Racconti e bozzetti - 26

abbandonato il loro paese e si trascinavano di luogo in luogo, sperando
che troverebbero un sito, in cui esser creduti sulla parola. Pur
sembrava una fatalità. Nè lo scrivere i dolci titoli sui biglietti da
visita, nè il cinguettare francese tra loro, nè il sedere in un angolo
appartato del caffè per non contaminarsi con la plebe, nè l'aggiungere
alla stupidità e svenevolezza propria la svenevolezza e stupidità della
_haute_, era bastato a far loro conseguire l'intento. Dappertutto si
scopriva l'inganno, e i poveri patrizî in _fieri_ restavano corbellati.
L'aristocrazia non li voleva per un conto, la borghesia non li voleva
per l'altro, ed essi rifacevano i loro bagagli e cercavano spiagge più
propizie e ospitali. Singolare pellegrinaggio, che dovrà esser tenuto
in gran conto da qualche filosofo venturo, il quale studii il tèma
della trasmigrazione dei popoli.
Mentre il Trigli rispondeva a due signore che lo chiamavano a nome, e,
secondo tutte le apparenze, lo interrogavano sull'esser mio, la mia
attenzione fu attirata da un'altra parte. Annunziata dall'argentino
tintinnìo dei sonagli, usciva di mezzo alla folla, saltellando
allegramente, una capretta di pelo folto e lunghissimo color caffè,
seguìta da un contadino, vecchio d'anni, ma d'una vecchiezza rubizza
ed alacre, come poteva vedersi dall'occhio vivo e dal passo agile e
svelto. Egli portava una giubba verde-mare, le brache di ruvida tela
bigia chiuse al ginocchio, le calze turchine attillate in guisa da
lasciare scorgere due polpacci assai sodi e massicci, le scarpe con
fibbie d'ottone, e in testa un cappello di paglia a larghe falde, sotto
cui spuntavano alcune ciocche di capelli bianchi. Nella mano teneva
una bacchetta sottile destinata a spingere o a guidare la sua bestia;
ma poichè il docile animale non aveva bisogno nè di eccitamento nè di
freno, egli se ne serviva piuttosto per galanterìa, come i _dandies_
delle città si servono della loro mazza col pomo dorato. La Eloisa,
che sedeva al caffè, si levò d'un balzo, e, apertosi un passaggio
fra la gente, raggiunse la bestiuola ed il suo guardiano che parevano
entrambi conoscerla. Vidi ch'ella palpava il collo alla capretta, la
quale alla sua volta torceva il muso e cacciava fuori la lingua per
lambirle la mano, senza però che quest'incontro l'arrestasse punto sul
suo cammino. Era invece Eloisa che si era accompagnata alla piccola
comitiva. Procedettero tutti e tre in mezzo alla strada per alcun
tratto; indi, ormai oltrepassata la folla, si posero per uno dei due
sentieri laterali. La signora Agnese, infatuata a discorrere con due o
tre donne, non aveva posto mente al subito involarsi della figliuola;
il signor Antonio, dal canto suo, era occupato a tener desti il pretore
ed il farmacista, i quali ad ogni tratto lasciavano cadere la testa
pesante dal sonno. Mi prese vaghezza di seguir la simpatica fuggitiva,
e studiai il passo per avvicinarmele. E, invero, s'io non mi fossi
affrettato, l'avrei perduta di vista, chè, indi a poco, ella ed i suoi
compagni presero un viottolo chiuso fra due siepi. Fu colà appunto
ch'io la raggiunsi. Ella sentì che alcuno camminava dietro di lei,
e si voltò. Come mi scorse, si tinse di porpora e parve visibilmente
confusa. Il contadino e la capretta si fermarono anch'essi un istante,
e il vecchio si levò il cappello di testa.
— Eloisa, — io le chiesi, — ove vai? — (Potrei esserle padre, onde non
v'è nulla di sconveniente nella formula confidenziale del _tu_.)
Abbassò gli occhi a terra, ma non certo come fa chi deve confessare una
colpa. Indi balbettò con un forzato sorriso:
— Vado qui vicino, dalla Brigida.
