Racconti e bozzetti - 20
avventura si trattasse di cosa che vi fosse già nota.
— O come potrebbe essere?
— Chi sa? Non è poi impossibile che l'abbiate udita raccontare da
qualchedun altro.
— E in questo caso vi sta proprio a cuore di farne la seconda edizione?
— Mi sta.
— Ebbene, sia pure come vi aggrada.
— Ho la vostra parola?
— Ma sì, ma sì: vi occorre altro?
— Datemi la mano?
— Dio buono! Quante formalità! Si direbbe che voleste iniziarmi a
qualche loggia massonica. Eccovi la mano. —
La signora Anna porse al Dardi una manina che l'età non aveva nè troppo
dimagrata, nè troppo ingrassata; una manina giovane, se si potesse
usare questa frase, tanto n'erano ben tornite le forme, e morbide e
delicate le tinte, e pieni di una nervosa irritabilità i movimenti. Il
lepido vecchio parve molto compiacersi di quella stretta, e poich'ebbe
tenuta per alcuni secondi nella sua destra la destra della signora Anna
si soffiò due volte il naso, e si raschiò la gola come chi si accinge
a una perorazione accademica. Ella intanto, da avveduta massaia,
accendeva la macchina del tè, dicendo scherzosamente: — Perchè non
accada ch'io pigli sonno durante la vostra chiacchierata, mi preparo a
bevere una nuova tazza.
— Questa disgrazia non accadrà, maligna che siete, me ne fo
mallevadore. E comincio. Vi avviso però che quello ch'io faccio è il
racconto d'un racconto. Un amico, a cui la faccenda è toccata, me la
narrò in tutti i suoi particolari. È una storia vera, capite?
— O che bella verità, passata per due filtri; quello dell'amico e il
vostro.
— La storia risale a poco meno di quarant'anni addietro, — continuò il
signor Dardi senza occuparsi dell'interruzione. — Il mio amico che ora
è vecchio come me.... e come voi, era allora giovane e bello com'era
io.... e come eravate voi in quel tempo.
— Questo non ha che fare.
— Egli aveva di poco finito i suoi studî all'Università, lasciandovi
fama d'ingegno piuttosto vivace che peregrino, di coltura piuttosto
varia che profonda. Comunque sia, in un tempo che alle Università si
studiava pochissimo, egli poteva ragionevolmente passare tra i giovani
più valenti, e quelli che erano tali davvero lo accoglievano a braccia
aperte nei loro crocchî, ove il suo buon umore costante contribuiva
a tener allegra la brigata. E, fra parentesi, vi contribuiva anche un
po' la sua borsa, perchè egli era ricco e gli studenti ricchi possono
contarsi come le mosche bianche. In complesso l'era davvero una eletta
brigata di giovani, disseminatasi poscia qua e là secondo le necessità
della vita o i capriccî dei caso. Per una di quelle bizzarrìe che
non sono sì rare, il mio amico s'era legato di più intimo affetto con
quello che, fra tutti gli altri del gruppo, si discostava maggiormente
da lui pel carattere. Quanto egli era festevole e spensierato,
altrettanto l'amico suo era serio e meditabondo, nè la tempra del loro
ingegno era meno dissimile di quella della loro indole. L'uno andava
qua e là succhiando il miele da tutti i fiori, amava la poesia, la
musica, la pittura; l'altro coltivava con assiduità piuttosto germanica
che italiana gli studî filosofici, giuridici, storici. Ma, singolare a
dirsi eppur vero, quegli che possedeva una natura d'artista aveva un
fondo di scettico incorreggibile, l'altro sotto le gelide apparenze
celava una buona fede da non potersi immaginar la maggiore. Quanto
alla severità della sua indole, e alla rigidezza claustrale de' suoi
costumi, vi basti sapere che non c'era mai stato caso mentre eravamo
studenti insieme all'Università ***.
— O che cosa c'entrate voi?
— Avete ragione. Adopero la prima persona credendo di far parlare il
mio amico.
