tanto furore, ci credo
poco. Uno scrittore si trova a scrivere in una data maniera perchè la
sua indole, la sua educazione, le condizioni della sua vita lo spinsero
da quella parte. Quando ha fatto per quella via un lungo cammino, quando
ha speso in quella forma d'arte un gran tesoro di forze, e v'ha
riportato dei trionfi, e s'è persuaso che non andrà mai innanzi
altrettanto in una direzione diversa, allora alza la sua insegna e
dice:--_In hoc signo vinces_.--Ma che diverrebbe l'arte se tutti lo
seguissero? Mi vien sempre in mente quella sentenza del Rénan:--Il
mondo è uno spettacolo che Dio dà a sè stesso. Per carità,
non facciamolo tutto d'un colore, se non vogliamo annoiarci anche
noi.--C'è posto per tutti--come diceva Silvio Pellico--e nessuno se
ne vuol persuadere.--Non capisco come ci sia della gente d'ingegno che
picchia sulla testa a una parte dell'umanità unicamente perchè non
sente e non esprime la vita come essi la sentono e la esprimono. È
come se i magri volessero mettere al bando dell'umanità i grassi; e i
linfatici, i nervosi. In fondo, chi non vede chiaramente che è una
guerra che certe facoltà dello spirito fanno ad altre facoltà?
Emilio Zola, non men degli altri, non fa che tirar l'acqua al suo
mulino, Egli dirà, per esempio, che la tragedia greca è
realistica, e che non si deve descrivere che quello che si vede o che
s'è visto, e che quando si mette un albero sulla scena, dev'essere un
albero vero; e forse, in cuor suo, sorriderà di queste affermazioni.
E quando qualcuno lo coglierà in contraddizione, risponderà
ingenuamente:--_Que voulez vous? Il faut bien avoir un drapeau._--Siamo
d'accordo; ma è quasi sempre la bandiera, non della propria fede, ma
del proprio ingegno. E lo stesso Zola è sempre realista, anche quando
dà cuore e mente agli alberi e ai fiori? A un uomo come lui si può
ben dire quello che si pensa.
Parlò pure del teatro. Disse che era falsa la notizia data dai
giornali, che egli avesse incaricato due commediografi, di cui non
ricordo il nome, di fare un dramma dell'_Assommoir_. S'era parlato
pure, a questo proposito, della _Curée_, per la cui protagonista,
_Renée_, la celebre attrice Sarah Bernard aveva manifestato una
gran simpatia. Ma dei suoi romanzi, uno solo, finora, _Thérèse
Raquin_, fu convertito da lui stesso in un dramma, nel quale è
riuscita una fortissima scena la descrizione di quella tremenda notte
nuziale di Teresa e di Laurent, fra cui s'interpone il fantasma
schifoso del marito annegato. Il Teatro però esercita anche sullo
Zola un'attrazione irresistibile e inebriante, come su tutti gli
scrittori moderni, ai quali nessuna gloria letteraria pare bastevole,
se non è coronata da un trionfo sulle scene. Poichè a Parigi, la
città più teatrale del mondo, una vittoria drammatica dà d'un
solo tratto la fama e la fortuna che non dà il buon successo di
dieci libri. A questo scopo egli converge perciò tutti i suoi
sforzi. La sua grande ambizione è di fare un _Assommoir_ teatrale.
Finora non lavorò, si può dire, che per prepararsi a questa gran
prova. Non ebbe successi notevoli; cadde più d'una volta; ma
persiste tenacemente. E s'affatica a sgombrarsi il passo colla
critica, battendo in breccia la commedia alla moda, _la comédie
d'intrigue, ce joujou donné au public, ce jeu de patience, che egli
vorrebbe ricondurre alla forma antica, alla comicità di buona lega,
la quale consiste tutta nei tipi e nelle situazioni, e non in quello
spirito _fouetté en neige, rélevé d'une pointe de musc_, che
piace per la novità, e che non saprà più di nulla fra cinque
anni; ai caratteri largamente sviluppati in un'azione semplice e
logica, alle analisi libere e profonde, e ai dialoghi sciolti da ogni
convenzione; a una forma insomma, in cui possano spiegarsi e prevalere
le sue forti facoltà di romanziere. E propugnando queste teorie,
difende ostinatamente i suoi lavori drammatici. Un amico andò a
visitarlo dopo la caduta del suo _Bouton de rose_ al _Palais Royal_, e
lo trovò a tavolino con davanti un mucchio di fogli scritti.--Che
cosa fate?--gli domandò,--_Vous comprenez_--rispose--_je ne veux
pus lâcher ma pièce._--» Stava facendo una difesa del _Bouton
de Rose_, curiosissima, nella quale si rivela il suo carattere meglio
che in un epistolario di cinque volumi. Cominciò coll'esporre il
soggetto della commedia, ricavata in parte dai _Contes drólatiques_
del Balzac, e come si svolse nella sua mente, e le ragioni d'ogni
personaggio e d'ogni scena. E poi:--Sta bene--disse--il dramma è
caduto.--Riferisco presso a poco le sue parole.--Io accetto altamente
tutte le responsabilità. Questo dramma m'è diventato caro per la
brutalità odiosa con cui fu trattato. Lo scatenamento feroce della
folla l'ha rialzato e ingrandito ai miei occhi. Più tardi ci
sarà appello: i processi letterari sono suscettibili di cassazione.
