Racconti storici e morali - 11
d'aeronautica, egli vi assiste, e a quei che domandano «A che serve?»
risponde: «A che serve il bambino appena nato?» A Voltaire,
idolo del tempo, a Voltaire, rappresentante dello scetticismo
metafisico-religioso, egli, rappresentante del genio pratico e dello
spirito politico e morale, presenta il suo nipotino perchè il benedica,
e quegli il fa, dicendo: — Dio e la libertà: ecco l'unica benedizione
conveniente al nipote di Franklin.» Ma Voltaire credeva più alla
libertà, o più a Dio?
Così condiscendendo altrui, qual meraviglia se ottiene gl'incensi
universali? In una festa da ballo è scelta la più bella fra trecento
donne, che sulla fronte del filosofo americano deponga una corona e un
bacio; e dappertutto vedonsi i suoi ritratti, con quel verso famoso di
Turgot, che parve così vero, benchè contenga due bugie:
_Eripuit cælo fulmen, sceptrumque tyrannis._
Qui giace Franklin. Breve pietra accolse
Chi ai re lo scettro, a Giove il fulmin tolse.
Or tutto questo che serviva alla sua missione? Che serviva? Non v'ha
egli detto che vuolsi apparenza e ancora apparenza? Il buon Luigi XVI
non sapea che farne di questo re repubblicano, e dicono adoperasse il
ritratto di lui ad un uso ingiurioso: ma dovette sorbirselo. La stessa
figlia di Maria Teresa e sorella di Giuseppe II dovette chinar la fronte
all'opinione così universale; e si trattò con Franklin come scienziato e
come uomo, prima di riconoscerlo ambasciatore. Fu ben il miracolo della
rupe di Mosè il vederlo, colle sole qualità personali, cavar alla
Francia oberata tre milioni in prestito nel 1779, altrettanti nel 81,
quattro nel seguente anno, oltre a sei di puro regalo datigli dal re.
Così la Francia favoriva l'americana libertà coll'entusiasmo con cui,
poc'anni prima, correva a comprar azioni alla banca di Law, e pochi anni
dopo a vedere tagliar teste; e la Corte, trascinata da illusioni
generose, o spinta dall'opinione, intraprendeva una guerra, contraria
non solo ai suoi sentimenti, ma a' suoi proprj interessi; scassinava
l'autorità monarchica; preparava il fallimento nazionale. Ma intanto la
causa della patria e della libertà trionfa; gli Stati Uniti d'America
offrono un modello nuovo alla posterità; e quando Franklin torna di
Francia (1785), chi potrà dire le feste con cui fu trionfalmente
ricevuto in quella città, ove sessant'anni prima era entrato con una
pagnotta per braccio ed una al dente?
Ivi egli continua al ben del paese. Propostasi la costituzione, dice: —
Io l'adotto con tutti i suoi difetti, perchè credo ci bisogni un governo
generale, e che non v'ha forma alcuna di governo che non possa essere un
bene, se saviamente amministrata»; si applica a correggerla ed
assodarla, secondo i consigli del tempo e dell'esperienza; e se questa
gli mostra che errava nel pretendere l'unità del corpo legislativo, ei
si ritratta, come già erasi ricreduto a proposito dell'elettricità
vitrea e resinosa: quando parla ne' consigli, non disserta, ma ragiona:
fonda una società, per migliorare la sorte dei carcerati, una per
abolire la tratta degli schiavi; e per combattere le ragioni con cui
altri la sostengono, egli manda fuori l'elogio del governo algerino e
della pirateria: nuovo saggio di quell'arguta ironia alla socratica che
spira in tutti i suoi scritti, e che non è intesa se non dove colti gli
ingegni, fino il sentimento, esercitata la regione.
O Catoni suicidi; o Attici spiranti di volontaria fame, o Vespasiani
volenti morir in piedi, traete ad osservare la morte dell'eroe moderno.
Il 17 aprile 1790 vede, senza terrore e senza ostentazione, avvicinarsi
il fine de' suoi ottantaquattr'anni, esclama, — Rifatemi il letto, ch'io
muoja comodamente»; e spira.
Nel suo testamento lasciava capitali che, col tempo accumulandosi,
servissero poi a grandi opere pubbliche; altre piccole somme da
prestare, per ajutar i faticosi passi di chi comincia la carriera o vuol
effettuare qualche nobile disegno; al generale Washington legava il suo
bastone di pomo selvatico, migliore di uno scettro.
Addio dunque, eroi magnanimi e temuti; eroi della spada e della
fierezza! Oggi sottentrano le classi laboriose, gli eroi mercadanti e
calcolatori, e la sostanza e il positivo; e nuova età vi annunzia questa
limpidissima intelligenza senza poesia, questa onestà senza elevatezza.
Sceverati da tutte le illusioni il mondo e i mondani, le azioni e le
credenze, Franklin volle di là dalla tomba prolungare l'attico sorriso,
e al sepolcro suo destinò quest'epitafio da libraio:
IL CORPO
DI BENIAMINO FRANKLIN
STAMPATORE
COME LA COPERTA DI UN LIBRO VECCHIO
DA CUI SIENO STRAPPATI I FOGLI
E CANCELLATO TITOLO E DORATURE
QUI GIACE PREDA ALLE TIGNUOLE.
NÈ PERÒ L'OPERA ANDRÀ PERDUTA
MA RICOMPARIRÀ
SECONDO CREDEVA
IN UNA NUOVA EDIZIONE
RIVEDUTA E MIGLIORATA
DALL'AUTORE.
1836.
INDIGNARSI E SOCCOMBERE
PERSEVERARE E RIUSCIRE
E' fu già tempo... come direbbe un novelliere; oppure — C'era una
volta... come cominciava nostra nonna le panzane, ci fu un giovane
inglese, di nome Tommaso Chatterton, miracolo di precoce talento, che a
16 anni faceva versi come i migliori poeti. Vedendo che l'oscurità del
suo nome mal serviva al bisogno ch'egli aveva di denaro o di gloria,
finse avere scoperto poesie di antichi, e il mondo festeggiò quelle
pubblicazioni come un tesoro trovato. Sì; ma intanto egli non guadagnava
tampoco di che vivere; i libraj non volevano dargli commissioni, perchè
non poteano annunziarle accompagnate da titoli O da un nome famigerato;
qualche signore lo faceva scrivere, ma lo retribuiva così a miseria da
non bastargli a mangiare; il ministero, povero lui se dovesse assistere
tutti quelli che si credono genj! E l'età passava; e la gloria non
veniva; e la donna ch'egli amava non poteva sperare di possederla. Nel
dispetto del successo fallito, nella mortificazione della gloria
mancatagli, perdè la speranza e si uccise.
Allora il mondo a compiangerlo, a raccorne ogni frammento, a deplorare
un genio perduto; e Chatterton fu ricantato per tutto il mondo come un
esempio de' patimenti del genio incompreso.
Di que' suoi compianti noi abbiamo in casa il riscontro nei desolati
versi di Giacomo Leopardi e nei dispettosi di Ugo Foscolo; n'abbiamo la
scimmieria in quegli autori d'articoli e d'opuscoli, davanti ai quali
l'uomo studioso incrocia le braccia al petto e abbassa la testa
esclamando: — Oh s'io sapessi la centesima parte di quel che costui
crede sapere!» È ben ragione dunque che piangano i tristi compensi che
dà il mondo alla tanto loro dottrina e trovino indegno che non si pensi
a collocarli nel Pritaneo; e nutrirli alla greppia del pubblico
bilancio, affinchè scrivano opuscoli e articoli di giornali.