— Che amicizia! La vi fa persino dimenticare la vostra identità
personale, come dicono nei giornali di giurisprudenza di mio marito.
Proprio come Oreste e Pilade!...
— Via, mi fate perdere il filo con le vostre malignità. Che cosa
dicevo? Ah! dicevo che gli sforzi fatti per addomesticarlo erano
falliti, che non era stato possibile di renderlo soggetto alle
debolezze della sua età! A ventitrè anni egli era.... —
La signora Anna mosse un momento le forbici e il signor Maurizio cambiò
tuono.
— Ma ciò poco importa. Nemmeno le questioni politiche, e qui spero
che mi lascerete parlare, l'occupavano più che tanto. In quel tempo
singolare, nel quale dalle poesie del Baffo e del Buratti (oh! non
fate smorfie, perchè le avrete lette anche voi) si passava alle liriche
del Berchet; e alla porta dei tepidi teatri e delle sale sfoggiate vi
aspettava talora la sedia di posta che doveva condurvi allo Spielberg;
in quel tempo, in cui pareva non esservi posto nella vita che per
la _farsa_ e per la tragedia, il nostro originale era riuscito a
tenersi ugualmente lontano dalle seduzioni del mondo elegante e da
quelle allora assai più nobili, ma assai più pericolose, delle società
segrete. E non era diffidenza, chè, come dissi, il suo animo era alieno
dai sospetti, e non era viltà, chè egli non aveva sortito natura
codarda; era soltanto quella sua grande passione dello studio che
soverchiava in lui gli altri affetti e gli altri pensieri, e lo rendeva
noncurante di molte cose che esercitavano un fascino sulla comune dei
giovani.
Potete immaginarvi come rimanessero i suoi compagni, quando seppero
un giorno ch'egli era perdutamente innamorato. Come! E di chi? Queste
domande correvano di bocca in bocca, e per uno o due giorni tutti
malignavano dicendo: — Sta a vedere che grossa corbellerìa egli ha
commesso!
— _Egli!_ — interruppe la signora Anna. — Abborro gli anonimi.
— Volete proprio che ci mettiamo in regola con lo stato civile? Ebbene:
il mio amico lo chiameremo Ugo, e all'amico del mio amico imporremo
il nome di Alberto. Alberto adunque, poichè di lui si parla in questo
momento, non aveva commesso quella grossa corbellerìa che gli si
attribuiva. Certo egli aveva avuto un gran torto ad innamorarsi sul
serio, ma almeno non s'era appigliato nè ad una brutta, nè ad una
civetta, nè ad una stolida; com'era pur verosimile in uomo che aveva sì
poca pratica di queste faccende.
— O che non aveva forse gli occhi questo signor Alberto?
— Occhi da erudito, mia cara Anna, buoni da decifrar palimsesti, e
capaci di fermarsi con maggior compiacenza sopra un'inscrizione in
lingua sanscrita che sulle forme divine della Venere di Milo. A ogni
modo, la fanciulla amata da Alberto era tale da affascinare qualunque
anima d'artista. Non ve ne farò la descrizione. Mi basterà dirvi che
gareggiavano in lei la bellezza, l'ingegno e la grazia. Era una grazia
schietta, spontanea, che spirava da tutta la persona come profumo da
fiore, era un ingegno vivo, elegante, poetico, era una bellezza piena
a un tempo d'abbandono e di fuoco, di soavi malinconìe e di celesti
sorrisi.... E quella fanciulla non aveva, io credo, che sedici a
diciassett'anni....
— Ih! come vi riscaldate: si direbbe che parlaste di una vostra
innamorata di ieri.
— Cara mia, le cose paiono vicine o lontane secondo che sono più o meno
scolpite nella memoria....
— Parlerete, io spero, della memoria del vostro amico.
— Certamente, — rispose il signor Maurizio con disinvoltura, quantunque
quella inchiesta suggestiva lo avesse un po' sconcertato. — Ma io
m'investo de' casi suoi.
