Raggio di Dio: Romanzo - 13
rosseggiavano al sole, per mezzo a frequenti sfaldature d'intonaco.
Quella casa pareva sorridere, aspettandolo; ond'egli si sentì liberato
da una grave oppressura. Che sciocco era stato! e come tutto fa paura,
quando si ha l'anima agitata! Infilò il portone, ascese rapidamente due
braccia di scala. Ah, finalmente, era in porto.
Nell'anticamera trovò l'Adelantado, grave, accigliato, silenzioso. Ma
era sempre così, quel benedetto uomo; non rideva se non in mezzo al
pericolo.
--Come va l'Almirante?--gli chiese il capitano Fiesco.
--Eh, si è voluto alzare;--rispose quell'altro.
--Tutti bene?--ripigliò il capitano, a cui quella risposta non poteva
bastare.
--Bene!... Amico mio, forse sapete?...
--Che cosa?--gridò il capitano.--Ah, sarebbe vero?...--
E cadde, così dicendo, sopra una scranna.
--Animo! animo!--gli disse l'Adelantado, con più tenerezza nella voce,
che non avesse mai dimostrata.
--Animo! animo!--ripetè macchinalmente il Fiesco.--Ne ho. Voglio
sapere.... voglio sapere.... Erano venuti gli arcieri?... o i famigli
del Sant'Uffizio?...
--No, grazie a Dio, solo quelli del re. Ma è sempre una infamia! Un tale
affronto all'Almirante! al vicerè delle Indie! Non ha dunque più
vergogna, quel tristo?--
In quel mentre appariva dall'uscio della sua camera il signor Almirante;
alto di tutta la rilevata persona, che oramai, nell'impeto dello sdegno,
non sentiva neanche più i suoi dolori aggranchirgli le membra; gli occhi
sfolgoranti, come nei momenti più gravi della sua vita, in mezzo alle
battaglie d'arrembata, o tra le marinaresche ribelli.
--Questa ancora, capitano Fiesco!--gridò egli, avanzandosi.--Questa
ancora, per colpirmi nel mezzo del cuore! Male lo stimai volpe; è una
tigre, quel re.
--Ma per qual ragione, Dio santo?--domandava il Fiesco, torcendo
convulsamente le mani, impossenti a sbranare un lontano e troppo alto
nemico.--Con quale pretesto?
--Con questo,--rispose l'Adelantado;--che il mozzo Bonito era una donna;
che si doveva sapere chi fosse, e perchè si nascondesse così. Abbiamo
risposto, non dubitate; abbiamo risposto che prendevano abbaglio; che si
trattava d'una gentildonna straniera, non soggetta alle leggi di Spagna,
e che non aveva da fare con la giustizia di questo paese. Ancora abbiamo
detto il suo nome, ma inutilmente. Il signor governatore vedrà, il
signor governatore giudicherà, rispondeva l'alguazil, ch'era venuto
cogli arcieri; se c'è errore sarà facilmente rimediato, e il mozzo
Bonito, o contessa del Fiesco che voglia essere, ritornerà a casa, senza
che gli sia torto un capello. L'Almirante s'intromise; voleva star egli
mallevadore; domandava un indugio, finchè non si appurasse ogni cosa;
credeva di averne il diritto, essendo egli il padrone di casa, e tal
uomo da non essere sospettato di poca reverenza alle leggi. Inutile!
tutto fu inutile; ed han fatto a modo loro, conducendo la contessa al
palazzo di giustizia.
--Legata!
--Eh, sì, legata;--rispose l'Adelantado, fremendo.--Erano in dieci, ed
avevano paura che fuggisse. Noi vi aspettavamo, per muoverci, per far
qualche cosa. L'Almirante vuol andar egli dal re.
--Ne vengo io;--ruggì il capitano Fiesco;--e non credo che gioverebbe.
L'ha con me, il re Ferdinando. Come ciò sia, è inutile il dire; nè si
potrebbe in poche parole. La contessa è un ostaggio ch'egli ha preso,
mentre io ero in udienza da lui. Servirlo! servirlo io? E in che cosa?
in qualche losca impresa, sicuramente. Non si prenderebbero ostaggi, se
la cosa fosse diversa. Venite, don Bartolomeo, accompagnatemi, che temo
di non arrivare dal re, di stramazzar per la strada.--
L'Almirante si avanzò, e gli pose amorevolmente le mani sugli ómeri.
--Coraggio, mio figlio!--gli disse.--E perdonatemi!--È avvenuto per
colpa mia, tutto ciò. Porto sfortuna a chi mi vuol bene.
--Oh, non dite, mio signore, non dite!--gridò il Fiesco,
intenerito.--Era il destino. Ma io mi ucciderò, se non la salvo.
--Un delitto! Non lo pensate neanche.
--Eh, io non sono un santo. Senza di lei, meglio l'inferno! E non l'ho
io già dentro l'anima?--
Scese a precipizio la scala; e don Bartolomeo Colombo lo seguiva. Giunto
a palazzo, chiese di entrare dal re. Non si poteva; impedivano il passo
i soldati; ricusava, chiamato al rumore, il gentiluomo di camera.
--Mio buon signor Noguera!--gridava il capitano Fiesco.--Non siate così
duro con me. Vogliate annunziarmi a Sua Altezza. Se non può ricevermi
subito, aspetterò. Sapete pure, signor conte; ho avuto udienza
quest'oggi, non sono ancora due ore passate; e lunga udienza, vi
ricordate?
--Appunto per ciò, non potrebbe parere bastante?--notò il conte di
Noguera.--Ci sono altri che hanno diritto. Del resto, son
gentiluomo;--soggiunse egli, accostandosi, e traendo il conte Fiesco in
disparte,--non voglio ingannare nessuno. Per quanto vi lasciassi star
qui ad aspettare, oggi Sua Altezza non vi riceverebbe.
--E perchè, di grazia? perchè?
--Non sono visibile, mi ha detto, se non per duchi e marchesi di
Castiglia e d'Aragona, per il razionale di Castiglia e per l'arcivescovo
di Toledo. Son queste,--soggiunse il Noguera,--le precise parole del re.
Voi siete escluso. Se non foste escluso, Sua Altezza, ricordando il suo
recente colloquio con voi, avrebbe aggiunto: e il signor conte di
Lavagna. Non l'ha aggiunto; ed io, con tutto il dispiacere che una
necessità come questa mi potrebbe cagionare, sarei costretto a
rimandarvi fuori. Vi prego, conte, non mi obbligate ad esser severo con
un gentiluomo come voi siete.--
Parlava da onest'uomo, il Noguera. Ma il capitano Fiesco non riusciva a
padroneggiarsi.
--V'intendo;--diss'egli, convulso;--v'intendo, e vi ringrazio. Ma
vedete, si commette una prepotenza, una ingiustizia, una iniquità, che
grida vendetta al cielo. Mia moglie, arrestata come una donna perduta;
la contessa del Fiesco, una straniera, in Castiglia, in terra di
cavalieri! e per ordine del governatore, che è come dire per ordine del
re, tratta a forza di casa, legata, in mezzo ad un drappello
d'arcieri!...
--La cosa è grave, e merita riflessione, in terra di cavalieri;--disse
il conte di Noguera, aggrottando le ciglia.--Forse si tratta di un
equivoco, e ci s'aggiunge un abuso della forza, che va represso e
castigato. Nè credo, come voi fate, che ci sia stato ordine del re.
Comunque, io vi consiglio, per venirne in chiaro, di recarvi da chi può
tutto in queste faccende, e correggere gli errori dei subalterni, o i
suoi proprii, se n'ha commessi, e consigliar clemenza al re, se si
tratta d'un ordine del re. Andate dall'arcivescovo di Toledo. Egli è ora
in udienza da Sua Altezza; ma non vorrà star molto ad uscire.
--Non posso aspettarlo qui?