Glorie d'Italia e dell'umanità, noi v'inchiniamo le ginocchia della
mente: ma collochiamo fra le piaghe, piuttosto fra le cachessie del
secolo, quel credersi gran cosa, quel lamentarsi sempre della società e
imputarla di tutti i nostri mali: quel trovare da per tutto ingiusti ed
egoisti; quella nessuna fermezza nel volere riparare ai proprii danni,
quel vagolare in un amor febbrile che viene da eccitamento de' sensi e
passa col soddisfarli; quella dissipazione negli studi; quelle precoci
disillusioni; quella scarsa fede in Dio, nel prossimo, nella propria
perseveranza.
Nè pensiamo adempia il dover suo la letteratura che mette l'uomo in
faccia alle miserie sociali, e al proprio nulla; snervandolo
coll'intenerirlo; sviluppandogli una falsa sensività; e fra questo
incessante declamare che rivela la debolezza; fra tante ostentazioni di
coraggio che attestano la paura, pensiamo ci bisogni qualcosa di tonico,
e di mostrar l'uomo che lotta coi mali, che persevera, che riesce.
Nel paese stesso del povero Chatterton era nato Giorgio Crabbe, da un
uomo da nulla, il quale in prima era vissuto coll'insegnare l'abbicì,
poi ottenne una dispensa di sale, e al tenuissimo guadagno suppliva col
pescare; ebbe sei altri figliuoli dopo Giorgio, il quale per tanto
crebbe in mezzo alle privazioni e agli stenti fra pescatori e
contrabbandieri e grascini, e gente abbandonata a istinti brutali.
Suo padre lo menava alla pesca? non poteva addestrarlo nè a tendere le
nasse, nè a raccorle, nè a remare, onde s'indispettiva e gli diceva: —
Bestione non sarai buono a nulla.» Ma quando la sera egli si raccoglieva
attorno i sette figliuoli e tirando a mano alcuni de' libri di quand'era
maestro, leggeva qualche storiella, delle poesiette religiose, un
racconto biblico, Giorgio non batteva palpebra, non perdeva una parola,
capiva tutto, e il ruminava nella notte, e non davasi pace finchè non
sapesse ripetere quella storia, e recitare a memoria quei versi.
Pertanto suo padre lo pose a scuola, e n'avea stupende informazioni; ma
la spesa era forte; e prima de' 14 anni dovette ritirarselo in casa. Se
Giorgio ne fu scontento vel lascio pensare; non però cadde nello
scoraggiamento che svoglia dall'azione; anzi ajutava suo padre
nell'umile impieghetto, e il tempo che anche troppo gli avanzava
occupava a legger quanti libri potesse trovare nel villaggio, a vagare
lungo la spiaggia, e da marinaj, da pescatori, da naufraghi farsi
raccontare storielle, costumi avventure, e formarsene tesoro nella
mente.
Vedendolo letterato, suo padre lo destinò alla professione più letterata
d'un villaggio, quella di speziale, unita, come suole in campagna, a un
po' di chirurgo. Crabbe v'aveva tutt'altro che inclinazione, ma vi si
rassegnò, e ne' cinque anni di pratica cercò svago in uno studio,
consono eppure più omogeneo quello della botanica.
Non dee mancar mai un amore nella storia d'un giovane; e Crabbe
s'invaghì di Sara Elmy, orfana povera raccolta, da un ricco zio; e da
lei furono inspirati i primi suoi carmi. Coi quali fattosi qualche nome
nel contorno, non però fortuna, a 21 anno passò a Londra onde
impratichirsi negli spedali; ma ben presto gli venne meno il danaro, e
dovè tornare al natio villaggio. Là aveva un nidio di parenti, tutti
poveri; e correano a lui a cercargli un consulto, una medicina,
un'operazione: ma il pagamento era un grazie, come si suole tra parenti;
gli altri compaesani che il vedeano erborizzare, volevate che gli
pagassero i succhi che estraeva da erbe comuni? Restava adunque sempre
in lotta colla miseria; e quel ch'è peggio in lotta colla propria
coscienza, ben egli conoscendo di non avere nè sufficienti studj, nè
pratica, nè franchezza quanta voleasi per operare sui proprj simili, e
salvar le vite. D'altra parte Sara ricambiava l'amor di lui; ma
ragionevolmente pensando ch'è follia e quasi colpa il matrimonio senza i
mezzi necessari, protestava non lo sposerebbe finchè non avesse uno
stato; ed egli nei cassetti non vedea crescersi se non i componimenti in
versi, dettatigli dal cuore e dalla ammirazione de' classici; e li
credea belli, e belli erano, ma nessuno li conosceva, nessuno li pagava.
Diveniva dunque un valoroso poeta, un esperto botanico; ma di speziale e
di chirurgo andava sempre alla peggio; nè vedeva avvicinarsi
quell'indipendenza, che è prima necessità del genio. E coi tormenti del
genio si struggeva; s'ammalava come Chatterton; ma lo sosteneva la fede
in sè e in Dio. E l'ultimo giorno del 1779 scriveva sul suo giornale:
— Quest'anno di afflizioni, di pene, di povertà, di svilimento, di
disinganno, di disgrazie, finisce, e va a raggiungere l'eternità.
Signore, ten prego, ricorda i miei patimenti e le preghiere mie;
dimentica i falli e le follie. Tu, sorgente di felicità, dammi maggior
sommessione al tuo volere, maggior docilità a reprimere le vanitose mie
speranze, maggior coraggio a sopportare la mia oppressione. L'anno che
cadde non sia per me un tormento; quel che nasce non gli rassomigli:
però la tua volontà si faccia e non la mia».
[Illustrazione: E l'ultimo giorno del 1779 scriveva sul suo
giornale: ... (_Pag. 209_).]
E risolse di tornare a Londra a cercarvi il pane inacetito di letterato.
Trovò (e questa fu una prima e grande fortuna) trovò a prestito 3000
lire, con metà delle quali, spense i piccoli suoi debiti, e s'imbarcò
per Londra coll'astuccio dei ferri chirurgici, un fascio di manoscritti,
un valigiotto e 1500 lire, avventurandosi in una città immensa, senza un
amico, ma colla gioventù e la speranza, e colla consolazione che non
correva più rischio di storpiare qualche malato.
E subito si dà alla poesia, sua vocazione prepotente; a forbire i versi
precedenti per la stampa, a farne dì nuovi, persuaso che valessero
tesori, come tutti crediamo delle nostre produzioni. Ma de' librai, uno
gli dice: «Siete troppo giovane, maturate un pochino;» e l'altro a «Eh,
il pubblico non sa che farne di versi;» un terzo: «Che? i tempi tirano
ad altro che a libri.» Crabbe non si dispera; non si svelenisce contro i
tempi, la società, la fortuna, e persuadendosi che ne vada la colpa alla
poca perfezione de' suoi componimenti, si ostina a migliorarli, ma
ahimè! per subire nuovi rifiuti. Finalmente un libraio stampa un suo
poemetto anonimo, e due tre giornali, ne parlano con lode; ma che? il
libraio fallisce prima d'avergli pagato pur un soldo.
E Sara? — Nel partire gli aveva detto come tutte: — Scrivimi spesso», ma
poi pensando alla posta che allora costava carissima, si fece promettere
solo qualche lettera di tanto in tanto, ma che notasse nel suo giornale
le impressioni di ciascun giorno. E quel giornale ci restò, cara
rivelazione di un'anima non vulgare, in conflitto colle difficoltà
esterno, senza fiaccarsi, e appoggiandosi all'amore e alla fede. La sua
miseria cresceva ogni dì; ogni dì le sue apprensioni; eppure egli ha il
coraggio di celiare or sull'abito suo unico per la festa e pei giorni di
lavoro; or sui bottoni che v'attacca, o sui pottinicci che vi fa nel
rammendarlo. Gli editori non vogliono stampargli? i ricchi non
riscontrano alle sue lettere? il posto ch'e' sollecita è già occupato?