— Siete pure il prezioso amico, — notò con un filo d'ironia la signora
Anna. — Ma, a proposito, il nome di questa Dea?
— Chiamiamola Giulietta.
— Oh! c'è un Romeo?
— Può darsi; non precipitate.
— Già capisco tutta la vostra storia peregrina. È uno dei soliti
innamoramenti.
— Ma per carità, mi avete promesso di non interrompermi. Lasciatemi
adunque tirare innanzi. La bella Giulietta, sorpresa dalla
dichiarazione di un giovane ch'ella aveva conosciuto il dì innanzi,
cominciò coll'esserne sgomenta; ma poi quella sua anima delicata e
gentile non potè a meno di rispondere a un affetto così vivo ed onesto,
così rispettoso nella sua violenza, e così lusinghiero per l'amor
proprio di lei. In generale anche lo donne leggiere e che non vanno
pazze per l'ingegno piegano il capo dinanzi al buon successo: e Alberto
era fra i giovani più celebrati della Università e tra quelli, a cui si
augurava un più splendido avvenire. L'indole severa del suo intelletto
e dei suoi studî non era invero tale da affascinare una giovinetta
sedicenne; ma dall'altra parte come respingere un uomo del suo valore?
Come ributtarlo da sè, s'egli, tra mille, aveva scelto lei, modesta ed
oscura? Ecco perchè la fanciulla, pur non partecipando all'entusiasmo
del suo amante, porse orecchio benevolo alle sue parole e promise a sè
stessa che col tempo lo avrebbe ricambiato di uguale trasporto. Come si
rimovessero gli ostacoli frapposti dalla famiglia, come il matrimonio
si concludesse, quando Alberto aveva appena ricevuta la laurea, sono
cose, di cui non mette conto tener parola. Eppoi sapete ch'io non posso
scendere a troppo minuti particolari per non tradire il segreto che mi
è confidato. Questo bensì vi dirò, che gli amici di Alberto, dopo le
sue nozze, si sentirono sollevati da un gran peso sullo stomaco, perchè
egli gli aveva noiati fuor di misura coi racconti della sua gelosia,
de' suoi dubbî e delle sue escandescenze. In alcune anime l'amore
scende come una pioggia benefica sulla terra preparata a riceverla; le
compie, le rallegra, le avviva, le fa capaci di spargere intorno a sè
una gioia pacata e serena: in altre invece esso irrompe come l'uragano
sopra un suolo granitico, in cui l'acqua non filtra lentamente, ma
s'arresta alla superficie formando larghe pozze e rigagnoli: anzichè
assimilarsi al loro organismo, l'amore crea in queste anime uno stato
inquieto, morboso e toglie alle loro manifestazioni quel gentile
riserbo, quella verecondia soave che le mostra ricordevoli, oltre che
del proprio pudore, anche del pudore dell'essere amato. Alberto era,
nelle sue confidenze, pettegolo, indiscreto, qualche volta persino
brutale; tanto lo sgomentava la trasformazione esterna che s'era
operata in lui, tanta era la disarmonia, da lui non perfettamente
compresa, fra questa passione e il resto dell'esser suo.
Allorchè egli divenne marito, le tendenze ingenite del suo animo e del
suo ingegno ripresero il disopra. Come coloro che, dormendo, ricevono
una impressione fisica che si mesce ai loro sogni, tantochè quando
si svegliano, ogni altra parte del sogno svanisce fuori di quella
impressione che è viva e reale; così Alberto, ritornato in sè stesso,
vide dileguarsi l'incanto che lo avea posseduto e solo restargli
a fianco, bella e gentile, più che desiderata compagna, la moglie.
