Racconti storici e morali - 08

Nel vecchio ogni cosa è sottomessa alla riflessione.»
Ben detto! e in fatto lo spirito ha due moventi: l'attenzione e la
riflessione. Ne' giovani l'attenzione viva, mobile, sempre affrettata,
diffondesi su tutto; ma la riflessione difetta. Negli uomini maturi
l'attenzione e la riflessione si dan mano, donde la forza loro. Nei
vecchi l'attenzione sfugge, cresce la riflessione; il cuore umano si
ritorce sopra sè stesso, e si conosce meglio; alla freschezza, alla
grazia, allo slancio si surrogano la solidità, l'elevazione, la
ponderatezza: perdonsi le illusioni ottiche, s'acquista la verità;
s'impara a conoscere il pregio del tempo e a meno esigere dalla vita.
Ma la vecchiaja ha bisogno anch'essa di regole: e un dottore filosofo mi
detta le seguenti, ancor più filosofiche che mediche:
I. Sapere invecchiare, e saper che s'invecchia.
II. Ben conoscere sè stessi, e non pretendere dal corpo e dallo spirito
più di quel che possono dare.
III. Disporre convenientemente la vita abituale. Il corpo, non men dello
spirito, obbedisce alla legge suprema dell'abitudine. Convien dunque
conservare le abitudini che si contrassero, per quanto il comporta la
natura. L'accordo delle buone abitudini fisiche forma la salute, come
forma la felicità l'accordo delle buone abitudini morali: e i vecchi,
che fanno tutti giorni la stessa cosa, colla stessa moderazione, collo
stesso gusto, vivono sempre.
IV. Evitare gli eccessi di qualunque sieno natura, chè ben riflette
Rivarol che, quando si è giovani, bastano tre giorni di riserbo per
riparare tre mesi di disordine; quando si è vecchi, a pena tre mesi di
astinenza rimediano a tre giorni di disordini.
V. Combatter le malattie all'origine: regola più importante ai vecchi,
perchè non abbiamo più quelle tali forze di riserva che accennammo.
VI. Convincersi che alcuni incomodi sono inseparabili dall'età, e che
bisogna pure che per qualche organo cominci a sfasciarsi la macchina;
tollerar dunque in vecchiaja alcuni mali, come se ne tollerarono altri
proprj della gioventù. Troppo noto è l'epitaffio di quel veneziano. —
Stavo bene, e per voler star meglio, sono qua:» e un medico, pochi anni
fa, illustre nel nostro paese, allorchè qualche persona attempata lo
consultava su alcun suo acciacco, le diceva: — Lo tenga molto dacconto:
procuri di conservarlo per molti anni ancora: e badi che, col voler
cacciare questo male, non se ne vada con esso qualche gran bene.»
VII. Mettersi in mente di viver tutta la vita, ma non di là della vita.
Cioè allontanare le cause di morte e di malattia, ma non pretender di
vincere la legge di natura: v'ha di molti che muojono della paura di
morire, mentre invece vuolsi prender la vecchiaja saviamente, ma con
ardire e serenità.
VIII. Schivare le gruccie, ma adoperare il bastone, cioè non ismettere
l'attività, Touqueville scriveva alla signora Schwetcine: — Lo sforzo
fuor di sè, e ancor più in sè, è necessario quanto più s'invecchia.
Paragono l'uomo a un viandante che cammina incessantemente verso un
paese sempre più freddo, sicchè deve muoversi di più quanto più avanza.