Egli se ne consola, che sarà per lo meglio; che Dio vuol provarlo, e
intanto migliorerà i suoi versi, e l'amica sarà più contenta di lui.
— Quale giornata di timore e d'aspettanza sarà domani! Sara, le speranze
dileguano, e non vedo che il lato nero. Due volte, anzi tre in un mese
ho fatto un buco nell'acqua. Se avessi un'altra lira, mangerei
volentieri qualcosa stassera per cacciare i pensieri sinistri, ma son
costretto economizzare quest'unica che ho, per la speranza d'avere
domani a pagare una lettera. Come sarò ricevuto? Il peggio ch'io possa
aspettarmi è di vedermi restituito il mio libro dal servidore
senz'altro: il men peggio è di udire un rifiuto polito. Ipotesi dolorose
tutt'e due!»
Chi conosce l'alternar delle fidanze e degli sconforti in chi è alle
prese colle difficoltà, non può non affezionarsi a questo nobile
soffrente. E a volte a volte espone le sue angustie all'amica, come
Foscolo alla Donna Gentile; ma con ben altra nobiltà e colla sola
superbia della rassegnazione. Colla quale, sempre senza appoggi, cervava
consolazione nel legger Tibullo, Orazio, Dryden, e far qualche
passeggiata lungo il Tamigi, per quanto le mal nutrite forze gli
permetteano. Perocchè, nella gran città di Londra molti sono che muojono
a' pie' dei palazzi, ove un lord muore di replesione, o s'attedia per
non saper come spendere dieci milioni d'entrata annua; o davanti ai
magazzini dove si fanno affari per dugento milioni l'anno. E Crabbe la
soffriva come Chatterton; ma si rassegnava con Dio, col pensiero di
Sara, co' suoi libri.
Oh! sicuramente l'età nostra, tutta positività e numeri, è poco fatta
per compassionare un poeta, il quale sente in sè la favilla del genio; e
come il baco venuto a maturanza, dee metter fuori il nobile filo che
vestirà il re, e gli altari; perchè non si mette a lavori che acquistino
pane, che importerebbe se Paganini si fosse fatto calzolajo, o Duprè
muratore, o Manzoni impiegato al lotto?
Eppure anche al material vedere d'oggidì si cerca tanto il piacere, e
nella fisiologia di questo avran sempre parte primaria gli
intellettuali. Una grande nazione poi non vive di solo pane, e la
Germania e la Spagna e l'Italia si ringrandiscono dei nomi di Göthe, di
Calderon, di Dante, quanto di qualsiasi altra gloria o potenza. Da ciò
il dovere dei governanti di favorire i buoni ingegni, non dico gli
intriganti e i sollecitatori di impieghi e di pensioni, cui unico titolo
è l'alta opinione che hanno di sè stessi.
E Crabbe la pensava così, e diresse varie epistole a lord Nord e ad
altri ministri, e massime a lord Turlow, ricordando come il proteggere
le lettere fosse sempre stato uffizio del gran cancelliere
d'Inghilterra; ma queste gli rispose: «Scusate, ma le occupazioni non mi
lasciano tempo di legger versi.» E per verità poco glie ne lasciavano la
guerra allor calda contro le colonie ribelli d'America, lo scontento
della plebe di Londra, le finanze scarmigliate, gli attacchi rabbiosi
dell'opposizione. In questa primeggiava il famoso Burke, e a lui mandò
Crabbe una lettera chiedendo, come voleva il Parini
onorato e parco
Con fronte liberal che l'alma pinga.
Come uscirà il nuovo tentativo? Sarà vano l'appello alla generosità
anche di questo? Domani gli sarà reso il suo manoscritto da un servo col
solito complimento che si fa al pitocco: — Andate in pace?»
Quest'incertezza dovette agitare i sonni di Crabbe, metterlo in
convulsione al domani mentre avviavasi al palazzo di quello; e
traversando il Tamigi, guardò giù dal parapetto, ricordandosi di
Chatterton, di cui allora appunto avea conosciuto la miserabile fine; e
riflettendo che la vita sua dipendeva dal capriccio, da una buona notte,
da una cattiva digestione d'uno sconosciuto. Oh, certo allora, pensando
al suo villaggio,
Pianse i riposi di quell'umil vita
E sospirò la sua perduta pace,
e disse, — Oh fossi rimasto colà chirurgo, soffocando questa
Qual sia favilla che mia mente alluma».
Pure la disperazione è il peggior oltraggio che l'uomo possa fare alla
Divinità, che lo gettò fra i triboli dicendo, — Soffri e progredisci.»
Ma Burke accolse il poeta: gli parlò con quella benevolenza che costa sì
poco ai fortunati del secolo, e tanto giova agli sfortunati; e Crabbe
gli aperse il cuore, gli narrò quell'infanzia sua deserta,
quell'istruzione incompleta, quelle lotte contro una professione
ingrata, quelle lusinghe d'un amore virtuoso: e in tutto ponea tanta
sincerità, tanta onorata delicatezza, che Burke se ne sentì preso, e
raccontandolo ad un amico dicevagli un poco aristocraticamente: — Questo
garzone ha i sentimenti d'un gentiluomo.»
Quanto meglio avrebbe detto d'un galantuomo! ma invece di stiticarne la
parola, lodiamolo dell'averselo preso in casa e a tavola, quasi un
figliuolo; e benchè assorto nelle lotte parlamentari, trovò tempo di
leggere i manoscritti di esso, farne una scelta rigorosa, poi
presentarlo ad un librajo garantendo le spese di stampa. Il merito de'
versi e, diciamola, l'appoggio dell'insegne oratore, procacciarono a
Crabbe le lodi di qualche giornalista, di che egli non inorgoglì per
addormentarsi nella mediocrità, ma s'affidò per far meglio. Insomma il
primo passo era fatto; nè noi vogliam raccontare la vita di Crabbe.
Tanto più ch'egli non risultò un Omero o uno Shakespeare; buon poeta, ma
nemmeno pari ad altri del tempo, quali un Cooper, un Wordsworth.
Vanto e pretensione di lui era ritrar al vero — Vieni, bella Verità;
mostrami i caratteri ch'io dipingo, chiaro come li vedi tu; rivelamene
qualità e difetti, sicchè io possa dire, _Essere fragile, osserva qual
tu sei_, e ch'io possa leggere a nudo sin in fondo al cuor umano.»
Avrebbe con ciò esclusa la facoltà che alcuno dice primaria della
poesia, l'immaginazione, se non si sapesse quanta se ne richiede per
vedere e conoscere la verità; e come l'invenzione stia nell'ingrandire
ed abbellire il vero.
Il suo _Villaggio_ non è un idillio di Titiri e Mirtilli, ma la pittura
della vita campestre qual è, coi suoi dolori e le sue traversìe, e col
merito di superarli o sostenerli; ove il sole e il vento han tutt'altro
che bellezza e frescura; ove la incessante fatica dei campi dà altra
voglia che di pigliar l'opaca frescura sotto patuli faggi; nè i canti di
coloro che dalla città o dalle corti celebrano tre e quattro volte beati
i pastori, alleviano la scarsezza di pane, e il freddo e il fumo delle
afose capanne. Crabbe ritrae la grossolanità e le miserie del contadino,
l'abbandono del malato sul suo pagliariccio, l'indifferenza del suo
funerale, dopo una vecchiaja che s'accorge d'essere tutta a carico della
famiglia; e la fedeltà di quei quadri attinge alla poesia, perchè sempre
ne traspira l'affetto.
Nel _Registro parrocchiale_ scorre i libri di battesimo, di matrimonio e
di morte del suo paterno paesello, a ogni nome che incontra racconta una
storiella di villaggio, dipingendo un carattere, una vicenda: cornice
elastica ove entrano episodj senza fine.
