Raggio di Dio: Romanzo - 16

unita col mio Filippo, tutti i suoi titoli, i suoi diritti, i suoi
privilegi?...
--Chi sa? forse allora si muterebbe il suo cuore.
--E tu ne saresti contenta?--
Beatrice di Bovadilla stette dubbiosa un istante: ma si pose una mano
sul cuore, come per reprimerne le voci ribelli, e rispose con accento
sicuro:
--Sì, perchè mi parrebbe di avere adempiuto l'obbligo mio.
--Ami tu in questo modo?
--Ma sì, mia dolce signora. Ognuna di noi ama in un suo modo
particolare. Il mio non rifugge dal sacrifizio.
--Povera Bovadilla, come devi soffrire! Ed è sempre bello, il tuo
Almirante? bello, come io l'ho veduto bambina, alto, maestoso, sereno,
con quei grandi occhi azzurri e quelle labbra che facevano anche più
bello il sorriso?
--Sempre!--rispose Bovadilla, chiudendo gli occhi con atto
religioso;--sempre tale io lo vedo, attraverso la nebbia degli anni. Ed
è bello come un dio antico, sul cui capo sia passato il dolore,
lasciandogli i suoi segni augusti nel viso. I travagli della vita lo
hanno estenuato; gli tremano le membra, e spesso ricusano di sostenerlo;
ma i suoi alti servigi ne han colpa. La fronte, ampia e serena, è campo
di celesti pensieri, di cui si vorrebb'essere a parte; gli occhi
scintillano, dardeggiano, e passano i cuori; le labbra.... ha detto bene
Vostra Altezza.... le labbra son tali da fare anche più bello il
sorriso, la cosa più bella, forse l'unica bella sulla faccia dell'uomo.
L'aureola dei suoi patimenti raddoppia quella delle sue imprese
immortali; essa fa di lui il più grande fra gli uomini.
--Che ardore!--esclamò la regina.--Ma quando si ama, si pensa così.
Niente val più del nostro amore; niente val più dell'uomo che amiamo.--
Giovanna era sul punto di cadere in una delle sue estasi frequenti,
donde tornava poi tanto difficile richiamarla alle cure volgari della
vita.
--Ed io non abbandonerò più quell'uomo;--ripigliò la marchesa, alzando
la voce, come per trattenere lo spirito vagabondo della regina.--Anzi,
mi ascolti Vostra Altezza, io dovrò pregarla ben presto di darmi
licenza. Alla mia regina ho portato l'omaggio di un cuore devoto; ma
ella non avrà più bisogno di me; resterò a Valladolid.--
Un moto involontario d'allegrezza agitò il cuore e tinse d'una fiamma
fugace le pallide guance della gelosa regina. Ma la gelosa era buona, ed
amava la sua Bovadilla; perciò represse a forza quel senso importuno di
gioia, che sarebbe anche parso di brutta ingratitudine.
--Mia cara!--diss'ella.--Ciò che vuoi fare a Valladolid non si accorda
troppo bene con ciò che speri di ottener da Granata. Ma speriamo che
Granata persista nel suo rifiuto; non ti rifiuterò io ciò che domandi
per il tuo Almirante. Lascia che si compongano queste difficoltà con mio
padre, e che io sia libera di dar corso ai voti del mio cuore, ed io
penserò a don Cristoval Colon in modo da farti contenta. Sarà questo il
mio primo atto di regno.
--Faccia la mia signora che sia soltanto il secondo;--rispose la
marchesa di Moya.
--Come?--gridò la regina.--C'è altro, che ti preme di più?
--Non già che mi prema di più, ma che può farsi prima, che può farsi fin
d'oggi.
--Che cosa? Sentiamo.
--Una visita al palazzo di giustizia, o, per dire più veramente, alle
carceri attigue.
--Per che fare?
--Per liberare una povera donna, che molto mi sta a cuore, come sta a
cuore del signor Almirante, essendo essa la moglie di un degno
gentiluomo, suo concittadino e fedele servitore.