--No, egli non passa di qui. Andate al palazzo di giustizia, dov'egli
risiede, e dove non tarderà a ritornare. Ma vi prego, non dite che v'ho
consigliato io. Qui, a dar consigli, si giocherebbe la carica. Siete un
gentiluomo, ed amo rendervi servizio, nella misura del poter mio; che
non è grande, pur troppo.
--Anche l'arcivescovo di Siviglia è qui?--entrò a domandare
l'Adelantado.
--Sì; come sapete, non è ancora andato ad occupare la sede.
--Bene,--concluse l'Adelantado, volgendosi al Fiesco.--Mentre s'aspetta
che Toledo ritorni al palazzo di giustizia, possiamo andare da Siviglia,
che si degni di darci una mano.
--La mano di Siviglia è potente;--disse il Noguera, sorridendo.--E potrà
certamente aiutarvi.--
Siviglia, da cui andarono subito, trovandolo nel convento di San
Domenico, era Diego di Deza; bel monaco, dall'aspetto grave, e dal
labbro pieno di bontà. Amava Cristoforo Colombo, e nel consiglio di
Salamanca era stato l'unico suo sostenitore, dispiacendo molto al
vescovo Talavera, e voltando a favore del grande navigator Genovese
l'animo buono dell'arcivescovo Mendoza. Dalla dottrina del Deza, anche
rimasta allora perdente, erano stati salvati per migliore occasione i
disegni di Cristoforo Colombo. E questi ne aveva serbato in cuore una
viva riconoscenza al sapiente domenicano; e il domenicano, dal canto
suo, sentendosi legato da quel buon ricordo al trionfo della mirabile
impresa che aveva preconizzata, ricambiava di vivissimo affetto il
signor Almirante, considerando amici quanti venissero in nome di lui.
Accolse egli a festa don Bartolomeo Colombo e il capitano Fiesco: udì la
ragione della loro venuta, ascoltò attentamente il racconto che gli
facevano, battè un pochino le labbra, e poi disse al Fiesco:
--L'arcivescovo di Toledo è un uomo virtuoso; fidate in lui, signor
conte.
--Le parole di Vostra Eccellenza mi rassicurano;--rispose il
Fiesco.--Ma, se io ho ben veduto, un certo moto delle vostre labbra mi
dovrebbe tenere in pensiero.--
Sorrise il domenicano, e ripigliò placidamente:
--Non vi maravigliate di un moto involontario, essendo un mal vezzo dei
nostri poveri nervi. Ma con voi, degni gentiluomini, si può fare a
fidanza. Il Ximenes è la virtù in persona: solamente è un po' debole,
innanzi a certi voleri, che potrebbero forse trovarlo più risoluto. Ma,
ripeto, è un sant'uomo; quello ch'egli dirà di fare, certamente farà. Ad
ogni modo, e senza saper nulla del vostro bisogno, vi presenterò io, vi
raccomanderò io a Sua Eccellenza. Siete contento?--
Il capitano Fiesco s'inchinò, ringraziandolo; e l'arcivescovo di
Siviglia si degnò di presentarlo egli stesso al primate della chiesa di
Spagna.
Francesco di Cisneros Ximenes, arcivescovo di Toledo, succeduto in
quell'alta dignità al buon cardinale Mendoza, doveva ancora aspettare un
anno il cappello cardinalizio, che ottenne poscia da Giulio II. Per
intanto, come primate della chiesa di Spagna, e già stato confessore
della regina Isabella, il degno prelato, famoso per eccellenza di
dottrina e per santità di vita, reggeva l'amministrazione politica del
reame di Castiglia. Modesto nell'alta carica, indossava sempre il suo
vecchio abito di frate francescano sotto le insegne pontificali: a
Toledo viveva in una povera cella, contigua al palazzo arcivescovile; e
per allora a Valladolid, seguendo la Corte, non aveva voluto alloggiare
nel palazzo regale, troppo fastoso per lui, contentandosi d'un
quartierino nel palazzo di giustizia.
E nessuno diceva che quella sua rinunzia ad ogni fasto fosse
ostentazione di modestia. Il Ximenes era stato sempre così. Vagheggiava
alti disegni, di cui Ferdinando rideva; ma quel sant'uomo lo serviva ad
ogni modo, per grande amore che portava alla gloria di Spagna. Di questa
sua indole generosa diè prova in tre occasioni solenni: la prima,
dichiarandosi apertamente per Ferdinando, quando Filippo d'Austria morì,
e della vedova Giovanna non si poteva sperare che con pienezza
d'intelletto e fermezza di mano tenesse le redini del governo: la
seconda, facendo e guidando egli stesso la fortunata impresa di Orano e
di Algeri, che fece strabiliare l'incredulo monarca, tanto ingrato e
sconoscente da scrivere al Navarro, comandante militare della
spedizione: "impedite al brav'uomo di tornare troppo presto in Ispagna;
bisogna lasciargli consumare, quanto più si potrà, la persona e il
denaro". La terza prova, e forse la più solenne, fu data dal Ximenes,
quando dalle Cortes riluttanti fece eleggere in fretta re di Castiglia
il poco amato e niente desiderato Carlo V, che doveva far ministro
invece di lui il fiammingo Adriano d'Utrecht, che poi fu papa col nome
di Adriano VI; ed egli, il virtuoso Ximenes, pur di giovare alla Spagna,
si rassegnò lietamente al secondo posto, bastando a tutte le gravi cure
del governo, che con tanta accortezza aveva sostenute nel primo.
Bontà non è mai troppa; e procede, se mai, da molta virtù. Ma non sempre
i Castigliani potevano menar buona tanta virtù al loro concittadino, e
ne accusavano più volentieri la debolezza; specie allora, che, viva
Giovanna e non pazza ancora agli occhi di tutti, vivo il suo bel Filippo
d'Austria, e desideroso di regnare con lei in Castiglia, il Ximenes si
mostrava troppo docile ministro dell'Aragonese, e lui desiderando
reggente, lavorava con ogni poter suo ad amicargli la riottosa nobiltà
Castigliana. Ferdinando possedeva certamente molte qualità necessarie al
regnante, specie di quei tempi; tanto che meritò le lodi del Segretario
Fiorentino. Ma le guastava tutte col difetto di probità; era ingrato,
bugiardo e mancator di parola: non contava nulla i suoi impegni, quando
trovasse il suo tornaconto a violarli. E così poco si vergognava della
sua perfidia, che se ne faceva bello quante volte gli riuscisse a bene.
Udito un giorno che Luigi XII si doleva d'esserne stato ingannato una
volta, "quell'ubbriacone ha mentito" diss'egli, "perchè l'ho ingannato
tre volte". E un principe italiano diceva di lui: "prima di far capitale
de' suoi giuramenti, vorrei sentirlo giurare per un Dio, nel quale egli
credesse".
Ferdinando il Cattolico è qui giudicato: non ci maravigliamo dunque che
non lo amasse l'arcivescovo di Siviglia, e che, per effetto della troppa
sua condiscendenza al re d'Aragona, tacciasse di debolezza il virtuoso
arcivescovo di Toledo.
Il quale, nella sua stanzetta modesta del palazzo di giustizia, accolse
amorevolmente il suo minor collega di Siviglia: ma, come seppe chi
fosse il suo compagno di visita, fece la cera un po' brusca.
--Lo raccomando a Vostra Eccellenza;--diceva il Deza,--quantunque non
sappia bene quel che gli occorra. A me è grandemente raccomandato dal
signor Adelantado, fratello del nostro glorioso Almirante maggiore, che
Iddio guardi, e Sua Altezza il re tenga caro com'egli si merita.--
Il Ximenes stette a sentire con molta rassegnazione il fervorino per
Cristoforo Colombo, che con altrettanta soddisfazione aveva proferito il
Deza. E cortesemente lo accomiatò, accompagnandolo fino all'anticamera.
Ritornò poscia nella stanza, dove il capitano Fiesco era rimasto in
attesa, sempre turbato, ed allora più che mai, pensando che da quel
colloquio dipendeva la sorte di Juana e la sua.