Altrettanto elastico è quello del _Borgo_, serie di lettere, ciascuna
delle quali descrive uno degli elementi di cui si compone un borgo; la
chiesa e i suoi addetti; le varie professioni; i convegni, le cause pie,
le osterie, la scuola, la carcere, i mestieri.
Questa successione di quadri senza legame appare anche nelle altre
composizioni di lui; quadri della vita domestica e reale, adatti a un
tempo quando dalla vita aristocratica l'attenzione e l'importanza si
ritorceano su quella delle classi medie.
Non sarà difficile indovinare che, pur cercando il vero, Crabbe vide gli
uomini piuttosto in bruno, e nelle storie espose sempre qualche
catastrofe. Il patetico lo governa il più delle volte, e alcuna sino a
far sanguinare i cuori; e l'emozione che eccita il fece da molti
collocar fra i primarj scrittori d'Inghilterra, benchè realmente sia più
adatto a quei pochi che possono apprezzare le delicatezze dell'arte e la
finitezza delle particolarità. Perciò, se non ottenne quel ch'è merito
supremo, la popolarità, nessun altro autore moderno trovò tanto posto
nelle antologie e nei pezzi scelti; talmente quei suoi brani sono finiti
col fiato, e possono stare a sè come operette compiute.
Ma che vo io qui assumendo linguaggio di critico? I grand'uomini,
gl'insigni scrittori non leggeranno questa pagina, non ha bisogno di
tali esempj; forse l'avrà qualche animo giovane, che nel barcollamento
de' primi passi tende la mano, e non trova che un'altra gliene stende.
Il gran cancelliere Thurlow, quando il vide famoso, invitò Crabbe, gli
fece scuse d'averlo trascurato, e gli fece aggradire un viglietto di
2000 sterline. Il Crabbe ne distribuì gran parte a poveri studenti che
aveva conosciuti ne' momenti peggiori; e anche più tardi non capitava
mai a Londra senza informarsi se qualche giovane volenteroso si trovasse
alle strette. Conscio di tali patimenti, voleva mitigarli, e sdebitarsi
verso la provvidenza dei soccorsi ottenuti.
Non crediate ch'e' s'ostinasse solo a far versi. Entrò ecclesiastico; fu
cappellano del duca di Rutland; delle mortificazioni che accompagnano
l'uom di talento nella casa del ricco inghiottì la sua parte e la
espresse nel sermone _Il protettore_. Cercò quindi modo a sottrarsene, e
avuto un sufficiente benefizio, sposò la sua Sara, e non che mettere il
mondo alla confidenza di tutti i versi che componeva, dai 30 ai 52 anni,
dal 1785 al 1807, l'età migliore, non pubblicò nulla di letterario. Nè
del letterato avea l'ambizione o la vanità; erasi coll'ingegno sottratto
alla miseria; dopo 12 anni di prove avea sposato la donna del suo cuore;
or badava alla sua parrocchia, senza dimenticare d'essere stato medico;
allevava al bene i suoi figliuoli, il che aprivagli occasione d'educare
sè stesso; dalla botanica cercava distrazione scientifica; nè però
abbandonava la Musa, pago di farne giudicare i parti dalla moglie e da
qualche amico. Più d'una volta fu sul punto di pubblicar qualche opera;
ma ai riflessi dell'editore (notate bene che gli editori inglesi leggono
o fan leggere le opere che s'accingono a pubblicare) ne ripigliò
l'esame, e il risultato fu di buttarle al fuoco. Solo per istanza
dell'illustre ministro Fox, e dopo che questo l'ebbe letto e corretto,
pubblicò il _Registro parrocchiale_ che dicemmo, opera lodatissima, come
poi il _Borgo_ uscito nel 1810.
Affeddiddio, le compiacenze letterarie son troppo scarso compenso per
gli affanni domestici; e se repudiamo la grossolanità di Voltaire, che
diceva darebbe tutta la gloria per una buona digestione, siamo certi che
i più vantati scrittori cederebbero ogni loro vanto, e i titoli, e fin
le laudi dei giornalisti per una buona moglie, un buon figliuolo, un
amico provato: dirò di più, per un poco di pace. Crabbe ne' tardi anni
provò ancora i dolori, e quali! Di sette figliuoli, cinque perdè; e
Sara, men rassegnata e più appassionata di lui, n'ebbe diroccata la
salute, onde tra affezioni nervose trascinò misera vita sino al 1813.
Crabbe fu per morirle dietro, poi si rassegnò alla vita e alla panacea
del tempo: e cercato a gara dopo che fu celebre nelle case
aristocratiche che l'aveano respinto quand'era bisognoso, invecchiò
tranquillo tra i figli de' figli, tra le lodi di lord Grey, di Canning,
di Moore, di Walter Scott, di Jeffrey, di Gifford, di altri critici
sottili, e morì nel 1832 a 78 anni. E se gli encomj all'illustre poeta
si ripeterono per un mese sui giornali e le riviste, rimarrà perenne la
lode che lo presenta come specchio del letterato dabbene.
E qui non so resistere alla tentazione di esibir un altro esempio
inglese di quella perseveranza che riesce. Fu famoso ai dì nostri
Guglielmo Cobbet per potenza politica, e molti avranno letto i suoi
_Avvisi ai giovani_. Or egli racconta di sè: — Ero un povero soldato che
guadagnava 12 soldi il giorno, quando da solo imparai a leggere e
scrivere bene la mia lingua. Chi voglia imparare non ha bisogno nè di
scuola, nè di camera, nè di spese; il mio lettuccio mi serviva di sedia,
il saccone da leggio, un'assa da tavolino. Per comprare candele ed olio
non avevo denari; ma l'inverno studiavo accanto al fuoco, e al lume di
questo; e sì che non potevo accostarmivi che alla mia volta. Se un
giovane senza parenti, nè amici, nè fortuna, nè educazione, ha potuto in
capo a un anno, e pur facendo il tristo mestiere di soldato, venir a
capo d'altrettanto, quale scusa avrà chi in qualsiasi circostanza, sotto
qualsivoglia giogo, rimarrà ignorante e povero?
«Per comprare una penna o un foglio di carta ero costretto privarmi di
parte del nutrimento, per quanto avessi fame. Non un momento avevo tutto
a me; bisognava leggere e scrivere in mezzo ai soldati, che ridevano,
canticchiavano, zuffolavano, e che nelle ore di ricreazione sono
tutt'altro che decenti e quieti. Non beffate il quattrino che davo per
comprar la penna o la carta e l'inchiostro, per me era una somma, una
somma grossa. Ero gagliardo, pien di salute; facevo grand'esercizio;
pagato il rancio, mi restavano appena quattro soldi la settimana. Mi
ricorderò sempre che un giorno, dopo tutte le spese occorrenti, mi
avanzò un soldo, il venerdì sera, e lo destinavo a comprar un'aringa per
la modesta mia colazione del domani; il resto se l'erano divorato penna,
carta e inchiostro. Mi svesto: Oh Dio! nel mettermi a letto, affamato a
segno che avevo bisogno di tutto il mio coraggio per impor silenzio
all'appetito, scopro di aver perduto il mio soldo, il mio tesoro.
Nascosi la testa sotto il miserabile coltrone, e piansi come un ragazzo.
Lo ripeto: se fra tali strettezze io giunsi a qualche cosa, qual v'ha
giovane che, leggendo ciò, non avrebbe vergogna di pretendere che le
circostanze abbiano contrariato la sua educazione, e siagli mancato il
tempo d'imparare?»