— O chi è la Brigida? — soggiunsi, ponendomele a fianco e camminando
con lei.
— Una povera donna che sta lì. — E segnò col dito una capannuccia
nell'interno dei campi.
— Mi lasci venir teco?
— Venga, — disse; ma poi un po' dubbiosa: — Conosce la Brigida?
— Io, no; ma posso conoscerla ora.
— Poverina! è malata, — sospirò la fanciulla, e una lagrima le scorse
lenta lenta giù per la guancia.
Passammo sopra un tronco d'albero tagliato a mezzo e gettato a guisa
di ponticello attraverso un fosso, e la fronte malinconica di Eloisa
si spianò alquanto vedendo ch'io mostravo sì poco coraggio in quel
tragitto.
— Si fa così, — ella esclamò ridendo, e fu in due salti alla parte
opposta.
Appena lo squillo argentino dei sonagli giunse alla casupola, ch'era
la mèta del nostro pellegrinaggio, un bambino che giocherellava sulla
soglia ci corse incontro tutto ilare e frettoloso, mi guardò un po'
infastidito, ma senza mettersi in soggezione, si lasciò sollevare
per di sotto le ascelle dalla Eloisa, che gli stampò un bacio in
fronte, poi, svincolatosi, fece mille feste alla capretta. Poteva
avere cinque o sei anni al più, ed era, nella negligenza del vestito
e dell'acconciatura, bellissimo. Indossava pochi stracci che gli
lasciavano scoperta parte delle membra, camminava scalzo, e vispo così
che pareva avesse le ali. Anche i cenci acquistavano vaghezza sulla sua
personcina.
— E come sta la mamma, Gigi?
— Meglio, — egli rispose con quella beata spensieratezza della sua età,
nella quale si dice _meglio_, perchè non si può intendere _peggio_.
Eloisa scrollò il capo, e continuò:
— Ci fu il dottore a vederla?
— Sì, stamane. —
E il bimbo ricominciò a saltellare intorno alla capretta, finchè fummo
entro un piccolo campicello incolto, chiuso da canne, ove sorgeva la
capanna della Brigida. Un porcellino girava su e giù col muso a terra,
come persona inquieta. La porta era aperta, e la luce, omai scarsa, del
crepuscolo entrava per quella nell'unica stanza che serviva da camera
da letto, da cucina, e da tutto. Gli occhi discernevano a stento da una
parte un focolare, dall'altra qualche cosa che somigliava ad un letto.
Si fece udire una voce debole e velata.
— È lei, padroncina?
— Son io, Brigida, come va?
— Al solito, padroncina, al solito. —
E, com'io stavo sulla soglia, ed ella vide certo una figura sconosciuta
disegnarsi nel vano della porta, chiese faticosamente:
— C'è qualcuno con lei?
— Un amico del babbo.
— Oh Vergine Santa! — sclamò la Brigida — e nessuno gli dà una sedia, e
in questa camera, con questo disordine....
— Non vi affannate, buona donna, — dissi io avvicinandomi, — ho
accompagnato Eloisa; ma non voglio cerimonie.
— Ah! solo ch'io potessi alzarmi qualche ora al giorno, cercherei di
mettere un po' in assetto la stanza.... Mi fa una pena a veder tutto
sossopra.... Ma la padroncina lo sa.... non ho che l'Orsola, la quale
mi fa la carità di passar la notte meco perchè non resti sola. —
E qui fu assalita da una tosse cupa, profonda, che faceva male a
sentirla.
Il contadino intanto aveva condotto la capretta fin presso al letto,
e le aveva munto dalle poppe una gran tazza di latte, che Eloisa gli
prese di mano e volle dare ella stessa all'inferma, non senza aver
prima acceso un lumicino posto sopra una scansìa che sovrastava al
letto.
— Dio buono, — bisbigliò la Brigida, — vuol disturbarsi lei? —
E, ansando, si pose a sedere reggendosi sopra uno dei gomiti, mentre
con la mano che aveva libera, aiutata dalla Eloisa, portava il
bicchiere alla bocca.