--Che cosa ha fatto questa donna? ha commesso un delitto?
--Sì, e gravissimo; è moglie ad un uomo che non voleva prestarsi ad un
tradimento contro Giovanna e Filippo, legittimi sovrani di Castiglia.--
Così avendo incominciato, Beatrice di Bovadilla narrò tutta la storia
del conte Fiesco e della contessa Juana. L'anima mite della regina si
turbò grandemente al racconto di quella prepotenza inaudita, che,
com'ella disse, gridava vendetta a Dio.
--E giustizia ai suoi ministri in terra;--conchiuse la marchesa di
Moya.--Così si è messo il coltello alla gola d'un povero gentiluomo,
straniero di nascita, ma vissuto parecchi anni ai servizi di Castiglia.
E si aspetta da San Domingo la prova che la contessa di Lavagna non sia
stata suddita Spagnuola. E si aspetta da Genova la prova che sia
veramente la moglie del conte Fiesco. Se poi il conte Fiesco si decide a
far firmare questo trattato dal re Cristianissimo, non c'è più mestieri
di prove da Genova, non c'è più mestieri di prove da San Domingo, e la
prigioniera è restituita al povero conte.--
Così dicendo, la marchesa di Moya aveva cavato un foglio dalla sua borsa
di velluto, e lo metteva sotto gli occhi della regina.
Giovanna lèsse, e strinse convulsamente le labbra.
--Pazienza per me, che sono sua figlia;--diss'ella.--Ma contro i diritti
di Filippo! È orribile, sai? Son pazza.... pazza io, perchè amo! Così
avess'egli veramente amata mia madre, che non vedrei sul trono di
Aragona la sua Germana di Foix! Ed è della sua cancelleria, lo
scritto;--soggiunse, guardando ancora il foglio malaugurato.--Conosco la
mano del suo segretario Fernando Alvarez di Toledo; un Castigliano che
non abbiamo ancor veduto alla nostra corte! Meglio così, dopo tutto; che
io non lo vedrei di buon occhio. Mi lasci questo foglio?
--È commesso alla mia fede, signora. Questo posso giurare, che non
andrà, per le mani d'un Fiesco, a Parigi.
--Ripiglialo, Bovadilla. Tanto, mi scotterebbe le mani. E mi dicevi che
le carceri sono attigue al palazzo di Giustizia?
--Sì, e se Vostra Altezza ama davvero la sua Bovadilla....
--E la mia Bovadilla, e la giustizia del mio regno;--rispose con nobile
accento la regina.--Andiamo senza perdere un istante. Dov'è Filippo? Si
cerchi del re.--
Filippo non era a palazzo. Mezz'ora prima era montato a cavallo, in
compagnia del duca di Ossuna. Per dove? Non si sapeva; ma certamente non
poteva andare lontano, non avendo accennato ad una lunga assenza. Era
andato a passeggio; non si trattava dunque se non di una delle solite
scappate mattutine, per veder la città. Il giovane re era come uno
scolaretto, a cui pesino troppo le sue ore di studio, sotto gli occhi e
la sferza del pedagogo.
Giovanna si addolorò di quella passeggiata, che si faceva senza di lei,
e senza pure avvertirla. Ah, le belle di Valladolid! volevano farla
disperare, come quelle di Brusselles, come quelle di Londra!
--Mia signora,--disse Beatrice, che non voleva altri indugi,--se il re
Filippo non è a palazzo, lo troveremo fuori, facendo un giro per la
città. E del resto, si fa presto a trovarlo.--
Era in anticamera il marchese di Lucena; la marchesa lo chiamò, e in
presenza della regina gli disse:
--Lucena, siate oggi, con licenza[tn285] di Sua Altezza, il mio
aiutante. Uscite e cercate del re don Filippo; ditegli che la regina è
andata fino al palazzo di giustizia, per visitare le carceri, e lo
attende colà.
--Lo desidera;--corrèsse la regina.
--Vostra Altezza sarà obbedita;--rispose il marchese di Lucena,
muovendosi tosto per partire.