Così Cobbet; e noi vorremmo che coloro i quali superarono penosamente i
primi passi, od ebbero più ispidi sterpi a sbroncare, più scoscesi
burroni a superare, lasciando molti brani del pelo e della pelle a quei
sassi, a quei vepri, raccontassero le vinte scabrezze ai giovani, e
risponde: «A che serve il bambino appena nato?» A Voltaire,
idolo del tempo, a Voltaire, rappresentante dello scetticismo
metafisico-religioso, egli, rappresentante del genio pratico e dello
spirito politico e morale, presenta il suo nipotino perchè il benedica,
e quegli il fa, dicendo: — Dio e la libertà: ecco l'unica benedizione
conveniente al nipote di Franklin.» Ma Voltaire credeva più alla
libertà, o più a Dio?
Così condiscendendo altrui, qual meraviglia se ottiene gl'incensi
universali? In una festa da ballo è scelta la più bella fra trecento
donne, che sulla fronte del filosofo americano deponga una corona e un
bacio; e dappertutto vedonsi i suoi ritratti, con quel verso famoso di
Turgot, che parve così vero, benchè contenga due bugie:
_Eripuit cælo fulmen, sceptrumque tyrannis._
Qui giace Franklin. Breve pietra accolse
Chi ai re lo scettro, a Giove il fulmin tolse.
Or tutto questo che serviva alla sua missione? Che serviva? Non v'ha
egli detto che vuolsi apparenza e ancora apparenza? Il buon Luigi XVI
non sapea che farne di questo re repubblicano, e dicono adoperasse il
ritratto di lui ad un uso ingiurioso: ma dovette sorbirselo. La stessa
figlia di Maria Teresa e sorella di Giuseppe II dovette chinar la fronte
all'opinione così universale; e si trattò con Franklin come scienziato e
come uomo, prima di riconoscerlo ambasciatore. Fu ben il miracolo della
rupe di Mosè il vederlo, colle sole qualità personali, cavar alla
Francia oberata tre milioni in prestito nel 1779, altrettanti nel 81,
quattro nel seguente anno, oltre a sei di puro regalo datigli dal re.
Così la Francia favoriva l'americana libertà coll'entusiasmo con cui,
poc'anni prima, correva a comprar azioni alla banca di Law, e pochi anni
dopo a vedere tagliar teste; e la Corte, trascinata da illusioni
generose, o spinta dall'opinione, intraprendeva una guerra, contraria
non solo ai suoi sentimenti, ma a' suoi proprj interessi; scassinava
l'autorità monarchica; preparava il fallimento nazionale. Ma intanto la
causa della patria e della libertà trionfa; gli Stati Uniti d'America
offrono un modello nuovo alla posterità; e quando Franklin torna di
Francia (1785), chi potrà dire le feste con cui fu trionfalmente
ricevuto in quella città, ove sessant'anni prima era entrato con una
pagnotta per braccio ed una al dente?
Ivi egli continua al ben del paese. Propostasi la costituzione, dice: —
Io l'adotto con tutti i suoi difetti, perchè credo ci bisogni un governo
generale, e che non v'ha forma alcuna di governo che non possa essere un
bene, se saviamente amministrata»; si applica a correggerla ed
assodarla, secondo i consigli del tempo e dell'esperienza; e se questa
gli mostra che errava nel pretendere l'unità del corpo legislativo, ei
si ritratta, come già erasi ricreduto a proposito dell'elettricità
vitrea e resinosa: quando parla ne' consigli, non disserta, ma ragiona:
fonda una società, per migliorare la sorte dei carcerati, una per
abolire la tratta degli schiavi; e per combattere le ragioni con cui
altri la sostengono, egli manda fuori l'elogio del governo algerino e
della pirateria: nuovo saggio di quell'arguta ironia alla socratica che
spira in tutti i suoi scritti, e che non è intesa se non dove colti gli
ingegni, fino il sentimento, esercitata la regione.
O Catoni suicidi; o Attici spiranti di volontaria fame, o Vespasiani
volenti morir in piedi, traete ad osservare la morte dell'eroe moderno.
Il 17 aprile 1790 vede, senza terrore e senza ostentazione, avvicinarsi
il fine de' suoi ottantaquattr'anni, esclama, — Rifatemi il letto, ch'io
muoja comodamente»; e spira.
Nel suo testamento lasciava capitali che, col tempo accumulandosi,
servissero poi a grandi opere pubbliche; altre piccole somme da
prestare, per ajutar i faticosi passi di chi comincia la carriera o vuol
effettuare qualche nobile disegno; al generale Washington legava il suo
bastone di pomo selvatico, migliore di uno scettro.
Addio dunque, eroi magnanimi e temuti; eroi della spada e della
fierezza! Oggi sottentrano le classi laboriose, gli eroi mercadanti e
calcolatori, e la sostanza e il positivo; e nuova età vi annunzia questa
limpidissima intelligenza senza poesia, questa onestà senza elevatezza.
Sceverati da tutte le illusioni il mondo e i mondani, le azioni e le
credenze, Franklin volle di là dalla tomba prolungare l'attico sorriso,
e al sepolcro suo destinò quest'epitafio da libraio:
IL CORPO
DI BENIAMINO FRANKLIN
STAMPATORE
COME LA COPERTA DI UN LIBRO VECCHIO
DA CUI SIENO STRAPPATI I FOGLI
E CANCELLATO TITOLO E DORATURE
QUI GIACE PREDA ALLE TIGNUOLE.
NÈ PERÒ L'OPERA ANDRÀ PERDUTA
MA RICOMPARIRÀ
SECONDO CREDEVA
IN UNA NUOVA EDIZIONE
RIVEDUTA E MIGLIORATA
DALL'AUTORE.
1836.
INDIGNARSI E SOCCOMBERE
PERSEVERARE E RIUSCIRE
E' fu già tempo... come direbbe un novelliere; oppure — C'era una
volta... come cominciava nostra nonna le panzane, ci fu un giovane
inglese, di nome Tommaso Chatterton, miracolo di precoce talento, che a
16 anni faceva versi come i migliori poeti. Vedendo che l'oscurità del
suo nome mal serviva al bisogno ch'egli aveva di denaro o di gloria,
finse avere scoperto poesie di antichi, e il mondo festeggiò quelle
pubblicazioni come un tesoro trovato. Sì; ma intanto egli non guadagnava
tampoco di che vivere; i libraj non volevano dargli commissioni, perchè
non poteano annunziarle accompagnate da titoli O da un nome famigerato;
qualche signore lo faceva scrivere, ma lo retribuiva così a miseria da
non bastargli a mangiare; il ministero, povero lui se dovesse assistere
tutti quelli che si credono genj! E l'età passava; e la gloria non
veniva; e la donna ch'egli amava non poteva sperare di possederla. Nel
dispetto del successo fallito, nella mortificazione della gloria
mancatagli, perdè la speranza e si uccise.
Allora il mondo a compiangerlo, a raccorne ogni frammento, a deplorare
un genio perduto; e Chatterton fu ricantato per tutto il mondo come un
esempio de' patimenti del genio incompreso.
Di que' suoi compianti noi abbiamo in casa il riscontro nei desolati
versi di Giacomo Leopardi e nei dispettosi di Ugo Foscolo; n'abbiamo la
scimmieria in quegli autori d'articoli e d'opuscoli, davanti ai quali
l'uomo studioso incrocia le braccia al petto e abbassa la testa
esclamando: — Oh s'io sapessi la centesima parte di quel che costui
crede sapere!» È ben ragione dunque che piangano i tristi compensi che
dà il mondo alla tanto loro dottrina e trovino indegno che non si pensi
a collocarli nel Pritaneo; e nutrirli alla greppia del pubblico
bilancio, affinchè scrivano opuscoli e articoli di giornali.