Povera donna! Com'era scarna, com'erano affilate quelle sue dita, e
che rossore di cattivo augurio sulle sue guance! Del resto era giovane
e forse non sarà stata brutta; ma ormai su quel giaciglio, con quei
capelli scomposti, con quelle pupille già vitree, con quel breve
respiro, non destava che un senso d'infinita pietà.
Ella beveva a sorsi, affannosamente, e, ad ogni sorso, se Eloisa
non l'avesse sostenuta, avrebbe certo lasciato cadere la testa sul
guanciale, tanto le si vedeva dipinta la stanchezza sul viso. La
capretta era lì immobile davanti al letto, col muso all'insù, cogli
occhi fisi nella malata, da far parere ch'ella medesima ne avesse
compassione. Gigi, sollevando una delle sue gambine, si provava a
mettersi a cavallo della buona bestia, che lasciava fare; ma Giuseppe
(era il nome del contadino):
— Bada — gridò — che tu non me la schiacci, — e lo fece smettere.
E la madre dal suo letto ammoniva: — Gigi, Gigi, sii tranquillo.... —
Indi rompeva in uno scoppio di pianto. — Povera creatura! povera
creatura!...
— Via, Brigida, fàtti animo, — disse amorevolmente Eloisa.
Ma l'altra non tralasciava di piangere e soggiungea singhiozzando:
— O.... se non fosse per lui.... me ne importerebbe assai a me di
morire!... Già.... per quello che ho goduto quaggiù.... che altro
posso desiderare che un po' di pace?... Ma è lui.... è lui.... povero
bambino.... lui.... che resta solo nel mondo.
— Domani lo volete il latte, Brigida? — chiese Giuseppe, appena la si
fu un po' calmata.
— Domani! — ella rispose — oh! no.
— E perchè? — domandò Eloisa.
— Ah! padroncina.... — e le mormorò qualche cosa all'orecchio.
Credetti indovinare, e chiamai la fanciulla.
— Eloisa, — le dissi, porgendole una moneta d'oro, — per tutto quello
che avete di più caro al mondo, fategliela accettare, e che quella
povera donna abbia almeno il refrigerio della sua solita tazza di
latte. —
Si fece raggiante in viso, e (non esagero) parve che volesse saltarmi
al collo, ma si ricompose, e posta una mano sulla spalla di Giuseppe:
— Va, va pure.... ma torna domani, sai?... Sì, Brigida.... L'amico del
babbo ha accomodato tutto.... —
E, fattale luccicare davanti la moneta, la ravvolse accuratamente in
una cartolina e gliela pose sotto il guanciale, ch'era il luogo più
sicuro ov'ella potesse tenerla, mentre la malata si profondeva in
ringraziamenti, che è superfluo ripetere.
— Oh! signore, — soggiunse la poveretta, — se sapesse che cosa io debbo
a quest'angelo qui... — E additava la Eloisa.... — E Dio mi darà la
grazia che quand'io abbia raggiunto il mio uomo, ch'è in Paradiso da
due anni, la pensi lei a far sì che il mio Gigi non abbia da morire di
fame, nè diventi, chè sarebbe ancor peggio, un ragazzo scostumato....
— Ma, Brigida, — interruppe Eloisa, — perchè disperare?
— E vuol ch'io speri ancora dopo tre mesi che ho la febbre ogni giorno,
e son ridotta a segno di non potermi quasi più muover nemmeno nel
letto? Ho sperato, sa? ho sperato un pezzo, e quando mi dicevano che
la primavera mi avrebbe ristorato le forze, l'ho creduto, e quando mi
dicevano che il sole mi avrebbe corretto il sangue, sono stata con
le mie prime febbriciattole addosso, seduta lì sulla porta, col mio
lavoro in mano e con questa benedetta creatura vicino, che avrebbe
voluto ch'io giocassi e corressi con lui per i campi.... E mi ricordavo
di que' bei tempi, in cui accompagnavo lei a spasso, e avevo anch'io
l'ali ai piedi per seguirla, e non c'era dubbio di stancarsi, o tutt'al
più, se la si stancava lei, io me la prendevo bravamente sulle spalle
e la riconducevo a casa come un fagotto.... Già ci sgridavano talvolta
tutte e due; ma in fin dei conti non si era fatto nulla di male, e
si pigliavano le lavate di capo senza troppo scomporsi.... Ma! così
tornassero quegli anni!.... —
E qui, non potendone più, si coperse il viso col lenzuolo, e pianse
nascostamente.