S'aspettava d'essere interrogato; e grande fu la sua maraviglia,
sentendosi dire dal Ximenes:
--So tutto, e non occorre, signor conte, che mi raccontiate l'arresto
avvenuto. Andiamo per la più breve, che converrà a voi come a me. Per
qual ragione non volete voi servire Sua Altezza? Perchè cospirate coi
suoi nemici?
--Io, Eccellenza?--gridò il capitano, facendo gli atti del massimo
stupore.
--Siete stato a Siviglia;--ripigliò l'arcivescovo.--E si sa dove siete
andato, in Siviglia.
--In un convento, Eccellenza; ad ossequiare la signora marchesa di Moya,
ch'io non so essere in mala vista presso la Corona; a chiederle una
grazia, che assai mi premeva, voglio dire il suo patrocinio per il
signor Almirante. Don Cristoval Colon, che la marchesa ha sempre
stimato e protetto, è in fin di vita; nè Vostra Eccellenza lo ignora.
Unica e sola, che potesse anche giovargli in un delicatissimo caso di
coscienza, era Beatrice di Bovadilla.--
Senza pensarci bene, forse operando per moto spontaneo d'ingegno avvezzo
ai pronti espedienti, Bartolomeo Fiesco aveva toccato un tasto che
doveva rendere buon suono nell'animo del virtuoso Ximenes.
--Di coscienza?--diss'egli.--E si può sapere, senza offesa di sacre
ragioni?
--Sì, e ne giudichi la Eccellenza Vostra;--rispose il Fiesco, che aveva
avuta la buona ispirazione, e ne faceva il suo prò.--Nella maturità
della sua giovinezza, il signor Almirante aveva amata una donna di
Cordova; e di quell'amore gli era nato un pegno carissimo.
--Il giovinetto Fernando; mi par di vederlo;--notò il suo
interlocutore.--E la donna, se ben ricordo, una Enriquez de Arana.
--Per l'appunto: non più veduta dal signor Almirante, perchè a lui
diventata nemica, senza che egli mai riuscisse ad intenderne la ragione,
mentre egli avrebbe voluto riparare al suo fallo. Ma ciò che in tanti
anni non gli è stato possibile, diventa necessario ora, affinchè il
giovane Fernando non rimanga orfano insieme e notato d'illegittimità. Il
caso di coscienza è doppio, e verso la madre e verso il figliuolo.
--Come c'entra donna Beatrice di Bovadilla?--chiese il Ximenes.--Anche a
non tener conto delle ciarle del mondo, che suole inventare tutto quello
che non sa, possiamo maravigliarci che la marchesa di Moya sia ritenuta
più adatta a riunire due anime state tant'anni divise.
--Non si maravigli il savio;--rispose Bartolomeo Fiesco.--La marchesa di
Moya conosce Beatrice Enriquez. Fin dalla vigilia della partenza di
Cristoforo Colombo per il suo primo viaggio di scoperta, aveva tentato,
checchè potesse costarne al suo cuore, di ravvicinare la sdegnosa
Cordovana al padre del suo Fernando.
--Mi assicurate che questo è il vero? che siete andato a Siviglia per
ottenere i buoni uffici della marchesa di Moya nelle cose di don
Cristoval Colon? e non per altro, non per altro?
--Quali prove posso io darne a Vostra Eccellenza, io che Le sono appena
conosciuto per la presentazione di Diego di Deza? I miei leali servigi a
questa Corona furono di buon suddito, e di suddito volontario, il che
dovrebbe accrescerne il pregio. Il mio nome è d'antica stirpe di
gentiluomini e di cristiani; nè io vorrei macchiarlo con una menzogna.
Per nessun'altra ragione, fuor quella che ho detto, sono io stato a
Siviglia; lo giuro per questa croce che vi pende dal petto, e che io
bacio in ginocchio.--
Si era intenerito, il buon primate di Spagna. Posò la sua destra sul
capo del conte, come in atto di benedirlo; poi, fattolo alzare e sedere
davanti a sè, stette un istante pensoso.
--Vi credo, figliuol mio;--diss'egli poscia.--Ma vedete, qui siamo in
mezzo a continui pericoli. _Incedo per ignes suppositos cineri doloso_;
si cammina sulla cenere ingannevole, che nasconde i carboni ardenti. Si
congiura contro il re Ferdinando, contro un sovrano che cova nell'animo
grande i più vasti disegni. È dunque utile alla Spagna, alla sicurezza,
alla gloria di questa nazione a mala pena formata, ch'egli sia il
reggente di Castiglia; ed è necessario per ciò che il re Cristianissimo
gli sia intieramente amico.
--Non gliene ha dato prove bastanti?--chiese il capitano Fiesco.--Non
gli ha concessa in moglie Germana di Foix?
--Dite che il re Ferdinando l'ha voluta;--rispose il Ximenes.--E non
poteva non volerla, per tema che altri la prendesse, diventando un
pericoloso vicino. Queste cose non vogliono capirle i corti intelletti.
Come figlia a Giovanni, visconte di Narbona, come sorella a Gastone di
Foix, legittimo pretendente della Corona di Navarra, la principessa
Germana era un partito più da lui desiderato, che non dal re
Cristianissimo, sebbene per un tal matrimonio questi diventasse suo zio.
È necessario, vi ripeto, che il re Luigi, ristrettosi finora ad un
trattato riguardante le cose di Napoli, consenta ad una vera alleanza
d'interessi, per ciò che riguarda il buon vicinato. Forte d'una simile
alleanza, Ferdinando s'impone come reggente di Castiglia ai pochi ma
riottosi signori del territorio, che s'ostinano a negar la luce del
sole, ricusando di vederla.
--E l'aspettano di Fiandra;--notò il capitano Fiesco.
--Di Fiandra!--ripetè il Ximenes.--Perchè dite di Fiandra?
--Ma sì,--riprese quell'altro.--Non aspettano la principessa Giovanna e
il suo marito Filippo d'Austria? E non sono in Fiandra, i giovani
sposi?--
Il primate di Spagna non potè trattenere un sorriso, che non era tutto
di compassione.
--Come?--diss'egli.--E non sapete?... Ah, davvero, figliuol mio, non
siete andato a Siviglia per congiurare contro il re Ferdinando. Ecco una
prova della vostra innocenza, che viene a corroborare le altre. Niente,
niente!--soggiunse il virtuoso Ximenes, rispondendo ad un gesto di
stupore del capitano Fiesco.--Non domandate spiegazioni, che vi
sarebbero inutili. Vi basti sapere che vi stimo di più, ed anche sento
di potermi fidar meglio a voi. Vedo in pari tempo che i segreti del re
sono più custoditi ch'io non potessi sperare.--
Il capitano Fiesco non aveva capito come e perchè gli si potesse far
merito dall'accenno alle Fiandre: non capì che cosa significasse il
segreto del re, così ben custodito. Ma non istette a chieder ciò che il
benigno interlocutore mostrava di non volergli dire. Di ben altro era
curioso, dopo tutto; gli premeva ben altro.
--Torniamo a noi;--ripigliò il Ximenes.--Nessuno potrà meglio persuadere
il re Cristianissimo, che il vostro eccelso cugino Gian Aloise, uno dei
più potenti signori italiani, e colui che possiede l'anima e il cuore di
Luigi XII. Chi potrà persuadere Gian Aloise, se non voi, conte Fiesco? A
voi dunque; la gloria e la fortuna sono per voi.
--E per questo,--disse il capitano Fiesco,--per questo, che Sua Altezza
non mi ha neppur detto, ha presa la mia donna in ostaggio?
--Sua Altezza non vi ha detto nulla, perchè vi ha veduto riluttante a
servirla;--rispose il Ximenes;--ed anche perchè un messaggio di
Siviglia, arrivatogli mentre eravate in udienza, l'induceva a sospettare
di voi.