Il pubblico non ha voluto capire il mio lavoro, perchè non vi ha
trovato quella specie di _vis comica_ che vi cercava, che è un
fiore tutto parigino, sbocciato sui marciapiedi dei _boulevards_. Ha
trovato il mio spirito grossolano! Diavolo! Come si fa a sopportare la
franchezza d'un uomo che viene avanti con un stile diretto e che
chiama le cose col loro nome? Già, il sapore dell'antico racconto
francese non si sente più; non si capiscono più quei tipi: io
avrei dovuto mettere un avviso a stampa sulla schiena dei miei
personaggi. E poi una buona metà del teatro faceva voti ardenti
perchè il mio _Bouton de rose_ capitombolasse. Erano andati là
come si va nella baracca d'un domatore di fiere, col segreto desiderio
di vedermi divorare. Io mi son fatti molti nemici colle mie critiche
teatrali, in cui la sincerità è la mia sola forza. Chi giudica i
lavori degli altri, s'espone alle rappresaglie. I _vaudevillisti_
vessati e i drammaturghi esasperati si son detti:--Finalmente! Lo
andremo a giudicare una volta, questo terribile uomo! Nell'orchestra
c'erano dei signori che si mostravano reciprocamente le chiavi. C'era
poi un'altra ragione. Io sono romanziere. Questo basta. Riuscendo nel
teatro, avrei occupato troppo posto. Bisognava impedire. E d'altra parte
era giusto che io espiassi le quarantadue edizioni dell'_Assommoir_ e le
diciasette edizioni della _Page d'amour_.--Schiacciamolo,--si son detti.
E l'han fatto. Si ascoltò il primo atto, si fischiò: il secondo e
non si volle sentire il terzo. Il fracasso era tale che i critici non
potevano neppur sentire il nome dei personaggi; alcune innocentissime
parole di _argot_ scoppiarono nel teatro come bombe; i muri minacciavano
di crollare; non si capiva più nulla. E così sono stato ammazzato.
Ora non ho più nè rancore nè tristezza. Ma il giorno dopo non
riuscii a soffocare un sentimento di giusta indignazione. Credevo che la
seconda sera la commedia non sarebbe arrivata di là dal secondo atto.
Mi pareva che il pubblico pagante dovesse completare il disastro. Andai
al teatro, a ora tarda, e salendo le scale, interrogai un
artista:--Ebbene, vanno in collera, di sopra?--L'artista mi rispose
sorridendo:--Ma no, signore! Tutti i frizzi sono gustati. _La salle est
superbe_, e si smascella dalle risa.--Ed era vero; non si sentiva una
disapprovazione; il successo era enorme. Io rimasi là per tutto un
atto, ad ascoltare quelle risa, e soffocavo, mi sentivo venir le lagrime
agli occhi. Pensavo al teatro della sera prima, e mi domandavo il
perchè di quella inesplicabile brutalità, dal momento che il vero
pubblico faceva al mio lavoro una accoglienza tanto diversa. Questi sono
i fatti. Mi diano una spiegazione i critici sinceri. Il _Bouton de rose_
ebbe quattro rappresentazioni; l'incasso maggiore fu quello della
seconda. Per che ragione, se è lecito? Perchè la stampa non aveva
ancora parlato e il pubblico veniva e rideva con confidenza. Il terzo
giorno la critica comincia il suo lavoro di strangolamento; una prima
scarica di articoli furibondi ferisce la commedia al cuore; e allora la
gente esita e s'allontana da un'opera che non una voce difende e che i
più tolleranti gettano nel fango. I pochi curiosi che si arrischiano,
si divertono sinceramente; l'effetto cresce ad ogni rappresentazione;
gli artisti, rinfrancati, recitano con un accordo maraviglioso. Che
importa? Lo strangolamento è riuscito; il pubblico della prima sera
ha stretto la corda e la critica ha dato l'ultimo strappo. Eppure!
Eppure il _Bouton de rose_ resiste solidamente sulle scene pur che ci
sia chi si degni di sentirlo. Io credo che sia ben fatto, che certe
situazioni siano comiche e originali, e che il tempo gli darà
ragione. Un tale, la prima sera, nei corridoi del teatro diceva ad alta
voce:--Ebbene, farà ancora il critico teatrale Emilio Zola?--Perdio
se lo farò ancora! E più ardentemente di prima, potete andarne
sicuri.
La conversazione cadde ancora una volta sui romanzi, e lo Zola
soddisfece parecchie mie vivissime curiosità. I suoi personaggi son
quasi tutti ricordi, conoscenze sue d'altri tempi; alcuni già
abbozzati nei _Contes à Ninon_. Il Lantier, per esempio, lo conobbe
in carne ed ossa, ed è infatti uno dei caratteri più stupendamente
veri dell'_Assommoir_. L'idea del frate _Archangias_ della _Faute de
l'abbé Mouret_, di quel comicissimo villanaccio incappucciato, che
predica la religione con un linguaggio da facchino ubbriaco, gli venne
dall'aver letto in un giornale di provincia, d'un certo frate, maestro
di scuola, stato condannato dai tribunali per abuso.... di forza. Certe
rispostaccie date dall'accusato ai giudici gli avevano presentato il
carattere bell'e fatto. Poichè si parlava di quel romanzo, non potei
trattenermi dall'esprimergli la mia viva ammirazione per quelle
splendide pagine, in cui descrisse i rapimenti religiosi del giovane
prete dinanzi all'immagine della Vergine; pagine degne davvero d'un
grande poeta.
--Voi non potete immaginare,--mi rispose, la fatica che mi costò quel
benedetto abate Mouret. Per poterlo descrivere all'altare, andai
parecchie volte a sentire tre o quattro messe di seguito a Nôtre
Dame. Per la sua educazione religiosa consultai molti preti. Nessuno
però mi volle o mi seppe dare tutte le spiegazioni di cui avevo
bisogno. Misi sottosopra delle botteghe di librai cattolici; mi digerii
dei grossi volumi di Cerimoniali religiosi e di Manuali da curati di
campagna. Ma non mi pareva ancora di possedere abbastanza la materia. Un
prete spretato, finalmente, completò le mie cognizioni.
Gli domandai se aveva fatto pure degli studi così accurati e
così pratici per descrivere la vita delle _halles_, le botteghe di
formaggi, il lavoro delle stiratrici, le discussioni del Parlamento,
le ribotte degli operai.
--Necessariamente,--rispose.
--E per descrivere il temporale della _Page d'amour_?
--Per descrivere il temporale, mi asciugai parecchie volte tutta
l'acqua che Dio ha mandata, osservando Parigi dalle torri di Nôtre
Dame.