Glorie d'Italia e dell'umanità, noi v'inchiniamo le ginocchia della
mente: ma collochiamo fra le piaghe, piuttosto fra le cachessie del
secolo, quel credersi gran cosa, quel lamentarsi sempre della società e
imputarla di tutti i nostri mali: quel trovare da per tutto ingiusti ed
egoisti; quella nessuna fermezza nel volere riparare ai proprii danni,
quel vagolare in un amor febbrile che viene da eccitamento de' sensi e
passa col soddisfarli; quella dissipazione negli studi; quelle precoci
disillusioni; quella scarsa fede in Dio, nel prossimo, nella propria
perseveranza.
Nè pensiamo adempia il dover suo la letteratura che mette l'uomo in
faccia alle miserie sociali, e al proprio nulla; snervandolo
coll'intenerirlo; sviluppandogli una falsa sensività; e fra questo
incessante declamare che rivela la debolezza; fra tante ostentazioni di
coraggio che attestano la paura, pensiamo ci bisogni qualcosa di tonico,
e di mostrar l'uomo che lotta coi mali, che persevera, che riesce.
Nel paese stesso del povero Chatterton era nato Giorgio Crabbe, da un
uomo da nulla, il quale in prima era vissuto coll'insegnare l'abbicì,
poi ottenne una dispensa di sale, e al tenuissimo guadagno suppliva col
pescare; ebbe sei altri figliuoli dopo Giorgio, il quale per tanto
crebbe in mezzo alle privazioni e agli stenti fra pescatori e
contrabbandieri e grascini, e gente abbandonata a istinti brutali.
Suo padre lo menava alla pesca? non poteva addestrarlo nè a tendere le
nasse, nè a raccorle, nè a remare, onde s'indispettiva e gli diceva: —
Bestione non sarai buono a nulla.» Ma quando la sera egli si raccoglieva
attorno i sette figliuoli e tirando a mano alcuni de' libri di quand'era
maestro, leggeva qualche storiella, delle poesiette religiose, un
racconto biblico, Giorgio non batteva palpebra, non perdeva una parola,
capiva tutto, e il ruminava nella notte, e non davasi pace finchè non
sapesse ripetere quella storia, e recitare a memoria quei versi.
Pertanto suo padre lo pose a scuola, e n'avea stupende informazioni; ma
la spesa era forte; e prima de' 14 anni dovette ritirarselo in casa. Se
Giorgio ne fu scontento vel lascio pensare; non però cadde nello
scoraggiamento che svoglia dall'azione; anzi ajutava suo padre
nell'umile impieghetto, e il tempo che anche troppo gli avanzava
occupava a legger quanti libri potesse trovare nel villaggio, a vagare
lungo la spiaggia, e da marinaj, da pescatori, da naufraghi farsi
raccontare storielle, costumi avventure, e formarsene tesoro nella
mente.
Vedendolo letterato, suo padre lo destinò alla professione più letterata
d'un villaggio, quella di speziale, unita, come suole in campagna, a un
po' di chirurgo. Crabbe v'aveva tutt'altro che inclinazione, ma vi si
rassegnò, e ne' cinque anni di pratica cercò svago in uno studio,
consono eppure più omogeneo quello della botanica.
Non dee mancar mai un amore nella storia d'un giovane; e Crabbe
s'invaghì di Sara Elmy, orfana povera raccolta, da un ricco zio; e da
lei furono inspirati i primi suoi carmi. Coi quali fattosi qualche nome
nel contorno, non però fortuna, a 21 anno passò a Londra onde
impratichirsi negli spedali; ma ben presto gli venne meno il danaro, e
dovè tornare al natio villaggio. Là aveva un nidio di parenti, tutti
poveri; e correano a lui a cercargli un consulto, una medicina,
un'operazione: ma il pagamento era un grazie, come si suole tra parenti;
gli altri compaesani che il vedeano erborizzare, volevate che gli
pagassero i succhi che estraeva da erbe comuni? Restava adunque sempre
in lotta colla miseria; e quel ch'è peggio in lotta colla propria
coscienza, ben egli conoscendo di non avere nè sufficienti studj, nè
pratica, nè franchezza quanta voleasi per operare sui proprj simili, e
salvar le vite. D'altra parte Sara ricambiava l'amor di lui; ma
ragionevolmente pensando ch'è follia e quasi colpa il matrimonio senza i
mezzi necessari, protestava non lo sposerebbe finchè non avesse uno
stato; ed egli nei cassetti non vedea crescersi se non i componimenti in
versi, dettatigli dal cuore e dalla ammirazione de' classici; e li
credea belli, e belli erano, ma nessuno li conosceva, nessuno li pagava.
Diveniva dunque un valoroso poeta, un esperto botanico; ma di speziale e
di chirurgo andava sempre alla peggio; nè vedeva avvicinarsi
quell'indipendenza, che è prima necessità del genio. E coi tormenti del
genio si struggeva; s'ammalava come Chatterton; ma lo sosteneva la fede
in sè e in Dio. E l'ultimo giorno del 1779 scriveva sul suo giornale:
— Quest'anno di afflizioni, di pene, di povertà, di svilimento, di
disinganno, di disgrazie, finisce, e va a raggiungere l'eternità.
Signore, ten prego, ricorda i miei patimenti e le preghiere mie;
dimentica i falli e le follie. Tu, sorgente di felicità, dammi maggior
sommessione al tuo volere, maggior docilità a reprimere le vanitose mie
speranze, maggior coraggio a sopportare la mia oppressione. L'anno che
cadde non sia per me un tormento; quel che nasce non gli rassomigli:
però la tua volontà si faccia e non la mia».
[Illustrazione: E l'ultimo giorno del 1779 scriveva sul suo
giornale: ... (_Pag. 209_).]
E risolse di tornare a Londra a cercarvi il pane inacetito di letterato.
Trovò (e questa fu una prima e grande fortuna) trovò a prestito 3000
lire, con metà delle quali, spense i piccoli suoi debiti, e s'imbarcò
per Londra coll'astuccio dei ferri chirurgici, un fascio di manoscritti,
un valigiotto e 1500 lire, avventurandosi in una città immensa, senza un
amico, ma colla gioventù e la speranza, e colla consolazione che non
correva più rischio di storpiare qualche malato.
E subito si dà alla poesia, sua vocazione prepotente; a forbire i versi
precedenti per la stampa, a farne dì nuovi, persuaso che valessero
tesori, come tutti crediamo delle nostre produzioni. Ma de' librai, uno
gli dice: «Siete troppo giovane, maturate un pochino;» e l'altro a «Eh,
il pubblico non sa che farne di versi;» un terzo: «Che? i tempi tirano
ad altro che a libri.» Crabbe non si dispera; non si svelenisce contro i
tempi, la società, la fortuna, e persuadendosi che ne vada la colpa alla
poca perfezione de' suoi componimenti, si ostina a migliorarli, ma
ahimè! per subire nuovi rifiuti. Finalmente un libraio stampa un suo
poemetto anonimo, e due tre giornali, ne parlano con lode; ma che? il
libraio fallisce prima d'avergli pagato pur un soldo.
E Sara? — Nel partire gli aveva detto come tutte: — Scrivimi spesso», ma
poi pensando alla posta che allora costava carissima, si fece promettere
solo qualche lettera di tanto in tanto, ma che notasse nel suo giornale
le impressioni di ciascun giorno. E quel giornale ci restò, cara
rivelazione di un'anima non vulgare, in conflitto colle difficoltà
esterno, senza fiaccarsi, e appoggiandosi all'amore e alla fede. La sua
miseria cresceva ogni dì; ogni dì le sue apprensioni; eppure egli ha il
coraggio di celiare or sull'abito suo unico per la festa e pei giorni di
lavoro; or sui bottoni che v'attacca, o sui pottinicci che vi fa nel
rammendarlo. Gli editori non vogliono stampargli? i ricchi non
riscontrano alle sue lettere? il posto ch'e' sollecita è già occupato?