--Non può sospettare ancora?
--Non sospetto più io,--disse il Ximenes,--e sciolgo i sospetti del re.
--Ma l'ostaggio?... Perchè fu presa la contessa?
--Per assicurarsi di voi, suppongo;--disse l'altro, arrossendo.--Ed ora
ha il pegno in mano, perchè voi entriate al suo servizio.
--E se io ricusassi, perchè non mi sento tagliato a questi uffici? Mia
moglie non è spagnuola.
--Non nata spagnuola, concedo; ma suddita spagnuola potrebbe ben essere.
--No, non suddita spagnuola;--gridò il Fiesco, inasprito.
--Giuratelo per questa croce;--disse pacatamente il Ximenes.--Ah, non
ardite! e temete di farvi spergiuro! Ve ne lodo. Ecco una quarta prova
che m'avete detto il vero, giurando di non congiurare coi nemici del re.
Servite dunque Ferdinando, com'egli desidera, e riavrete la vostra
donna.
--Ma con quali pretesti è tenuta in carcere?
--Ragioni, figliuol mio, non pretesti. Fu presa, perchè si voleva venire
in chiaro d'un travestimento illecito, che mirava ad ingannar tutti,
compresa la giustizia. Avrei potuto ordinare l'arresto come grande
Inquisitore; e non l'ho fatto, e potete ringraziarmene. Fu in quella
vece un provvedimento della giustizia secolare, e per volere del re.
Ora, figliuol mio, considerate il caso vostro. Se rivolete la vostra
donna, dovete dar le prove al giudice che essa è veramente vostra
moglie: e ci vorrà tempo a farle venire, le prove, a farle esaminare
dagli esperti; più tempo che non ne spendereste a recarvi dal vostro
eccelso cugino e a condurvi in Parigi con lui. Neanche è da credere che
ella uscirebbe di prigione, se anche le prove fossero trovate bastanti.
Si dovrebbe anche sapere se, essendo stata suddita spagnuola prima di
esservi moglie, era egualmente libera, sciolta d'ogni obbligo verso la
giustizia spagnuola. E qui bisognerebbe aspettare l'esito di certe
indagini, che don Nicola Ovando ha già cominciate col suo solito zelo.
C'è tutto un viluppo di cose, qui sotto, e in coscienza debbo
avvertirvene, che non sarebbe punto piacevole per voi e per la povera
prigioniera. Siate savio, conte Fiesco. A voi, come italiano, può premer
poco che Ferdinando perda la reggenza di Castiglia o l'ottenga: a noi
preme che l'ottenga; e non per lui, badate, ma per salute di questa
patria, che senza di lui ricadrebbe nell'antica anarchia. Siamo
destinati alla patria celeste;--conchiuse solenne il Ximenes;--ma
dobbiamo meritarla servendo Iddio nella patria terrena, e in questa
unendo a sua gloria i cuori e le menti. Siate savio, signor conte, e
servite il re con amore. Io, frattanto, per questa croce vi giuro, che
alla prigioniera non sarà torto un capello, e che anzi ella sarà
trattata come una regina; mi capite? come una regina.--
Ahimè, sapevano ogni cosa, e non occorreva che aspettassero le nuove
indagini di don Nicola Ovando! Sapevano ogni cosa, e il capitano Fiesco
tremò tutto, dal capo alle piante.
CAPITOLO XIV.
A Laredo! a Laredo!
--Il colloquio era durato ancora, ma rotto, a pezzi e bocconi, non
sapendo il Fiesco rassegnarsi ancora a finirlo e chiedendo sempre
qualche cosa, il Ximenes strascicando le parole e mostrandogli di aver
detto abbastanza. Ma quanti dubbi restavano nell'anima del povero
capitano! E non gli si poteva almeno concedere di veder la sua donna?
--Troppo chiedete, senza averlo meritato!--rispondeva qui
l'arcivescovo.--Prenderò ordini da Sua Altezza. Quando avrete veduto il
re.... quando egli vi avrà date le sue istruzioni.... chi sa? non
dispero. Ferdinando è buono per chi lo serve con amore. Ed io, signor
conte, ho desiderio di contentarvi. Ma voi siate ragionevole; è
nell'utile vostro.--
Il capitano Fiesco baciò l'anello pastorale, e più morto che vivo si
ricondusse a casa. Era aspettato, e non potè tacere il colloquio che
aveva avuto, con un frutto così scarso per sè, con tanto danno imminente
per le speranze del suo grande concittadino. Terribil dilemma! o
tradire gl'interessi dell'Almirante, o perdere Fior d'oro.
--Figliuol mio,--disse Cristoforo Colombo,--non vi date pensiero di me.
So bene che il trionfo di Ferdinando è la perdita d'ogni speranza mia,
d'ogni fede nella giustizia degli uomini. Ma se Iddio non volesse farmi
morire contento?... Tutto quello che accade dimostra che questo è il suo
alto disegno. Sia fatta la sua volontà. Certo, ho gravi colpe da
scontare; e non è giusto che altri ne soffra per me. Andate dal re,
accettate ogni cosa. Ciò che Dio vuole sarà; ciò ch'egli non vuole non
sarà; sia benedetto il suo nome.--
Nè già l'Almirante conosceva per intiero i disegni della marchesa di
Moya, e le probabilità su cui erano fondati. Ma di tutto ciò era
informato l'Adelantado, che vedeva nella trista commissione imposta al
capitano Fiesco pericolare ogni speranza di giustizia. Era quello un
gran colpo, e forse mortale, per il suo sventurato fratello, che ad ogni
tratto, per ogni commozione un po' forte, ricadeva prostrato, bene
lasciando intendere ai suoi familiari che le fonti della vita
s'inaridivano in lui.
Tornava frattanto alla mente del Fiesco il risolino del Ximenes, quando
si era sentito accennare alle Fiandre. E se ne apriva coll'amico. Che
cosa poteva significare quel risolino dell'arcivescovo di Toledo? E che
segreto era quello del re, a proposito delle Fiandre, che l'arcivescovo
riconosceva con tanta soddisfazione essere stato così bene custodito?
--Amico mio,--rispondeva l'Adelantado,--vorrà dire che dal lato delle
Fiandre sono sicuri; che il re non ha timori, sapendo impazzita davvero
la sua figliuola e rivale; che finalmente, e questo è il peggio, da
quella parte là non c'è più da sperar nulla per noi.
--L'ho pensato ancor io;--disse il Fiesco.--Ma allora è inutile che
temano, e chiedano man forte alla Francia.
--Eh, non si sa mai;--replicava l'Adelantado.--Se Giovanna è pazza, non
è scemo il marito, e può cagionar dispiaceri, forte com'è dell'appoggio
di suo padre, l'imperatore Massimiliano d'Austria. Castiglia è poco
disposta a riconoscere l'autorità di Ferdinando d'Aragona. Non potrebbe
ella voltarglisi contro?--
Il resto della giornata passò in ansie continue per il povero capitano,
che quando non aveva l'amico a tenerlo occupato coi ragionamenti, si
lasciava andare alla disperazione, e piangeva come un bambino. E non era
un animo fiacco: ma in quella inerzia forzata, non aveva altro sfogo che
le lagrime. Nè v'hanno poi animi forti contro un dolore che terribili
incertezze rendano sempre più acuto.
Fior d'oro! povera donna cara! che sarebbe avvenuto di lei? come viveva
in quelle ore? Il ministro di Ferdinando aveva promesso che sarebbe
stata trattata bene, con tutto il rispetto dovuto ad una regina. E il
poveretto amava ad ogni tanto richiamarsi a mente le parole del Ximenes.