Gli domandai se era mai stato presente a una battaglia. Disse di no, e
questo mi fece gran meraviglia, perchè nella descrizione del
combattimento fra gl'insorti e le truppe imperiali, nella _Fortune des
Rougons_, si sente il fischio delle palle e si vede il disordine e la
morte, come nessun scrittore li ha mai resi.
Da ultimo venne a parlare dei suoi romanzi futuri, e in questo
discorso si animò più che non avesse fatto fino allora; il suo
viso si colorò d'un leggero rossore, la sua voce si rinvigorì, e
non dico come lavorasse il pugnaletto.
Egli farà un romanzo in cui descriverà la vita militare francese,
com'è. Questo solleverà una tempesta; gli daranno del nemico della
Francia; sta bene. Il suo romanzo sarà intitolato _Le soldat_, e
conterrà una grande descrizione della battaglia di Sédan. Egli
andrà apposta a Sédan, ci starà quindici giorni, studierà il
terreno con una guida palmo per palmo, e forse.... ne uscirà qualche
cosa. In un altro romanzo metterà la descrizione d'una morte per
combustione spontanea, d'un bevitore. Altri l'han fatta; egli la farà
a modo suo. L'uomo avrà l'abitudine di passare la sera accanto al
camino, colla pipa in bocca, e piglierà fuoco accendendo la pipa.
Egli descriverà tutto--e dicendo questo corrugò le sopracciglia e
gli lampeggiarono gli occhi, come se vedesse in quel punto lo spettacolo
orrendo.--La gente di casa entrerà la mattina nella stanza e non
troverà più che la pipa e _une poignée de quelque chose_. Poi
scriverà un romanzo che avrà per soggetto il commercio, i
«grandi magazzini» come il _Louvre_ e il _Bon Marché_, la lotta
del grande commercio col piccolo, dei milioni coi cento mila franchi: un
soggetto vasto e originale, pieno di nuovi colori, di nuovi tipi e di
nuove scene, col quale tratterà a ferro rovente una nuova piaga di
Parigi. Poi un altro romanzo: le lotte dell'ingegno per aprirsi una
strada nel mondo, un drappello di giovani che vanno a cercar fortuna a
Parigi, la vita giornalistica, la vita letteraria, l'arte, la critica,
la miseria in abito decente, le febbri, le disperazioni e i trionfi del
giovane di genio, divorato dall'ambizione e dalla fame: una storia in
cui riverserà tutto il sangue che uscì dalle ferite del suo cuore
di vent'anni. E infine un romanzo più originale di tutti, che si
svolgerà sopra una rete di strade ferrate: una grande stazione in cui
s'incrocieranno dieci strade, e per ogni «binario» correrà un
episodio, e si riannoderanno tutti alla stazione principale, e tutto il
romanzo avrà il colore dei luoghi, e vi si sentirà, come un
accompagnamento musicale, lo strepito di quella vita precipitosa, e vi
sarà l'amore nel vagone, l'accidente nella galleria, il lavoro della
locomotiva, l'incontro, l'urto, il disastro, la fuga; tutto quel mondo
nero, fumoso e rumoroso, nel quale egli vive col pensiero da lungo
tempo. E saran tutti romanzi del «ciclo» Rougon Macquart. Egli ne
ha già nella mente, come una visione, mille scene: abbozzi confusi,
pagine lucidissime, catastrofi tremende e avventure comiche e
descrizioni sfolgoranti, che gli ribollono dentro senza posa, e sono
l'alimento vitale dell'anima sua. Ha ancora otto romanzi da scrivere.
Quando la storia dei Rougon Macquart sarà finita, egli spera che,
giudicando l'opera intera, la critica gli renderà giustizia. Intanto
lavora tranquillamente, e va diritto alla sua meta, senza guardar nè
indietro nè ai lati, Il suo studio è la sua cittadella, nella
quale egli sì sente sicuro, e scorda il mondo, tutto assorto nelle
_graves jouissances de la recherche du vrai_.
--Vedete,--disse in fine,--io sono un uomo tutto di casa. Non son
buono a nulla se non ho la mia penna, il mio calamaio, quel quadro
là davanti agli occhi, questo panchettino qui sotto i piedi.
Portato fuor del mio nido, son finito. Ecco perchè non ho passione
per viaggiare. Quando arrivo in una nuova città, mi segue sempre la
medesima cosa. Mi chiudo nella mia camera d'albergo, tiro fuori i miei
libri e leggo per tre giorni filati senza mettere il naso fuor
dell'uscio. Il quarto giorno m'affaccio alla finestra e conto le
persone che passano. Il quinto giorno riparto.
--C'è un viaggio però--soggiunse--che farò sicurissimamente:
naturale che si rimariti; si rimarita, sposa un operaio, Coupeau. Ecco
quello che morirà a Sant'Anna. Ma qui rimasi in asso da capo. Per
mettere a posto i personaggi e le scene che avevo in mente, per dare
un'ossatura qualunque al romanzo, mi occorreva ancora un fatto, uno
solo, che facesse nodo coi due precedenti. Questi tre soli fatti mi
bastavano; il rimanente era tutto trovato, preparato, e come già
scritto per disteso nella mia mente. Ma questo terzo fatto non
riuscivo a raccappezzarlo. Passai varii giorni agitato e scontento.
Una mattina, improvvisamene, mi balena un'idea. Lantier ritrova
Gervaise,--fa amicizia con Coupeau,--s'installa in casa sua.... _et
alors il s'établit un ménage a trois, comme j'en ai vu plusieurs_;
e ne segue la rovina. Respirai. Il romanzo era fatto.
Detto questo, aperse un cassetto, prese un fascio di manoscritti e me
li mise sotto gli occhi. Erano i primi studi dell'_Assommoir_, in
tanti foglietti volanti.