--E veduto il re,--aggiunse la marchesa,--cercate del conte Fiesco. Lo
troverete probabilmente in casa del signor Almirante Colon. Ditegli, vi
prego, di venirmi a trovare alle carceri. Il ritrovo non sarà
bello,--soggiunse ella ridendo,--ma non l'ho inventato io, e bisogna
prender le cose del mondo come vengono.--
Il marchese di Lucena s'inchinò, e partì come una freccia.
Mezz'ora dopo, la regina Giovanna, seguita dalla sua dama di palazzo, da
due cavalieri d'onore e da un drappello d'arcieri, si presentava
all'ingresso delle carceri, detto il palazzo di giustizia.
--Sua Altezza la regina di Castiglia! aprite!--intimò il capo degli
arcieri.
Il cancello si aperse, e la regina entrò in un cortile di vecchio
convento, diventato prigione. Il prevosto delle carceri non tardò ad
apparire dall'alto di una scala, e tutto confuso da quella visita
inaspettata scese a precipizio, rischiando un paio di volte di
fiaccarcisi il collo.
--Agli ordini di Vostra Altezza;--balbettò egli, piegandosi in
due;--agli ordini di Vostra Altezza.
--Voglio visitare le carceri;--disse la regina, con piglio
severo.--Precedimi.--
Il prevosto non osava passare avanti: ma Beatrice di Bovadilla gli fece
notare che dove Sua Altezza ordinava, il cerimoniale portava di
obbedire. E il prevosto si piegò in due una seconda volta, precedendo
la comitiva fino al piano superiore del chiostro.
--Non aspettavate di rivedermi così presto?--gli disse a mezza voce la
marchesa di Moya, mentre la regina si affacciava nell'intercolonnio, a
guardare di sotto e d'intorno.
--Signora.... sa Iddio se avrei voluto contentarvi l'altro giorno; ma ho
comandi superiori.... sono schiavo del dovere....
--Il vostro dovere lo vedremo quest'oggi;--ribattè la marchesa.--E
preparatevi a farlo bene.
--Che cosa gli dici?--domandò la regina, avvicinandosi.
--Che si disponga a liberare il mozzo Bonito, secondo gli ordini di
Vostra Altezza;--rispose la marchesa di Moya.
--Tale è infatti il nostro piacere;--disse la regina.--Dov'è egli?
--È là, al numero sette, voltato quell'angolo del corridoio;--rispose il
prevosto, più confuso che mai.--Ma.... voglia perdonarmi Vostra
Altezza.... So bene che Vostra Altezza comanda.... Tutta Valladolid lo
dice; ma io, povero vecchio soldato, schiavo del mio dovere....
--Vuoi dire che non hai libertà di obbedirmi? Colpa di chi non te lo ha
fatto sapere in tempo;--replicò la regina, con più asseveranza che non
fosse dato aspettare da lei.--Apri quell'uscio, e metti fuori il
prigioniero, a cui faccio grazia, se forse non è meglio dire gli rendo
giustizia.--
Il povero prevosto nicchiava. L'aspetto imperioso della regina egli lo
vedeva, e ne tremava tutto: ma aveva anche agli occhi le immagini del
re Ferdinando e del suo potente ministro Ximenes.
--Mia signora....--balbettò egli.--Se almeno avessi un ordine in
iscritto!
--Non c'è altra difficoltà?--disse la marchesa di Moya.--Portate qua
penna e calamaio con un foglio di carta, e l'ordine è presto fatto.
--Capisco.... sì, capisco bene. Ma gli ordini, forse, andrebbero meglio
se firmati da due.... dalla regina e dal re. Il re e la regina sono
inseparabili.--
La marchesa di Moya stava già per rispondergli. Ma la regina fu colpita
dalle parole dello scrupoloso carceriere.
--Hai ragione, buon servo della corona di Castiglia;--diss'ella,
intenerita.--Tu pensi che Filippo debba esser sempre accanto a Giovanna?
