Raggio di Dio: Romanzo - 12
grave tanto, da impensierire chi l'ama.--
Il re lasciò cadere a vuoto l'accenno, e diede un altro giro al
discorso.
--Che novelle ci portate dall'Italia? Sapete che l'amo.
--Lo so, e da buon cittadino ne debbo esser grato a Vostra Altezza.
--Nostro zio il re Cristianissimo,--ripigliò Ferdinando,--ha buoni
amici a Genova; ed io non per altro gli porto invidia, se non perchè ne
possiede uno come Gian Aloise, potente signore, ma ancora più gentil
cavaliere.
--E buon servitore di Vostra Altezza;--soggiunse il conte.
--Questo non sarà poi così vero come il resto;--replicò
Ferdinando.--Egli non ce ne ha dato fin qui prove bastanti. Ma noi gli
perdoniamo di gran cuore, ben sapendo che non si può servire a due
padroni. Che gente maravigliosa, i Fieschi! Di antica stirpe reale, gran
vassalli dell'Impero, hanno da principio resistito virilmente alla
fortuna di Genova; attratti da lei, son riusciti a dominarla. Tutto ciò
è d'anime eccelse. Le repubbliche non possono prosperare senza gran
signori, che le aiutino di consiglio e di braccio: ma i gran signori, a
lor volta, non possono crescere di potenza, se non col favore dei re. I
Fieschi lo hanno capito. Non contenti d'aver dato tanti cardinali e due
papi alla Chiesa, hanno saputo spendersi ancora in servizio dei maggiori
principi della cristianità. Nostro zio Alfonso d'Aragona ebbe a Napoli
in Giacomo Fiesco un ammirabile vicerè.
--Bontà di Vostra Altezza lo esalta oltre il merito.
--No, no, è pretta giustizia. Amo la giustizia, io; non istimo se non
questa. E voi, conte, non vi addormentate già sugli allori degli avi?
--Io? povero a me! sono un assai piccolo uomo, e porto male un gran
nome. È già molto se come marinaio ho potuto aver la fortuna di servire
la vostra Corona in quattro viaggi di scoperta, sotto l'onorato
comando....
--Acquistando un'esperienza preziosa di uomini e di cose;--interruppe il
re, che davvero non voleva sentir finire tutti i salmi in gloria.--Non
bisogna buttarla via, ricordátelo. E se amate la nostra Corona, che
siete venuto a servire non tanto da marinaio, come da gentiluomo
d'arrembata, perchè non tornereste a noi, e per servirci in uffici e
dignità più convenienti al vostro nome? Questa Corona ha pur la sua
gloria; ed anche noi abbiamo operato cose che non saranno giudicate da
poco. Da noi sono stati cacciati i Mori, e restaurati da per tutto gli
altari di Cristo; da noi occupato stabilmente il reame di Napoli. E qui
e laggiù, dove è sempre viva la memoria del vostro nobil parente, anche
voi potrete illustrarvi con leali servigi, scambio di addormentarvi
negli ozi di Capua, o piuttosto, poichè vivete sulla riva del mare, a
sentir cantare le Sirene.
--Non ha Sirene il mar di Liguria;--notò il capitano Fiesco, tanto per
dir qualche cosa, e accompagnando con un sorriso l'osservazione
discreta.
--Ma le portate con voi, non è vero?--disse il re, sorridendo a sua
volta.--Certi paggetti, o mozzi che voglian parere.... Non dite di no,
perchè i re sono costretti a sapere ogni cosa. E vi ci ho colto, colla
soffoggiata sotto il mantello!--seguitò, ridendo ancora.--Ma badate,
conte mio; quando si possiede un tesoro, non si porta attorno, nè così
in vista, che tutti lo riconoscano.--
Il capitano Fiesco era stato colpito in pieno petto da quella bottata
improvvisa del suo interlocutore; ed anche aveva dovuto faticar molto
dentro di sè, per non dar segno d'averla ricevuta così profonda.
Guardava frattanto il re, cercando di scoprire nel volto di lui
l'intenzione riposta, che lo aveva fatto parlare in quel modo. Il re
sorrideva; forse non mirava ad altro che a fargli sentire come fosse
bene informato. Il migliore, e lì per lì anche l'unico partito da
prendere, era quello di volgere la cosa in celia, accettando la lezione
del regale maestro.
--Mio buon signore,--diss'egli, annaspando un pochino,--necessità di
viaggio. Le dame sono come gli eserciti, che non si muovono da un luogo
senza una quantità sterminata d'impicci. Ed io, dovendo fare una corsa
di pochi giorni, da marito prudente, o che pensava di essere tale....
--Sì, sì, capisco;--disse di rimando il re, non lasciandogli finire la
frase;--ma voi metterete me negli impicci. Dio guardi, se viene a
saperlo il Sant'Uffizio, che non ammette i tramutamenti da sesso a
sesso!
--Provvederò;--rispose il Fiesco, fremendo.--Non dubiti Vostra Altezza,
provvederò fin d'oggi.
--Eh, non dico per questo;--si degnò di rispondere il re.--Al mondo ci
siamo per fortuna anche noi, e dove non sia offesa volontaria ai
precetti della nostra santa religione, la nostra autorità passa innanzi
a tutte le altre, e in ogni caso può corregger anche gli effetti di uno
zelo frettoloso. Voglio dire piuttosto che se la contessa del Fiesco ha
da splendere come un bel fiore d'Italia alla Corte di Spagna, non sarà
bene che sia stata veduta prima in maschera, e fuor di stagione. Voglio
avervi, infatti; voglio avervi ad ogni costo. Il giorno che avrò un
conte di Lavagna al mio servizio, mi stimerò forte in arcione come mio
zio il re Cristianissimo.--
Al capitano Fiesco ritornava il fiato in corpo. Ma la paura era stata
grossa. E perchè non voleva incominciare allora a tremare, egli che non
si era mai sbigottito di nulla, giurò a sè stesso di non aver più paura,
e di dar passata a tutte le funebri celie di quell'uomo, che sicuramente
voleva pigliarsi spasso di lui. Anche quella ubbía d'averlo a' suoi
servigi, si poteva prenderla per buona moneta? Rispondeva per verità ad
un pronostico dell'Adelantado; ma don Bartolomeo Colombo non era poi un
profeta, e il casuale incontro di due chiacchiere non voleva già dire
che egli, Bartolomeo Fiesco, si dovesse stimare di quel buon legno,
tagliato in luna vecchia, di cui si fanno gli uomini di Stato in tutti i
paesi del mondo civile.
--Vostra Altezza,--rispose allora,--si fa una troppo buona opinione di
me. Ma io sento la mia pochezza, e, per tradurre una frase di poeta
latino, quanto possano e quanto non possano portar le mie spalle.--
Ferdinando stava per ribattere quell'eccesso di modestia; quando l'uscio
si aperse, e il gentiluomo di camera apparve nel vano.
--Avanti, Noguera;--diss'egli.--Che avete di nuovo?
--Servizio del re;--rispose il Noguera, inoltrandosi rispettosamente, e
presentando una lettera.
--Permettete;--disse allora Ferdinando, volgendosi al Fiesco, mentre si
disponeva a rompere il suggello.
Il capitano Fiesco rispose con un profondo inchino. Ferdinando lesse la
lettera, la rilesse, aggrottando le ciglia; indi ripose il foglio sulla
tavola accanto a cui stava seduto, e disse, congedando il gentiluomo di
camera:
--Sta bene, provvederemo. Voi dunque,--ripigliò, volgendosi ancora al
Fiesco, appena quell'altro fu uscito dalla stanza,--non volete venire al
servizio d'Aragona? Siete dunque coi miei nemici?
--Mio signore, perchè mi dite voi ciò?--rispose il Fiesco,
maravigliato.--E perdoni Vostra Altezza, se ardisco interrogare: ma è
così nuovo e così immeritato il rimprovero, che io sento il bisogno di
chiederne il perchè.
--Il perchè non è difficile a dirsi;--replicò Ferdinando.--Lo sapete, il
proverbio? Chi non è con me vuol esser contro di me. Ho bisogno d'avervi
al mio servizio, e voi ricusate; dunque.... cavatene voi la conseguenza,
signor conte di Lavagna.--
Il capitano Fiesco rimase un istante silenzioso, non per cavare la
conseguenza accennata dal re, ma per pesare il pro ed il contro di un
disegno che gli era venuto alla mente.
--Mio signore,--incominciò egli, dopo quell'istante di pausa,--quando un
gentiluomo prende servizio, non impegna altrimenti la sua libertà che a
certi patti, offerti a lui dal padrone, o da questo accettati. Vostra
Altezza non mi offre patti; potrei osar io di proporne?
--Osate, ve lo permetto; ve ne faccio preghiera. Non sono io stato
sincero con voi? Voglio un conte di Lavagna, vi ho detto, un conte di
Lavagna, come lo ha il mio buon zio Cristianissimo, e che tutto
s'adoperi per i miei interessi; onorati interessi, che sono pure quelli
di un gran regno. Osate dunque, siate sincero con me, parlate
liberamente.
--Ebbene, mio signore;--disse il Fiesco animandosi;--perchè io, libero,
e desideroso di quiete nel mio castello di Gioiosa Guardia, mi
acconciassi a prender servizio presso il più nobile fra i re,
bisognerebbe che l'uomo insigne col quale ho lealmente servito, e dal
quale sono stato ricompensato di affetto paterno, non gemesse più oltre,
aspettando una prova del vostro favore. Siate generoso, re Ferdinando,
e pensoso del nome che lascerete nella storia del mondo. Quell'uomo Voi
lo avevate pur creato almirante maggiore dell'Oceano, e vicerè delle
terre ch'egli avrebbe scoperte. Egli ha mantenuti i suoi patti,
scoprendo un mondo per la vostra Corona. Ed era, ed è la onestà, la
probità fatta uomo; e l'hanno ingiustamente accusato.
--Lo so;--disse il re.
--Lo hanno calunniato....
--Lo so.
--Nè mai ha pensato a tradire la Spagna, per Portogallo, per Genova, per
Inghilterra, come i suoi accaniti nemici hanno via via perfidiato....
--Lo so.
--Allora, perchè non reintegrarlo nelle sue dignità?
--Perchè.... perchè.... Voi siete, signor conte, l'uomo dei perchè. Ma
vi ho dato libertà di parlare; e così parlaste sempre, per ogni cosa,
con libertà pari a questa che usate, a favore del vostro Almirante! Il
perchè ve lo voglio dire, con la mia usata sincerità. Non l'ho
reintegrato, perchè fu un errore conferirgli le dignità che accennate.
L'errore non fu commesso da me; fu commesso, sia pure a buon fine, dalla
santa donna che mi fu trent'anni compagna di vita e di regno; ed io non
l'ho mai approvato. Nato di nessuno, il vostro Almirante; e a voi si può
dire, che siete d'una gente le cui origini illustri si perdono nella
notte dei tempi; nato di nessuno, e pieno di pretensioni inaudite!
L'ingegno, l'ardimento.... sì, ammetto queste virtù, che non sono poi
così rare com'egli si crede. Ingegno ed ardimento ne ebbero, a non
citare altri esempi, Vasco di Gama, Alonzo d'Ojeda e Pedro Alvarez
Cabral, tutti vivi e sani, e non come lui orgogliosi.
--Dell'orgoglio non so;--rispose il Fiesco, a mala pena fu passata la
raffica dell'invettiva regale;--quantunque il mio amico d'Ojeda, l'unico
ch'io conosca dei tre, non ne difetti davvero. Ma debbo anche notare che
i suoi servigi non possono entrare in paragone con quelli di Cristoforo
Colombo. E non possono entrarci nemmeno quegli degli altri. Che han
fatto finalmente costoro? Vasco di Gama ha costeggiato tutta l'Africa
meridionale, dieci anni dopo che Bartolomeo Diaz ne aveva costeggiato un
terzo da ponente fino al capo Tormentoso, settecent'anni dopo che gli
Arabi ne avean costeggiato un altro terzo da Levante, fino al capo
Guardafui, e Dio sa quanto più oltre; cosicchè non si trattava più
d'altro che di collegare i due punti, colmando l'intervallo; e questa
colmata chiamiamola pure scoperta, perchè infine non mancò l'ardimento
al Gama, come al Diaz non era mancato l'ingegno. Che ha fatto Alonzo
d'Ojeda? Era uno dei cavalieri venuti con noi nel secondo viaggio alla
Spagnuola; si è illustrato con atti di valore; scontento di noi, ha
chiesto a Vostra Altezza di poter navigare e scoprire da sè, tornando
laggiù sul medesimo solco di Cristoforo Colombo; e sette anni fa, con
Amerigo Vespucci, usando le carte delineate da Giovanni di Cosa (un
marinaio del nostro primo viaggio, non lo dimentichiamo) toccò la terra
ferma del Mondo nuovo, alla costa di Paria, che Cristoforo Colombo aveva
scoperta un anno prima, niente di meno! Che diremo noi del Cabral? Il
valentuomo ha scoperto sei anni or sono il Brasile, per caso, girando
troppo largo dalle isole di Capo Verde, e sviato ancora dalla tempesta,
con quell'armata che doveva condurre alle Indie orientali. Gente ardita,
a cui fo di berretta; ma ebbero essi l'ingegno divinatore, per muovere
verso l'ignoto e per sfidarne con altrettanta fede i pericoli?
--Sia;--disse il re, che era stato a sentire pazientemente la lezione
del conte;--il vostro Almirante ha l'ingegno divinatore. Non gli basta?
È la sua gloria; dev'essere la sua contentezza. Dio manda ad ogni tanto
uomini di questa fatta nel mondo, per adempiere un'alta missione. Non
gli basta neppur questo, che è pure il suo premio? Perchè, servito dalla
fortuna oltre ogni speranza sua, vuol egli ancora una rendita che
andrebbe, a conti fatti fin qui, a cento milioni di scudi castigliani?
Perchè vuol essere almirante maggiore, ritenendo un titolo che qui fu
portato soltanto da don Federigo Henriquez, mio nonno materno? Perchè
vuol essere vicerè delle Indie, titolo che richiede gran nobiltà
secolare, mentre non l'hanno ottenuto tante famiglie che nel corso di
dieci generazioni versarono il sangue in cento battaglie? Notate, signor
conte,--soggiunse il re, mettendo il sordino ad una musica che gli
diventava un po' troppo chiassosa,--notate che questi gran signori di
Castiglia e Leone io li amerei più modesti. Sono le braccia che
combattono, i cavalieri d'un reame; i re sono la mente che guida. Ed è
merito di tanti re avere indirizzato ad util meta il lavoro, non
dubitando di reprimere la nativa baldanza del Cid Campeador, e, se
occorresse, quella d'un Consalvo di Cordova. Questi è, per sua virtù
come per nostra fortuna, un suddito leale; ed io dico così per
istabilir chiaramente i diritti e gli uffici provvidenziali dei re. Ma
il vostro Almirante, sia pur leale come voi dite, e com'io non vi nego,
non parrà egualmente sicuro, nè degno delle alte cariche, a tutta la
nobiltà Castigliana. Il re ha cura di molti e cozzanti interessi, che
vuol tutti condurre in porto. Ci pensi, a queste cose, il vostro
Almirante, e mi giudichi. Che più? Dubitando di noi medesimi, non
abbiamo forse istituita una Giunta composta dei più venerandi
ecclesiastici, dei più reputati gentiluomini, la quale veda e
giustifichi fin dove giunga la nostra malleveria, e quella della defunta
regina, per rispetto alle ragioni di tutti? È all'opera il fiore del
reame; sappia egli aspettarne i responsi.
--È vecchio, mio signore, più vecchio che non porti l'età. I pericoli
incontrati, i travagli sofferti lo hanno ridotto così male! Ed anche la
grave malattia del secondo viaggio, che per sei mesi lo tenne in
pericolo di vita....
--E fu il gran guaio;--interruppe Ferdinando;--perchè nella colonia
incominciò lo sgoverno, colla perdita di tanti nobili cavalieri. Il
vostro Almirante è uomo da scoprir terre, avendone l'ingegno divinatore,
come voi dite; non è uomo da governarle, non avendo l'ingegno
amministrativo, come dico io, imitandovi. Ed ha offesi mortalmente i
nostri Castigliani, obbligandoli perfino a lavorare la terra. Ancor
essa, la santa Isabella, non seppe in tutto perdonargli. Disperato di
trovar oro nelle viscere dei monti, non ha egli pensato a vendere come
schiavi i poveri Indiani? Era da uomo religioso, cotesto?--
Qui, per quanto buon cavaliere egli fosse, il capitano Fiesco perdette
le staffe senz'altro.
--No, non era;--rispose;--ed io che c'ero, laggiù, debbo ringraziare
Vostra Altezza della pietà dimostrata per quei poveri Indiani. Ma è più
conforme al sentimento religioso ciò che ha fatto il gran commendatore
d'Alcántara, don Nicola Ovando, distruggendo colà, sterminandovi col
ferro e col fuoco un milione di sudditi? In mano di buoni cristiani,
nell'Andalusia, nella nuova Castiglia e nella vecchia, i naturali della
Spagnuola erano da tenersi come figli; servi, ma da potersi riscattare,
iniziandoli al misteri della nostra santa religione. Quelli che don
Nicola Ovando ha fatti sgozzare, o bruciare, non si riscattano più; non
si ritornano più in vita, per dar loro la consolazione estrema del santo
battesimo.--
L'uscio si aperse una seconda volta. Il capitano Fiesco voleva prender
commiato; ma il re lo trattenne.
--È ancora il conte di Noguera;--diss'egli.--Servizio del re; e si manda
avanti, senza che il colloquio ne soffra.--
Così prendeva un altro messaggio dalle mani del gentiluomo di camera, a
cui dava commiato, dopo aver letto e aggrottato ancora le ciglia. Non
dovevano esser piacevoli, quel giorno, le lettere del re Ferdinando.
--Dicevate....--ripigliò il re, deponendo il foglio, e tornando alla sua
calma, senza smettere del tutto il cipiglio,--dicevate del governatore
di San Domingo, non è vero? Ebbene, sappiate quel che io ne penso. Don
Nicola Ovando è un fervente cristiano. Gliene fa obbligo la religione
di Alcántara, ond'egli è un insigne ornamento. Se ha usato severità
contro gl'Indiani, bisogna dire ch'ella fosse necessaria, per la
salvezza della colonia. E ancora non n'è venuto intieramente a capo, se
son veri i ragguagli che mi giungono di laggiù, perchè molte fila di una
vasta congiura gli sono sfuggite pur troppo. Qua dentro,
vedete?--soggiunse Ferdinando, battendo della palma sopra un fascio di
carte che aveva vicine sull'orlo della tavola;--c'è un cumulo di
sospetti, che potrebbero diventar prove, e prove terribili contro chi ha
tentato ingannare la bontà di un governatore pietoso.--
Il capitano Fiesco fremette, e si sentì correre un sudor freddo alle
tempia. Ma non voleva aver paura; lo aveva giurato a sè stesso. Perciò
fece buon viso ad un discorso ambiguo, che poteva esser minaccia e non
essere.
--L'autorità sua non è rispettata abbastanza;--proseguiva il re.--Vuol
essere stabilita ad ogni costo, per la sicurezza della colonia, come per
l'onore della Corona. E frattanto il vostro Almirante pretende da noi
che don Nicola Ovando sia richiamato!
--Non lo aveva chiesto anche la santa regina, innanzi di andare alla
gloria?
--Sì;--rispose Ferdinando, non senza torcer la bocca.--Ed anche di ciò
si occuperà la Giunta degli Scarichi. Se la cosa è giusta, si farà. Ma
anche in questo caso ella vorrà dar prova di considerare anzi tutto
l'onore della Corona e l'utilità della disgraziata colonia.
--Mio signore,--rispose il capitano Fiesco con aria contrita,--io non ho
da metter bocca su ciò che riguarda così alti interessi. E non avrei
parlato, correndo il risico di dispiacere a Vostra Altezza, se non ne
avessi avuto licenza, e quasi un comando.
--Nè io mi dolgo di voi;--disse il re.--Amo parlar chiaro, che si veda
bene l'animo mio. Volete venire al nostro servizio?
--A quel patto, mio signore: sia resa giustizia al signor Almirante.--
Ferdinando non istette alle mosse, e violento rispose:
--Giustizia!... giustizia!... Liberamente ne parlate voi, signor conte
di Lavagna. E se io vi dicessi che ne ho sete? Se vi dicessi: aiutatemi
a farla? Ci sono dei fuggiti di là, degli scomparsi, che avrebbero
meritata la forca; e voi che siete stato là, non potreste dar luce? voi
che avete corsa tutta l'isola, e che la conoscete a palmo a palmo?
Eppure,--disse il re, chetando ad un tratto la furia,--non questo io
domando a voi; non in questo voglio usare il vostro ingegno, la vostra
accortezza, il vostro coraggio. Mi sarebbe caro convincervi della purità
delle mie intenzioni, come della bontà del mio cuore. Voi prima di
tutti, guardate; prima degli stessi Castigliani, che non mi sanno render
giustizia. Non tutto io posso fare, pur troppo; ma dove posso, non mi
trattengo dal fare. E veglio, veglio, perchè qui si lavora
maledettamente a guastare ciò che vi è stato fatto, e fatto da me;
voglio dire questa bella unione di Castiglia e d'Aragona, ond'era già
balzata fuori la Spagna, armata, gloriosa e vincente. A questo, che non
è più un sogno, Castiglia cieca si ribella; vuole un re tutto suo, un re
che non conosce, una regina che, poveretta, non ha intiera la sua
ragione; e ricusa colui che l'ha resa grande, facendo ancora qualche
sacrifizio per lei. Non era d'Aragona il reame di Napoli? E non siamo
stati noi che l'abbiamo dato alla Spagna? Eccovi una generosità assai
male ricompensata. Congiure su congiure; si resiste, si minaccia, si
aspetta chi rimandi noi in Aragona, contro la fede di recenti trattati.
Ci andremo, se la forza e la follìa prevarranno sulla ragione e sul buon
diritto; ci andremo, ed allora.... Dio abbia pietà della Spagna.--
Il capitano Fiesco era stato a sentire a capo chino, qua e là tremando
un pochino in cuor suo, ad onta del fermo proposito, ma poi vedendo
girare da un altro lato la bufera.
--Mio signore,--diss'egli finalmente,--io straniero non ho da veder
nulla in queste faccende....
--Eh, non so, veramente;--interruppe Ferdinando.--Voi vedete in troppe
cose; effetto del viaggiar molto che fate. Vi ho detto l'animo mio,
signor viaggiatore. La sincerità è virtù mia, della quale mi vanto.
Pensate bene a quanto vi ho detto; poi, quando avrete pensato, verrete a
dirmi il frutto delle vostre meditazioni.--
Il capitano Fiesco s'inchinò profondamente, ben risoluto di non meditar
nulla di nulla.
--Prendo congedo da Vostra Altezza con la morte nell'anima;--diss'egli,
anticipando nella frase malinconica la notizia della sua risoluzione.
--Starà in voi di mostrarvi degno della nostra grazia, e di tornare da
morte a vita;--rispose ironico il re d'Aragona.--Amico vi voglio, e non
collegato ai miei nemici.
--Io? Può credere Vostra Altezza?...
--Che ne so io? Rammentate il proverbio: chi non è con me, vuol esser
contro di me. Andate ora, e Nostro Signore v'abbia nella sua santa
guardia.--
Così dicendo, il re Ferdinando fece un gesto che parve dare al capitano
Fiesco la sua benedizione. L'udienza era finita. Lunga assai; ma in quel
punto, tanto n'era rimasto turbato, il capitano Fiesco l'avrebbe
desiderata più lunga e più chiara; rinunziando magari alla benedizione
di quel re, che non era passato mai per uno stinco di santo.
CAPITOLO XIII.
Si viene a mezza spada.
Uscì dal palazzo coll'anima in trambusto. Bene si era proposto d'esser
forte e di non sentir paura di nulla: ma troppe parole oscure aveva
proferite il re; troppe allusioni mal velate aveva fatte a certi casi di
San Domingo. Sapeva egli della sparizione improvvisa di don Garcìa dalla
capitale di Haiti? Di quella, certamente; ed anche della via che
quell'altro aveva presa, dello scampo e del rifugio che aveva trovato.
Perchè, se non fosse stato così, avrebbe il re Ferdinando detto a lui,
capitano Fiesco: potrei chiedervi di aiutarci? Era venuta, sì, qualche
frase, ad attenuare, a smorzare il pensiero; ma tardi, quando il colpo
era stato dato, e sentito. Ora, se la partenza di don Garcìa, che era
pur libero di andarsene, era stata annunziata da San Domingo al re
d'Aragona come una fuga, bisognava supporre che il governatore di San
Domingo fosse entrato in sospetto del come e del perchè l'esecutore di
giustizia della sua giurisdizione si fosse annoiato del servizio, tanto
da chiedere il suo licenziamento sui due piedi. A giustificare questo
ragionamento non si poteva anche ricordar l'allusione, che il re aveva
fatta prima d'ogni altra, al vero sesso del mozzo Bonito? Perchè quella
finta paura d'un innocente artifizio di viaggiatori, che non era poi una
novità in quel paese e a quel tempo? Proprio a lui forestiero, venuto
colla fretta del giungere e col proposito di tornarsene via, si poteva
far colpa d'un travestimento muliebre, giustificato abbastanza dalla
rapidità del viaggio e dalla opportunità di qualche precauzione
stradale?
Non aveva fatto bene, lo riconosceva benissimo allora, a contentare il
desiderio di Juana, portandola in Ispagna con sè. Quando si è fuori d'un
pericolo, non ci si torna, per quanta sicurezza se n'abbia. Sapeva
tutto, il re? o solamente una parte del vero? A buon conto, Juana
avrebbe súbito riprese le vesti femminili; e per ogni buon fine, a
cavallo quel medesimo giorno, verso la Sierra di Guadarrama, sulla via
di Catalogna, studiando anche i passi più brevi. Poteva essere una
caccia; ed egli, tra sè ed i segugi reali, voleva mettere almeno
ventiquattr'ore di spazio. Pensate, aveva detto il re, mi porterete poi
il frutto delle vostre meditazioni. Quel poi gli offriva appunto un
giorno di tempo. Lo avrebbe guadagnato; corressero pure sulle sue tracce
alguazili ed arcieri. Condotta la sua donna a Barcellona ed al largo,
sarebbe magari tornato a Valladolid: quanto a sè, non aveva timore di
nulla.
Anche per lui c'era la nuvoletta nell'aria. Non gli aveva lasciato
intendere il re di sospettarlo troppo legato ai suoi nemici? Certo, il
viaggio di Siviglia poteva dare argomento a sospetti. Ma quel viaggio si
poteva anche spiegare. Egli era andato laggiù per vedere una dama, e le
ragioni del cercato colloquio erano tutte confessabili. Non era già
andato a cospirar con nessuno! Della cospirazione, a dir vero, aveva
vedute le tracce; anch'egli, per giovare al signor Almirante, non faceva
troppo assegnamento sull'arrivo della regina Giovanna, che era il fine
di tutte le cospirazioni castigliane? Ma qui, poi, egli non era
obbligato a dir tutto. Restava soltanto ch'egli aveva chiesto aiuto a
donna Beatrice Bovadilla per Cristoforo Colombo, suo vecchio amico; e
non altro aveva dovuto cercare. L'altro era un negozio di Spagnuoli; non
ci doveva entrar egli, straniero alla terra ed alle contese dei suoi
cittadini. Così, come straniero, andava e tornava, per assistere il
signor Almirante; andava a Barcellona, ritornava a Valladolid; che c'era
egli di male?
Sì, sì; via di galoppo, quel medesimo giorno. Come spiegar la cosa al
signor Almirante? In ciò si sarebbe consigliato con l'Adelantado, mentre
si sellavano i cavalli. Fortuna, aver trattenuta una parte della sua
gente con sè. Gli mancava il frate scudiero, il suo braccio destro; gran
guaio, perchè il frate scudiero era Spagnuolo, e Catalano per l'appunto;
sarebbe stato utilissimo nel passare per le terre di Catalogna. Ma
pazienza; gli restavano quattr'uomini risoluti e fedeli; sarebbe giunto
a Barcellona, anche ammazzando qualche cavallo. Ah, galoppare, divorare
la strada, aver l'ali ai piedi, come Mercurio! e il re lo aspettasse
pure, col frutto delle sue meditazioni. Oh, la mia buona stella! diceva
egli tra sè. La mia buona stella! ripeteva, per farsi coraggio con una
frase di buon augurio. E andava svelto, facendo i passi lunghi, non
badando a nulla, non vedendo nessuno.
Ma le vie di Valladolid non erano tutte larghe ad un modo: abbondavano
anzi le strette. Ad un crocicchio gli fu mestieri rallentare il passo,
per una gran calca di gente. Perchè tutta quella gente affollata? Non
era in verità da cercare il perchè. Chi ha fretta non si ferma a
domandar le ragioni per cui una calca si ferma, intorno ad un piccolo
accidente di strada; specie in quartieri abitati dal popolino, così
facile a commuoversi per cose da nulla. Chi ha fretta cerca di passare
per quella calca, si fa piccino e sottile, va di fianco, lavora di
gomiti, insinuandosi destramente per ogni vano che trovi. Così egli,
mentre intorno a lui era un cicaleccio confuso.--Poverino! perchè l'han
preso?--Così bello! faceva pietà, coi suoi grandi occhi lagrimosi.--Che!
non piangeva; solo era un poco stravolto.--Sfido io; nelle unghie degli
arcieri!--Che cosa avrà fatto? rubato?--A quell'età, cose da
nulla.--Vestito da marinaio; non era dunque della città.--Poverino! e la
sua mamma, se l'ha!--
Un brivido era corso per l'ossa al capitano Fiesco. Voleva tornare
indietro, per domandare. Chi mai, nelle unghie degli arcieri? e giovane,
e bello, e vestito da marinaio? Ma si ricordò che non doveva aver paura.
E non sarebbe stata esagerazione di paura, tornare indietro per un
ragazzo arrestato? Ma corse più rapido avanti, sempre più lontano da
quella moltitudine. Era là, finalmente, la strada dove abitava il signor
Almirante; era là, si apriva davanti a lui, quieta, luminosa, sotto il
cielo sereno. Passava un carro, tirato da un mulo alto e solenne, che
agitava ad ogni passo una ventina di sonagli; e il carrettiere, che
veniva innanzi, di costa alla ruota, canterellava in cadenza, facendo ad
ogni tanto schioccar la sua frusta per chiasso. La scena era gaia,
tranquilla, innocente; respirava una pace d'idilio siracusano. Ed anche
la casa era là, lunga, alta, e polverosa, ma neppur brutta in quell'ora
meridiana: la coglieva il sole di sbieco, e larghe chiazze di mattoni
Il re lasciò cadere a vuoto l'accenno, e diede un altro giro al
discorso.
--Che novelle ci portate dall'Italia? Sapete che l'amo.
--Lo so, e da buon cittadino ne debbo esser grato a Vostra Altezza.
--Nostro zio il re Cristianissimo,--ripigliò Ferdinando,--ha buoni
amici a Genova; ed io non per altro gli porto invidia, se non perchè ne
possiede uno come Gian Aloise, potente signore, ma ancora più gentil
cavaliere.
--E buon servitore di Vostra Altezza;--soggiunse il conte.
--Questo non sarà poi così vero come il resto;--replicò
Ferdinando.--Egli non ce ne ha dato fin qui prove bastanti. Ma noi gli
perdoniamo di gran cuore, ben sapendo che non si può servire a due
padroni. Che gente maravigliosa, i Fieschi! Di antica stirpe reale, gran
vassalli dell'Impero, hanno da principio resistito virilmente alla
fortuna di Genova; attratti da lei, son riusciti a dominarla. Tutto ciò
è d'anime eccelse. Le repubbliche non possono prosperare senza gran
signori, che le aiutino di consiglio e di braccio: ma i gran signori, a
lor volta, non possono crescere di potenza, se non col favore dei re. I
Fieschi lo hanno capito. Non contenti d'aver dato tanti cardinali e due
papi alla Chiesa, hanno saputo spendersi ancora in servizio dei maggiori
principi della cristianità. Nostro zio Alfonso d'Aragona ebbe a Napoli
in Giacomo Fiesco un ammirabile vicerè.
--Bontà di Vostra Altezza lo esalta oltre il merito.
--No, no, è pretta giustizia. Amo la giustizia, io; non istimo se non
questa. E voi, conte, non vi addormentate già sugli allori degli avi?
--Io? povero a me! sono un assai piccolo uomo, e porto male un gran
nome. È già molto se come marinaio ho potuto aver la fortuna di servire
la vostra Corona in quattro viaggi di scoperta, sotto l'onorato
comando....
--Acquistando un'esperienza preziosa di uomini e di cose;--interruppe il
re, che davvero non voleva sentir finire tutti i salmi in gloria.--Non
bisogna buttarla via, ricordátelo. E se amate la nostra Corona, che
siete venuto a servire non tanto da marinaio, come da gentiluomo
d'arrembata, perchè non tornereste a noi, e per servirci in uffici e
dignità più convenienti al vostro nome? Questa Corona ha pur la sua
gloria; ed anche noi abbiamo operato cose che non saranno giudicate da
poco. Da noi sono stati cacciati i Mori, e restaurati da per tutto gli
altari di Cristo; da noi occupato stabilmente il reame di Napoli. E qui
e laggiù, dove è sempre viva la memoria del vostro nobil parente, anche
voi potrete illustrarvi con leali servigi, scambio di addormentarvi
negli ozi di Capua, o piuttosto, poichè vivete sulla riva del mare, a
sentir cantare le Sirene.
--Non ha Sirene il mar di Liguria;--notò il capitano Fiesco, tanto per
dir qualche cosa, e accompagnando con un sorriso l'osservazione
discreta.
--Ma le portate con voi, non è vero?--disse il re, sorridendo a sua
volta.--Certi paggetti, o mozzi che voglian parere.... Non dite di no,
perchè i re sono costretti a sapere ogni cosa. E vi ci ho colto, colla
soffoggiata sotto il mantello!--seguitò, ridendo ancora.--Ma badate,
conte mio; quando si possiede un tesoro, non si porta attorno, nè così
in vista, che tutti lo riconoscano.--
Il capitano Fiesco era stato colpito in pieno petto da quella bottata
improvvisa del suo interlocutore; ed anche aveva dovuto faticar molto
dentro di sè, per non dar segno d'averla ricevuta così profonda.
Guardava frattanto il re, cercando di scoprire nel volto di lui
l'intenzione riposta, che lo aveva fatto parlare in quel modo. Il re
sorrideva; forse non mirava ad altro che a fargli sentire come fosse
bene informato. Il migliore, e lì per lì anche l'unico partito da
prendere, era quello di volgere la cosa in celia, accettando la lezione
del regale maestro.
--Mio buon signore,--diss'egli, annaspando un pochino,--necessità di
viaggio. Le dame sono come gli eserciti, che non si muovono da un luogo
senza una quantità sterminata d'impicci. Ed io, dovendo fare una corsa
di pochi giorni, da marito prudente, o che pensava di essere tale....
--Sì, sì, capisco;--disse di rimando il re, non lasciandogli finire la
frase;--ma voi metterete me negli impicci. Dio guardi, se viene a
saperlo il Sant'Uffizio, che non ammette i tramutamenti da sesso a
sesso!
--Provvederò;--rispose il Fiesco, fremendo.--Non dubiti Vostra Altezza,
provvederò fin d'oggi.
--Eh, non dico per questo;--si degnò di rispondere il re.--Al mondo ci
siamo per fortuna anche noi, e dove non sia offesa volontaria ai
precetti della nostra santa religione, la nostra autorità passa innanzi
a tutte le altre, e in ogni caso può corregger anche gli effetti di uno
zelo frettoloso. Voglio dire piuttosto che se la contessa del Fiesco ha
da splendere come un bel fiore d'Italia alla Corte di Spagna, non sarà
bene che sia stata veduta prima in maschera, e fuor di stagione. Voglio
avervi, infatti; voglio avervi ad ogni costo. Il giorno che avrò un
conte di Lavagna al mio servizio, mi stimerò forte in arcione come mio
zio il re Cristianissimo.--
Al capitano Fiesco ritornava il fiato in corpo. Ma la paura era stata
grossa. E perchè non voleva incominciare allora a tremare, egli che non
si era mai sbigottito di nulla, giurò a sè stesso di non aver più paura,
e di dar passata a tutte le funebri celie di quell'uomo, che sicuramente
voleva pigliarsi spasso di lui. Anche quella ubbía d'averlo a' suoi
servigi, si poteva prenderla per buona moneta? Rispondeva per verità ad
un pronostico dell'Adelantado; ma don Bartolomeo Colombo non era poi un
profeta, e il casuale incontro di due chiacchiere non voleva già dire
che egli, Bartolomeo Fiesco, si dovesse stimare di quel buon legno,
tagliato in luna vecchia, di cui si fanno gli uomini di Stato in tutti i
paesi del mondo civile.
--Vostra Altezza,--rispose allora,--si fa una troppo buona opinione di
me. Ma io sento la mia pochezza, e, per tradurre una frase di poeta
latino, quanto possano e quanto non possano portar le mie spalle.--
Ferdinando stava per ribattere quell'eccesso di modestia; quando l'uscio
si aperse, e il gentiluomo di camera apparve nel vano.
--Avanti, Noguera;--diss'egli.--Che avete di nuovo?
--Servizio del re;--rispose il Noguera, inoltrandosi rispettosamente, e
presentando una lettera.
--Permettete;--disse allora Ferdinando, volgendosi al Fiesco, mentre si
disponeva a rompere il suggello.
Il capitano Fiesco rispose con un profondo inchino. Ferdinando lesse la
lettera, la rilesse, aggrottando le ciglia; indi ripose il foglio sulla
tavola accanto a cui stava seduto, e disse, congedando il gentiluomo di
camera:
--Sta bene, provvederemo. Voi dunque,--ripigliò, volgendosi ancora al
Fiesco, appena quell'altro fu uscito dalla stanza,--non volete venire al
servizio d'Aragona? Siete dunque coi miei nemici?
--Mio signore, perchè mi dite voi ciò?--rispose il Fiesco,
maravigliato.--E perdoni Vostra Altezza, se ardisco interrogare: ma è
così nuovo e così immeritato il rimprovero, che io sento il bisogno di
chiederne il perchè.
--Il perchè non è difficile a dirsi;--replicò Ferdinando.--Lo sapete, il
proverbio? Chi non è con me vuol esser contro di me. Ho bisogno d'avervi
al mio servizio, e voi ricusate; dunque.... cavatene voi la conseguenza,
signor conte di Lavagna.--
Il capitano Fiesco rimase un istante silenzioso, non per cavare la
conseguenza accennata dal re, ma per pesare il pro ed il contro di un
disegno che gli era venuto alla mente.
--Mio signore,--incominciò egli, dopo quell'istante di pausa,--quando un
gentiluomo prende servizio, non impegna altrimenti la sua libertà che a
certi patti, offerti a lui dal padrone, o da questo accettati. Vostra
Altezza non mi offre patti; potrei osar io di proporne?
--Osate, ve lo permetto; ve ne faccio preghiera. Non sono io stato
sincero con voi? Voglio un conte di Lavagna, vi ho detto, un conte di
Lavagna, come lo ha il mio buon zio Cristianissimo, e che tutto
s'adoperi per i miei interessi; onorati interessi, che sono pure quelli
di un gran regno. Osate dunque, siate sincero con me, parlate
liberamente.
--Ebbene, mio signore;--disse il Fiesco animandosi;--perchè io, libero,
e desideroso di quiete nel mio castello di Gioiosa Guardia, mi
acconciassi a prender servizio presso il più nobile fra i re,
bisognerebbe che l'uomo insigne col quale ho lealmente servito, e dal
quale sono stato ricompensato di affetto paterno, non gemesse più oltre,
aspettando una prova del vostro favore. Siate generoso, re Ferdinando,
e pensoso del nome che lascerete nella storia del mondo. Quell'uomo Voi
lo avevate pur creato almirante maggiore dell'Oceano, e vicerè delle
terre ch'egli avrebbe scoperte. Egli ha mantenuti i suoi patti,
scoprendo un mondo per la vostra Corona. Ed era, ed è la onestà, la
probità fatta uomo; e l'hanno ingiustamente accusato.
--Lo so;--disse il re.
--Lo hanno calunniato....
--Lo so.
--Nè mai ha pensato a tradire la Spagna, per Portogallo, per Genova, per
Inghilterra, come i suoi accaniti nemici hanno via via perfidiato....
--Lo so.
--Allora, perchè non reintegrarlo nelle sue dignità?
--Perchè.... perchè.... Voi siete, signor conte, l'uomo dei perchè. Ma
vi ho dato libertà di parlare; e così parlaste sempre, per ogni cosa,
con libertà pari a questa che usate, a favore del vostro Almirante! Il
perchè ve lo voglio dire, con la mia usata sincerità. Non l'ho
reintegrato, perchè fu un errore conferirgli le dignità che accennate.
L'errore non fu commesso da me; fu commesso, sia pure a buon fine, dalla
santa donna che mi fu trent'anni compagna di vita e di regno; ed io non
l'ho mai approvato. Nato di nessuno, il vostro Almirante; e a voi si può
dire, che siete d'una gente le cui origini illustri si perdono nella
notte dei tempi; nato di nessuno, e pieno di pretensioni inaudite!
L'ingegno, l'ardimento.... sì, ammetto queste virtù, che non sono poi
così rare com'egli si crede. Ingegno ed ardimento ne ebbero, a non
citare altri esempi, Vasco di Gama, Alonzo d'Ojeda e Pedro Alvarez
Cabral, tutti vivi e sani, e non come lui orgogliosi.
--Dell'orgoglio non so;--rispose il Fiesco, a mala pena fu passata la
raffica dell'invettiva regale;--quantunque il mio amico d'Ojeda, l'unico
ch'io conosca dei tre, non ne difetti davvero. Ma debbo anche notare che
i suoi servigi non possono entrare in paragone con quelli di Cristoforo
Colombo. E non possono entrarci nemmeno quegli degli altri. Che han
fatto finalmente costoro? Vasco di Gama ha costeggiato tutta l'Africa
meridionale, dieci anni dopo che Bartolomeo Diaz ne aveva costeggiato un
terzo da ponente fino al capo Tormentoso, settecent'anni dopo che gli
Arabi ne avean costeggiato un altro terzo da Levante, fino al capo
Guardafui, e Dio sa quanto più oltre; cosicchè non si trattava più
d'altro che di collegare i due punti, colmando l'intervallo; e questa
colmata chiamiamola pure scoperta, perchè infine non mancò l'ardimento
al Gama, come al Diaz non era mancato l'ingegno. Che ha fatto Alonzo
d'Ojeda? Era uno dei cavalieri venuti con noi nel secondo viaggio alla
Spagnuola; si è illustrato con atti di valore; scontento di noi, ha
chiesto a Vostra Altezza di poter navigare e scoprire da sè, tornando
laggiù sul medesimo solco di Cristoforo Colombo; e sette anni fa, con
Amerigo Vespucci, usando le carte delineate da Giovanni di Cosa (un
marinaio del nostro primo viaggio, non lo dimentichiamo) toccò la terra
ferma del Mondo nuovo, alla costa di Paria, che Cristoforo Colombo aveva
scoperta un anno prima, niente di meno! Che diremo noi del Cabral? Il
valentuomo ha scoperto sei anni or sono il Brasile, per caso, girando
troppo largo dalle isole di Capo Verde, e sviato ancora dalla tempesta,
con quell'armata che doveva condurre alle Indie orientali. Gente ardita,
a cui fo di berretta; ma ebbero essi l'ingegno divinatore, per muovere
verso l'ignoto e per sfidarne con altrettanta fede i pericoli?
--Sia;--disse il re, che era stato a sentire pazientemente la lezione
del conte;--il vostro Almirante ha l'ingegno divinatore. Non gli basta?
È la sua gloria; dev'essere la sua contentezza. Dio manda ad ogni tanto
uomini di questa fatta nel mondo, per adempiere un'alta missione. Non
gli basta neppur questo, che è pure il suo premio? Perchè, servito dalla
fortuna oltre ogni speranza sua, vuol egli ancora una rendita che
andrebbe, a conti fatti fin qui, a cento milioni di scudi castigliani?
Perchè vuol essere almirante maggiore, ritenendo un titolo che qui fu
portato soltanto da don Federigo Henriquez, mio nonno materno? Perchè
vuol essere vicerè delle Indie, titolo che richiede gran nobiltà
secolare, mentre non l'hanno ottenuto tante famiglie che nel corso di
dieci generazioni versarono il sangue in cento battaglie? Notate, signor
conte,--soggiunse il re, mettendo il sordino ad una musica che gli
diventava un po' troppo chiassosa,--notate che questi gran signori di
Castiglia e Leone io li amerei più modesti. Sono le braccia che
combattono, i cavalieri d'un reame; i re sono la mente che guida. Ed è
merito di tanti re avere indirizzato ad util meta il lavoro, non
dubitando di reprimere la nativa baldanza del Cid Campeador, e, se
occorresse, quella d'un Consalvo di Cordova. Questi è, per sua virtù
come per nostra fortuna, un suddito leale; ed io dico così per
istabilir chiaramente i diritti e gli uffici provvidenziali dei re. Ma
il vostro Almirante, sia pur leale come voi dite, e com'io non vi nego,
non parrà egualmente sicuro, nè degno delle alte cariche, a tutta la
nobiltà Castigliana. Il re ha cura di molti e cozzanti interessi, che
vuol tutti condurre in porto. Ci pensi, a queste cose, il vostro
Almirante, e mi giudichi. Che più? Dubitando di noi medesimi, non
abbiamo forse istituita una Giunta composta dei più venerandi
ecclesiastici, dei più reputati gentiluomini, la quale veda e
giustifichi fin dove giunga la nostra malleveria, e quella della defunta
regina, per rispetto alle ragioni di tutti? È all'opera il fiore del
reame; sappia egli aspettarne i responsi.
--È vecchio, mio signore, più vecchio che non porti l'età. I pericoli
incontrati, i travagli sofferti lo hanno ridotto così male! Ed anche la
grave malattia del secondo viaggio, che per sei mesi lo tenne in
pericolo di vita....
--E fu il gran guaio;--interruppe Ferdinando;--perchè nella colonia
incominciò lo sgoverno, colla perdita di tanti nobili cavalieri. Il
vostro Almirante è uomo da scoprir terre, avendone l'ingegno divinatore,
come voi dite; non è uomo da governarle, non avendo l'ingegno
amministrativo, come dico io, imitandovi. Ed ha offesi mortalmente i
nostri Castigliani, obbligandoli perfino a lavorare la terra. Ancor
essa, la santa Isabella, non seppe in tutto perdonargli. Disperato di
trovar oro nelle viscere dei monti, non ha egli pensato a vendere come
schiavi i poveri Indiani? Era da uomo religioso, cotesto?--
Qui, per quanto buon cavaliere egli fosse, il capitano Fiesco perdette
le staffe senz'altro.
--No, non era;--rispose;--ed io che c'ero, laggiù, debbo ringraziare
Vostra Altezza della pietà dimostrata per quei poveri Indiani. Ma è più
conforme al sentimento religioso ciò che ha fatto il gran commendatore
d'Alcántara, don Nicola Ovando, distruggendo colà, sterminandovi col
ferro e col fuoco un milione di sudditi? In mano di buoni cristiani,
nell'Andalusia, nella nuova Castiglia e nella vecchia, i naturali della
Spagnuola erano da tenersi come figli; servi, ma da potersi riscattare,
iniziandoli al misteri della nostra santa religione. Quelli che don
Nicola Ovando ha fatti sgozzare, o bruciare, non si riscattano più; non
si ritornano più in vita, per dar loro la consolazione estrema del santo
battesimo.--
L'uscio si aperse una seconda volta. Il capitano Fiesco voleva prender
commiato; ma il re lo trattenne.
--È ancora il conte di Noguera;--diss'egli.--Servizio del re; e si manda
avanti, senza che il colloquio ne soffra.--
Così prendeva un altro messaggio dalle mani del gentiluomo di camera, a
cui dava commiato, dopo aver letto e aggrottato ancora le ciglia. Non
dovevano esser piacevoli, quel giorno, le lettere del re Ferdinando.
--Dicevate....--ripigliò il re, deponendo il foglio, e tornando alla sua
calma, senza smettere del tutto il cipiglio,--dicevate del governatore
di San Domingo, non è vero? Ebbene, sappiate quel che io ne penso. Don
Nicola Ovando è un fervente cristiano. Gliene fa obbligo la religione
di Alcántara, ond'egli è un insigne ornamento. Se ha usato severità
contro gl'Indiani, bisogna dire ch'ella fosse necessaria, per la
salvezza della colonia. E ancora non n'è venuto intieramente a capo, se
son veri i ragguagli che mi giungono di laggiù, perchè molte fila di una
vasta congiura gli sono sfuggite pur troppo. Qua dentro,
vedete?--soggiunse Ferdinando, battendo della palma sopra un fascio di
carte che aveva vicine sull'orlo della tavola;--c'è un cumulo di
sospetti, che potrebbero diventar prove, e prove terribili contro chi ha
tentato ingannare la bontà di un governatore pietoso.--
Il capitano Fiesco fremette, e si sentì correre un sudor freddo alle
tempia. Ma non voleva aver paura; lo aveva giurato a sè stesso. Perciò
fece buon viso ad un discorso ambiguo, che poteva esser minaccia e non
essere.
--L'autorità sua non è rispettata abbastanza;--proseguiva il re.--Vuol
essere stabilita ad ogni costo, per la sicurezza della colonia, come per
l'onore della Corona. E frattanto il vostro Almirante pretende da noi
che don Nicola Ovando sia richiamato!
--Non lo aveva chiesto anche la santa regina, innanzi di andare alla
gloria?
--Sì;--rispose Ferdinando, non senza torcer la bocca.--Ed anche di ciò
si occuperà la Giunta degli Scarichi. Se la cosa è giusta, si farà. Ma
anche in questo caso ella vorrà dar prova di considerare anzi tutto
l'onore della Corona e l'utilità della disgraziata colonia.
--Mio signore,--rispose il capitano Fiesco con aria contrita,--io non ho
da metter bocca su ciò che riguarda così alti interessi. E non avrei
parlato, correndo il risico di dispiacere a Vostra Altezza, se non ne
avessi avuto licenza, e quasi un comando.
--Nè io mi dolgo di voi;--disse il re.--Amo parlar chiaro, che si veda
bene l'animo mio. Volete venire al nostro servizio?
--A quel patto, mio signore: sia resa giustizia al signor Almirante.--
Ferdinando non istette alle mosse, e violento rispose:
--Giustizia!... giustizia!... Liberamente ne parlate voi, signor conte
di Lavagna. E se io vi dicessi che ne ho sete? Se vi dicessi: aiutatemi
a farla? Ci sono dei fuggiti di là, degli scomparsi, che avrebbero
meritata la forca; e voi che siete stato là, non potreste dar luce? voi
che avete corsa tutta l'isola, e che la conoscete a palmo a palmo?
Eppure,--disse il re, chetando ad un tratto la furia,--non questo io
domando a voi; non in questo voglio usare il vostro ingegno, la vostra
accortezza, il vostro coraggio. Mi sarebbe caro convincervi della purità
delle mie intenzioni, come della bontà del mio cuore. Voi prima di
tutti, guardate; prima degli stessi Castigliani, che non mi sanno render
giustizia. Non tutto io posso fare, pur troppo; ma dove posso, non mi
trattengo dal fare. E veglio, veglio, perchè qui si lavora
maledettamente a guastare ciò che vi è stato fatto, e fatto da me;
voglio dire questa bella unione di Castiglia e d'Aragona, ond'era già
balzata fuori la Spagna, armata, gloriosa e vincente. A questo, che non
è più un sogno, Castiglia cieca si ribella; vuole un re tutto suo, un re
che non conosce, una regina che, poveretta, non ha intiera la sua
ragione; e ricusa colui che l'ha resa grande, facendo ancora qualche
sacrifizio per lei. Non era d'Aragona il reame di Napoli? E non siamo
stati noi che l'abbiamo dato alla Spagna? Eccovi una generosità assai
male ricompensata. Congiure su congiure; si resiste, si minaccia, si
aspetta chi rimandi noi in Aragona, contro la fede di recenti trattati.
Ci andremo, se la forza e la follìa prevarranno sulla ragione e sul buon
diritto; ci andremo, ed allora.... Dio abbia pietà della Spagna.--
Il capitano Fiesco era stato a sentire a capo chino, qua e là tremando
un pochino in cuor suo, ad onta del fermo proposito, ma poi vedendo
girare da un altro lato la bufera.
--Mio signore,--diss'egli finalmente,--io straniero non ho da veder
nulla in queste faccende....
--Eh, non so, veramente;--interruppe Ferdinando.--Voi vedete in troppe
cose; effetto del viaggiar molto che fate. Vi ho detto l'animo mio,
signor viaggiatore. La sincerità è virtù mia, della quale mi vanto.
Pensate bene a quanto vi ho detto; poi, quando avrete pensato, verrete a
dirmi il frutto delle vostre meditazioni.--
Il capitano Fiesco s'inchinò profondamente, ben risoluto di non meditar
nulla di nulla.
--Prendo congedo da Vostra Altezza con la morte nell'anima;--diss'egli,
anticipando nella frase malinconica la notizia della sua risoluzione.
--Starà in voi di mostrarvi degno della nostra grazia, e di tornare da
morte a vita;--rispose ironico il re d'Aragona.--Amico vi voglio, e non
collegato ai miei nemici.
--Io? Può credere Vostra Altezza?...
--Che ne so io? Rammentate il proverbio: chi non è con me, vuol esser
contro di me. Andate ora, e Nostro Signore v'abbia nella sua santa
guardia.--
Così dicendo, il re Ferdinando fece un gesto che parve dare al capitano
Fiesco la sua benedizione. L'udienza era finita. Lunga assai; ma in quel
punto, tanto n'era rimasto turbato, il capitano Fiesco l'avrebbe
desiderata più lunga e più chiara; rinunziando magari alla benedizione
di quel re, che non era passato mai per uno stinco di santo.
CAPITOLO XIII.
Si viene a mezza spada.
Uscì dal palazzo coll'anima in trambusto. Bene si era proposto d'esser
forte e di non sentir paura di nulla: ma troppe parole oscure aveva
proferite il re; troppe allusioni mal velate aveva fatte a certi casi di
San Domingo. Sapeva egli della sparizione improvvisa di don Garcìa dalla
capitale di Haiti? Di quella, certamente; ed anche della via che
quell'altro aveva presa, dello scampo e del rifugio che aveva trovato.
Perchè, se non fosse stato così, avrebbe il re Ferdinando detto a lui,
capitano Fiesco: potrei chiedervi di aiutarci? Era venuta, sì, qualche
frase, ad attenuare, a smorzare il pensiero; ma tardi, quando il colpo
era stato dato, e sentito. Ora, se la partenza di don Garcìa, che era
pur libero di andarsene, era stata annunziata da San Domingo al re
d'Aragona come una fuga, bisognava supporre che il governatore di San
Domingo fosse entrato in sospetto del come e del perchè l'esecutore di
giustizia della sua giurisdizione si fosse annoiato del servizio, tanto
da chiedere il suo licenziamento sui due piedi. A giustificare questo
ragionamento non si poteva anche ricordar l'allusione, che il re aveva
fatta prima d'ogni altra, al vero sesso del mozzo Bonito? Perchè quella
finta paura d'un innocente artifizio di viaggiatori, che non era poi una
novità in quel paese e a quel tempo? Proprio a lui forestiero, venuto
colla fretta del giungere e col proposito di tornarsene via, si poteva
far colpa d'un travestimento muliebre, giustificato abbastanza dalla
rapidità del viaggio e dalla opportunità di qualche precauzione
stradale?
Non aveva fatto bene, lo riconosceva benissimo allora, a contentare il
desiderio di Juana, portandola in Ispagna con sè. Quando si è fuori d'un
pericolo, non ci si torna, per quanta sicurezza se n'abbia. Sapeva
tutto, il re? o solamente una parte del vero? A buon conto, Juana
avrebbe súbito riprese le vesti femminili; e per ogni buon fine, a
cavallo quel medesimo giorno, verso la Sierra di Guadarrama, sulla via
di Catalogna, studiando anche i passi più brevi. Poteva essere una
caccia; ed egli, tra sè ed i segugi reali, voleva mettere almeno
ventiquattr'ore di spazio. Pensate, aveva detto il re, mi porterete poi
il frutto delle vostre meditazioni. Quel poi gli offriva appunto un
giorno di tempo. Lo avrebbe guadagnato; corressero pure sulle sue tracce
alguazili ed arcieri. Condotta la sua donna a Barcellona ed al largo,
sarebbe magari tornato a Valladolid: quanto a sè, non aveva timore di
nulla.
Anche per lui c'era la nuvoletta nell'aria. Non gli aveva lasciato
intendere il re di sospettarlo troppo legato ai suoi nemici? Certo, il
viaggio di Siviglia poteva dare argomento a sospetti. Ma quel viaggio si
poteva anche spiegare. Egli era andato laggiù per vedere una dama, e le
ragioni del cercato colloquio erano tutte confessabili. Non era già
andato a cospirar con nessuno! Della cospirazione, a dir vero, aveva
vedute le tracce; anch'egli, per giovare al signor Almirante, non faceva
troppo assegnamento sull'arrivo della regina Giovanna, che era il fine
di tutte le cospirazioni castigliane? Ma qui, poi, egli non era
obbligato a dir tutto. Restava soltanto ch'egli aveva chiesto aiuto a
donna Beatrice Bovadilla per Cristoforo Colombo, suo vecchio amico; e
non altro aveva dovuto cercare. L'altro era un negozio di Spagnuoli; non
ci doveva entrar egli, straniero alla terra ed alle contese dei suoi
cittadini. Così, come straniero, andava e tornava, per assistere il
signor Almirante; andava a Barcellona, ritornava a Valladolid; che c'era
egli di male?
Sì, sì; via di galoppo, quel medesimo giorno. Come spiegar la cosa al
signor Almirante? In ciò si sarebbe consigliato con l'Adelantado, mentre
si sellavano i cavalli. Fortuna, aver trattenuta una parte della sua
gente con sè. Gli mancava il frate scudiero, il suo braccio destro; gran
guaio, perchè il frate scudiero era Spagnuolo, e Catalano per l'appunto;
sarebbe stato utilissimo nel passare per le terre di Catalogna. Ma
pazienza; gli restavano quattr'uomini risoluti e fedeli; sarebbe giunto
a Barcellona, anche ammazzando qualche cavallo. Ah, galoppare, divorare
la strada, aver l'ali ai piedi, come Mercurio! e il re lo aspettasse
pure, col frutto delle sue meditazioni. Oh, la mia buona stella! diceva
egli tra sè. La mia buona stella! ripeteva, per farsi coraggio con una
frase di buon augurio. E andava svelto, facendo i passi lunghi, non
badando a nulla, non vedendo nessuno.
Ma le vie di Valladolid non erano tutte larghe ad un modo: abbondavano
anzi le strette. Ad un crocicchio gli fu mestieri rallentare il passo,
per una gran calca di gente. Perchè tutta quella gente affollata? Non
era in verità da cercare il perchè. Chi ha fretta non si ferma a
domandar le ragioni per cui una calca si ferma, intorno ad un piccolo
accidente di strada; specie in quartieri abitati dal popolino, così
facile a commuoversi per cose da nulla. Chi ha fretta cerca di passare
per quella calca, si fa piccino e sottile, va di fianco, lavora di
gomiti, insinuandosi destramente per ogni vano che trovi. Così egli,
mentre intorno a lui era un cicaleccio confuso.--Poverino! perchè l'han
preso?--Così bello! faceva pietà, coi suoi grandi occhi lagrimosi.--Che!
non piangeva; solo era un poco stravolto.--Sfido io; nelle unghie degli
arcieri!--Che cosa avrà fatto? rubato?--A quell'età, cose da
nulla.--Vestito da marinaio; non era dunque della città.--Poverino! e la
sua mamma, se l'ha!--
Un brivido era corso per l'ossa al capitano Fiesco. Voleva tornare
indietro, per domandare. Chi mai, nelle unghie degli arcieri? e giovane,
e bello, e vestito da marinaio? Ma si ricordò che non doveva aver paura.
E non sarebbe stata esagerazione di paura, tornare indietro per un
ragazzo arrestato? Ma corse più rapido avanti, sempre più lontano da
quella moltitudine. Era là, finalmente, la strada dove abitava il signor
Almirante; era là, si apriva davanti a lui, quieta, luminosa, sotto il
cielo sereno. Passava un carro, tirato da un mulo alto e solenne, che
agitava ad ogni passo una ventina di sonagli; e il carrettiere, che
veniva innanzi, di costa alla ruota, canterellava in cadenza, facendo ad
ogni tanto schioccar la sua frusta per chiasso. La scena era gaia,
tranquilla, innocente; respirava una pace d'idilio siracusano. Ed anche
la casa era là, lunga, alta, e polverosa, ma neppur brutta in quell'ora
meridiana: la coglieva il sole di sbieco, e larghe chiazze di mattoni
- Parts
- Raggio di Dio: Romanzo - 01
- Raggio di Dio: Romanzo - 02
- Raggio di Dio: Romanzo - 03
- Raggio di Dio: Romanzo - 04
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