Sui primi fogli c'era uno schizzo dei personaggi: appunti sulla
persona, sul temperamento, sull'indole. Ci trovai lo «specchio
caratteristico» di Gervaise, di Coupeau, di maman Coupeau, dei
Lorilleux, dei Boche, di Goujet, di madame Lérat: c'eran tutti.
Parevano note d'un registro di questura, scritte in linguaggio
laconico, e liberissimo, come quello del romanzo, e interpolate di
brevi ragionamenti, come:--Nato così, educato così; si porterà
in questo modo.--In un luogo c'era scritto:--E che può far altro una
canaglia di questa specie?--M'è rimasto impresso, fra gli altri, lo
schizzo di Lantier, che era un filza d'aggettivi, che formavano una
gradazione crescente d'ingiurie:--_grossier, sensuel, brutal, egoiste,
polisson_.--In alcuni punti c'era detto:--servirsi del tale--una persona
conosciuta dall'autore. Tutto scritto in caratteri grossi e chiari, e
con ordine.
Poi mi caddero sotto gli occhi gli schizzi dei luoghi, fatti a penna,
accuratamente, come un disegno d'ingegnere. Ce n'era un mucchio: tutto
l'_Assommoir_ disegnato: le strade del quartiere in cui si svolge il
romanzo, colle cantonate, e coll'indicazione delle botteghe; i zig-zag
che faceva Gervaise per scansare i creditori; le scappate domenicali
di _Nana_; le pellegrinazioni della comitiva dei briaconi di
_bastringue_ in _bastringue_ e di _bousingot_ in _bousingot_;
l'ospedale e il macello, fra cui andava e veniva, in quella terribile
sera, la povera stiratrice straziata dalla fame. La gran casa del
Marescot era tracciata minutissimamente; tutto l'ultimo piano; i
pianerottoli, le finestre, lo stambugio del becchino, la buca di
_père Bru_, tutti quei corridori lugubri, in cui si sentiva _un
souffle de crevaison_, quei muri che risonavano come pancie vuote,
quelle porte da cui usciva una perpetua musica di legnate e di strilli
di _mioches_ morti di fame. C'era pure la pianta della bottega di
Gervaise, stanza per stanza, coll'indicazione dei letti e delle
tavole, in alcuni punti cancellata e corretta. Si vedeva che lo Zola
ci s'era divertito per ore e per ore, dimenticando forse anche il
romanzo, tutto immerso nella sua finzione, come in un proprio ricordo.
Su altri fogli c'erano appunti di vario genere. Ne notai due
principalmente:--venti pagine di descrizione della tal cosa,--dodici
pagine di descrizione della tal scena, da dividersi in tre parti.--Si
capisce che aveva la descrizione in capo, formulata prima d'essere
fatta, e che se la sentiva sonar dentro cadenzata e misurata, come
un'arietta a cui dovesse ancora trovare le parole. Son meno rare di
quello che si pensi, queste maniere di lavorare, anche in cose
d'immaginazione, col compasso. Lo Zola è un grande meccanico. Si
vede come le sue descrizioni procedono simmetricamente, a riprese,
separate qualche volta da una specie d'intercalare, messo là
perchè il lettore ripigli rifiato, e divise in parti quasi
uguali; come quella dei fiori del parco nella _Faute de l'abbé
Mouret_, quella del temporale nella _Page d'amour_, quella della morte
del Coupeau nell'_Assommoir_. Si direbbe che la sua mente, per lavorar
poi tranquilla e libera intorno alle minuzie, ha bisogno di tracciarsi
prima i confini netti del suo lavoro, di sapere esattamente in quali
punti potrà riposare, e quasi che estensione e che forma
presenterà nella stampa il lavoro proprio. Quando la materia gli
cresce, la recide per farla rientrare in quella forma, o quando gli
manca, fa un sforzo per tirarla a quel segno. È un invincibile
amore delle proporzioni armoniche, che qualche volta può generare
prolissità; ma che spesso, costringendo il pensiero ad insistere sul
suo soggetto, renda l'opera più profonda e più completa.
C'erano, oltre a queste, delle note estratte dalla _Réforme sociale
en France_ del Le Play, dall'_Hérédité naturelle_ del dottor
Lucas, e da altre opere di cui si valse per scrivere il suo romanzo;
_Le sublime_, fra le altre, che dopo la pubblicazione dell'_Assommoir_
fu ristampato e riletto; poichè è un privilegio dei capolavori
quello di mettere in onore anche le opere mediocri di cui si sono
giovati.
Lo interrogammo intorno ai suoi studi di lingua.
Ne parlò con molta compiacenza. Si crede generalmente che abbia
studiato l'_argot_ nel popolo; sì, in parte; ma più nei
dizionarii speciali, che son parecchi, e buonissimi; come imparò in
special modo dai dizionari d'arti e mestieri quella ricchissima
terminologia d'officina e di bottega, che è nei suoi romanzi
popolari. Ma per scrivere l'_argot_ non bastava consultare il
dizionario; bisognava saperlo, ossia rifarselo. Si fece perciò un
dizionario diviso a soggetti, e vi andò man mano registrando le
parole e le frasi che trovava nei libri e che raccattava per la
strada. Scrivendo _Assommoir_, prima di trattare un soggetto, scorreva
la parte corrispondente del dizionario; poi scriveva tenendolo sotto
gli occhi, e cancellava con un lapis rosso ogni frase, via via che la
metteva nel libro, per evitar di ripeterla.--Io son un uomo paziente,
vedete,--disse poi;--lavoro colla placidità d'un vecchio
compilatore; provo piacere anche nelle occupazioni più materiali;
prendo amore alle mie note e ai miei scartafacci; mi cullo nel mio
lavoro, e mi ci trovo bene, come un pigro nella sua poltrona.
Lo strano è che diceva tutte queste cose senza sorridere; ma
nemmeno con un barlume di sorriso. Il suo viso pallidissimo non ebbe
mai una di quelle mille espressioni convenzionali di amabilità o di
gaiezza, che si usano dalle persone più fredde per dar colore alla
conversazione. In verità non ricordo d'aver mai visto al mondo un
viso più «indipendente.» Faceva un solo movimento di tratto
in tratto: dilatava le narici e stringeva i denti, facendo risaltar le
mascelle; il che gli dava un'espressione più vigorosa di
risoluzione e di fierezza.