Ambizioso per indole, Alberto scorgeva in lei piuttosto un inciampo che
un aiuto alla sua carriera, e gli mancava l'arte di nascondere affatto
ciò ch'egli sentiva. Giulietta invece, la quale, come accade alle
fanciulle virtuose, aveva, dopo il matrimonio, preso a voler più bene
che mai all'uomo che aveala fatta sua, rimase profondamente mortificata
di questo cambiamento; ma col riserbo misto di dignità ch'era il fondo
del suo carattere non si faceva scorgere, o chiudeva in sè il suo
dolore. Tanto inesperta da non prevedere ciò che era avvenuto, ella
non sapeva per anco, a malgrado della sua intelligenza, scoprire i
mezzi di ripararvi. Non sapeva ancora che, mescolandosi agli studî ed
alle aspirazioni di suo marito, divenendo un valido sussidio de' suoi
lavori, ella avrebbe potuto riafferrare quell'amore che le fuggiva. Le
afflizioni senza lamento non hanno nemmeno la soddisfazione d'essere
intese dagli altri, o, se sono intese, porgono un facile appiglio a chi
vuol far le viste di non avvedersene. Chi non si lagna non soffre, dice
l'egoista, e chi ha la vita troppo affollata di occupazioni è spesso
egoista. Il tempo, che è la stoffa del lavoro e della produzione,
è anche la stoffa dei sentimenti. Se chi nulla fa nulla aggiunge al
capitale materiale della società, chi non riposa mai non aggiunge nulla
al suo capitale di gentilezza e di simpatia. A ciò gli economisti non
hanno pensato.
Non erano corsi due mesi dalle nozze, che Alberto e Giulietta vivevano
in un'orbita diversa: egli tutto inteso a' suoi studî; ella in una
solitudine malinconica che lasciava libero campo ai pellegrinaggi
della sua fantasia. Quantunque non ne andasse pazza, avrebbe gradito
i piaceri delle sue coetanee, i teatri, le feste, i convegni geniali;
ma suo marito o non aveva agio di condurvela, o conducendola, si
rincantucciava con tanto di muso in modo da toglierle tutto il
divertimento. Nondimeno ella avrebbe potuto passarsene. Spirito culto,
riflessivo, tranquillo, ella anelava essenzialmente a quella felicità
che nasce dal continuo ricambio d'impressioni e di pensieri tra due
persone che si apprezzano e s'amano, e, sposandosi, aveva creduto che
questa felicità non dovesse mancarle. Veggendosi delusa nella sua
aspettazione, si sentiva simile a chi s'accorge a mezzo il cammino
d'avere smarrito la via, nè sa qual nuovo sentiero debba prendere per
arrivare alla mèta. Intanto compieva da sè la manchevole educazione del
chiostro, faceva disordinatamente, febbrilmente, accatastando lettura
su lettura, gli studî ch'ella aveva sperati comuni con suo marito. Già
libri non ne mancavano nella sua nuova dimora.
Aveva, più che le abitudini, gl'istinti dell'eleganza, e abbenchè
uscisse di rado assai, era sempre accuratissima nel vestito e
nell'acconciatura. Questa sua innata eleganza ella aveva saputo
infondere non in tutta la casa, ma in uno stanzino che era il suo
nido, il suo tempio. Era uno stanzino appartato del primo piano,
a cui si giungeva anche per una scaletta laterale che da un andito
contiguo metteva in giardino. Le pareti d'un azzurro chiaro erano
fregiate di stucchi bianchi, e pure a stucchi era il palco leggiermente
arcuato.... —
La signora Anna si scosse e chiese: — O come sapete voi tutti questi
particolari?
— Oh bella! Me gli ha detti l'amico. Ma vi prego di non farmi perdere
il filo del racconto. La finestra del gabinetto (ve n'era una sola,
ma grande) dava sul giardino cinto da un muro basso e di là dal quale
erano altri giardini più vasti, più signorili, con bellissimi abeti.
In un punto la verdura era men fitta e lo sguardo indovinava un ampio
orizzonte. I mobili.... debbo parlare anche dei mobili?
— Come siete noioso! Lasciateli lì i mobili, e venite al punto.... O
se non volete venirci presto, smettiamo, chè già capisco che non val la
pena di continuare.