Certo, quell'uomo era debole, come lo aveva giudicato Diego di Deza; ma
non si poteva negare che fosse un uomo virtuoso. Debole, finalmente, era
fatto dal vivo amore di patria, che i suoi concittadini non mostravano
di intendere, e a cui uno straniero era tanto meno obbligato di render
giustizia: ma le sue intenzioni erano pure; le aveva chiarite egli
Quella casa pareva sorridere, aspettandolo; ond'egli si sentì liberato
da una grave oppressura. Che sciocco era stato! e come tutto fa paura,
quando si ha l'anima agitata! Infilò il portone, ascese rapidamente due
braccia di scala. Ah, finalmente, era in porto.
Nell'anticamera trovò l'Adelantado, grave, accigliato, silenzioso. Ma
era sempre così, quel benedetto uomo; non rideva se non in mezzo al
pericolo.
--Come va l'Almirante?--gli chiese il capitano Fiesco.
--Eh, si è voluto alzare;--rispose quell'altro.
--Tutti bene?--ripigliò il capitano, a cui quella risposta non poteva
bastare.
--Bene!... Amico mio, forse sapete?...
--Che cosa?--gridò il capitano.--Ah, sarebbe vero?...--
E cadde, così dicendo, sopra una scranna.
--Animo! animo!--gli disse l'Adelantado, con più tenerezza nella voce,
che non avesse mai dimostrata.
--Animo! animo!--ripetè macchinalmente il Fiesco.--Ne ho. Voglio
sapere.... voglio sapere.... Erano venuti gli arcieri?... o i famigli
del Sant'Uffizio?...
--No, grazie a Dio, solo quelli del re. Ma è sempre una infamia! Un tale
affronto all'Almirante! al vicerè delle Indie! Non ha dunque più
vergogna, quel tristo?--
In quel mentre appariva dall'uscio della sua camera il signor Almirante;
alto di tutta la rilevata persona, che oramai, nell'impeto dello sdegno,
non sentiva neanche più i suoi dolori aggranchirgli le membra; gli occhi
sfolgoranti, come nei momenti più gravi della sua vita, in mezzo alle
battaglie d'arrembata, o tra le marinaresche ribelli.
--Questa ancora, capitano Fiesco!--gridò egli, avanzandosi.--Questa
ancora, per colpirmi nel mezzo del cuore! Male lo stimai volpe; è una
tigre, quel re.
--Ma per qual ragione, Dio santo?--domandava il Fiesco, torcendo
convulsamente le mani, impossenti a sbranare un lontano e troppo alto
nemico.--Con quale pretesto?
--Con questo,--rispose l'Adelantado;--che il mozzo Bonito era una donna;
che si doveva sapere chi fosse, e perchè si nascondesse così. Abbiamo
risposto, non dubitate; abbiamo risposto che prendevano abbaglio; che si
trattava d'una gentildonna straniera, non soggetta alle leggi di Spagna,
e che non aveva da fare con la giustizia di questo paese. Ancora abbiamo
detto il suo nome, ma inutilmente. Il signor governatore vedrà, il
signor governatore giudicherà, rispondeva l'alguazil, ch'era venuto
cogli arcieri; se c'è errore sarà facilmente rimediato, e il mozzo
Bonito, o contessa del Fiesco che voglia essere, ritornerà a casa, senza
che gli sia torto un capello. L'Almirante s'intromise; voleva star egli
mallevadore; domandava un indugio, finchè non si appurasse ogni cosa;
credeva di averne il diritto, essendo egli il padrone di casa, e tal
uomo da non essere sospettato di poca reverenza alle leggi. Inutile!
tutto fu inutile; ed han fatto a modo loro, conducendo la contessa al
palazzo di giustizia.
--Legata!
--Eh, sì, legata;--rispose l'Adelantado, fremendo.--Erano in dieci, ed
avevano paura che fuggisse. Noi vi aspettavamo, per muoverci, per far
qualche cosa. L'Almirante vuol andar egli dal re.
--Ne vengo io;--ruggì il capitano Fiesco;--e non credo che gioverebbe.
L'ha con me, il re Ferdinando. Come ciò sia, è inutile il dire; nè si
potrebbe in poche parole. La contessa è un ostaggio ch'egli ha preso,
mentre io ero in udienza da lui. Servirlo! servirlo io? E in che cosa?
in qualche losca impresa, sicuramente. Non si prenderebbero ostaggi, se
la cosa fosse diversa. Venite, don Bartolomeo, accompagnatemi, che temo
di non arrivare dal re, di stramazzar per la strada.--
L'Almirante si avanzò, e gli pose amorevolmente le mani sugli ómeri.
--Coraggio, mio figlio!--gli disse.--E perdonatemi!--È avvenuto per
colpa mia, tutto ciò. Porto sfortuna a chi mi vuol bene.
--Oh, non dite, mio signore, non dite!--gridò il Fiesco,
intenerito.--Era il destino. Ma io mi ucciderò, se non la salvo.
--Un delitto! Non lo pensate neanche.
--Eh, io non sono un santo. Senza di lei, meglio l'inferno! E non l'ho
io già dentro l'anima?--
Scese a precipizio la scala; e don Bartolomeo Colombo lo seguiva. Giunto
a palazzo, chiese di entrare dal re. Non si poteva; impedivano il passo
i soldati; ricusava, chiamato al rumore, il gentiluomo di camera.
--Mio buon signor Noguera!--gridava il capitano Fiesco.--Non siate così
duro con me. Vogliate annunziarmi a Sua Altezza. Se non può ricevermi
subito, aspetterò. Sapete pure, signor conte; ho avuto udienza
quest'oggi, non sono ancora due ore passate; e lunga udienza, vi
ricordate?
--Appunto per ciò, non potrebbe parere bastante?--notò il conte di
Noguera.--Ci sono altri che hanno diritto. Del resto, son
gentiluomo;--soggiunse egli, accostandosi, e traendo il conte Fiesco in
disparte,--non voglio ingannare nessuno. Per quanto vi lasciassi star
qui ad aspettare, oggi Sua Altezza non vi riceverebbe.
--E perchè, di grazia? perchè?
--Non sono visibile, mi ha detto, se non per duchi e marchesi di
Castiglia e d'Aragona, per il razionale di Castiglia e per l'arcivescovo
di Toledo. Son queste,--soggiunse il Noguera,--le precise parole del re.
Voi siete escluso. Se non foste escluso, Sua Altezza, ricordando il suo
recente colloquio con voi, avrebbe aggiunto: e il signor conte di
Lavagna. Non l'ha aggiunto; ed io, con tutto il dispiacere che una
necessità come questa mi potrebbe cagionare, sarei costretto a
rimandarvi fuori. Vi prego, conte, non mi obbligate ad esser severo con
un gentiluomo come voi siete.--
Parlava da onest'uomo, il Noguera. Ma il capitano Fiesco non riusciva a
padroneggiarsi.
--V'intendo;--diss'egli, convulso;--v'intendo, e vi ringrazio. Ma
vedete, si commette una prepotenza, una ingiustizia, una iniquità, che
grida vendetta al cielo. Mia moglie, arrestata come una donna perduta;
la contessa del Fiesco, una straniera, in Castiglia, in terra di
cavalieri! e per ordine del governatore, che è come dire per ordine del
re, tratta a forza di casa, legata, in mezzo ad un drappello
d'arcieri!...
--La cosa è grave, e merita riflessione, in terra di cavalieri;--disse
il conte di Noguera, aggrottando le ciglia.--Forse si tratta di un
equivoco, e ci s'aggiunge un abuso della forza, che va represso e
castigato. Nè credo, come voi fate, che ci sia stato ordine del re.
Comunque, io vi consiglio, per venirne in chiaro, di recarvi da chi può
tutto in queste faccende, e correggere gli errori dei subalterni, o i
suoi proprii, se n'ha commessi, e consigliar clemenza al re, se si
tratta d'un ordine del re. Andate dall'arcivescovo di Toledo. Egli è ora
in udienza da Sua Altezza; ma non vorrà star molto ad uscire.
--Non posso aspettarlo qui?