Parlò del successo dell'_Assommoir_. Disse che, mentre scriveva
quel romanzo, era le mille miglia lontano dal prevedere il chiasso che
fece. Era stato costretto a interromperlo per una malattia della sua
signora; ci s'era poi rimesso di mala voglia; il cuore non gliene
diceva bene. Di più, un amico di cui egli faceva gran conto, letto
il manoscritto, gli aveva presagito un mezzo fiasco. A lui stesso
pareva che il soggetto non fosse «interessante.» Lasciò
indovinare, insomma, che nemmeno dopo il suo grande successo, non era
quello il romanzo a cui teneva di più.
--Qual è dunque?--gli domandai.
La sua risposta mi diede una grande soddisfazione.
--_Le ventre de Paris_,--rispose.
E infatti la storia di quel grasso e iniquo pettegolezzo plebeo, che
finisce per perdere un povero galantuomo, e che si svolge dalla prima
all'ultima pagina in quel singolarissimo teatro delle Halles, pieno di
colori, di sapori e d'odori, fra quelle pescivendole dalle rotondità
enormi e impudenti, fra quegli amori annidati nei legumi e nelle penne
di pollo, in mezzo a quello strano intreccio di rivalità bottegaie e
di congiure repubblicane, m'è sempre parsa una delle più originali
e delle più felici invenzioni dell'ingegno francese.
Venne a parlare delle critiche che si fecero all'_Assommoir_. Anche
parlando, egli sceglie sempre la frase più dura e più recisa per
esprimere il proprio pensiero. Accennando a una _scuola_ che non gli va
a genio, disse:--Vedrete che famoso colpo di scopa ci daremo dentro!--In
ogni sua parola si sente il suo carattere fortemente temprato, non solo
alle resistenze ostinate, ma agli assalti temerarii. Nelle sue critiche,
infatti, dà addosso a tutti. Ne raccolse parecchie in un volume e le
intitolò:--I miei odii.--Si capisce. Deve tutto a sè stesso, è
passato per tutte le prove, è coperto di cicatrici: la battaglia è
la sua vita; vuole la gloria, ma strappata a forza; e accompagnata dal
fragore della tempesta. Le critiche più spietate non fanno che
irritare il suo coraggio. Gli gridarono la croce per le crudità della
_Curée_; egli andò del doppio più in là nell'_Assommoir_.
Prova una feroce voluttà nel provocare il pubblico. «Gli
insuccessi» non gli passano nemmeno la prima pelle. Avanti!--disse
dopo una delle sue più grandi cadute--; io sono a terra; ma l'arte
è in piedi. Forse che la battaglia è perduta perchè il soldato
è ferito? Al lavoro, e ricominciamo!--E dice il fatto suo alla
critica, alla sua maniera.--La critica francese manca d'intelligenza--;
nientemeno.--Non ci sono in tutta la Francia che tre o quattro uomini
capaci di giudicare un libro.--Gli altri o giudicano con tutti i
pregiudizii letterarii degli sciocchi, o sono pretti impostori.--Ha
questo gran difetto,--come gli diceva un amico:--che quando
parla con un imbecille, gli fa capire immediatamente che è un
imbecille;--difetto,--dice,--che gli chiuderà sempre tutte le porte.
Ma a lui non importa d'essere, amato. Egli considera il pubblico come il
suo nemico naturale. Che serve accarezzarlo? È una mala bestia che
risponde alle carezze coi morsi. Tanto vale mostrargli i denti e fargli
vedere che non sono meno forti dei suoi. Latri a sua posta, purchè ci
segua. Eppure s'ingannano quelli che argomentano da questa sua asprezza
di carattere ch'egli non abbia cuore. Tutti i suoi amici intimi lo
affermano. In casa, colla sua famiglia, è un altro Zola; ha pochi
amici, ma li ama fortemente; non è espansivo, ma servizievole. E
scrive delle lettere piene di sentimento. Ha un cuore affettuoso, sotto
una corazza d'acciaio.
Spiegò poi meglio il concetto che ha del pubblico, parlando della
vendita dei libri a Parigi.
--Qui non si fa nulla,--disse, smettendo per la prima volta il
pugnale, ma riafferrandolo subito,--nulla, se non si fa chiasso.
Bisogna essere discussi, maltrattati, levati in alto dal bollore delle
ire nemiche. Il parigino non compra quasi mai il libro spontaneamente,
per un sentimento proprio di curiosità; non lo compra che quando
glie ne hanno intronate le orecchie, quando è diventato come un
avvenimento da cronaca, del quale bisogna saper dir qualche cosa in
conversazione. Pur che se ne parli, comunque se ne parli, è una
fortuna. La critica vivifica tutto; non c'è che il silenzio che
uccida. Parigi è un oceano; ma un oceano in cui la calma perde, e
la burrasca salva. Come si può scuotere altrimenti l'indifferenza
di questa enorme città tutta intenta ai suoi affari e ai suoi
piaceri, ad ammassar quattrini e a profonderli? Essa non sente che i
ruggiti e le cannonate. E guai a chi non ha coraggio!
È quello che mi diceva il Parodi:--Qui non si stima chi mostra di
non stimare sè stesso. Per prima cosa bisogna affermare
risolutamente il proprio diritto alla gloria. Chi si fa piccino, è
perduto. Guai al modesto!