La gran malattia dell'anima è il freddo. E per combatterlo bisogna non
solo mantener vivo il movimento dello spirito col lavoro, ma anche il
contatto de' suoi simili e degli affari. In vecchiaja principalmente non
è più permesso viver solo di ciò che s'è acquistato, ma bisogna
sforzarsi di acquistar altro; e invece di riposarsi sopra le idee di cui
ci troveremmo ben tosto assopiti e sepolti, mettere sempre in contatto e
in lotta le idee che si addottano con quelle che suggerisce lo stato
della società e delle opinioni al tempo ove si arrivò.» Infatti l'uomo
non è soltanto corpo; ed oltre la natura fisica, vi ha quel non so che
d'indefinibile, che ci contenteremo di chiamare forza vitale. La
solitudine, l'isolamento sono funesti alla vecchiaja, che non può trarre
da sè medesima que' conforti dello spirito e del cuore che abbondano
alla gioventù; ha bisogno anzi d'occupazioni, d'affari, di consigli, per
mettere a profitto la propria esperienza, per dimenticare i disamorevoli
disinganni e le meste lezioni dell'età, e conservare i pensieri
benevoli. Qual lieto spettacolo non è trovare in un vecchio la
placidezza nell'azione; quell'impero sovra sè stesso che si assoda a
misura che si ottende la passione; quell'assiduità laboriosa nel culto
della dottrina; quell'indipendenza onorevole che vien limitata solo da
doveri volontarj; quella mansuetudine nell'austerità di non importuni
consigli; quell'affabilità che concilia la clientela dei giovani serj e
pensanti; quella facilità indulgente per gli errori altrui, quando se
n'ha men bisogno pei proprj: quella soddisfazione di dominare soltanto
coll'autorità d'una lunga esperienza, e di mettere a profitto altrui un
fondo inesausto di ricordi, di esperienza, di buoni consigli, di gravi e
sobrj insegnamenti!
Oh, in tal caso la vecchiaja reca più guadagno nel morale che perdita
nel fisico. Ma per conseguirla siffatta, non bastano le rughe e le
canizie, come all'autorità del magistrato non bastano la divisa e gli
uscieri, come alla nobiltà non bastano gli stemmi e genealogie. Bensì
vuolsi quella dignità, che deriva da una gioventù ben condotta, da
abitudini sane, da un tesoro di sensazioni e di pensieri accumulati in
gioventù da quel patrimonio di affetti, di cui lasceremo l'eredità: da
una dolcezza, che supplisce alla perdita degli altri vezzi del corpo e
della conversazione; da una tolleranza, che ricopre anzichè snudare i
difetti altrui, e vi trova una scusa quand'anche non possa darne una
ragione; che però se trasvola alle debolezze, mai non transige col vizio
e colla viltà.
Insomma se non vogliamo che la vecchiaja sia un peso facciamone una
dignità. A questo modo guarderemo serenamente il lento spegnersi della
vita, come il tramonto d'una giornata d'autunno, consumata a riporre il
ricolto; e nella fiducia che al suo termine ce ne sorriderà una che non
conosce nè vespro nè sera.
1856.

NOTA.
È uscita nel 1867 un'opera d'un insigne fisiologo, il dottore
Schröder, professore all'università di Utrecht, dove, parlando
de' rapporti dell'anima col corpo, ragiona che, se il corpo e
l'anima fossero la cosa stessa, se la ragione, l'intelletto, la
vita morale fossero prodotti di forze materiali, la loro energia
dovrebbe esser proporzionale a queste: mentre è il contrario.
— È un inganno il non veder nel vecchio che un uomo logoro,
ottuso, fiacco, gelato. La vecchiaja ha i suoi malanni, ma spesso
sono gli amari frutti della vita passata. Non bisogna dipinger la
vecchiaja sotto la figura d'un vecchio infermo, come non
rappresenterebbe la gioventù un giovane tisico, perchè l'etisia
s'incontra principalmente fra i giovani... Le pretese miserie
della vecchiaja sono il risultato d'una disposizione sapiente e
armonica... Ciò che distingue il vecchio è l'esser meno
influenzato dal mondo esteriore, e meno operar all'esterno. Non
ha più la vivacità del giovane, nè la forza dell'adulto: ottusi
gli organi de' sensi, affievoliti i muscoli, le impressioni
esterne operano men vivamente su lui; non può nè desidera prender
parte alla vita attiva del giovane; cerca silenzio e riposo. A
misura che le pulsazioni del suo cuore s'allentano, e il sistema
nervoso s'indebolisce, va men soggetto alle passioni: la ragione,
più fredda e calma; il giudizio maturato dall'esperienza
prevalgono: men s'attacca alle cose esterne; svanisce nella
memoria dei fatti ordinari della vita, ma conserva le rimembranze
giovanili: di rado s'affeziona a qualcosa di nuovo.
«Le forze diminuiscono, non l'intelligenza. Spesso i capelli
bianchi ombreggiano un'intelligenza splendida; sempre alla
vecchiaja si attribuì la saviezza e il giudizio. Mal si
cercherebbe dietro al gelo del viso un rigido verno; arde ancora
di dentro quel fuoco che già sfavillava di fuori: l'io superiore
non si fiacca se non quando il corpo diviene fragile e stecchito.