--No, egli non passa di qui. Andate al palazzo di giustizia, dov'egli
risiede, e dove non tarderà a ritornare. Ma vi prego, non dite che v'ho
consigliato io. Qui, a dar consigli, si giocherebbe la carica. Siete un
gentiluomo, ed amo rendervi servizio, nella misura del poter mio; che
non è grande, pur troppo.
--Anche l'arcivescovo di Siviglia è qui?--entrò a domandare
l'Adelantado.
--Sì; come sapete, non è ancora andato ad occupare la sede.
--Bene,--concluse l'Adelantado, volgendosi al Fiesco.--Mentre s'aspetta
che Toledo ritorni al palazzo di giustizia, possiamo andare da Siviglia,
che si degni di darci una mano.
--La mano di Siviglia è potente;--disse il Noguera, sorridendo.--E potrà
certamente aiutarvi.--
Siviglia, da cui andarono subito, trovandolo nel convento di San
Domenico, era Diego di Deza; bel monaco, dall'aspetto grave, e dal
labbro pieno di bontà. Amava Cristoforo Colombo, e nel consiglio di
Salamanca era stato l'unico suo sostenitore, dispiacendo molto al
vescovo Talavera, e voltando a favore del grande navigator Genovese
l'animo buono dell'arcivescovo Mendoza. Dalla dottrina del Deza, anche
rimasta allora perdente, erano stati salvati per migliore occasione i
disegni di Cristoforo Colombo. E questi ne aveva serbato in cuore una
viva riconoscenza al sapiente domenicano; e il domenicano, dal canto
suo, sentendosi legato da quel buon ricordo al trionfo della mirabile
impresa che aveva preconizzata, ricambiava di vivissimo affetto il
signor Almirante, considerando amici quanti venissero in nome di lui.
Accolse egli a festa don Bartolomeo Colombo e il capitano Fiesco: udì la
ragione della loro venuta, ascoltò attentamente il racconto che gli
facevano, battè un pochino le labbra, e poi disse al Fiesco:
--L'arcivescovo di Toledo è un uomo virtuoso; fidate in lui, signor
conte.
--Le parole di Vostra Eccellenza mi rassicurano;--rispose il
Fiesco.--Ma, se io ho ben veduto, un certo moto delle vostre labbra mi
dovrebbe tenere in pensiero.--
Sorrise il domenicano, e ripigliò placidamente:
--Non vi maravigliate di un moto involontario, essendo un mal vezzo dei
nostri poveri nervi. Ma con voi, degni gentiluomini, si può fare a
fidanza. Il Ximenes è la virtù in persona: solamente è un po' debole,
innanzi a certi voleri, che potrebbero forse trovarlo più risoluto. Ma,
ripeto, è un sant'uomo; quello ch'egli dirà di fare, certamente farà. Ad
ogni modo, e senza saper nulla del vostro bisogno, vi presenterò io, vi
raccomanderò io a Sua Eccellenza. Siete contento?--
Il capitano Fiesco s'inchinò, ringraziandolo; e l'arcivescovo di
Siviglia si degnò di presentarlo egli stesso al primate della chiesa di
Spagna.
Francesco di Cisneros Ximenes, arcivescovo di Toledo, succeduto in
quell'alta dignità al buon cardinale Mendoza, doveva ancora aspettare un
anno il cappello cardinalizio, che ottenne poscia da Giulio II. Per
intanto, come primate della chiesa di Spagna, e già stato confessore
della regina Isabella, il degno prelato, famoso per eccellenza di
dottrina e per santità di vita, reggeva l'amministrazione politica del
reame di Castiglia. Modesto nell'alta carica, indossava sempre il suo
vecchio abito di frate francescano sotto le insegne pontificali: a
Toledo viveva in una povera cella, contigua al palazzo arcivescovile; e
per allora a Valladolid, seguendo la Corte, non aveva voluto alloggiare
nel palazzo regale, troppo fastoso per lui, contentandosi d'un
quartierino nel palazzo di giustizia.
E nessuno diceva che quella sua rinunzia ad ogni fasto fosse
ostentazione di modestia. Il Ximenes era stato sempre così. Vagheggiava
alti disegni, di cui Ferdinando rideva; ma quel sant'uomo lo serviva ad
ogni modo, per grande amore che portava alla gloria di Spagna. Di questa
sua indole generosa diè prova in tre occasioni solenni: la prima,
dichiarandosi apertamente per Ferdinando, quando Filippo d'Austria morì,
e della vedova Giovanna non si poteva sperare che con pienezza
d'intelletto e fermezza di mano tenesse le redini del governo: la
seconda, facendo e guidando egli stesso la fortunata impresa di Orano e
di Algeri, che fece strabiliare l'incredulo monarca, tanto ingrato e
sconoscente da scrivere al Navarro, comandante militare della
spedizione: "impedite al brav'uomo di tornare troppo presto in Ispagna;
bisogna lasciargli consumare, quanto più si potrà, la persona e il
denaro". La terza prova, e forse la più solenne, fu data dal Ximenes,
quando dalle Cortes riluttanti fece eleggere in fretta re di Castiglia
il poco amato e niente desiderato Carlo V, che doveva far ministro
invece di lui il fiammingo Adriano d'Utrecht, che poi fu papa col nome
di Adriano VI; ed egli, il virtuoso Ximenes, pur di giovare alla Spagna,
si rassegnò lietamente al secondo posto, bastando a tutte le gravi cure
del governo, che con tanta accortezza aveva sostenute nel primo.
Bontà non è mai troppa; e procede, se mai, da molta virtù. Ma non sempre
i Castigliani potevano menar buona tanta virtù al loro concittadino, e
ne accusavano più volentieri la debolezza; specie allora, che, viva
Giovanna e non pazza ancora agli occhi di tutti, vivo il suo bel Filippo
d'Austria, e desideroso di regnare con lei in Castiglia, il Ximenes si
mostrava troppo docile ministro dell'Aragonese, e lui desiderando
reggente, lavorava con ogni poter suo ad amicargli la riottosa nobiltà
Castigliana. Ferdinando possedeva certamente molte qualità necessarie al
regnante, specie di quei tempi; tanto che meritò le lodi del Segretario
Fiorentino. Ma le guastava tutte col difetto di probità; era ingrato,
bugiardo e mancator di parola: non contava nulla i suoi impegni, quando
trovasse il suo tornaconto a violarli. E così poco si vergognava della
sua perfidia, che se ne faceva bello quante volte gli riuscisse a bene.
Udito un giorno che Luigi XII si doleva d'esserne stato ingannato una
volta, "quell'ubbriacone ha mentito" diss'egli, "perchè l'ho ingannato
tre volte". E un principe italiano diceva di lui: "prima di far capitale
de' suoi giuramenti, vorrei sentirlo giurare per un Dio, nel quale egli
credesse".
Ferdinando il Cattolico è qui giudicato: non ci maravigliamo dunque che
non lo amasse l'arcivescovo di Siviglia, e che, per effetto della troppa
sua condiscendenza al re d'Aragona, tacciasse di debolezza il virtuoso
arcivescovo di Toledo.
Il quale, nella sua stanzetta modesta del palazzo di giustizia, accolse
amorevolmente il suo minor collega di Siviglia: ma, come seppe chi
fosse il suo compagno di visita, fece la cera un po' brusca.
--Lo raccomando a Vostra Eccellenza;--diceva il Deza,--quantunque non
sappia bene quel che gli occorra. A me è grandemente raccomandato dal
signor Adelantado, fratello del nostro glorioso Almirante maggiore, che
Iddio guardi, e Sua Altezza il re tenga caro com'egli si merita.--
Il Ximenes stette a sentire con molta rassegnazione il fervorino per
Cristoforo Colombo, che con altrettanta soddisfazione aveva proferito il
Deza. E cortesemente lo accomiatò, accompagnandolo fino all'anticamera.
Ritornò poscia nella stanza, dove il capitano Fiesco era rimasto in
attesa, sempre turbato, ed allora più che mai, pensando che da quel
colloquio dipendeva la sorte di Juana e la sua.