E lo Zola non è nè modesto, nè orgoglioso; è schietto. Colla
stessa schiettezza con cui riconosce i lati deboli del suo ingegno, come
si è visto, ne dice i lati forti. Parlando dei suoi studi dal vero
dice:--Non ho però bisogno di veder tutto; un aspetto mi basta, gli
altri li indovino; qui sta l'ingegno.--Quando scriveva la _Page
d'amour_, diceva:--Farò piangere tutta Parigi.--Difendendo una sua
commedia caduta dice:--Perchè è caduta? Perchè il pubblico
s'aspettava dall'autore dei Rougon-Macquart una commedia straordinaria,
di primissimo ordine; qualcosa di miracoloso.--Ma dice questo con una
sicurezza e con una semplicità, che non vien nemmeno in capo di
accusarlo di presunzione. E in ciò si rivela appunto la sua natura
italiana, meno inverniciata della francese, come si rivela nelle sue
critiche, in cui dice le più dure cose senza giri di frase e senza
epiteti lenitivi, e paccia le pillole amare senza dorarle; cosa che
ripugna all'indole della critica parigina. Ed è italiano anche in
questo, che ha la nostra causticità genuina, consistente più nella
cosa che nella parola, e non il vero spirito francese. E lo riconosce e
se ne vanta.--_Je n'ai pas cet entortillement d'esprit.--Je ne sais
parler le papotage à la mode._--Io detesto i _bons mots_ e il
pubblico li adora. Questa è la grande ragione per cui non ci possiamo
intendere.
Accennò pure, di volo, alla gran quistione del realismo e
dell'idealismo. Su questo argomento rispetto profondamente le opinioni
di uno scrittore come lo Zola. Ma a queste professioni di fede
irremovibile e a queste bandiere sventolate con tanto furore, ci credo
poco. Uno scrittore si trova a scrivere in una data maniera perchè la
sua indole, la sua educazione, le condizioni della sua vita lo spinsero
da quella parte. Quando ha fatto per quella via un lungo cammino, quando
ha speso in quella forma d'arte un gran tesoro di forze, e v'ha
riportato dei trionfi, e s'è persuaso che non andrà mai innanzi
altrettanto in una direzione diversa, allora alza la sua insegna e
dice:--_In hoc signo vinces_.--Ma che diverrebbe l'arte se tutti lo
seguissero? Mi vien sempre in mente quella sentenza del Rénan:--Il
mondo è uno spettacolo che Dio dà a sè stesso. Per carità,
non facciamolo tutto d'un colore, se non vogliamo annoiarci anche
noi.--C'è posto per tutti--come diceva Silvio Pellico--e nessuno se
ne vuol persuadere.--Non capisco come ci sia della gente d'ingegno che
picchia sulla testa a una parte dell'umanità unicamente perchè non
sente e non esprime la vita come essi la sentono e la esprimono. È
come se i magri volessero mettere al bando dell'umanità i grassi; e i
linfatici, i nervosi. In fondo, chi non vede chiaramente che è una
guerra che certe facoltà dello spirito fanno ad altre facoltà?
Emilio Zola, non men degli altri, non fa che tirar l'acqua al suo
mulino, Egli dirà, per esempio, che la tragedia greca è
realistica, e che non si deve descrivere che quello che si vede o che
s'è visto, e che quando si mette un albero sulla scena, dev'essere un
albero vero; e forse, in cuor suo, sorriderà di queste affermazioni.
E quando qualcuno lo coglierà in contraddizione, risponderà
ingenuamente:--_Que voulez vous? Il faut bien avoir un drapeau._--Siamo
d'accordo; ma è quasi sempre la bandiera, non della propria fede, ma
del proprio ingegno. E lo stesso Zola è sempre realista, anche quando
dà cuore e mente agli alberi e ai fiori? A un uomo come lui si può
ben dire quello che si pensa.
Parlò pure del teatro. Disse che era falsa la notizia data dai
giornali, che egli avesse incaricato due commediografi, di cui non
ricordo il nome, di fare un dramma dell'_Assommoir_. S'era parlato
pure, a questo proposito, della _Curée_, per la cui protagonista,
_Renée_, la celebre attrice Sarah Bernard aveva manifestato una
gran simpatia. Ma dei suoi romanzi, uno solo, finora, _Thérèse
Raquin_, fu convertito da lui stesso in un dramma, nel quale è
riuscita una fortissima scena la descrizione di quella tremenda notte
nuziale di Teresa e di Laurent, fra cui s'interpone il fantasma
schifoso del marito annegato. Il Teatro però esercita anche sullo
Zola un'attrazione irresistibile e inebriante, come su tutti gli
scrittori moderni, ai quali nessuna gloria letteraria pare bastevole,
se non è coronata da un trionfo sulle scene. Poichè a Parigi, la
città più teatrale del mondo, una vittoria drammatica dà d'un
solo tratto la fama e la fortuna che non dà il buon successo di
dieci libri. A questo scopo egli converge perciò tutti i suoi
sforzi. La sua grande ambizione è di fare un _Assommoir_ teatrale.
Finora non lavorò, si può dire, che per prepararsi a questa gran
prova. Non ebbe successi notevoli; cadde più d'una volta; ma
persiste tenacemente. E s'affatica a sgombrarsi il passo colla
critica, battendo in breccia la commedia alla moda, _la comédie
d'intrigue, ce joujou donné au public, ce jeu de patience, che egli
vorrebbe ricondurre alla forma antica, alla comicità di buona lega,
la quale consiste tutta nei tipi e nelle situazioni, e non in quello
spirito _fouetté en neige, rélevé d'une pointe de musc_, che
piace per la novità, e che non saprà più di nulla fra cinque
anni; ai caratteri largamente sviluppati in un'azione semplice e
logica, alle analisi libere e profonde, e ai dialoghi sciolti da ogni
convenzione; a una forma insomma, in cui possano spiegarsi e prevalere
le sue forti facoltà di romanziere. E propugnando queste teorie,
difende ostinatamente i suoi lavori drammatici. Un amico andò a
visitarlo dopo la caduta del suo _Bouton de rose_ al _Palais Royal_, e
lo trovò a tavolino con davanti un mucchio di fogli scritti.--Che
cosa fate?--gli domandò,--_Vous comprenez_--rispose--_je ne veux
pus lâcher ma pièce._--» Stava facendo una difesa del _Bouton
de Rose_, curiosissima, nella quale si rivela il suo carattere meglio
che in un epistolario di cinque volumi. Cominciò coll'esporre il
soggetto della commedia, ricavata in parte dai _Contes drólatiques_
del Balzac, e come si svolse nella sua mente, e le ragioni d'ogni
personaggio e d'ogni scena. E poi:--Sta bene--disse--il dramma è
caduto.--Riferisco presso a poco le sue parole.--Io accetto altamente
tutte le responsabilità. Questo dramma m'è diventato caro per la
brutalità odiosa con cui fu trattato. Lo scatenamento feroce della
folla l'ha rialzato e ingrandito ai miei occhi. Più tardi ci
sarà appello: i processi letterari sono suscettibili di cassazione.