Il bimbo, che fino a quel punto non aveva posto mente alle lagrime
materne e pareva dimentico della tragedia che gli si svolgeva
dinanzi, colpito da non saprei quale divinazione, allorchè vide la
sua genitrice cacciare il capo sotto la coltre, e starsene lì quieta,
tutta celata allo sguardo, ci fissò gli occhi in volto con una dolorosa
inquietudine, poi si slanciò sulla sponda del letto e si mise a
strillare disperatamente:
— Mamma! mamma! —
E quand'ella a quelle grida tirò fuori la testa, egli le gettò le
braccia al collo, piangendo a calde lagrime e un po' guardando lei,
un po' guardando dalla nostra parte con una cotale espressione mista
di dolor disperato e di sfida, quasi ci volesse dire: — Oh! chi potrà
portarmela via? —
L'inferma, alla sua volta, con una forza, di cui la non si sarebbe
detta capace, s'era voltata sul fianco e ravvolgeva le mani nei bruni
e ricciuti capelli del suo bambino, divorandolo cogli occhi e tenendosi
immobile, con le labbra serrate, con atteggiamento di statua, se non le
fosse apparsa la vita nell'ansare del petto e nel fuoco delle pupille.
Li quietammo entrambi, la Brigida con buone parole, il bambino col
promettergli un vestitino nuovo che Eloisa stava lavorando di nascosto
per lui, e col fargli veder sua madre che, poveretta! s'era forzata
a sorridere. E così, perchè omai s'era fatto buio, uscimmo di là
coll'anima straziata da quella scena. A pochi passi ci scontrammo con
una vecchierella (era l'Orsola) che veniva, secondo il costume, a tener
compagnia alla malata.
— Andate, andate, Orsola, chè la v'aspetta, — disse Eloisa.
— Oh! signorina, è lei? — rispose l'altra. — Vado, vado; ma ho paura
che ci sia più bisogno di prete che di altro.... Mi si strappa il cuore
pensando al povero Gigi.... Basta; il Signore provvederà.... —
E si allontanò.
Già tremolavano le prime stelle nel firmamento, le lucciolette
cominciavano a scintillare lungo le siepi e l'aria era piena dei suoni
e delle fragranze, di cui è dispensiera la notte.
— E ti sgrideranno, Eloisa, perchè hai fatto così tardi?
— Forse, — fu la sua risposta.
E senz'aggiunger parola si mise a studiare il passo, camminando a testa
china, come assorta ne' suoi pensieri.
Eravamo già entrati nel viale e si vedeva benissimo il caffè coi lumi
accesi, tuttavia gremito di gente.
— Senti, Eloisa, — io le dissi, — se accadrà sventura alla povera
Brigida, trova modo di farmelo sapere, e vedrò di aiutarti circa al
bambino.
— Dice davvero? — sclamò la fanciulla, levando verso di me i suoi begli
occhi, entro i quali brillavano due lagrimette.
— E puoi credere ch'io scherzi su questa cosa?
— Ma allora — proruppe ella con una cara ingenuità — è stata una gran
bella combinazione la nostra visita, e seppur mi sgrideranno ci vorrà
pazienza.
— Oh, eccoli qui! — gridò il signor Meravigli, che s'era mosso dal
caffè appena ci aveva visti da lungi. — Ma, caro cavaliere, dove s'è
lasciato condurre da questa bimba senza giudizio? Mi figuro già che
sarai andata dalla tua Brigida, quella smorfiosa, che per un fil di
febbre si è incaponita di dover morire....
— Oh, babbo! la sta proprio male!...
— Male! male! La si era avvezza a far la signora in casa nostra, ecco
il guaio. Ma, in verità, tu non avevi miglior trattenimento da offrire
al signor cavaliere? E io che contavo presentarlo a tutte queste
signore, che sarebbero andate a gara di fare la sua conoscenza.