Il vecchio sa per esperienza quanto tutto è passeggero, onde
s'appiglia fortemente a ciò che gli pare fisso e durevole: negli
ultimi anni, il sentimento della verità del dovere, della virtù
della religione vanno crescendo. Prende parte a una decente
allegria fra amici, ma in generale è serio, concentrato. I suoi
figliuoli son divenuti grandi e indipendenti; quasi tutti
abbandonarono la casa. La gioventù viva e spiritosa allontanasi
naturalmente da lui, correndo dietro alle distrazioni, gli amici
suoi morirono quasi tutti, e la generazione che segue ha meno
simpatie con lui, perchè allevata in nuove idee. Laonde egli vive
di passato e d'avvenire... Lo scopo costante d'una vita ben
adoprata è raggiunto: ha vinto le sue passioni, e gode ora della
sua vittoria. Riguardando alla vita trascorsa, sentesi pieno di
riconoscenza verso l'Eterno sovranamente buono, che lo condusse
alla meta fra tanti benefizj. Il pensiero della vicina sua fine
ne eccita i sentimenti religiosi. È convinto che l'interna voce,
che mai non cessò affatto d'udire, è reale, onde guarda
l'avvenire con calma e confidenza.
«Da quest'aspetto la vecchiaja non è una fine compassionevole, ma
la corona della vita umana; essa dà all'uomo la vera libertà. Il
corpo invecchiò, non arrestossi lo svolgimento dello spirito.»


IL LETTERATO

Chi vorrà una volta, o colla sentita meditazione del romanzo, o colla
potente vita del dramma, o colla profonda leggerezza dell'umorista,
rivelarci al vivo la condizione singolare dell'uom di lettere nel nostro
piccolo mondo? Essere, la cui sensività fu raffinata dagli studj,
chiamati per questo umani; coll'ingegno e la coltura mira a conquistare
nella società quel posto decoroso, che ad altri preparano la nascita, le
ricchezze, le raccomandazioni; nel conflitto ha bisogno di forza, e la
trae dalla convinzione e da una certa fidanza in sè, la quale può
prendere l'apparenza, e talvolta anche la natura di superbia. Viene nel
mondo coll'idea di giovarlo o almeno dilettarlo: e il mondo l'accarezza
e lo strapazza, l'assume strumento alle sue gioje e bersaglio alle sue
malignità. I maestri, e quei che lo precedettero nel faticoso cammino,
lo incoraggiano fino al momento che dalla palestra non esca sull'arena;
gl'imperaticci suoi, i primi versi, i primi racconti, i primi articoli
suoi, sono un trionfo. — Chi di noi al suo cominciamento non udì una
lode da quelli che poi sempre si sarebbero guardati dal dirci una parola
di cortesia?
Ma ben presto anche i maestri gli diventano nemici come i colleghi, e
colla folla spettatrice non sanno se non avvertire ogni passo in falso,
ogni movimento men grazioso, ogni botta, ogni ferita contro l'arte; i
coevi lo invidiano, quando ancora i maggiori lo disdegnano; ne' suoi
impeti di nobile e generosa ispirazione egli non trova una parola
simpatica che l'incoraggi; nell'ora del dubbio non un consiglio che lo
avvii; ne' passi scabrosi non una mano amica che lo sorregga; sentesi
solo, non inteso in una società ch'egli deve frequentare per non essere
eccentrico, e schivare per non divenire ozioso o vano.