Il pubblico non ha voluto capire il mio lavoro, perchè non vi ha
trovato quella specie di _vis comica_ che vi cercava, che è un
fiore tutto parigino, sbocciato sui marciapiedi dei _boulevards_. Ha
trovato il mio spirito grossolano! Diavolo! Come si fa a sopportare la
franchezza d'un uomo che viene avanti con un stile diretto e che
chiama le cose col loro nome? Già, il sapore dell'antico racconto
francese non si sente più; non si capiscono più quei tipi: io
avrei dovuto mettere un avviso a stampa sulla schiena dei miei
personaggi. E poi una buona metà del teatro faceva voti ardenti
perchè il mio _Bouton de rose_ capitombolasse. Erano andati là
come si va nella baracca d'un domatore di fiere, col segreto desiderio
di vedermi divorare. Io mi son fatti molti nemici colle mie critiche
teatrali, in cui la sincerità è la mia sola forza. Chi giudica i
lavori degli altri, s'espone alle rappresaglie. I _vaudevillisti_
vessati e i drammaturghi esasperati si son detti:--Finalmente! Lo
andremo a giudicare una volta, questo terribile uomo! Nell'orchestra
c'erano dei signori che si mostravano reciprocamente le chiavi. C'era
poi un'altra ragione. Io sono romanziere. Questo basta. Riuscendo nel
teatro, avrei occupato troppo posto. Bisognava impedire. E d'altra parte
era giusto che io espiassi le quarantadue edizioni dell'_Assommoir_ e le
diciasette edizioni della _Page d'amour_.--Schiacciamolo,--si son detti.
E l'han fatto. Si ascoltò il primo atto, si fischiò: il secondo e
non si volle sentire il terzo. Il fracasso era tale che i critici non
potevano neppur sentire il nome dei personaggi; alcune innocentissime
parole di _argot_ scoppiarono nel teatro come bombe; i muri minacciavano
di crollare; non si capiva più nulla. E così sono stato ammazzato.
Ora non ho più nè rancore nè tristezza. Ma il giorno dopo non
riuscii a soffocare un sentimento di giusta indignazione. Credevo che la
seconda sera la commedia non sarebbe arrivata di là dal secondo atto.
Mi pareva che il pubblico pagante dovesse completare il disastro. Andai
al teatro, a ora tarda, e salendo le scale, interrogai un
artista:--Ebbene, vanno in collera, di sopra?--L'artista mi rispose
sorridendo:--Ma no, signore! Tutti i frizzi sono gustati. _La salle est
superbe_, e si smascella dalle risa.--Ed era vero; non si sentiva una
disapprovazione; il successo era enorme. Io rimasi là per tutto un
atto, ad ascoltare quelle risa, e soffocavo, mi sentivo venir le lagrime
agli occhi. Pensavo al teatro della sera prima, e mi domandavo il
perchè di quella inesplicabile brutalità, dal momento che il vero
pubblico faceva al mio lavoro una accoglienza tanto diversa. Questi sono
i fatti. Mi diano una spiegazione i critici sinceri. Il _Bouton de rose_
ebbe quattro rappresentazioni; l'incasso maggiore fu quello della
seconda. Per che ragione, se è lecito? Perchè la stampa non aveva
ancora parlato e il pubblico veniva e rideva con confidenza. Il terzo
giorno la critica comincia il suo lavoro di strangolamento; una prima
scarica di articoli furibondi ferisce la commedia al cuore; e allora la
gente esita e s'allontana da un'opera che non una voce difende e che i
più tolleranti gettano nel fango. I pochi curiosi che si arrischiano,
si divertono sinceramente; l'effetto cresce ad ogni rappresentazione;
gli artisti, rinfrancati, recitano con un accordo maraviglioso. Che
importa? Lo strangolamento è riuscito; il pubblico della prima sera
ha stretto la corda e la critica ha dato l'ultimo strappo. Eppure!
Eppure il _Bouton de rose_ resiste solidamente sulle scene pur che ci
sia chi si degni di sentirlo. Io credo che sia ben fatto, che certe
situazioni siano comiche e originali, e che il tempo gli darà
ragione. Un tale, la prima sera, nei corridoi del teatro diceva ad alta
voce:--Ebbene, farà ancora il critico teatrale Emilio Zola?--Perdio
se lo farò ancora! E più ardentemente di prima, potete andarne
sicuri.
La conversazione cadde ancora una volta sui romanzi, e lo Zola
soddisfece parecchie mie vivissime curiosità. I suoi personaggi son
quasi tutti ricordi, conoscenze sue d'altri tempi; alcuni già
abbozzati nei _Contes à Ninon_. Il Lantier, per esempio, lo conobbe
in carne ed ossa, ed è infatti uno dei caratteri più stupendamente
veri dell'_Assommoir_. L'idea del frate _Archangias_ della _Faute de
l'abbé Mouret_, di quel comicissimo villanaccio incappucciato, che
predica la religione con un linguaggio da facchino ubbriaco, gli venne
dall'aver letto in un giornale di provincia, d'un certo frate, maestro
di scuola, stato condannato dai tribunali per abuso.... di forza. Certe
rispostaccie date dall'accusato ai giudici gli avevano presentato il
carattere bell'e fatto. Poichè si parlava di quel romanzo, non potei
trattenermi dall'esprimergli la mia viva ammirazione per quelle
splendide pagine, in cui descrisse i rapimenti religiosi del giovane
prete dinanzi all'immagine della Vergine; pagine degne davvero d'un
grande poeta.