— Via, non v'impazientite. L'avete forse udita già questa storia? A
ogni modo dovete stare ai patti e lasciarmi dire. Sarebbe la prima
volta che manchereste alla vostra promessa.
— È vero. Proseguite, ma senza digressioni.
— Sarà difficile, perchè non è mio costume. La mia fantasia va
sempre caracollando e non mai di galoppo. Ella ama far sosta qua e
là, e cogliere i fiori pendenti dagli arbusti lungo la via: le corse
precipitose alla Mazeppa non son fatte per lei.... Però torniamo a
bomba, lasciando stare i mobili. Vi chiedo grazia soltanto per una
biblioteca d'acero a lustro, piccina, graziosa, elegante, che era
l'altare di quel tempietto, tutto silenzio e raccoglimento. La giovane
vi teneva i suoi libri, una cinquantina di volumi al più, ma scelti
e legati con ottimo gusto. Ed ella stava lì soletta le lunghe ore
del giorno, ora leggendo, ora fantasticando alla finestra, certa,
o quasi, di non veder giungere suo marito fino all'ora del pranzo.
Visite ne faceva poche, e quindi poche ne riceveva, perchè le era
troppo tedioso il sentirsi dire che una sposina non doveva fare una
vita così ritirata, e perchè abborriva da quel sistema comodissimo che
hanno tante mogli di lasciare sparlar dei loro mariti senza negar nè
assentire.
Il mio amico, che abbiamo detto di chiamar Ugo, non abitava la medesima
città, ma veniva di tratto in tratto a visitare il suo compagno di
studî, ed era accolto festosissimamente anche dalla Giulietta, che
vedeva una volta tanto una faccia aperta e gioviale. In quelle sue
visite, che non solevano durar più di tre o quattro giorni, egli
alloggiava sotto il tetto di Alberto, portandovi un soffio di vita,
un'eco del mondo esterno, a cui quella casa pareva chiusa del tutto.
Ugo era elegante, frequentava i teatri, le conversazioni, e quindi non
gli mancavano mai argomenti da discorrere. Figuratevi! Erano quelli i
tempi della Pasta e della Malibran, della _Norma_ e dell'_Otello_. La
Giulietta, che amava tanto la musica, non aveva mai potuto persuader
suo marito a uscir per una settimana da quella loro misera cittadina
di provincia e condurla a vedere gli spettacoli della capitale. Onde,
quando Ugo gliene parlava, ella sentiva venirsi l'acquolina in bocca, e
pendeva da' suoi labbri con una curiosità piena di commozione. Non c'è
da maravigliarsi di questa parola. A' quei tempi in Italia i trionfi
musicali destavano un vero entusiasmo. Lo dissi già prima: non c'erano
che due cose da fare: o cospirare, o divertirsi; o andare in carcere, o
andare al teatro.... semprechè non si preferisse di andare in entrambi
i luoghi. Alberto chiamava frivolezze questi discorsi; ma, in ogni
modo, poichè egli aveva ottimo cuore, riceveva l'amico suo a braccia
aperte, e quando questi gli diceva a quattr'occhi ch'egli aveva torto
a trascurare sua moglie, giovane, bella, adorna di tutte le virtù,
gli dava un mondo di ragioni, scusandosi soltanto col pretesto delle
sue mille faccende e della serietà de' suoi studî. Comunque sia, la
presenza d'Ugo, ch'era forse uomo un po' leggiero, ma certo vivacissimo
e pronto d'ingegno, era una vera provvidenza per quella casa. Per la
Giulietta egli non provava che una viva amicizia, e poi la sincera e
devota affezione che lo legava ad Alberto avrebbe soffocato nell'animo
di lui ogni altro sentimento. Quanto maggiore la sicurezza, tanto
maggiore la confidenza: confidenza fraterna, e quasi infantile.... Io
non capisco, mia cara amica, perchè andiate agitandovi sulla seggiola,
mentre non mi sembra di dir cosa che sia o possa parervi sconvenevole
punto. Perciò vi supplico che ve ne stiate buona e tranquilla, poichè
la mia eloquenza, per mantenersi, vuole il raccoglimento dell'uditorio.