— Eloisa! Eloisa! — chiamò alla sua volta la signora Agnese. — Brava!
bravissima! Non lo sapevi che a quest'ora devi leggere il _sfoglio_ a
Romilda? Non hai proprio cuore. Tua sorella è sola, e tu vai a zonzo.
Ah! io non sarei indulgente come tuo padre. —
Stimo inutile dilungarmi a riferire la mia eloquente perorazione in
favore dell'imputata, a cui si accordò grazia mercè mia, non senza
dichiarare che nel perdonar con tanta facilità c'era un po' di mancanza
di riguardi verso Romilda.
Ma, grazie al cielo, l'ora della corsa era prossima e io dovevo prender
congedo dai miei ospiti. L'ufficioso Meravigli dichiarò naturalmente
che mi avrebbe accompagnato alla stazione, ove aveva già fatto portare
dal servo il mio meschino bagaglio. Quanto alla signora Agnese, ella
doveva tornarsene a casa con Eloisa e Toniotto, il quale era entrato
nel caffè con grande sgomento dei camerieri; ma, contro al solito,
invece di fare insolenze s'era disteso sopra un sofà di paglia e
dormiva di profondissimo sonno.
— Al _bene_ di rivederla — mi disse la signora Agnese, porgendomi la
mano col solito garbo — e grazie _del vantaggio della sua conoscenza_.
— Ehi, Storni, — urlò il signor Meravigli, scuotendo il povero
farmacista addormentato, nel modo in cui si scuoterebbe un mulo, — non
vedete che il cavaliere parte? non venite alla stazione? —
Il degno uomo sbadigliò un lunghissimo _Ah_ e stirò ambe le braccia.
— I miei rispetti, signor cavaliere, — borbottò quindi con voce
mal sicura, e guardandosi intorno con occhi imbambolati, — i miei
rispetti.... Ah! se ne va?... Buon viaggio e felice ritorno.... Già
chi vive s'incontra.... Alla stazione.... se ci verrei.... altro! ma
bisogna che vada al _Coniglio...._ Oh! oh! oh! — E in tre colpi con
grande sforzo fu in piedi, e se ne andò traballando e ripetendo: —
Felicissima notte. —
Il dottor Trigli e il pretore avevano dovuto allontanarsi. Il signor
Osteolo col suo _aplomb_ consueto volle anch'egli essermi a fianco fin
ch'io partissi.
— Le manderò, se non le dispiace, alcune idee, che ho gettato in
carta alla buona, sopra le riforme delle dogane. Sono i miei studî
prediletti.... Quando posso staccarmi un po' dagli affari, è per me
una distrazione l'occuparmi di cose economiche. Eh! se non ci fosse
di mezzo l'interesse del paese, stralcerei la mia casa, e, secondo
le mie deboli forze, vedrei anch'io di aggiungere la mia pietruzza
all'edifizio, a cui loro scienziati lavorano.... Ma il decoro del
commercio è per me una gran cosa; non so che dire, son fatto così.
— In coscienza, cavaliere, non le pare che l'uomo, il quale sposerà la
mia Romilda, potrà chiamarsi felice? — mi disse con tuono indagatore il
signor Meravigli.
— Beato, — io risposi, tanto per finirla con una parola breve.
— L'essenziale starà nel trovare la persona adatta. Sarà difficile....
— Difficilissimo, — ripetei macchinalmente.
— Perchè, veda, — continuò l'altro, passando il suo braccio sotto il
mio e gestendo con la mano che gli restava disponibile: — in primo
luogo ci vuole una persona istrutta, assai istrutta, istruttissima; ciò
è fuor di questione. Come potrebbe vivere la Romilda con uno zotico,
con un ignorante? In secondo luogo è necessaria una persona agiata.
La mia figliuola, con quel talento che ha, deve forse far da cucina e
attendere alle bisogne casalinghe? Nemmeno per idea. In quanto all'età
sarei meno esigente.... Romilda non ha simpatia pei giovinotti di primo
pelo. È vero ch'ella ha diciannove anni soltanto, ma anche se il marito
ne avesse sedici o diciassette più di lei....
— Ah! è troppo, — interruppi.