Ricordami queste tue parole, quando avrai qualche cosa da chiedermi, e
ti sarà concessa, te lo prometto fin d'ora.--
Ciò detto rimase estatica, pensando e guardando fissamente davanti a sè.
Era uno dei momenti pericolosi, per chiunque aspettasse qualche cosa da
lei. La povera estatica non era più capace di nulla.
--Possiamo almeno entrare, a visitare il prigioniero;--disse la
marchesa, alzando la voce.--Apriteci, signor prevosto. E Vostra Altezza
si degni di entrare,--soggiunse, premendo con devota amorevolezza il
braccio della regina.--La contessa Juana del Fiesco aspetta una buona
parola dal bel labbro regale.
--Bel labbro!...--mormorò la regina.--Bel labbro!... Come sei originale,
Bovadilla! Andiamo dunque;--soggiunse, alzando a sua volta la voce;--e
portiamo la buona parola. Bel labbro!--tornò a ripetere
sommessamente.--Bel labbro! Così parlasse Filippo!--
La regina voleva visitare il prigioniero; era nel suo diritto, e
adempiva anche uno dei precetti della santa madre Chiesa. Il prevosto
non ebbe argomenti da opporre, e mise mano alle chiavi. La cella del
numero sette fu aperta, e la regina passò.
Il mozzo Bonito era là, nel vano dell'unica finestra onde prendeva luce
la cella; e stava con la fronte appoggiata alle sbarre d'una inferriata,
per sentire il fresco del metallo, e per bere un soffio d'aria, della
buona aria del cielo, della eterna libera, che forse ignora la sua
grande fortuna. Non si era volto, all'aprirsi dell'uscio, pensando che
si trattasse d'una delle solite visite de' suoi carcerieri; ma si volse
al fruscío delle vesti femminili, e ad una ondata d'insolita fragranza
che penetrava in quel chiuso. Vide allora le dame, riconobbe la marchesa
di Moya, e si gettò nelle braccia che essa gli tendeva in quel punto.
--Ecco la regina, mozzo Bonito;--fu pronta a dire la marchesa di
Moya;--la regina Giovanna, che vi fa la grazia di venirvi a vedere.--
Il mozzo Bonito guardò quella dama dal malinconico aspetto e dai grandi
occhi buoni; si chinò, le prese la mano, baciandola divotamente, e ruppe
in uno scoppio di pianto. Erano le prime lagrime che Fior d'oro avesse
versate là dentro.
--Mozzo Bonito! mozzo Bonito!--esclamò la regina, commuovendosi.--O
piuttosto, contessa del Fiesco.... Sappiamo tutto: non piangete; siamo
qua noi. Dio!--soggiunse, volgendosi alla marchesa.--Come è bella! Se
avesse i capelli biondi, non si direbbe?...
--La regina vi fa giustizia;--prese a dire la marchesa, cercando di
rompere il corso dei pensieri regali.--Essa abomina una odiosa
prepotenza, a cui il suo governo è straniero. La regina vi ama, e vi
conduce a respirare un'aria più sana. Venite, contessa, e ringraziate la
regina fuori da questa orribile stanza.
--Ci sa di rinchiuso;--aggiunse la regina, muovendosi.--E come è brutta
la prigione!--
Uscita dalla triste stanzetta, la comitiva svoltò l'angolo del
corridoio, avviandosi a quella parte dond'era venuta. Il signor prevosto
delle carceri si trovò male a quella vista, e fu per cacciarsi le mani
nei capelli. Come richiamar dentro il prigioniero, senza offendere la
regina, che andava oltre, tenendogli per dimostrazione di benevolenza
una mano sugli ómeri? La marchesa di Moya, che veniva dopo di loro a
pochi passi di distanza, vide il comico agitarsi del disgraziato; ma non
si diè cura delle sue smanie, e seguitò imperturbata un esodo che le
pareva troppo bene avviato. Ma egli non la intendeva così; e fattosi
animo, afferrò la marchesa per una manica ricadente della sua
sopravveste di broccato.