— Siete un grande originale, — rispose la signora Anna, sorridendo
fuggevolmente. — E se vi déssi una tazza di tè, non mi risparmiereste
la seconda metà della vostra storia?
— Accetto la tazza, ma continuo. —
La signora Anna diè una scrollatina di testa come se volesse dir
nuovamente: _Che matto!_ e versò il tè al suo lepido interlocutore.
— Un giorno — riprese il signor Maurizio tra un sorso e l'altro — il
mio amico arrivò inatteso in casa d'Alberto, e quindi più festeggiato
che mai. Si deliberò di fare pel dì vegnente (ch'era una domenica)
una gita a una villa poco discosta, e si passò la sera pregustando il
divertimento del domani. La Giulietta non era mai stata più ilare, nè
Alberto più espansivo, nè Ugo più amabile....
— Ve l'ha detto lui?
— Sicuro!
— Beati gli uomini franchi!
— Il mattino del dì appresso (era in primavera avanzata, poco importa
il mese) Ugo fu in piedi all'ora stabilita, e fece la sua _toilette_
con grande accuratezza e sollecitudine vicino alla finestra aperta
della sua stanza che dava anch'essa sopra il giardino. Faceva un
bellissimo tempo: però l'orizzonte non era tutto sereno, e qualche
nube percorreva il cielo con insolita rapidità a simiglianza di persona
affaccendata. La moda di quarant'anni addietro, e voi lo sapete meglio
di me, non era la moda dell'anno 1870, e se il mio amico vi comparisse
dinanzi acconciato nella foggia di quel dì, voi non potreste certo
trattenere una sonora risata. Un cappello di paglia con cupola alta
e larghe tese orizzontali, un vestito color caffè con le maniche
attillatissime e col bavero di smisurata altezza, una cravatta bianca
che si attortigliava al collo come il serpente del Laocoonte, e che
scendeva a riempire tutto lo sparato del panciotto chiaro di fondo
e stampato di gran fioroni gialli, un paio di calzoni d'una tinta
sentimentale stretti alla gamba, ecco a un dipresso il figurino del
mio amico in quel giorno memorabile. E in quel giorno, ve lo assicuro
io, egli era bello, e aveva ben ragione di sorridere guardandosi
nello specchio. La giovinetta che acquista la coscienza della propria
bellezza non può vincere un vago presentimento di arcani pericoli, e
in mezzo all'orgoglio del sapersi regina chiede talvolta a sè stessa
se il suo scettro non sarà bagnato di lagrime. Nei mille occhi che
l'affisano, nelle mille labbra che si muovono a susurrarle una parola
gentile, ella indovina un'insidia al suo pudore, alla pace dell'animo
suo; insidia che tanto più la sgomenta, quanto più le versa nel
cuore un'incognita voluttà. L'uomo invece, a torto o a ragione, non è
assalito da questi scrupoli: l'avvenenza è per lui un dono che non ha
mistura d'amarezza; un sorriso non gli fa salire i rossori sul volto;
uno sguardo non gli fa chinare la fronte. Nel suo aspetto raggiante è
la gioia del dominio o la certezza della conquista; sulla sua bocca sta
il grido di Schiller: — _Ich bin ein Mann, wer ist es mehr?_ Io sono un
_uomo_, chi tal è più di me? —
Ecco ciò che Ugo, contemplandosi nello specchio, andava in quel mattino
ripetendo a sè medesimo.
Mise il capo fuori della finestra, aspirò a larghi sorsi l'aria
frizzante della campagna, e cominciò a solfeggiare la deliziosa romanza
dell'_Anna Bolena_:
Oh! non voler costringere
A finta gioia il viso,
Son belle le tue lagrime
Siccome il tuo sorriso,
con quel che segue. Proprio sotto la sua finestra un'imposta si aprì, e
un bel visino arrovesciato apparve sul davanzale. Era Giulietta.