Povero letterato! Un attore, che si presenti sul teatro, sa come può
piacere; urli, e non gli mancheranno applausi. La cantatrice, se ha
robusto gorguzzule e passa il tetto colla possanza di trilli in cui non
s'intenda verbo, è certa di ricevere trentamila lire per stagione. Sa la
ballerina come gradire all'universalità: sa lo scultore, sa il pittore
come s'abbagli e s'illuda: il povero letterato no. Egli si presenta a un
pubblico, ove son tanti i giudizj quanti i cervelli, ed ogni cervello
pretende che tutti gli altri pensino al modo suo; eppure due non se ne
scontrerebbero, per gran ventura, che vedessero coll'occhio stesso. Chi
dunque lo vuol a un modo, chi all'opposto; chi biasima la
sentimentalità, chi trova disopportuna l'allegria; chi crede inutile la
storia, chi dimostra falso genere il romanzo; chi grida morta la poesia,
chi si ostina a canticchiare spose e dottori e principi; questi ama il
periodo rotondo, cui l'altro torce il muso; uno vorrebbe il pretto
Trecento, l'altro rifiuta ogni voce che non suoni viva sulle labbra e da
queste nel cuore; chi vuol la lingua e lo stile ornati, fraseggianti,
cortigiani; chi, al contrario, sdegna ciò che non va limpido,
trasparente, secondo il cuore, ed
_Où la semplicité n'est qu'un luxe de plus:_
chi giurò di dir male di chiunque non ha la fortuna di esser morto; chi
pretende non poter un autore avere merito se non compì i quarant'anni;
chi vuole il nuovo, anche a costo di dar nello stravagante; chi abborre
ogni novità quand'anche sia bella; chi, immobile come il dio Termine,
minaccia agli arditi quelle catene che il pedantismo formò, che il
pregiudizio rispetta, e che il genio non osa spezzare; chi invece, nel
dar di cozzo alle troppo anguste barriere, urta e fracassa ogni limite
di gusto e di ragione; chi vuol l'insulto del libertino, chi la
santocchieria dell'ipocrita; chi vuol la letteratura diretta di continuo
al bene sociale; chi fa le risa grasse alle parole di coscienza
letteraria, di missione, d'apostolato.
Poi vengono i pericoli esterni, poi le necessità personali e patrie, poi
i riguardi di tempo e di luogo. Adula i potenti? avrà gli applausi dei
vili che son molti; ma se di mezzo a quella turba si leverà pur un
guardo severo a dirgli — Tu rinneghi i fratelli», forse gli applausi e
l'argento e i posti e le decorazioni gli torneranno in agro sapore.
Sostengasi col decoro d'uomo che sente in sè memorie, orgogli, speranze,
e vedrete il pubblico compassionare questi inesperti scribacchini così
cattivi amministratori del fatto loro, e prendere uno in sospetto per la
indecorata condizione in cui è e vuole rimanere per generosità; vedrete,
se occorre, un infame sorgere ad infamarlo; e il pubblico illuminato,
alle maligne insinuazioni o alle sguajate denunzie di tale a cui
rifuggirebbero di stringer la mano, crederà, piuttosto che ad un'intera
vita, immacolata alle prove del terrore e delle lusinghe. Foss'egli pure
tanto dappoco da contentarsi della sguajata parte di buffone, anche là
non troverebbe tutte rose, e fra gli sghignazzi della educatrice taverna
e della congiurata malignità gli giungerebbe pure o lo schizzinoso
dispetto di chi abborre questo acconciar le Muse da saltimbanco, o il
severo dissenso di chi prova dolore e disdegno qualvolta vede nascere un
nuovo nemico del bene e dell'operosità.
In un tempo, in cui la critica è reputata la faccenda più agevole del
mondo, e siede a scranna chi appena sarebbe da tanto da vergar lettere
in un cancello; e prima d'avere studiato, anzi perchè non ha studiato,
elevasi a sputar sentenze, e arrogasi tutore e vindice del buon gusto,
il povero autore casca in mano di chi, pretendendosi non solo pari, ma
maestro, si introna giudice, non con ingegno libero, sciolto, attento,
ma con pregiudicato, incolto, meschino; che crede genio la
sfacciataggine di ripeter in iscritto il motto che altri lasciossi
sfuggire di bocca nella conversazione famigliare, e franchezza il dir ad
alta voce ciò che non osa il suo cauto dissimulato suggeritore: —
tiranelli che, somiglianti al Turco, non vorrebbero vedersi attorno se
non eunuchi, e cominciano il regno loro dal trucidare tutti i fratelli.
Costoro, indispettiti ch'egli osi far meglio di loro, dopo che ne avran
lodato il primo lavoro, s'affrettano poi a deprimere i successivi, e
procurano delle sue ruine formar piedestallo a qualche nano ch'essi
predestinano a fargli ombra.
Nè fra noi il letterato s'aspetti di trovare, come in Francia, un De
Fontanes che proclami il sorgente Chateaubriand, o Chateaubriand che col
suo voto credasi in dovere di proteggere i primi voli di Hugo o di
Lamartine. Qui i re o i pretendenti della letteratura, ombrosi
taceranno, o guarderanno con indifferenza l'affannoso dibattersi d'un
novellino, costretto ad aprirsi da sè stesso la inesperta via tra
bronchi d'ogni genere; e quantunque gli conoscano e cuore ed intelletto,
non gli direbbero una sillaba di conforto, non soffogherebbero col
nobile assenso i garriti della intollerante mediocrità.