--Signora marchesa.... mia buona signora marchesa....--ansimava egli con
voce soffocata.--È un tradimento.... Sono un uomo rovinato....
--Che cosa vi avevo detto io, signor prevosto?--ribattè la marchesa,
traendo a sè la sua manica.--Carta, penna e calamaio, e vi si fa
l'ordine di scarcerazione.
--Ma senza la firma del re?
--Ecco, voi non siete ragionevole nei vostri desiderii. La regina vi ha
detto: ripetimi le tue belle parole, quando avrai qualche cosa da
chiedermi, e sarai contentato. Avete voi chiesto allora che il re
autenticasse la parola di lei? E non andrete un giorno o l'altro a
chiedere un posto migliore, anche senza avere la firma del re?
--Ma ancora non è detto che io l'ottenga!--rispose il prevosto.
--E il modo vostro è cattivo, se mai, per ottenere qualche
cosa;--ribattè la marchesa.--Credete voi che fugga Giovanna stasera, e
sia qui domani da capo il re d'Aragona? Ah, per buona sorte, e per
rimettervi il fiato in corpo,--soggiunse ella, ridendo,--eccolo qua un
re, signor prevosto, e migliore di quello che volevate servire. Animo!
carta, penna e calamaio, se non volete che il re e la regina vadano via,
senza lasciarvi due righe di biglietto.--
Il marchese di Lucena aveva fatte le cose per bene. Filippo,
accompagnato dal buon duca d'Ossuna, era giunto allora nel chiostro, e
stava a colloquio colla regina. Egli ebbe notizia di ciò che Giovanna
aveva fatto, e stava rivolgendo qualche frase benevola al prigioniero
liberato, quando la marchesa di Moya si avanzò per dargli spiegazioni
più minute.
--Bene! egregiamente!--disse Filippo, a cui poco bastava, e che lì per
lì si sarebbe anche contentato di niente.--Facciamo dunque un po' di
giustizia? Mi par d'andare a nozze una seconda volta. Ma sì!--aggiunse
lesto, vedendo oscurarsi la fronte di Giovanna.--Con la giustizia, oggi,
come già ci andai con la grazia.--
Il prevosto aveva fatto portare uno scrittoio, con la carta, il
calamaio e la penna. Gli fu steso l'ordine di scarcerazione, e Filippo
si avvicinò allo scrittoio per apporre la firma: _Yo el Rey_.
--È la prima che faccio, in Valladolid; ed ora, mia cara Giovanna, a
voi.--
Giovanna sussultò a quel dolcissimo aggiunto; e tutto il suo essere
palpitava, radiava incontro a quell'uomo biondo e bello come un giovane
iddio. Guardando a mala pena la carta, e subito levando gli occhi verso
Filippo, scrisse accanto alla firma di lui: _Yo la Reyna_.
--Basta così, per voi?--chiese la marchesa di Moya al prevosto.
--Sì, signora marchesa;--rispose egli, chinando il capo più in giù delle
spalle.
--Ma ancora non basta a me;--ripigliò la signora.--Questo scrittoio può
servire a qualche altro po' di giustizia, se Sua Altezza permette.
Ossuna, volete voi scrivere un salvacondotto per don Bartolomeo Fiesco,
conte di Lavagna, per la contessa sua moglie, e per ogni altra persona
che fosse con lui in terra di Castiglia e Leon, che nessuno li possa mai
molestare nè imprigionare?
--Il re e la regina permettono;--disse il buon duca di Ossuna, vedendo
sorridere i sovrani e far segno di assenso.--Dettate voi, marchesa, che
sapete i nomi e i titoli, e il bisogno del conte.--
La marchesa dettò; Filippo e Giovanna firmarono ancora, l'uno di costa
all'altro, e il duca d'Ossuna v'aggiunse il suo nome, entrando così in
carica di segretario.