— Bravissimo! — sclamò la giovane con quella sua vocina melodiosa ed
insinuante.
— Oh diamine! già vestita, — rispose Ugo balzando subitamente, senza
saperne il perchè.
— Ma certo; e già nel mio santuario, — soggiunse Giulietta, accennando
al suo gabinetto da lavoro e da studio. — Quegli che non è pronto è
Alberto, il quale, per miracolo, vuol terminare una scrittura prima di
partire. Anzi dovreste fare una bella cosa, andare a sollecitarlo voi
stesso; già a me non mi abbada. — Guardò l'orologio e disse: — Sono
le sette e mezzo. Mi pare che bisognerebbe mettersi in carrozza fra
un'ora. Andate, andate. — Fece un cenno garbato col capo, sorrise in
modo da mostrare, certo senza volerlo, una doppia fila di denti candidi
come l'avorio, e sparì.
Vi sono cose curiosissime a questo mondo. Ugo aveva visto Giulietta
un centinaio di volte, e la gli era sembrata, come a tutti, un'assai
avvenente donnina: ma, bella come in quel momento, egli non l'aveva
trovata mai. Del resto, bella o brutta, egli non ci aveva che fare. Si
guardò un momento nello specchio, e scorse un leggiero rossore diffuso
sulle sue guance; onde divenne ancora più rubicondo, perchè arrossì
di avere arrossito. Nondimeno, obbediente al comando ricevuto, fece in
quattro salti le scale, e andò nello studio dell'amico.
Alberto era difeso da un intero sistema di fortificazioni. Aveva
dinanzi a sè un tavolino, su cui i libri stavano ammonticchiati
l'uno sull'altro sino ad altezze portentose; ai lati due scaffali
pieni anch'essi di libri e di scartafacci. La poderosa persona era
sprofondata in una scranna a bracciuoli assai bassa e larga, foderata
di pelle nera, e tre o quattro sedie appoggiate al tavolino con le
due gambe anteriori all'aria come persone svenute costituivano le
opere avanzate della fortezza. Alquanto miope, egli teneva la testa
china in modo da toccar quasi col naso la carta; con le dita sudicie
d'inchiostro si carezzava i capelli che parevano acquistare a poco a
poco dimensioni spropositate come il can barbone di Fausto.
Ugo non potè trattenersi dal ridere, quando entrò nella stanza. Ma
Alberto non si scompose punto, e rivolto all'amico: — Vuoi udire —
gli disse — questo brano d'una Memoria sulla legislazione mineraria
che debbo mandare stasera all'_Antologia_ di Firenze? Io muovo dalla
considerazione che il possessore del soprassuolo....
— Senti, — interruppe Ugo, — la tua considerazione sarà giustissima;
ma mi pare che non sarebbe mal fatto di rimandare la legislazione
mineraria ad un altro giorno, e di disporsi alla partenza. Si fa, o non
si fa questa gita?... Ebbene: che cosa c'è?
— Nulla, nulla, — rispose Alberto, sollevando alquanto il capo e
ravviando la chioma disordinata; — penso alla grande mutazione che si è
fatta in te da qualche tempo a questa parte. Tu non ti appassioni più
per niente, e basta discorrerti di una questione seria, perchè tu mi
scappi di mano come un'anguilla. O dove sono i bei giorni, nei quali
si passavano insieme lunghe ore a ragionare de' nostri studî? Allora
si trovava pur la maniera di vincere il tuo scetticismo. Lasciatelo
dire.... tu ti sciupi, l'aria della città ti fa male, la vita elegante
ti ammazza l'intelligenza, gli amici scipiti ti riducono al loro
livello.... —
Così dicendo tuffò la penna d'oca nel calamaio, e poi la portò con
tanto impeto sulla carta che ne cadde una grossa goccia d'inchiostro,
la quale imbrattò tutto il foglio. Con la rapidità del lampo, Alberto
vi corse sopra con la lingua, lo che finì col dare a quella macchia
l'aspetto di una stella cometa.