Il povero letterato, venuto in campo con ottimo fondo e col cuore aperto
alla benevolenza, nei petti che vorrebbe abbracciare non iscontrando
altro che le punte repellenti della denigrazione e dell'ironia, è
costretto a ritirar la mano stesa all'amplesso, isolarsi, bestemmiare,
odiare, struggersi nella fame d'affetti e d'intelligenza.
La legge stessa che ad ogni cittadino garantisce, non solo sicurezza
della vita, ma riguardi all'onore, tace pel povero letterato, che può
vedersi bersaglio del primo cane che voglia addentargli le gambe, o
della prima scimmia che tolga a contraffarlo; nè tampoco il galateo avrà
voce, e le villanie che, dette ad un altro galantuomo, stomacherebbero
la moltitudine, avventate a un letterato piacciono, garbeggiano; v'è chi
non cerca altro se non la colonna del giornale ove ci abbia ingiurie;
v'è chi si dà premura che di quest'ortiche non si patisca mai penuria; e
siccome i fanciulli in piazza vanno in sollucchero al veder Pulcinella
bastonare i fantocci di legno, così il colto pubblico di sè stesso
s'esalta quando Bavio o Mevio, idrofobo o buffone, menano da ciechi
sopra questo giocattolo del pubblico, che chiamasi il letterato.
Ma il letterato non ha la testa di legno; è uomo della specie più
sensitiva; ha un onore, ha affetti, ha speranze; e l'assassino scurrile
o rabbioso gli guasta tutto. Vedetelo! Persuaso d'aver fatto un poco di
bene alla società, anche indipendentemente dalla lode sperata, ne gode
tranquillo con alcun amico, colla donna una cui stretta di mano gli val
meglio d'un premio; e con essi entra ad un crocchio dove ricrearsi
quella sera dalle fatiche del giorno. Ed ecco cadergli sotto gli occhi
un foglio, ove il suo lavoro è messo alla gogna. Oh! certo egli ha
filosofia quanta basti per non curarlo: la venale malignità e
l'ignoranza superba, che trapelano da tutti i pori dell'articolo, il
fanno sentirsi immensamente superiore all'attacco: ha in pronto una
ragione trionfante contro ognuno degli appunti; prova compiacenza del
trovarsi scopo ad ira così abjetta, la cui coscienza sta nel comando o
nella seduzione di chi s'adombra d'ogni lampo di generosità. Ma intanto
ciascuno gli parla di quella censura o per sincero compatimento, o pel
gusto di esacerbargli la ferita; se non altro, per dirgli che non vi
badi. Domani, andando a far colazione alla bottega, quel caffè gli si
inacidirà nel veder il noto foglio in mano d'un terzo, che ride del
buffone e del beffato, e che vilipende questo coll'associargli il
bassissimo nome di quello. Salendo alla cattedra, pensa che i suoi
scolari han letto, hanno udito: ciò che più gli pesa, qualche
galantuomo, di quelli che non sanno immaginare che uno ingiurii altri a
quel modo senza provocazione, andrà fin a supporre che esso abbia in
verun modo offeso o stimulato il petulante ringhioso, verso del quale
pure non ebbe altro torto, che quello d'un innocente viandante, contro
di cui s'avventi un mastino per mera febbre di far male, o un molosso
aizzato dal proprio padrone.
Che fare? mettersi a declamar per le botteghe e per le piazze le sue
difese?
Ma io parlo d'un letterato, non d'un cerretano.
Scriverle?
Ma ciò prolungherebbe l'inquietudine sua; poi il colto pubblico non
legge le difese; e se anche giungano, è tardi, e non fanno che
inciprignire le piaghe. Egli intanto erasi lusingato di aver dal librajo
la commissione di tradur dal francese un'opera tedesca, per dieci lire
al foglio; di ottener l'onore d'insegnare la grammatica in quella casa,
in quel collegio; di diventare copialettere in quel banco, o correttore
delle bozze in quella tipografia; avea sperato di vendere il suo libro,
e col ricavo far una buona azione; di trovar chi facciasi editore ad
un'opera a cui da tanto tempo lavora; di procurarsi i mezzi di comprare
que' libri, di fare quel viaggio, necessario per compire quello studio.
— Grazioso buffone! idrofobo gentile! state allegri: ci siete riusciti.
Tu avevi detto, — Io voglio attraversargli quell'onore»; tu avevi
promesso, — Farò tanto che lo balzeranno da quell'impiego»; tu eri stato
pagato per disingannar l'Italia (credente ne' tuoi oracoli) sul merito
di quel libro, non perchè lo disistimasse, ma perchè non lo comprasse:
buffone grazioso, idrofobo gentile, si può senza coltello assaltare alla
strada, e senza neppure il coraggio di Battista Scorlino o di Maino
Spinetta. Rallegratevi con voi stessi, e con chi v'aizza o vi paga! Il
pubblico fu divertito; non s'è fatto che straziare, spogliare, uccidere
un letterato.
Sì, uccidere; uccidere a colpi di spillo o col fare il solletico; perchè
io conosco giovani che andarono consunti sotto il peso d'un di questi
legali assassinj; altri ne conosco che, non avendo quanta forza bastava
per rimbalzare contro il colpo immeritato, s'abbandonarono fiaccamente,
e nessuna cura ebbero maggiore che di sfruttare il proprio intelletto, e
gettarsi a quell'inerzia che fa i cittadini tristi alle famiglie,
inutili alla patria, ma che li pone sotto alla protezione della polizia
e del galateo; protezione negata al letterato.
Questi sono dolori fraterni, domestici, nella tempestosa repubblica del
sapere. Se poi il letterato entri nel mondo, già v'è la persuasione
ch'e' sia un bizzarro, qualche cosa di mostruoso: non potrà lanciarsi a
cordiali abbandoni: aspetteranno oracoli ad ogni parola, appunteranno
ogni frase, vorranno ch'e' sia libero, ma alla misura loro; ch'e' sia
spregiudicato, ma immerso a gola in tutte le loro superstizioni: un
difettuccio suo lo predicheranno dai tetti; le sue virtù saranno o
ignorate o taciute, bastando per ogni encomio e per un vitupero il dire:
— Gli è un letterato».
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . .
Questi puntolini, chi volesse sapere che cosa significano, sono un'altra
delle disgrazie del letterato onesto, in questo ameno stivale, costretto
a dire più d'una volta, _Insipiens factus sum, vos me coegistis_; dirlo
cioè tra sè medesimo, e mandar giù stranguglioni quando glielo
rinfacciano quelli che cianciano a baldanza, perchè sanno che la ragione
vera e trionfale egli non può dirla; perchè sanno che gli fanno colpa di
aver dovuto fermarsi davanti a quel precipizio, ov'essi medesimi gli
avevano preparato il trabocchetto.
Ora quali ristori a tante miserie? Nessuno ch'io conosca.
— Devono essere alleggerite assai dall'abitudine», dicono. Benissimo; e
in fatti io non parlai che de' principianti, a cui la ciurma può
consolarsi d'essere ancora in tempo a cagionare non soltanto dispiaceri,
ma vero danno. Però in cortesia ditemi, e gli adulti non hanno più
sentimento? e portate meno compassione ad uno perchè son dieci anni e un
mese che spasima di micrania? Jer da sera io dipingeva a una damina i
patimenti d'una poverissima famiglia; fame, freddo, non pentola, non
letto, non tetto; ed ella mi rispose: — Ci sono assuefatti».
Oh sì, il letterato adulto va più superiore, più sicuro di sè; ma
conosce che il suo provocatore non imbocca la tromba della fama
soltanto; e che, come criticargli il verso e il periodo, così può fargli
ipotecare le opinioni e la persona. Sa, è vero, che la sua nazione e
forse altre l'hanno conosciuto e lodato; ma s'avvera il caso di quegli
illustri Pagani defunti, dei quali diceva sant'Agostino: — Ove non si
trovano, son encomiati; ove si trovano, son bruciati». Ha tutti per
partigiani, ma neppur uno per avvocato: onde, dopo che le passioni
contemporanee gli bandirono guerra, e un vulgo patrizio e letterato,
dall'abjettezza dell'anima propria argomentò quella di lui, le cui
intenzioni non è capace d'elevarsi a comprendere nè ad indovinare il
pensiero; il povero letterato dee ravvilupparsi in sè, come la biscia,
intirizzito dal gelo dell'egoismo che trova d'intorno, e quivi, mettendo
a schermo la testa se può, aspettare che all'ingiustizia presente
succeda l'obblio avvenire.
1836.