Egli se ne consola, che sarà per lo meglio; che Dio vuol provarlo, e
intanto migliorerà i suoi versi, e l'amica sarà più contenta di lui.
— Quale giornata di timore e d'aspettanza sarà domani! Sara, le speranze
dileguano, e non vedo che il lato nero. Due volte, anzi tre in un mese
ho fatto un buco nell'acqua. Se avessi un'altra lira, mangerei
volentieri qualcosa stassera per cacciare i pensieri sinistri, ma son
costretto economizzare quest'unica che ho, per la speranza d'avere
domani a pagare una lettera. Come sarò ricevuto? Il peggio ch'io possa
aspettarmi è di vedermi restituito il mio libro dal servidore
senz'altro: il men peggio è di udire un rifiuto polito. Ipotesi dolorose
tutt'e due!»
Chi conosce l'alternar delle fidanze e degli sconforti in chi è alle
prese colle difficoltà, non può non affezionarsi a questo nobile
soffrente. E a volte a volte espone le sue angustie all'amica, come
Foscolo alla Donna Gentile; ma con ben altra nobiltà e colla sola
superbia della rassegnazione. Colla quale, sempre senza appoggi, cervava
consolazione nel legger Tibullo, Orazio, Dryden, e far qualche
passeggiata lungo il Tamigi, per quanto le mal nutrite forze gli
permetteano. Perocchè, nella gran città di Londra molti sono che muojono
a' pie' dei palazzi, ove un lord muore di replesione, o s'attedia per
non saper come spendere dieci milioni d'entrata annua; o davanti ai
magazzini dove si fanno affari per dugento milioni l'anno. E Crabbe la
soffriva come Chatterton; ma si rassegnava con Dio, col pensiero di
Sara, co' suoi libri.
Oh! sicuramente l'età nostra, tutta positività e numeri, è poco fatta
per compassionare un poeta, il quale sente in sè la favilla del genio; e
come il baco venuto a maturanza, dee metter fuori il nobile filo che
vestirà il re, e gli altari; perchè non si mette a lavori che acquistino
pane, che importerebbe se Paganini si fosse fatto calzolajo, o Duprè
muratore, o Manzoni impiegato al lotto?
Eppure anche al material vedere d'oggidì si cerca tanto il piacere, e
nella fisiologia di questo avran sempre parte primaria gli
intellettuali. Una grande nazione poi non vive di solo pane, e la
Germania e la Spagna e l'Italia si ringrandiscono dei nomi di Göthe, di
Calderon, di Dante, quanto di qualsiasi altra gloria o potenza. Da ciò
il dovere dei governanti di favorire i buoni ingegni, non dico gli
intriganti e i sollecitatori di impieghi e di pensioni, cui unico titolo
è l'alta opinione che hanno di sè stessi.
E Crabbe la pensava così, e diresse varie epistole a lord Nord e ad
altri ministri, e massime a lord Turlow, ricordando come il proteggere
le lettere fosse sempre stato uffizio del gran cancelliere
d'Inghilterra; ma queste gli rispose: «Scusate, ma le occupazioni non mi
lasciano tempo di legger versi.» E per verità poco glie ne lasciavano la
guerra allor calda contro le colonie ribelli d'America, lo scontento
della plebe di Londra, le finanze scarmigliate, gli attacchi rabbiosi
dell'opposizione. In questa primeggiava il famoso Burke, e a lui mandò
Crabbe una lettera chiedendo, come voleva il Parini
onorato e parco
Con fronte liberal che l'alma pinga.
Come uscirà il nuovo tentativo? Sarà vano l'appello alla generosità
anche di questo? Domani gli sarà reso il suo manoscritto da un servo col
solito complimento che si fa al pitocco: — Andate in pace?»
Quest'incertezza dovette agitare i sonni di Crabbe, metterlo in
convulsione al domani mentre avviavasi al palazzo di quello; e
traversando il Tamigi, guardò giù dal parapetto, ricordandosi di
Chatterton, di cui allora appunto avea conosciuto la miserabile fine; e
riflettendo che la vita sua dipendeva dal capriccio, da una buona notte,
da una cattiva digestione d'uno sconosciuto. Oh, certo allora, pensando
al suo villaggio,
Pianse i riposi di quell'umil vita
E sospirò la sua perduta pace,
e disse, — Oh fossi rimasto colà chirurgo, soffocando questa
Qual sia favilla che mia mente alluma».
Pure la disperazione è il peggior oltraggio che l'uomo possa fare alla
Divinità, che lo gettò fra i triboli dicendo, — Soffri e progredisci.»
Ma Burke accolse il poeta: gli parlò con quella benevolenza che costa sì
poco ai fortunati del secolo, e tanto giova agli sfortunati; e Crabbe
gli aperse il cuore, gli narrò quell'infanzia sua deserta,
quell'istruzione incompleta, quelle lotte contro una professione
ingrata, quelle lusinghe d'un amore virtuoso: e in tutto ponea tanta
sincerità, tanta onorata delicatezza, che Burke se ne sentì preso, e
raccontandolo ad un amico dicevagli un poco aristocraticamente: — Questo
garzone ha i sentimenti d'un gentiluomo.»
Quanto meglio avrebbe detto d'un galantuomo! ma invece di stiticarne la
parola, lodiamolo dell'averselo preso in casa e a tavola, quasi un
figliuolo; e benchè assorto nelle lotte parlamentari, trovò tempo di
leggere i manoscritti di esso, farne una scelta rigorosa, poi
presentarlo ad un librajo garantendo le spese di stampa. Il merito de'
versi e, diciamola, l'appoggio dell'insegne oratore, procacciarono a
Crabbe le lodi di qualche giornalista, di che egli non inorgoglì per
addormentarsi nella mediocrità, ma s'affidò per far meglio. Insomma il
primo passo era fatto; nè noi vogliam raccontare la vita di Crabbe.
Tanto più ch'egli non risultò un Omero o uno Shakespeare; buon poeta, ma
nemmeno pari ad altri del tempo, quali un Cooper, un Wordsworth.
Vanto e pretensione di lui era ritrar al vero — Vieni, bella Verità;
mostrami i caratteri ch'io dipingo, chiaro come li vedi tu; rivelamene
qualità e difetti, sicchè io possa dire, _Essere fragile, osserva qual
tu sei_, e ch'io possa leggere a nudo sin in fondo al cuor umano.»
Avrebbe con ciò esclusa la facoltà che alcuno dice primaria della
poesia, l'immaginazione, se non si sapesse quanta se ne richiede per
vedere e conoscere la verità; e come l'invenzione stia nell'ingrandire
ed abbellire il vero.
Il suo _Villaggio_ non è un idillio di Titiri e Mirtilli, ma la pittura
della vita campestre qual è, coi suoi dolori e le sue traversìe, e col
merito di superarli o sostenerli; ove il sole e il vento han tutt'altro
che bellezza e frescura; ove la incessante fatica dei campi dà altra
voglia che di pigliar l'opaca frescura sotto patuli faggi; nè i canti di
coloro che dalla città o dalle corti celebrano tre e quattro volte beati
i pastori, alleviano la scarsezza di pane, e il freddo e il fumo delle
afose capanne. Crabbe ritrae la grossolanità e le miserie del contadino,
l'abbandono del malato sul suo pagliariccio, l'indifferenza del suo
funerale, dopo una vecchiaja che s'accorge d'essere tutta a carico della
famiglia; e la fedeltà di quei quadri attinge alla poesia, perchè sempre
ne traspira l'affetto.
Nel _Registro parrocchiale_ scorre i libri di battesimo, di matrimonio e
di morte del suo paterno paesello, a ogni nome che incontra racconta una
storiella di villaggio, dipingendo un carattere, una vicenda: cornice
elastica ove entrano episodj senza fine.