— Non è troppo, mi creda, quando la persona sia ben conservata.... —
E, nel pronunziare queste parole, il signor Meravigli mi guardava con
quell'atto amorevole, con cui una buona massaia guarda un bel tacchino
posto in mostra dal pollaiuolo.
Che idea!... Siamo alla stazione, sento un campanello, mi svincolo in
gran fretta dal braccio del mio compagno che mi grida dietro non so che
cosa, e mi slancio allo sportello del bigliettinaio.
— Un biglietto per ***.
— Lo vuole per questo treno? Se aspetta un quarto d'ora c'è il
_diretto_.
— No, devo partire con questo.
— Badi che l'altro arriva prima a ***.
— Non importa, vi dico, voglio partire subito. —
L'impiegato mi dà il biglietto borbottando: — Uhm! per poche
lire! —
Non mi curo dell'insinuazione, lietissimo di potermela finalmente
svignare.
— Ma, caro cavaliere, — gridano in coro i signori Meravigli ed Osteolo
che mi avevano raggiunto, — c'è un equivoco. Questo che parte non è il
treno _diretto_, ma il treno _omnibus_.
— Lo so, — risposi, — ma mi piacciono i treni _omnibus_.
— Oh diavolo! — osservarono con qualche sorpresa i due signori.
— Mi duole — rispose il signor Meravigli — perchè avrei voluto
terminarle il mio discorso. —
Intanto s'intese la parola sacramentale _Partenza_.
— Duole anche a me, — dissi in fretta, porgendo la guancia ai baci del
signor Meravigli e del signor Osteolo; — ma ci rivedremo senza dubbio.
— Bravo; questo è parlar bene.... Solamente desidererei sapere una
cosa. Che pensa ella in massima del matrimonio?
— Ah! — risposi accomiatandomi — applico a mio modo un noto proverbio
arabo e dico: Il matrimonio è di argento, e il celibato d'oro.
— Eppure io la convincerei.... —
Non intesi altro, perchè ero già salito in un vagone.
— Signor cavaliere! signor cavaliere! — gridò una voce di fuori,
quand'io avevo già preso il mio posto fra un ecclesiastico e una donna
di colossali dimensioni.
Chiesi licenza e mi affacciai alla finestra. Era il capo stazione che
aveva riacquistata la padronanza di sè medesimo, e non parlava più in
francese.
— Mi permetta in primo luogo ch'io la saluti, — egli disse, — poi che
le consegni il suo sacco da viaggio e il suo ombrello ch'ella aveva
dimenticato, e lasci per ultimo ch'io le dia da parte del professore
Romoli questo piego. Buon viaggio, perchè il convoglio si muove. —
Sul piego c'era incollato un biglietto di visita con la seguente
leggenda: «_Il professore Augusto Romoli_ si permette di accompagnare
al signor cavaliere Fausto Guarleni cinquanta esemplari del suo
discorso _Sulla rinnovazione intellettuale in Italia_, pregandolo di
volerli dispensare alle persone che crederà più opportune. Con molte
scuse e ringraziamenti.»
Seccatore! Sedetti di nuovo, e presi sonno. E, dormendo, la mia
fantasia mi ricondusse al tugurio di Brigida, al suo bambino, e alla
buona Eloisa.
Sono ormai scorsi quattro mesi, e confesso ch'io m'ero quasi
dimenticato di questa mia gita. Ma iersera mi capitò una letterina
col bollo di X***. Era scritta con molta concisione e con bella
calligrafia, e suonava così:
_Pregiatissimo signor Fausto. — La povera Brigida ha languito
per altri quattro mesi ed è morta questa mattina. Il bambino
non ha nessuno. Io farò quello che potrò. Si ricordi della sua
promessa._
_La sua affez._
ELOISA MERAVIGLI.
Non ho presa alcuna deliberazione; ma non fallirò certo alla mia
promessa.
Eloisa non mi parla nè della illustre Romilda, nè della signora Agnese,
nè del signor Antonio, cognato di mia cognata. Segno che stanno tutti
benissimo. Chi vuole andarli a vedere prenda un biglietto di strada
ferrata per X***. Io non ho intenzione di tornarvi per ora.
_1871._
FINE.