GLI ARTIGIANI

S'aggrappino a due mani al passato quei meschini, per cui la letteratura
è tuttavia nulla meglio che un nobile trastullo, l'occupazione degli
ozj, occupata ella stessa in nulla meglio che vanità e frivolezze. Chi
mira all'avvenire, volge al popolo la parola e il pensiero; e de'
bisogni suoi, delle credenze, delle idee sue s'informa.
Quanti libri non ha già prodotto l'età nostra in Francia, in
Inghilterra, in Germania per educazione, conforto, sollievo del
popolo!.... — L'Italia è ben lontana da tale fecondità; e pur troppo non
si conservò immune da quelle bevande arsenicali, che certi autori
satiriaci stillano con infame abilità per solleticare le passioni del
popolo, invelenirne i rancori, adularne i brutali istinti. Gli effetti
ne apparvero, e il più sciagurato di tutti, l'offrire, se non ragione,
almeno pretesto alle riazioni, il render sospetta la libertà, e
diminuirne il legittimo uso per tema degli scellerati abusi.
E ben è a deplorare che oggi si corra volentieri a que' sozzi beveraggi,
sgorganti dalle cloache parigine; e v'abbia editori e traduttori che li
rimpastino per uso nostrale. La pubblica morale dovrebbe indignarsene,
se ne' tempi di sovversione non fosse ancor più difficile conoscere il
proprio dovere che l'adempirlo. Noi intanto, desiderosi di star
piuttosto coi buoni e dir bene, accenneremo un libro, capitatoci appena
testè alle mani, quantunque stampato prima che il titolo potesse parere
d'occasione o di stimolo: _Gli artigiani illustri_[12]. Potrebbe
pedantescamente chiamarsi il _Plutarco degli artigiani_, e l'accompagna
quella nitidezza di stampa, quella vivacità di disegni che, se fu
adoperata a stampe deletriche, ben è che venga adattata anche alle
buone. Ma da noi... Via via; non istuzzichiamo un patriottismo così
meschino, che si offende della verità, e stiamo all'opera in discorso.
Poichè non ci furono conservati i nomi di coloro che inventarono e
migliorarono l'arte in quei secoli di tanta vita che l'ignoranza
trascura e il pregiudizio vilipende, vo' dire il medioevo, dovette
l'autore cominciar le sue storie del Rinascimento, e farne la prima
parte; l'altra va dalla rivoluzione in poi.
Vien egli narrando succinto e con calore la storia degl'inventori o
raffinatori di qualche arte; nel che, insieme col fabbro e col
carpentiere appajono anche insigni nomi di scienziati che a tal servizio
volsero l'ingegno, come Davy, Lavoisier, Réaumur, Papin, Franklin, anzi
fino dei re, come Luigi XVI, che per passatempo faceva serrature e
meridiane; Francesco I d'Austria che dipingeva stoviglie; Pietro il
Grande che adoprò di buona lena la pialla e la scure.
Basta un'occhiata a questo lavoro per accertare che anche la bottega ha
i suoi eroi: e noi, dalla bottega usciti, ci compiaciamo in quelli,
quanto la nobile gente nelle prepotenze degli avi. Seguiamo dunque la
storia di alcuno di questi, e prima discorriamo d'un'arte che, non è
guari, fu ridestata fra noi.
— Un bel mattino di maggio del 1539 gli abitanti di Saintes restarono
attoniti e indignati di vedere una nuova famiglia accasarsi fra loro; ma
al sentimento inospitale, provato alla vista degli stranieri, succedette
in breve l'ammirazione, udendo che Bernardo Palissy, capo della nuova
famiglia, era celebre dipintore su vetro. Da quel momento agli stranieri
vennero profuse cortesie ed atti di stima, e le mille piccole
soperchierie ond'erano stati bersaglio nei primi giorni, sparirono per
sempre.
Faceano circa due anni che Bernardo Palissy era stabilito a Saintes,
quando, veduta una coppa di terra tornita e smaltata di somma bellezza,
si accese d'ardentissimo desiderio di formar un vaso simile. Dominato da
tal pensiero, abbandona la condizione che assicurava il vitto suo e de'
suoi, e logora tutto il suo tempo a rimpastar terra, e coprirla d'una
composizione diligentemente preparata. Pieno d'ansietà assiste alla
cottura de' suoi smalti: ma i primi tentativi riescono indarno, e la
miseria penetra nella sua casa. Non importa, egli combatte sempre; e