S'aspettava d'essere interrogato; e grande fu la sua maraviglia,
sentendosi dire dal Ximenes:
--So tutto, e non occorre, signor conte, che mi raccontiate l'arresto
avvenuto. Andiamo per la più breve, che converrà a voi come a me. Per
qual ragione non volete voi servire Sua Altezza? Perchè cospirate coi
suoi nemici?
--Io, Eccellenza?--gridò il capitano, facendo gli atti del massimo
stupore.
--Siete stato a Siviglia;--ripigliò l'arcivescovo.--E si sa dove siete
andato, in Siviglia.
--In un convento, Eccellenza; ad ossequiare la signora marchesa di Moya,
ch'io non so essere in mala vista presso la Corona; a chiederle una
grazia, che assai mi premeva, voglio dire il suo patrocinio per il
signor Almirante. Don Cristoval Colon, che la marchesa ha sempre
stimato e protetto, è in fin di vita; nè Vostra Eccellenza lo ignora.
Unica e sola, che potesse anche giovargli in un delicatissimo caso di
coscienza, era Beatrice di Bovadilla.--
Senza pensarci bene, forse operando per moto spontaneo d'ingegno avvezzo
ai pronti espedienti, Bartolomeo Fiesco aveva toccato un tasto che
doveva rendere buon suono nell'animo del virtuoso Ximenes.
--Di coscienza?--diss'egli.--E si può sapere, senza offesa di sacre
ragioni?
--Sì, e ne giudichi la Eccellenza Vostra;--rispose il Fiesco, che aveva
avuta la buona ispirazione, e ne faceva il suo prò.--Nella maturità
della sua giovinezza, il signor Almirante aveva amata una donna di
Cordova; e di quell'amore gli era nato un pegno carissimo.
--Il giovinetto Fernando; mi par di vederlo;--notò il suo
interlocutore.--E la donna, se ben ricordo, una Enriquez de Arana.
--Per l'appunto: non più veduta dal signor Almirante, perchè a lui
diventata nemica, senza che egli mai riuscisse ad intenderne la ragione,
mentre egli avrebbe voluto riparare al suo fallo. Ma ciò che in tanti
anni non gli è stato possibile, diventa necessario ora, affinchè il
giovane Fernando non rimanga orfano insieme e notato d'illegittimità. Il
caso di coscienza è doppio, e verso la madre e verso il figliuolo.
--Come c'entra donna Beatrice di Bovadilla?--chiese il Ximenes.--Anche a
non tener conto delle ciarle del mondo, che suole inventare tutto quello
che non sa, possiamo maravigliarci che la marchesa di Moya sia ritenuta
più adatta a riunire due anime state tant'anni divise.
--Non si maravigli il savio;--rispose Bartolomeo Fiesco.--La marchesa di
Moya conosce Beatrice Enriquez. Fin dalla vigilia della partenza di
Cristoforo Colombo per il suo primo viaggio di scoperta, aveva tentato,
checchè potesse costarne al suo cuore, di ravvicinare la sdegnosa
Cordovana al padre del suo Fernando.
--Mi assicurate che questo è il vero? che siete andato a Siviglia per
ottenere i buoni uffici della marchesa di Moya nelle cose di don
Cristoval Colon? e non per altro, non per altro?
--Quali prove posso io darne a Vostra Eccellenza, io che Le sono appena
conosciuto per la presentazione di Diego di Deza? I miei leali servigi a
questa Corona furono di buon suddito, e di suddito volontario, il che
dovrebbe accrescerne il pregio. Il mio nome è d'antica stirpe di
gentiluomini e di cristiani; nè io vorrei macchiarlo con una menzogna.
Per nessun'altra ragione, fuor quella che ho detto, sono io stato a
Siviglia; lo giuro per questa croce che vi pende dal petto, e che io
bacio in ginocchio.--
Si era intenerito, il buon primate di Spagna. Posò la sua destra sul
capo del conte, come in atto di benedirlo; poi, fattolo alzare e sedere
davanti a sè, stette un istante pensoso.
--Vi credo, figliuol mio;--diss'egli poscia.--Ma vedete, qui siamo in
mezzo a continui pericoli. _Incedo per ignes suppositos cineri doloso_;
si cammina sulla cenere ingannevole, che nasconde i carboni ardenti. Si
congiura contro il re Ferdinando, contro un sovrano che cova nell'animo
grande i più vasti disegni. È dunque utile alla Spagna, alla sicurezza,
alla gloria di questa nazione a mala pena formata, ch'egli sia il
reggente di Castiglia; ed è necessario per ciò che il re Cristianissimo
gli sia intieramente amico.
--Non gliene ha dato prove bastanti?--chiese il capitano Fiesco.--Non
gli ha concessa in moglie Germana di Foix?
--Dite che il re Ferdinando l'ha voluta;--rispose il Ximenes.--E non
poteva non volerla, per tema che altri la prendesse, diventando un
pericoloso vicino. Queste cose non vogliono capirle i corti intelletti.
Come figlia a Giovanni, visconte di Narbona, come sorella a Gastone di
Foix, legittimo pretendente della Corona di Navarra, la principessa
Germana era un partito più da lui desiderato, che non dal re
Cristianissimo, sebbene per un tal matrimonio questi diventasse suo zio.
È necessario, vi ripeto, che il re Luigi, ristrettosi finora ad un
trattato riguardante le cose di Napoli, consenta ad una vera alleanza
d'interessi, per ciò che riguarda il buon vicinato. Forte d'una simile
alleanza, Ferdinando s'impone come reggente di Castiglia ai pochi ma
riottosi signori del territorio, che s'ostinano a negar la luce del
sole, ricusando di vederla.
--E l'aspettano di Fiandra;--notò il capitano Fiesco.
--Di Fiandra!--ripetè il Ximenes.--Perchè dite di Fiandra?
--Ma sì,--riprese quell'altro.--Non aspettano la principessa Giovanna e
il suo marito Filippo d'Austria? E non sono in Fiandra, i giovani
sposi?--
Il primate di Spagna non potè trattenere un sorriso, che non era tutto
di compassione.
--Come?--diss'egli.--E non sapete?... Ah, davvero, figliuol mio, non
siete andato a Siviglia per congiurare contro il re Ferdinando. Ecco una
prova della vostra innocenza, che viene a corroborare le altre. Niente,
niente!--soggiunse il virtuoso Ximenes, rispondendo ad un gesto di
stupore del capitano Fiesco.--Non domandate spiegazioni, che vi
sarebbero inutili. Vi basti sapere che vi stimo di più, ed anche sento
di potermi fidar meglio a voi. Vedo in pari tempo che i segreti del re
sono più custoditi ch'io non potessi sperare.--
Il capitano Fiesco non aveva capito come e perchè gli si potesse far
merito dall'accenno alle Fiandre: non capì che cosa significasse il
segreto del re, così ben custodito. Ma non istette a chieder ciò che il
benigno interlocutore mostrava di non volergli dire. Di ben altro era
curioso, dopo tutto; gli premeva ben altro.
--Torniamo a noi;--ripigliò il Ximenes.--Nessuno potrà meglio persuadere
il re Cristianissimo, che il vostro eccelso cugino Gian Aloise, uno dei
più potenti signori italiani, e colui che possiede l'anima e il cuore di
Luigi XII. Chi potrà persuadere Gian Aloise, se non voi, conte Fiesco? A
voi dunque; la gloria e la fortuna sono per voi.
--E per questo,--disse il capitano Fiesco,--per questo, che Sua Altezza
non mi ha neppur detto, ha presa la mia donna in ostaggio?
--Sua Altezza non vi ha detto nulla, perchè vi ha veduto riluttante a
servirla;--rispose il Ximenes;--ed anche perchè un messaggio di
Siviglia, arrivatogli mentre eravate in udienza, l'induceva a sospettare
di voi.
--Non può sospettare ancora?