--Due buone azioni, e fatte insieme;--disse la regina.--Sono contenta,
Filippo.--
Ma Filippo s'era messo e dire troppe garbatezze al mozzo Bonito, e già
pareva non avesse più occhi se non per lui. Onde la regina strinse il
braccio di Bovadilla, su cui s'era appoggiata per scender la scala; e
stringendo il braccio, le disse all'orecchio:
--Odio il mozzo Bonito. È troppo bello; portalo via.
--Lo manderò, piuttosto; perchè vedo là in fondo allo scalone il conte
di Lavagna, che sarà più felice di accompagnarlo. Se pure,--aggiunse la
marchesa,--Vostra Altezza non vuol liberarsi di me.
--No, no, rimani; son pazza;--mormorò Giovanna, stringendosi a lei.--Son
pazza! son pazza!--seguitava sommessamente.--Lo ha detto anche mio
padre.
--Pazza d'amore;--le sussurrò Beatrice di Bovadilla all'orecchio.--Ed è
bello, in una donna, esser pazza così.
--Anche tu, non è vero, Bovadilla? Accompagnami a palazzo; non son
gelosa di te. Ma oggi, piuttosto, per avere il tuo premio, o per darlo
altrui con la tua dolce presenza, andrai dagli amici tuoi che
t'aspetteranno, e dirai a don Cristoval che Giovanna di Castiglia farà
giustizia anche a lui. Come è bello far giustizia! Piace anche a
Filippo; ed è più bello ancora scrivere il proprio nome accanto al suo.
Inseparabili! inseparabili nella vita! Ma bisognerebbe anche esser tali
nella morte; non credi?--


CAPITOLO XVII.
Sposi novelli.

Dicono che l'uomo non intenda pienamente il suo bene, se non quando gli
sia accaduto di perderlo, e che non sia maggior dolore del ricordarsene
senza speranza, nè maggiore felicità del ricuperarlo dopo tanto
sconforto. Ma il capitano Fiesco, per intendere il suo, non aveva
mestieri di vederselo rapire a quel modo. Il doloroso esperimento, se
mai, lo aveva già fatto una volta a San Domingo; e in verità non c'era
bisogno d'insegnargli più nulla con un nuovo pericolo. E il pericolo era
stato assai grave, ad onta delle speranze che gli faceva balenare
davanti agli occhi il ministro Ximenes. Come sperare che Gian Aloise si
mettesse per il suo disgraziato parente in una lunga peregrinazione e in
uno spinoso negozio, se quel suo parente gli aveva poco prima ricusato
di muoversi per lui a più breve viaggio e a più facile impresa? E se
pure Gian Aloise si fosse lasciato persuadere per amor di Juana, da lui
tenuta al fonte battesimale, da lui accompagnata all'ara nuziale, era da
credere che sarebbe egualmente venuto a capo di una trattazione, che
doveva essere tanto più malagevole, quanto più pareva premere al re
Ferdinando? Se i negoziati fallivano a Parigi, addio speranze di
Valladolid. E il capitano Fiesco si sarebbe ucciso, non potendo
sopravvivere a Fior d'oro, irremissibilmente perduta. Triste chiusa al
poema! Ed era questo il suo pensiero dominante, l'unico che lo tenesse
in vita.
Un raggio di speranza lo aveva portato con sè la marchesa di Moya. Si
era sentito rinascere all'annunzio che i nuovi sovrani di Castiglia
sarebbero giunti a Laredo, togliendo al perfido Aragonese
l'amministrazione del regno. Ma anche un animoso tentativo della
generosa Beatrice di Bovadilla era andato a vuoto. Il prevosto delle
carceri, pregato, minacciato da lei, aveva resistito a preghiere, a
minacce; e donna Beatrice era partita per Burgos, promettendo molto al
povero conte, animandolo a sperare da capo, ma neanche lei ben certa di
promettere utilmente, di dargli speranze efficaci. E i giorni passavano,
ed erano giorni d'angoscia terribile. Ferdinando era andato a Burgos,
incontro ai nuovi sovrani. Accorto com'era, non avrebbe acquistato
sovr'essi un ascendente che già gli poteva assicurare la sua condizione
di padre? Ma no; i giovani sovrani avevano lasciato Burgos, per scendere
a Valladolid. Quel padre astuto non aveva vinto ancora. Per contro,
venuta a Valladolid con la regina Giovanna, la marchesa di Moya non si
era lasciata vedere in casa dell'Almirante. Che voleva dir ciò? Una cosa
sola: che la dama di palazzo non aveva potuto, nei primi momenti
dell'arrivo in Valladolid, allontanarsi dal fianco della regina; che se
avesse potuto farlo, non lo avrebbe neanche voluto, amando meglio
restar là, a vigilare, a spiar le occasioni, a cogliere il buon momento
per tentare un gran colpo. La marchesa di Moya non era donna da
dimenticare gli amici, nè da lasciarli in angustie.