--Voi non potete immaginare,--mi rispose, la fatica che mi costò quel
benedetto abate Mouret. Per poterlo descrivere all'altare, andai
parecchie volte a sentire tre o quattro messe di seguito a Nôtre
Dame. Per la sua educazione religiosa consultai molti preti. Nessuno
però mi volle o mi seppe dare tutte le spiegazioni di cui avevo
bisogno. Misi sottosopra delle botteghe di librai cattolici; mi digerii
dei grossi volumi di Cerimoniali religiosi e di Manuali da curati di
campagna. Ma non mi pareva ancora di possedere abbastanza la materia. Un
prete spretato, finalmente, completò le mie cognizioni.
Gli domandai se aveva fatto pure degli studi così accurati e
così pratici per descrivere la vita delle _halles_, le botteghe di
formaggi, il lavoro delle stiratrici, le discussioni del Parlamento,
le ribotte degli operai.
--Necessariamente,--rispose.
--E per descrivere il temporale della _Page d'amour_?
--Per descrivere il temporale, mi asciugai parecchie volte tutta
l'acqua che Dio ha mandata, osservando Parigi dalle torri di Nôtre
Dame.
Gli domandai se era mai stato presente a una battaglia. Disse di no, e
questo mi fece gran meraviglia, perchè nella descrizione del
combattimento fra gl'insorti e le truppe imperiali, nella _Fortune des
Rougons_, si sente il fischio delle palle e si vede il disordine e la
morte, come nessun scrittore li ha mai resi.
Da ultimo venne a parlare dei suoi romanzi futuri, e in questo
discorso si animò più che non avesse fatto fino allora; il suo
viso si colorò d'un leggero rossore, la sua voce si rinvigorì, e
non dico come lavorasse il pugnaletto.
Egli farà un romanzo in cui descriverà la vita militare francese,
com'è. Questo solleverà una tempesta; gli daranno del nemico della
Francia; sta bene. Il suo romanzo sarà intitolato _Le soldat_, e
conterrà una grande descrizione della battaglia di Sédan. Egli
andrà apposta a Sédan, ci starà quindici giorni, studierà il
terreno con una guida palmo per palmo, e forse.... ne uscirà qualche
cosa. In un altro romanzo metterà la descrizione d'una morte per
combustione spontanea, d'un bevitore. Altri l'han fatta; egli la farà
a modo suo. L'uomo avrà l'abitudine di passare la sera accanto al
camino, colla pipa in bocca, e piglierà fuoco accendendo la pipa.
Egli descriverà tutto--e dicendo questo corrugò le sopracciglia e
gli lampeggiarono gli occhi, come se vedesse in quel punto lo spettacolo
orrendo.--La gente di casa entrerà la mattina nella stanza e non
troverà più che la pipa e _une poignée de quelque chose_. Poi
scriverà un romanzo che avrà per soggetto il commercio, i
«grandi magazzini» come il _Louvre_ e il _Bon Marché_, la lotta
del grande commercio col piccolo, dei milioni coi cento mila franchi: un
soggetto vasto e originale, pieno di nuovi colori, di nuovi tipi e di
nuove scene, col quale tratterà a ferro rovente una nuova piaga di
Parigi. Poi un altro romanzo: le lotte dell'ingegno per aprirsi una
strada nel mondo, un drappello di giovani che vanno a cercar fortuna a
Parigi, la vita giornalistica, la vita letteraria, l'arte, la critica,
la miseria in abito decente, le febbri, le disperazioni e i trionfi del
giovane di genio, divorato dall'ambizione e dalla fame: una storia in
cui riverserà tutto il sangue che uscì dalle ferite del suo cuore
di vent'anni. E infine un romanzo più originale di tutti, che si
svolgerà sopra una rete di strade ferrate: una grande stazione in cui
s'incrocieranno dieci strade, e per ogni «binario» correrà un
episodio, e si riannoderanno tutti alla stazione principale, e tutto il
romanzo avrà il colore dei luoghi, e vi si sentirà, come un
accompagnamento musicale, lo strepito di quella vita precipitosa, e vi
sarà l'amore nel vagone, l'accidente nella galleria, il lavoro della
locomotiva, l'incontro, l'urto, il disastro, la fuga; tutto quel mondo
nero, fumoso e rumoroso, nel quale egli vive col pensiero da lungo
tempo. E saran tutti romanzi del «ciclo» Rougon Macquart. Egli ne
ha già nella mente, come una visione, mille scene: abbozzi confusi,
pagine lucidissime, catastrofi tremende e avventure comiche e
descrizioni sfolgoranti, che gli ribollono dentro senza posa, e sono
l'alimento vitale dell'anima sua. Ha ancora otto romanzi da scrivere.
Quando la storia dei Rougon Macquart sarà finita, egli spera che,
giudicando l'opera intera, la critica gli renderà giustizia. Intanto
lavora tranquillamente, e va diritto alla sua meta, senza guardar nè
indietro nè ai lati, Il suo studio è la sua cittadella, nella
quale egli sì sente sicuro, e scorda il mondo, tutto assorto nelle
_graves jouissances de la recherche du vrai_.
--Vedete,--disse in fine,--io sono un uomo tutto di casa. Non son
buono a nulla se non ho la mia penna, il mio calamaio, quel quadro
là davanti agli occhi, questo panchettino qui sotto i piedi.
Portato fuor del mio nido, son finito. Ecco perchè non ho passione
per viaggiare. Quando arrivo in una nuova città, mi segue sempre la
medesima cosa. Mi chiudo nella mia camera d'albergo, tiro fuori i miei
libri e leggo per tre giorni filati senza mettere il naso fuor
dell'uscio. Il quarto giorno m'affaccio alla finestra e conto le
persone che passano. Il quinto giorno riparto.
--C'è un viaggio però--soggiunse--che farò sicurissimamente: