Raggio di Dio: Romanzo - 03

--Parliamo di cose allegre;--disse ad un certo punto il Passano.--Ne ho
sentito una, che mi ha riempito di giubilo. Voi scrivete i vostri
commentarii, capitano?
--Chi te lo ha detto? Sei arrivato ora, e già sai....
--Non ve ne maravigliate, principale. Per giunger quassù, naturalmente,
dovevo passar di laggiù.
--Tu parli come un libro stampato;--disse Bartolomeo Fiesco.--Alla mia
volta dovevo immaginare che don Garcìa e frate Alessandro non volessero
aver segreti per te. Sono essi infatti i miei due pazienti uditori
serali. Che vuoi? bisogna ammazzare il tempo. Io scrivo di giorno, e
leggo di sera. Oggi appunto ci avevo un paio di capitoli finiti. Ma ora
che sei capitato tu coi tuoi scartafacci, tanto più importanti dei
miei....
--Li avete letti, i miei; letti ed approvati;--interruppe il
Passano.--Non vogliate defraudarmi della parte mia. Diteglielo voi,
madrina;--soggiunse il giovinotto, vedendo che il principale
nicchiava;--diteglielo voi, che ha da leggere.
--Mio figlio mi fa piacere, se legge;--rispose madonna
Bianchinetta.--Quando legge dei suoi viaggi, mi par di viaggiare con
lui.
--E che bel viaggiare!--aggiunse il Passano.--Se scrive come parla, ha
da essere un racconto gustoso.
--Voi volete lodarmi, Giovanni, e, sia detto con vostra buona pace,
proferite una sciocchezza insigne;--sentenziò gravemente Bartolomeo
Fiesco.--Imparate, giovinotto di poche lettere, che lo scrittore
italiano si guarda bene di scrivere come parla, avendo alto il rispetto
delle vergini muse, dei lettori di buon giudizio, e di sè. Quando parla,
apre la bocca, e dà il volo a tutti i passerotti che gli girano per
l'anima; quando scrive, li mette tutti quanti sotto chiave, indossa il
lucco, tempera la sua penna d'oca, e va a cercare nel fondo del calamaio
tutte le sentenze più gravi, tutti i più ornati periodi. Prosa robusta
vuol essere. Noi discendiamo dai Romani, che diamine! e Cicerone,
maestro in materia, vi mostrerà coll'esempio che altro è scrivere un
bigliettino al suo segretario, altro è scrivere a Pomponio Attico; altro
scrivere a Pomponio, ed altro assalir Catilina, o Verre, o Marc'Antonio.
Ma basta; voi mi sentirete, o giovane inesperto, mi sentirete
scrittore; e se non dormirete in piedi, o seduto, l'avrò per un atto di
valor singolare, da mettere accanto agli altri, per cui vi ho sempre
stimato ed amato. _Dixi._--
E qui, naturalmente, una bella risata, di quelle che sapeva rider
Damiano. La cena era finita, e i famigli erano venuti a sparecchiare,
mentre i padroni di casa e il loro ospite uscivano a far due passi in
giardino. Quando rientrarono, la gran tavola era rischiarata da tre
grandi lucerne d'argento; il lusso d'allora, in materia d'illuminazione.
Il numero dei lumi e la preziosità del metallo compensavano la poca
vivezza della luce. E non solo c'erano lumi in tavola, ma anche ciò che
può far perdere il lume del raziocinio a chi non sappia usarne con
discrezione; vogliamo dire certe bocce vistose di vino delle Cinque
Terre, coi calici di cristallo in grandi vassoi d'argento. Furono allora
mandati a chiamare i due "uditori pazienti" che per verità erano
impazienti d'aspettar la chiamata, tanto furono pronti ad accorrere.
Offriva un bel quadro, la caminata di Gioiosa Guardia, in quella sera di
marzo, al lume delle tre grandi lucerne d'argento, i cui dodici
lucignoli, diradando le ombre senza cacciarle del tutto, lasciavano
intravvedere lungo le alte pareti i ritratti di quattro o cinque
generazioni dei Fieschi, soldati e marinai, ambasciatori, vescovi,
cardinali e papi. Ma lo sguardo era maggiormente attratto verso il
camino, onde la sala prendeva il suo nome di caminata; gran camino di
pietra nera scolpita, sul cui alto stipite sorgeva lo stemma dei
Fieschi, col suo elmo di fronte, carico di svolazzi e fogliami, donde
apparivano affrontati il gatto sedente e il basilisco nascente. In
quella mezza luce non si poteva leggere il motto: _sedens ago_, scolpito
in una fascia tra l'elmo e lo scudo; e questo solamente si ricorda per
amor d'esattezza. Davanti al camino, un po' lontano dal capo della
tavola, sull'alto scanno comitale sedeva madonna Bianchinetta, tutta
vestita d'ormesino nero, con la sua cuffiettina della medesima stoffa
marezzata, donde sbucavano sulle tempie le ciocche dei capelli bianchi
come neve, tanto belli a vedersi nelle case che serbano il culto della
dolce famiglia. Alla destra di lei stava la contessa Juana, ma seduta
più in basso, in modo da potere ad ogni tanto piegar la testa sul
bracciuolo dello scanno, e i suoi capelli nerissimi alle carezze della
vecchia signora. I detrattori delle suocere avrebbero dovuto ritrovarsi
un po' là, per sentirsi morire l'eterna celia sul labbro.
Presso il capo della tavola, o meglio, tra questo e la contessa Juana, e
avendo alla sua destra il Passano, era venuto a sedersi Bartolomeo
Fiesco, pronto a squadernare i suoi gran fogli di carta. Dall'altro lato
sedeva frate Alessandro, e presso a lui don Garcìa, con Polidamante; il
quale per verità non si poteva dire che sedesse, avendo addosso
l'argento vivo, ed ora per una cosa ora per l'altra cercando sempre di
muoversi. In mezzo al semicerchio sarebbe rimasto uno spazio vuoto; ma
lo colmavano già due grossi alani, Ovando e Bovadilla. Immaginate di
certo chi avesse chiamata così quella coppia canina. Onore immeritato, e
solamente da attribuirsi alla sua desinenza, il nome del commendatore
di Calatrava era venuto a decorare la femmina. Gran matti, quei cani,
essendo ancora molto giovani; più matti di Polidamante, col quale
facevano a correre nei cortili e nei fossi di Gioiosa Guardia. Ma per
allora, o che sentissero la gravità del momento, o che avessero
abbastanza rosicchiato in cucina, si erano adagiati in quel vano, come
due sfingi di basalto, colle zampe anteriori accostate e coi musi
allungati sulle zampe. Facevano così per godere quanto più potevano la
frescura del pavimento? o non piuttosto per prepararsi a gustare la
prosa robusta d'uno scrittore italiano?
Bartolomeo Fiesco prese i suoi fogli in mano; tossì, com'era di rito, e
poi disse:
--Frate Alessandro li chiama i Commentarii di Cesare; ma egli s'inganna
a partito. Cesare raccontava le cose da lui medesimo operate, e con
tanta fortuna; io le cose che ho viste accadere, e non liete, pur
troppo. _Quæque ipse miserrima vidi...._
--_Et quorum pars magna fuisti;_--aggiunse prontamente frate Alessandro.
--Ah no; fui parte, ma piccola;--ribattè il capitano Fiesco.--Questo
capitolo, poi, a farlo a posta, narra di cose avvenute quando io e voi,
frate Alessandro, fummo partiti dalla Giamaica su quel guscio di noce,
lasciando il nostro grand'uomo a combattere con l'ira degli elementi e
con quella degli uomini sulla spiaggia di Maima. Tutta roba adunque che
sapemmo poi, al ritorno, e che naturalmente ho dovuto restringere in una
mezza dozzina di pagine.
--Leggete, principale, leggete!--gridò il Passano.--Non ce le fate
sospirare, vi prego.
--Lo volete, e sia. Tossisco ancora una volta, e incomincio;--disse il
capitano Fiesco.--Non m'interrompete; le vostre osservazioni potrete
dirmele poi. Non fate rumore, che la mamma vuol sentir bene ogni cosa. A
farvi bere ci penserà Polidamante, che per muoversi non ha bisogno
d'inviti.--
Dopo questo preambolo il capitano Fiesco incominciò la lettura dei suoi
Commentarii, al capitolo XXV: _Di quel che seguì alla Giamaica, come ne
fu partito il Mendez col Fiesco_.
"Partite le canòe per l'isola di Haiti, la gente dei navigli cominciò ad
ammalarsi, così pei travagli del fortunoso viaggio, come per la
mutazione dei cibi, non avendo più vino, nè altra carne che d'_utia_,
quando pure potevano procacciarsene dai naturali. Aspra vita; e dovevano
durarla, stando colà sequestrati? Certamente ci sarebbero morti
d'inedia, dicevano alcuni; perchè l'Almirante non voleva ritornare in
Ispagna, dond'era stato bandito, nè all'isola di Haiti, dove alla vista
di tutti il commendatore di Lares gli aveva proibito di toccar San
Domingo, per quanto bisogno ne avesse. Sarebbero tornate le canòe del
Mendez e del Fiesco? soggiungevano i fratelli Porras, che primeggiavano
tra i mormoratori scontenti. Quei due potevano esser giunti a San
Domingo, ma forse per andar di là in Castiglia, a perorare la causa
dell'ammiraglio caduto in disgrazia. E che questo potesse anch'essere il
vero, lo dimostrava il fatto che il Fiesco, avendo avuto oramai il tempo
di andare a San Domingo e tornare, non era più ricomparso. Del resto,
potevano le due canòe essersi anche perdute: si doveva per questo
rimanere laggiù ad aspettare una morte sicura, chiusi in quelle due navi
sdruscite, per capriccio d'un gottoso, la cui stella era tramontata da
un pezzo? Essi ancor sani, e, per grande fortuna, dovevano pensare ai
casi loro, e andarsene a San Domingo, per raccontare all'Ovando come
fossero trattati tanti onorati Spagnuoli da quell'avventuriere italiano.
L'Ovando sicuramente li avrebbe rimandati in Castiglia, dove li
avrebbero ascoltati e vendicati il vescovo Fonseca e il tesoriere
Morales.
"Così parlavano i Porras, uno dei quali era il capitano della arenata
_Bermuda_, e l'altro il notaio capo della spedizione. E Francesco e
Diego furono tanto più facilmente ascoltati, in quanto che si sapeva da
tutti che d'una loro sorella era il Morales fortemente invaghito.
Entrarono quarantotto nella congiura dei Porras; e il giorno 11 di
gennaio del 1504 il capitano Francesco se ne andò di buon mattino colla
saliva amara dal signor Almirante, che era inchiodato dalla gotta nel
suo giaciglio a poppa. "Perchè restiamo qui? gli chiese. Non vi par
tempo di levarci da questo cimitero?" Le parole del Porras fuor del
costume arroganti, lasciarono intendere al signor Almirante che
quell'uomo avesse già molti a spalleggiarlo; e più se ne persuase,
quando, alle sue ragioni alzando le spalle, il capitano della _Bermuda_
gridò con piglio sdegnoso: io me ne vado in Castiglia, con coloro che
vorranno seguirmi. Ed usciva così dicendo dal castello di poppa,
l'insolente capitano; e a lui si univano tumultuando i seguaci della sua
ribellione, mettendo mano alle scuri, e gridando all'Almirante ed ai
suoi: _mueran! mueran!_ col qual grido si riscaldavano il sangue.
"A quelle voci balzò dal giaciglio il signor Almirante, e venne
zoppicando sull'uscio. Accorsero i suoi familiari, ed altri che
l'obbedivano ad ogni costo, per fargli scudo dei loro petti contro quei
forsennati. Altri correvano a trattenere l'Adelantado, il valoroso don
Bartolomeo Colombo, che già abbrancata una lancia si disponeva come
Achille a dar dentro. E gli uni e gli altri consigliavano al capitano
Porras di non tentare la sorte di una strage fraterna, che anco a lui
poteva costare la vita: se ne andasse pure coi suoi, quanti fossero,
quanti volessero seguirlo.
"Accetta quell'altro il partito, forse immaginando che a far peggio, e
con fortuna, non avrebbe poi evitato un castigo. Egli e i suoi scendono
dalle navi; slegano dieci canòe che il signor Almirante aveva comperate
dai naturali, per tenerle pronte ad ogni stremo; vi tirano dentro molti
rematori dell'isola, che hanno con belle promesse adescati, e mettono la
prora verso levante, costeggiando, come avevano veduto fare al Fiesco ed
al Mendez.
"Andando così marina marina, spesso calavano a terra, e prendevano a
forza quanto lor bisognasse. Pagherà l'ammiraglio, diceva il capo dei
ribelli; se non vi pagherà ammazzatelo pure, essendo egli prima e vera
cagione d'ogni male, e per voi e per noi, come pei vostri fratelli di
Haiti. Con queste arti si vettovagliavano ogni dì. Giunti finalmente
alla punta orientale della Giamaica, e fatte le maggiori provvigioni per
il lungo tragitto, si spinsero in alto mare, ma non andando più di
quattro leghe lontano. Il vento si era voltato; si procedeva a stento
coi remi, e le onde furiose entravano a far carico, minacciando di
affondare o di capovolgere le lunghe e sottili imbarcazioni. Bisognò
alleggerire, buttando le vettovaglie; bisognò alleggerire ancora,
buttando i poveri Indiani che s'erano fidati alle belle promesse. Così
ne perirono diciotto; con altri pochi che stavano ai remi, si toccò
finalmente la riva, delusi d'ogni speranza, famelici, ed armati; perchè
alle armi non avevano già rinunziato.
"Che fare? Alcuni proponevano di aspettare il buon tempo, e di navigare
a Cuba, donde più facilmente avrebbero raggiunto Haiti. Altri, non
intieramente guasti dell'anima, consigliavano di tornar pentiti al
signor Almirante. Prevalse il partito dei Porras, di restar liberi,
scorrazzando per l'isola. Non marcirebbero nelle navi; con l'armi alla
mano otterrebbero da vivere; e là, stando alle vedette, aspetterebbero
come tutti gli altri una via di salute. Era il partito peggiore,
derivandone il malcontento dei poveri isolani, soggetti alle rapine
continue di quella schiera malvagia. E un altro guaio sovrastava agli
uomini rimasti obbedienti sulle navi. A provvederli di cassava e dei
frutti della terra gli isolani si erano volentieri adattati. Ma quella
povera gente, vissuta fino allora con pochi bisogni, non faceva grandi
seminagioni. I figli del Cielo distruggevano in un giorno più di quello
che i naturali del paese consumassero in venti. Dovevano lasciarsi
taglieggiare dai ribelli, e provvedere in pari tempo agli uomini del
Giocomina, per il ricambio di qualche campanello, o d'una manata di
perline di vetro? Così avvenne che dispregiando i baratti e dimenticando
le fatte promesse, non portassero più nulla, trascurando perfino di
accostarsi alle navi.
"In quel terribile frangente una ispirazione celeste venne al pensiero
del gran Genovese. Altri dirà che le sue cognizioni d'astronomia gli
tornarono utili. E l'una cosa e l'altra possono ritenersi per vere.
Scelto il suo giorno, che fu l'ultimo di febbraio, mandò un naturale di
Haiti ad invitare i capi delle vicine tribù, che freddi si dimostravano,
ma non erano nemici, e in lui riponevano fede. Avutili a sè, parlò in
questa guisa:--Noi siamo cristiani; il nostro Dio abita in cielo, buon
re per tutti i suoi sudditi, e dei buoni ha cura, e i malvagi castiga.
Già voi vedete come abbia punito i cristiani ribelli, non permettendo
che si allontanassero dalla vostra isola contro il comando del loro
Giocomina; vi vedrete ora puniti con fame e peste voi stessi, che non
portate più alle navi le vettovaglie pattuite. Non lo credete? Ebbene,
n'avrete un segno manifesto nel cielo, non più tardi di questa notte,
vedendo venir fuori la luna adirata.
"Partirono; alcuni con paura, altri sprezzando la vana minaccia. Ma non
era vana, com'essi pensavano. Appunto in quella sera, all'apparir della
luna incominciando l'ecclisse, e più aumentando quanto ella più
ascendeva sull'orizzonte, quei poveri inesperti ricordarono le parole
del Giocomina quanto fossero vere; e fu tanta la paura loro, che con
grandissimi pianti e strida venivano d'ogni parte ai navigli con grandi
carichi di vettovaglie. Prega il tuo Dio per noi, dicevano al Giocomina,
pregalo che non eseguisca l'ira sua contro di noi; e manterremo d'ora
in poi le nostre promesse, fino a tanto che tu rimarrai alla spiaggia di
Maima. A che il signor Almirante si raccolse, per parlar col suo Dio; e
tanto stette appartato finchè l'ecclisse della luna era sul crescere; ed
essi tuttavia forte gridavano che dovesse aiutarli. Ma quando egli vide
che l'oscuramento della luna era presso al suo massimo punto, non
rimanendo più che di vederlo scemare via via, venne fuori dicendo aver
fatto orazione per loro, promettendo che quind'innanzi sarebbero buoni,
e tratterebbero bene i Cristiani, portando loro tutte le cose necessarie
alla vita; e Dio aver perdonato, in segno di che vedrebbero essi che
l'ira passava, e con questa la infiammazione della luna. La qual cosa
avendo effetto insieme con le sue parole, essi rendevano molte grazie al
Giocomina e lodavano il suo Dio: e così stettero finchè non ebbe termine
l'ecclisse.
"Fu questo assai buono espediente, al cui felice successo aiutò la
nessuna cognizione di quei naturali intorno ai moti degli astri, e alle
ragioni per cui talvolta si ecclissano il sole e la luna; eventi celesti
che essi stimano accadere a danno degli uomini. Nè io mi starò a lodare
con molte parole l'accorgimento del signor Almirante, bastando il
considerare che con esso egli ebbe provveduto alla salvezza di tanta
gente cristiana, quantunque per sedizioni e turbolenze continue così
poco meritevole delle sue cure paterne. Indi a pochi giorni giungeva
alla spiaggia di Maima la canòa di Bartolomeo Fiesco, che prima non
aveva potuto, per ragioni gravissime, le quali partitamente si diranno
più sotto, non volendo io interrompere con privati accidenti, comunque
maravigliosi e terribili, il racconto delle cose che riguardano il
grande Navigatore genovese e le fortunose vicende del suo quarto
viaggio. Accolto a festa dal signor Almirante, recava il Fiesco novelle
del Mendez, da lui lasciato a San Domingo; novelle non liete, le quali
il signor Almirante non stimò di far conoscere ad altri; che anzi, a
tutti i ritornati della canòa fe' giurare il segreto. Le novelle erano
queste, che dopo tanti mesi di preghiere, tenuto quasi sotto custodia
dal governatore, il Mendez non aveva potuto ottenere i navigli da
condurre alla Giamaica, nè la licenza di trovarne egli stesso, pagandoli
coi denari del signor Almirante; donde appariva chiaro il bieco
proposito del gran commendatore d'Alcántara, di far perire Colombo e di
oscurarne la gloria. Ma forse in tal proposito non avrebbe egli potuto
durare, poichè il Fiesco gli era fuggito di mano, e certamente, Dio
permettendolo, sarebbe giunto ad informare il signor Almirante di tutte
quelle macchinazioni della brutta invidia e malvagità singolare di lui.
"Ma intanto la gente raccolta nelle due navi sdruscite, ignorando le
nuove, stimava perduto il Mendez; nè quasi poteva più dubitarne, non
pure per il ritorno avvenuto del Fiesco senza il compagno di tragitto,
ma ancora per certe voci sparse dai sollevati del Porras, di una
imbarcazione che s'era vista al largo della punta di Aramaquique,
capovolta e trasportata dalle correnti, che sono fortissime al levante
della Giamaica. Crebbero le paure, e con le paure le mormorazioni, i
malcontenti, le trame. Già si ordiva una congiura, capitanata da un
Bernardo di Valenza, speziale dell'armata, a cui s'aggiungevano uno
Zamora e un Villatoros. E questa certamente avrebbe potuto segnare la
estrema rovina dell'Almirante e de' suoi fedeli, se non fosse
intervenuto un caso fortunato a sviare le menti; onde lo speziale finì
con aver pestata l'acqua nel mortaio. Si vide adunque una sera apparire
da scirocco una caravelletta, quasi una voglia delle due che si
aspettavano, sospirando, da poco meno di otto mesi. Quel piccolo guscio
si accostò sull'imbrunire alle due navi arenate; un palischermo se ne
spiccò, muovendo verso la capitana e portandovi il suo comandante Diego
d'Escobar, inviato dal signor governatore. Brutta scelta era stata
quella di Nicola Ovando, che sapeva l'Escobar nemico mortale del signor
Almirante, contro il quale si era ribellato col famoso Roldano,
meritando una condanna di morte, a cui non era sfuggito se non per
l'amicizia del Bovadilla, gran protettore dei tristi.
"Quasi per aggiungere lo scherno all'offesa, portava l'Escobar in
presente un barile di vino e una mezzina di porco salato. Se ne
cavassero la sete, un centinaio di bocche, quante ne lasciava alle due
navi sdruscite la sollevazione del Porras! Quanto ad aiuto di navigli,
il gran commendatore (lo avevano infatti promosso alla maggior dignità
di Alcántara, e si era spogliato della commenda di Lares) non poteva far
altro che promesse, e solo per dimostrare il suo buon animo mandava
quella piccola caravella, l'unico legno che si trovasse ad aver sotto
mano. Bisognava contentarsi delle promesse, e far buon viso a chi le
portava. Gran mercè che Diego d'Escobar si fosse incaricato di portar
anche una lettera del Mendez, dove quel buon servitore faceva relazione
di tutto il suo viaggio: relazione attenuata, s'intende, poichè doveva
passare sotto gli occhi dei nemici; ma il signor Almirante sapeva
leggere tra le righe.
"Questi avrebbe voluto rispondere, non pure al Mendez, ma ancora al
governatore. Ma venne il mattino, e la caravelletta era scomparsa. Diego
d'Escobar non aveva avuto altro incarico che di spiare e di riferire
all'Ovando se l'odiato Genovese fosse ancor vivo. Bartolomeo Fiesco, dal
canto suo, potè immaginare che quell'esploratore fosse venuto anche un
pochino per lui, per vedere se egli, con quel suo tronco di legno
incavato, fosse riuscito ad afferrar la Giamaica, e quali notizie avesse
portate al signor Almirante. Se questo era il disegno di Nicola Ovando,
poco doveva profittargli la sua accortezza. Bartolomeo Fiesco, che già
all'apparire della piccola caravella si era posto sull'avviso, e delle
persone che lo accompagnavano aveva prudentemente nascoste quelle che
gli premeva di non lasciar vedere ai curiosi, trovò modo di dire
all'Escobar, nel cospetto del signor Almirante, come questi fosse già
informato delle buone intenzioni di don Nicola Ovando.--Gliel ho pur
detto io, non dubitate, che il signor governatore non ha per ora a San
Domingo i legni necessarii per mandare a levarci di qui; e se anche non
giungevate voi, egli era già ben persuaso della bontà e della cortesia,
comunque per ora impotenti, del gran commendatore d'Alcántara che Dio
guardi, a cui vi prego di rammentarmi come suo buon servitore.--Era una
bugía necessaria; e con certa gente, del resto, non si nasconde mai
abbastanza quel che si pensa di loro. Il Fiesco, dopo tutto, non si
pentì di quella bugía, nè d'altre parecchie, che per difesa sua e degli
amici gli fosse tornato di dire. Se poi son colpe, ne domanderà
l'assoluzione al suo confessore."
--Fossero tutte lì!--scappò detto a frate Alessandro.
--Ah, tu non vuoi starmi ai patti, frate scudiero!--esclamò il capitano
Fiesco.--Polidamante, negagli il vino.
--Per carità!--riprese il frate scudiero.--Stavo appunto per accennargli
di mescere; e vi chiedo assoluzione a mia volta. Sapete pure che in
certi brutti momenti avevamo promesso di confessarci l'un l'altro. Ma
proseguite, capitano, ve ne prego.--
Il capitano Fiesco bevette un sorso, e ripigliò la lettura.
"Ritornando ora al signor Almirante, dirò com'egli, confidando oramai
d'essere prima o poi sovvenuto di navigli, e cedendo all'impulso del suo
cuore sempre inchinevole a pietà, mandasse due uomini a terra, dei suoi
più fedeli, per tornare all'obbedienza i ribelli, avvisandoli
dell'arrivo della piccola caravella, e mandando loro a testimonianza del
fatto, come della bontà sua, una parte dei presenti che gli aveva
portati l'Escobar. Già si disponevano alcuni ad accettare il perdono; ma
li trattennero i Porras, più infelloniti che mai. E così, dopo essere
stati un pezzo a consiglio, rispondevano tutti ad una, non volersi
fidare del perdono, nè del salvacondotto che mandava loro il signor
Almirante. Volentieri se n'andrebbero quieti dall'isola, s'egli
promettesse di dar loro uno dei due navigli che aspettava, o mezzo
naviglio, se uno solo ne fosse arrivato; e frattanto, poichè avevano
perdute tutte le cose loro, volesse egli spartire con essi tutte quelle
che aveva. E rispondendo i due ambasciatori non esser patti ragionevoli
i loro, replicarono arroganti che quanto non si concedesse loro per
amore, saprebbero bene pigliarsi per forza.
"Altro aggiungevano i Porras, riscaldandosi via via. Bene conoscevano
l'Almirante per uomo vendicativo e crudele. Per sè stessi non temevano,
sapendosi forti di amicizie e protezioni alla Corte; bensì per tanti
loro compagni dei quali egli avrebbe preso vendetta, sotto colore e nome
di castigo. Per tali ragioni non si era fidato di lui Francesco Roldano;
e bene gli era riuscito, essendo stato tanto favorito da far mandar
l'Almirante carico di ferri in Castiglia. Nè essi avevano minor cagione
o speranza di fare altrettanto. Della piccola caravella, poi, non era da
creder niente; ad altri la dèsse ad intendere. Quella non era stata una
caravella vera, ma un fantasma di nave, opera di negromanzia, essendo
noto come valesse l'Almirante in quell'arte diabolica. Perchè, se era
opera d'uomini, non era rimasta, scambio di apparire a vespro e di
sparir nella notte? Perchè con nessuno della sua marinaresca si era
potuto parlare? Se fosse stata vera, bene si sarebbe affrettato
l'Almirante a imbarcarvisi, col fratello e col figlio. Con le quali e
con altre parole indirizzate allo stesso proposito, ottennero i Porras
che la gente si confermasse nella ribellione, deliberando ancora di
muovere verso i navigli, per far bottino, e prender l'Almirante
prigioniero; se pure già non pensavano di far peggio.