Che gioia, quando il marchese di Lucena, comparso improvvisamente nella
casa di Gil García, ebbe detto al Fiesco: "signor conte, andate subito
alle carceri del palazzo di giustizia; la marchesa di Moya vi aspetta
colà!" E che bella giornata era quella! com'era sereno il cielo!
com'erano liete le strade, per cui egli passava, non andando, non
correndo, volando!
C'era folla, sulla piazzetta delle carceri, e gli arcieri stentavano a
contenerla. Gli si fece largo, nondimeno: era un gentiluomo, doveva
appartenere al séguito dei sovrani di Castiglia, che erano andati là
dentro, per compiere un atto di grazia, di giustizia, di clemenza
regale. Sì, c'era un po' di tutto questo, nell'atto, e non bisognava
perdere il tempo ad almanaccarci su. Il capitano Fiesco sentiva le
benedizioni, e il cuore gli si allargava in petto, mentre la persona si
faceva sottile ed elastica, per scivolare in mezzo alla calca.
Entrò nel portico del chiostro, mentre la comitiva regale scendeva lo
scalone. Si trasse indietro per darle il passo, e il cuore gli balzò in
petto più forte, poichè vide in quella comitiva il mozzo Bonito. Anche
il mozzo Bonito avea visto lui, e rizzando la sua bella testina in mezzo
a quel barbaglio d'oro e di seta che scendeva con lui dagli ultimi
scalini, si era recato la mano alle labbra; col sommo delle dita gli
gittava il suo bacio, con un lampo degli occhi gl'illuminava quel
bacio.
Dalla marchesa di Moya fu presentato alla regina; fece un profondo
inchino, balbettò poche frasi rotte dalla confusione del momento; ma in
quella confusione gli venne bene di poter salutare in lei "l'angelo di
Castiglia." Angelo per la bontà, si capisce; ma gli angeli sono anche
belli. E il complimento, fiorito così naturalmente sulle labbra del
cavaliere, doveva tornar sommamente gradito al cuore della regina.
--Signor conte di Lavagna,--diss'ella amabilmente,--noi vi rendiamo un
tesoro. Andate, e custoditelo, per vostra fortuna e sua. Se mai vi
accada di abbisognare del nostro appoggio, contate su noi, che saremo
sempre felici di rivedervi.--
Ciò detto, e baciato sulle guance il bel mozzo Bonito, congedò
graziosamente gli sposi, che rimasero lì, contro il muro, per lasciarla
passare. Ma ella volle che passasse prima Filippo; indi, tra gli
applausi e le acclamazioni della folla, entrò nella sua lettiga, che
tosto si mosse, per ricondurla al palazzo reale.
La marchesa di Moya aveva trovato il tempo di consegnare un foglio al
conte Fiesco.
--Eccovi un salvacondotto, che abbiamo potuto aggiungere ad un biglietto
di scarcerazione;--diss'ella.--Dov'è il più, non conta il meno: pure,
sarà sempre bene tenerlo. Andate; ci rivedremo dall'Almirante,
stasera.--
La folla si assiepava intorno ai sovrani, non badava più ad altro, e
lasciava libero il passo rasente al muro dell'edifizio. Il capitano
Fiesco, preso il mozzo Bonito sotto il patrocinio d'un braccio amoroso,
scivolò destramente da quel vano in una viuzza laterale.