Altrettanto elastico è quello del _Borgo_, serie di lettere, ciascuna
delle quali descrive uno degli elementi di cui si compone un borgo; la
chiesa e i suoi addetti; le varie professioni; i convegni, le cause pie,
le osterie, la scuola, la carcere, i mestieri.
Questa successione di quadri senza legame appare anche nelle altre
composizioni di lui; quadri della vita domestica e reale, adatti a un
tempo quando dalla vita aristocratica l'attenzione e l'importanza si
ritorceano su quella delle classi medie.
Non sarà difficile indovinare che, pur cercando il vero, Crabbe vide gli
uomini piuttosto in bruno, e nelle storie espose sempre qualche
catastrofe. Il patetico lo governa il più delle volte, e alcuna sino a
far sanguinare i cuori; e l'emozione che eccita il fece da molti
collocar fra i primarj scrittori d'Inghilterra, benchè realmente sia più
adatto a quei pochi che possono apprezzare le delicatezze dell'arte e la
finitezza delle particolarità. Perciò, se non ottenne quel ch'è merito
supremo, la popolarità, nessun altro autore moderno trovò tanto posto
nelle antologie e nei pezzi scelti; talmente quei suoi brani sono finiti
col fiato, e possono stare a sè come operette compiute.
Ma che vo io qui assumendo linguaggio di critico? I grand'uomini,
gl'insigni scrittori non leggeranno questa pagina, non ha bisogno di
tali esempj; forse l'avrà qualche animo giovane, che nel barcollamento
de' primi passi tende la mano, e non trova che un'altra gliene stende.
Il gran cancelliere Thurlow, quando il vide famoso, invitò Crabbe, gli
fece scuse d'averlo trascurato, e gli fece aggradire un viglietto di
2000 sterline. Il Crabbe ne distribuì gran parte a poveri studenti che
aveva conosciuti ne' momenti peggiori; e anche più tardi non capitava
mai a Londra senza informarsi se qualche giovane volenteroso si trovasse
alle strette. Conscio di tali patimenti, voleva mitigarli, e sdebitarsi
verso la provvidenza dei soccorsi ottenuti.
Non crediate ch'e' s'ostinasse solo a far versi. Entrò ecclesiastico; fu
cappellano del duca di Rutland; delle mortificazioni che accompagnano
l'uom di talento nella casa del ricco inghiottì la sua parte e la
espresse nel sermone _Il protettore_. Cercò quindi modo a sottrarsene, e
avuto un sufficiente benefizio, sposò la sua Sara, e non che mettere il
mondo alla confidenza di tutti i versi che componeva, dai 30 ai 52 anni,
dal 1785 al 1807, l'età migliore, non pubblicò nulla di letterario. Nè
del letterato avea l'ambizione o la vanità; erasi coll'ingegno sottratto
alla miseria; dopo 12 anni di prove avea sposato la donna del suo cuore;
or badava alla sua parrocchia, senza dimenticare d'essere stato medico;
allevava al bene i suoi figliuoli, il che aprivagli occasione d'educare
sè stesso; dalla botanica cercava distrazione scientifica; nè però
abbandonava la Musa, pago di farne giudicare i parti dalla moglie e da
qualche amico. Più d'una volta fu sul punto di pubblicar qualche opera;
ma ai riflessi dell'editore (notate bene che gli editori inglesi leggono
o fan leggere le opere che s'accingono a pubblicare) ne ripigliò
l'esame, e il risultato fu di buttarle al fuoco. Solo per istanza
dell'illustre ministro Fox, e dopo che questo l'ebbe letto e corretto,
pubblicò il _Registro parrocchiale_ che dicemmo, opera lodatissima, come
poi il _Borgo_ uscito nel 1810.
Affeddiddio, le compiacenze letterarie son troppo scarso compenso per
gli affanni domestici; e se repudiamo la grossolanità di Voltaire, che
diceva darebbe tutta la gloria per una buona digestione, siamo certi che
i più vantati scrittori cederebbero ogni loro vanto, e i titoli, e fin
le laudi dei giornalisti per una buona moglie, un buon figliuolo, un
amico provato: dirò di più, per un poco di pace. Crabbe ne' tardi anni
provò ancora i dolori, e quali! Di sette figliuoli, cinque perdè; e
Sara, men rassegnata e più appassionata di lui, n'ebbe diroccata la
salute, onde tra affezioni nervose trascinò misera vita sino al 1813.
Crabbe fu per morirle dietro, poi si rassegnò alla vita e alla panacea
del tempo: e cercato a gara dopo che fu celebre nelle case
aristocratiche che l'aveano respinto quand'era bisognoso, invecchiò
tranquillo tra i figli de' figli, tra le lodi di lord Grey, di Canning,
di Moore, di Walter Scott, di Jeffrey, di Gifford, di altri critici
sottili, e morì nel 1832 a 78 anni. E se gli encomj all'illustre poeta
si ripeterono per un mese sui giornali e le riviste, rimarrà perenne la
lode che lo presenta come specchio del letterato dabbene.
E qui non so resistere alla tentazione di esibir un altro esempio
inglese di quella perseveranza che riesce. Fu famoso ai dì nostri
Guglielmo Cobbet per potenza politica, e molti avranno letto i suoi
_Avvisi ai giovani_. Or egli racconta di sè: — Ero un povero soldato che
guadagnava 12 soldi il giorno, quando da solo imparai a leggere e
scrivere bene la mia lingua. Chi voglia imparare non ha bisogno nè di
scuola, nè di camera, nè di spese; il mio lettuccio mi serviva di sedia,
il saccone da leggio, un'assa da tavolino. Per comprare candele ed olio
non avevo denari; ma l'inverno studiavo accanto al fuoco, e al lume di
questo; e sì che non potevo accostarmivi che alla mia volta. Se un
giovane senza parenti, nè amici, nè fortuna, nè educazione, ha potuto in
capo a un anno, e pur facendo il tristo mestiere di soldato, venir a
capo d'altrettanto, quale scusa avrà chi in qualsiasi circostanza, sotto
qualsivoglia giogo, rimarrà ignorante e povero?
«Per comprare una penna o un foglio di carta ero costretto privarmi di
parte del nutrimento, per quanto avessi fame. Non un momento avevo tutto
a me; bisognava leggere e scrivere in mezzo ai soldati, che ridevano,
canticchiavano, zuffolavano, e che nelle ore di ricreazione sono
tutt'altro che decenti e quieti. Non beffate il quattrino che davo per
comprar la penna o la carta e l'inchiostro, per me era una somma, una
somma grossa. Ero gagliardo, pien di salute; facevo grand'esercizio;
pagato il rancio, mi restavano appena quattro soldi la settimana. Mi
ricorderò sempre che un giorno, dopo tutte le spese occorrenti, mi
avanzò un soldo, il venerdì sera, e lo destinavo a comprar un'aringa per
la modesta mia colazione del domani; il resto se l'erano divorato penna,
carta e inchiostro. Mi svesto: Oh Dio! nel mettermi a letto, affamato a
segno che avevo bisogno di tutto il mio coraggio per impor silenzio
all'appetito, scopro di aver perduto il mio soldo, il mio tesoro.
Nascosi la testa sotto il miserabile coltrone, e piansi come un ragazzo.
Lo ripeto: se fra tali strettezze io giunsi a qualche cosa, qual v'ha
giovane che, leggendo ciò, non avrebbe vergogna di pretendere che le
circostanze abbiano contrariato la sua educazione, e siagli mancato il
tempo d'imparare?»
Così Cobbet; e noi vorremmo che coloro i quali superarono penosamente i
primi passi, od ebbero più ispidi sterpi a sbroncare, più scoscesi
burroni a superare, lasciando molti brani del pelo e della pelle a quei
sassi, a quei vepri, raccontassero le vinte scabrezze ai giovani, e
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