"E mandavano i fatti compagni alle parole, accostandosi alla spiaggia di
Maima. Non era più tempo d'indugi. Scese l'Adelantado con cinquanta
armati, risoluto di sanare quei cervelli matti con buone ragioni, se
potevano bastare; con le cattive, se fosse stato mestieri. Giunto ad una
collina, e fermatosi ad un tratto di balestra dai sollevati, Bartolomeo
Colombo fece chiedere il capo loro a parlamento. Non risposero quelli
alla proposta degli ambasciatori, e pensando di aver da fare con gente
stremata di forze, brandendo le spade nude, e le lance che avevano,
formati in un drappello, e gridando ammazza, ammazza, assalivano la
squadra dell'Adelantado; avendo prima giurato i sei più valenti di non
dipartirsi l'uno dall'altro, ma di volgersi tutti contro Bartolomeo
Colombo, perchè, morto lui, non facevano stima degli altri. Il che non
piacque a Dio che loro venisse fatto, essendo stati così ben ricevuti,
che cinque o sei ne caddero per terra, tra i quali erano i più di quelli
che avevano giurato di colpire l'Adelantado. E questi diè dentro così
forte, uccidendo ed atterrando, che l'istesso Francesco Porras non fu
più in tempo a fuggire; laonde, lui fatto prigione, voltarono le spalle
quanti non eran caduti.
"Volentieri avrebbe Bartolomeo Colombo proseguito l'inseguimento e lo
sterminio di quei malvagi. Ascoltò nondimeno il consiglio di tale che
aveva veduti sopra un'eminenza i naturali in gran numero, e forse
disposti a saltare sui combattenti, sotto colore di aiutare i sollevati,
ma col proposito di opprimere i fedeli dell'Almirante. E di questo il
consigliere non si loderà troppo, pensando che forse egli vide un po'
grosso, quel giorno; mentre forse era meglio sperdere in un colpo la
mala semenza, poichè nessuno valeva forse meglio del loro capo
prigioniero ed incolume, nè del suo fallito imitatore, lo speziale
mastro Bernardo da Valenza; il quale, a detta del signor Almirante,
avrebbe meritato d'esser fatto a pezzi non una volta ma cento.
"Bene o male che fosse, l'inseguimento cessò, e ritornammo ai navigli,
menando prigione Francesco Porras con altri de' suoi. Della nostra gente
due soli i feriti; l'istesso Bartolomeo Colombo in una mano, assai
leggermente, e un maestro di sala dell'Almirante, percosso di lancia in
un fianco. Pareva una cosa di nulla; pure, in capo a pochi giorni, il
disgraziato morì. Dei sollevati, per contro, moriva in battaglia
Giovanni Sanchez di Cadice, quello che sulle acque del Betlem si era
lasciato sfuggire il cacico Quibian, per avergli allentata in mal punto
la fune; e taccio d'altri minori. Ferito in molte parti del corpo, e
rovinato giù da una balza, guariva invece Pietro di Ledesma, il forte
nuotatore che tuffatosi in acqua dalla nave di Colombo, aveva superata
la barra del Betlem, giungendo alla piccola colonia dell'Adelantado, e
riportandone per l'istessa via le tristi notizie al signor Almirante.
"E merita costui un particolare ricordo, per la stravaganza del caso.
Per due dì, dal 19 maggio, che fu il giorno della battaglia, rimase in
quella fossa, senza che alcuno sapesse di lui, o gli desse aiuto, tranne
gl'Indiani; i quali con maraviglia, non sapendo come tagliassero le
spade nostre, gli aprivano con istecchi le ferite; una delle quali nella
testa, per cui si vedeva il cervello, un'altra in una spalla, che si era
quasi spiccata; un'altra ancora ad una gamba, spaccata dalla coscia alla
caviglia; un'altra finalmente (e questa non si sapeva come fosse