--Non sospetto più io,--disse il Ximenes,--e sciolgo i sospetti del re.
--Ma l'ostaggio?... Perchè fu presa la contessa?
--Per assicurarsi di voi, suppongo;--disse l'altro, arrossendo.--Ed ora
ha il pegno in mano, perchè voi entriate al suo servizio.
--E se io ricusassi, perchè non mi sento tagliato a questi uffici? Mia
moglie non è spagnuola.
--Non nata spagnuola, concedo; ma suddita spagnuola potrebbe ben essere.
--No, non suddita spagnuola;--gridò il Fiesco, inasprito.
--Giuratelo per questa croce;--disse pacatamente il Ximenes.--Ah, non
ardite! e temete di farvi spergiuro! Ve ne lodo. Ecco una quarta prova
che m'avete detto il vero, giurando di non congiurare coi nemici del re.
Servite dunque Ferdinando, com'egli desidera, e riavrete la vostra
donna.
--Ma con quali pretesti è tenuta in carcere?
--Ragioni, figliuol mio, non pretesti. Fu presa, perchè si voleva venire
in chiaro d'un travestimento illecito, che mirava ad ingannar tutti,
compresa la giustizia. Avrei potuto ordinare l'arresto come grande
Inquisitore; e non l'ho fatto, e potete ringraziarmene. Fu in quella
vece un provvedimento della giustizia secolare, e per volere del re.
Ora, figliuol mio, considerate il caso vostro. Se rivolete la vostra
donna, dovete dar le prove al giudice che essa è veramente vostra
moglie: e ci vorrà tempo a farle venire, le prove, a farle esaminare
dagli esperti; più tempo che non ne spendereste a recarvi dal vostro
eccelso cugino e a condurvi in Parigi con lui. Neanche è da credere che
ella uscirebbe di prigione, se anche le prove fossero trovate bastanti.
Si dovrebbe anche sapere se, essendo stata suddita spagnuola prima di
esservi moglie, era egualmente libera, sciolta d'ogni obbligo verso la
giustizia spagnuola. E qui bisognerebbe aspettare l'esito di certe
indagini, che don Nicola Ovando ha già cominciate col suo solito zelo.
C'è tutto un viluppo di cose, qui sotto, e in coscienza debbo
avvertirvene, che non sarebbe punto piacevole per voi e per la povera
prigioniera. Siate savio, conte Fiesco. A voi, come italiano, può premer
poco che Ferdinando perda la reggenza di Castiglia o l'ottenga: a noi
preme che l'ottenga; e non per lui, badate, ma per salute di questa
patria, che senza di lui ricadrebbe nell'antica anarchia. Siamo
destinati alla patria celeste;--conchiuse solenne il Ximenes;--ma
dobbiamo meritarla servendo Iddio nella patria terrena, e in questa
unendo a sua gloria i cuori e le menti. Siate savio, signor conte, e
servite il re con amore. Io, frattanto, per questa croce vi giuro, che
alla prigioniera non sarà torto un capello, e che anzi ella sarà
trattata come una regina; mi capite? come una regina.--
Ahimè, sapevano ogni cosa, e non occorreva che aspettassero le nuove
indagini di don Nicola Ovando! Sapevano ogni cosa, e il capitano Fiesco
tremò tutto, dal capo alle piante.
CAPITOLO XIV.
A Laredo! a Laredo!
--Il colloquio era durato ancora, ma rotto, a pezzi e bocconi, non
sapendo il Fiesco rassegnarsi ancora a finirlo e chiedendo sempre
qualche cosa, il Ximenes strascicando le parole e mostrandogli di aver
detto abbastanza. Ma quanti dubbi restavano nell'anima del povero
capitano! E non gli si poteva almeno concedere di veder la sua donna?
--Troppo chiedete, senza averlo meritato!--rispondeva qui
l'arcivescovo.--Prenderò ordini da Sua Altezza. Quando avrete veduto il
re.... quando egli vi avrà date le sue istruzioni.... chi sa? non
dispero. Ferdinando è buono per chi lo serve con amore. Ed io, signor
conte, ho desiderio di contentarvi. Ma voi siate ragionevole; è
nell'utile vostro.--
Il capitano Fiesco baciò l'anello pastorale, e più morto che vivo si
ricondusse a casa. Era aspettato, e non potè tacere il colloquio che
aveva avuto, con un frutto così scarso per sè, con tanto danno imminente
per le speranze del suo grande concittadino. Terribil dilemma! o
tradire gl'interessi dell'Almirante, o perdere Fior d'oro.
--Figliuol mio,--disse Cristoforo Colombo,--non vi date pensiero di me.
So bene che il trionfo di Ferdinando è la perdita d'ogni speranza mia,
d'ogni fede nella giustizia degli uomini. Ma se Iddio non volesse farmi
morire contento?... Tutto quello che accade dimostra che questo è il suo
alto disegno. Sia fatta la sua volontà. Certo, ho gravi colpe da
scontare; e non è giusto che altri ne soffra per me. Andate dal re,
accettate ogni cosa. Ciò che Dio vuole sarà; ciò ch'egli non vuole non
sarà; sia benedetto il suo nome.--
Nè già l'Almirante conosceva per intiero i disegni della marchesa di
Moya, e le probabilità su cui erano fondati. Ma di tutto ciò era
informato l'Adelantado, che vedeva nella trista commissione imposta al
capitano Fiesco pericolare ogni speranza di giustizia. Era quello un
gran colpo, e forse mortale, per il suo sventurato fratello, che ad ogni
tratto, per ogni commozione un po' forte, ricadeva prostrato, bene
lasciando intendere ai suoi familiari che le fonti della vita
s'inaridivano in lui.
Tornava frattanto alla mente del Fiesco il risolino del Ximenes, quando
si era sentito accennare alle Fiandre. E se ne apriva coll'amico. Che
cosa poteva significare quel risolino dell'arcivescovo di Toledo? E che
segreto era quello del re, a proposito delle Fiandre, che l'arcivescovo
riconosceva con tanta soddisfazione essere stato così bene custodito?
--Amico mio,--rispondeva l'Adelantado,--vorrà dire che dal lato delle
Fiandre sono sicuri; che il re non ha timori, sapendo impazzita davvero
la sua figliuola e rivale; che finalmente, e questo è il peggio, da
quella parte là non c'è più da sperar nulla per noi.
--L'ho pensato ancor io;--disse il Fiesco.--Ma allora è inutile che
temano, e chiedano man forte alla Francia.
--Eh, non si sa mai;--replicava l'Adelantado.--Se Giovanna è pazza, non
è scemo il marito, e può cagionar dispiaceri, forte com'è dell'appoggio
di suo padre, l'imperatore Massimiliano d'Austria. Castiglia è poco
disposta a riconoscere l'autorità di Ferdinando d'Aragona. Non potrebbe
ella voltarglisi contro?--
Il resto della giornata passò in ansie continue per il povero capitano,
che quando non aveva l'amico a tenerlo occupato coi ragionamenti, si
lasciava andare alla disperazione, e piangeva come un bambino. E non era
un animo fiacco: ma in quella inerzia forzata, non aveva altro sfogo che
le lagrime. Nè v'hanno poi animi forti contro un dolore che terribili
incertezze rendano sempre più acuto.
Fior d'oro! povera donna cara! che sarebbe avvenuto di lei? come viveva
in quelle ore? Il ministro di Ferdinando aveva promesso che sarebbe
stata trattata bene, con tutto il rispetto dovuto ad una regina. E il
poveretto amava ad ogni tanto richiamarsi a mente le parole del Ximenes.
Certo, quell'uomo era debole, come lo aveva giudicato Diego di Deza; ma
non si poteva negare che fosse un uomo virtuoso. Debole, finalmente, era
fatto dal vivo amore di patria, che i suoi concittadini non mostravano
di intendere, e a cui uno straniero era tanto meno obbligato di render
giustizia: ma le sue intenzioni erano pure; le aveva chiarite egli
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