Andavano, andavano muti e palpitanti d'allegrezza profonda; andavano
senza saper dove, felici di andare e d'essere insieme. Quante cose
avevano a dirsi! ma tutte inutili, davanti alla gioia di trovarsi
ricongiunti, ricuperati l'un l'altro, come rinati insieme ad un medesimo
soffio di vita. Le strade tortuose, lunghe, malinconiche, erano sentieri
di paradiso per essi; e lembi di cielo azzurro non ridevano dall'alto,
tra le grondaie dei tetti? La gente guardava un po' troppo i due
viandanti felici; ed essi, per quanto andassero spensierati, non
potevano sempre esser tanto distratti, da non vedere quegli sguardi
curiosi. Gente indiscreta! E non si dava mica pensiero delle coppie di
colombi, che svolazzavano di continuo da una casa all'altra, venendo a
grugare, a bezzicarsi sulle sponde dei cornicioni, sui davanzali delle
finestre, sugli sporti dei tetti! Perchè pigliarsi cura di due felici
mortali, che se ne andavano allegramente pei fatti loro, non dando noia
a nessuno? Adagio, a non dar noia! L'uomo felice ne dà sempre un pochino
al suo prossimo. E i nostri felici non istettero molto a capirlo, perchè
bel bello, senza dirselo, un po' vergognosi, ma anche un po' sorridendo,
si spiccarono l'uno dall'altro, muovendo il passo più svelto, e girando
con tacito consenso verso le vie più deserte, finchè riuscirono sulla
spianata delle mura di Valladolid. Ah, benedetto il cielo, che per
intanto si vedeva più largo! e con molta campagna davanti agli occhi, e
senza curiosi indiscreti dattorno, con un po' di giardini lungo la
strada solitaria, e qualche modesta casetta qua e là. Bel luogo
campestre, tanto più bello quanto era più lontana l'ora dei vespri
rumorosi del popolino! E come invitava bene un'insegna di _posada_, su
cui era scritto in grosse lettere: _a la Gaita Zamorana!_
--Dovrebb'essere una piva, la gaita;--notò il capitano Fiesco.--A casa
nostra, quando va a male un'impresa, si dice che l'uomo ritorna con le
pive nel sacco. Mi par di vedere il re Ferdinando, e il suo ministro
Ximenes. E non ti pare un'insegna di buon augurio, Fior d'oro? Non hai
sete? non hai fame?
--Un po' di verde e un po' di pace!--esclamò Fior d'oro, traendo un
lungo sospiro.
--Questo prima di tutto;--riprese il capitano Fiesco.--Ma io ritorno
anche al desiderio di vivere. E sarà, se tu vuoi, il primo boccone che
dopo tanti giorni d'angoscia non m'andrà di traverso.--
Fior d'oro si strinse amorosamente al fianco del suo cavaliere. E tutt'e
due entrarono nella _posada_ della Gaita Zamorana. Due minuti dopo erano
nel giardino attiguo, seduti sotto un pergolato di vigna, che
incominciava a vestirsi di pampini.
Qui, mentre l'ostessa andava e veniva col meglio della sua cucina,
scusandosi di non poter fare di più a cagione dell'ora bruciata, i suoi
due forestieri si scambiavano le prime parole un poco ordinate, i primi
pensieri un po' riposati, riandando i giorni dolorosi della loro
separazione.
--Che orrore, Fior d'oro! E che angoscia, la mia, pensando a quello che
tu dovevi soffrire! Come avrai pianto, mia povera bella!
--No, sai? Per te, mi sono afflitta; per me, non ho versato neanche una
lagrima. Ero tranquilla. Come ciò fosse non so; ma dopo il primo momento
di sdegno per la infamia del re Ferdinando, una gran pace si era fatta
nell'animo mio, per effetto di una profonda sicurezza. Ti sentivo