— Grazie pe' miei amici, che sono, o erano almeno, anche i tuoi, —
disse Ugo con un grande inchino. — E a proposito di che mi fai questa
patetica perorazione? Io capito qui a ricordarti un impegno che hai
preso iersera con me e con Giulietta.... capito anzi per ordine di
lei... —
Alberto fece una piccola smorfia col labbro, tantochè l'altro
soggiunse: — Non ti darà noia, spero, a sentir parlar di tua moglie?
— Hai ragione, hai ragione: il torto l'ho io che mi sono ammogliato....
E non mica per lei — continuò poscia in un tuono di onesto candore....
— non mica per lei che è un angiolo, ma per me che non ero fatto
pel matrimonio. Ho bisogno di studiare, ho bisogno di farmi una
riputazione.... altro che di andare a spasso con donne. —
La signora Anna si morse le labbra, e proruppe: — Proprio così diceva?
— Proprio così? Vi fa maraviglia forse?
— Punto, punto: continuate. —
Il signor Maurizio non se lo fece ripetere un'altra volta, e riprese: —
Ma Ugo era invece un uomo estremamente compìto, e lascio pensare a voi
se rimproverò il suo amico di queste sue parole. Fatto si è che, a capo
di cinque minuti, Alberto, che s'era ritto in piedi ed era uscito fuori
delle sue fortificazioni, pose una mano sul braccio di Ugo (che la
sbirciò con inquietudine per vedere s'ella fosse sporca d'inchiostro)
e concluse così il suo discorso: — Fammi questo piacere; sinchè io
termini di scrivere, e in meno d'un'ora spero d'essere sbrigato, va
a tener compagnia alla Giulietta, e pregala che mi scusi, e dille che
dopo verrò con voi altri, e staremo tutta la giornata di buon umore. E
non si parlerà più di cose serie.... —
Le ultime parole furono proferite spingendo leggiermente Ugo verso
l'uscio, tantochè questi capì l'antifona, e se la svignò.
Egli si avviò per un corridoio che conduceva ad un salottino, dal
salottino passò in un'altra stanza, ascese pochi gradini, e si
trovò dinanzi a un gabinetto che aveva l'uscio aperto. Era quello il
soggiorno preferito da Giulietta. Ella sedeva con un libro in mano
volgendo il dorso alla porta in modo da non poter vedere chi entrava.
Però, al suono dei passi d'Ugo, girò rapidamente la testa, e si fece
rossa, e disse: — Oh! siete qui?
— Appunto; e non dovevo rendervi conto della mia ambasciata?
— È vero: e dunque?
— Vuol finire un lavoro, ma promette che in un'ora sarà sbrigato. —
Giulietta scrollò leggiermente le spalle in atto di impazienza,
mormorando: — Sempre così. —
Vi fu un momento di silenzio, durante il quale Ugo fisò uno sguardo
abbastanza lungo sulla simpatica donnina. «Vergini e spose, griderei
io, se per avventura fossi un predicatore, diffidate degli sguardi
lunghi. Gli occhi che cominciano a guardare con curiosità finiscono
a guardare con desiderio; e allora....» Ma qui non siamo in chiesa, e
posso risparmiarvi il sermone. Vi dirò piuttosto che la mia Giulietta,
— O come potrebbe essere?
— Chi sa? Non è poi impossibile che l'abbiate udita raccontare da
qualchedun altro.
— E in questo caso vi sta proprio a cuore di farne la seconda edizione?
— Mi sta.
— Ebbene, sia pure come vi aggrada.
— Ho la vostra parola?
— Ma sì, ma sì: vi occorre altro?
— Datemi la mano?
— Dio buono! Quante formalità! Si direbbe che voleste iniziarmi a
qualche loggia massonica. Eccovi la mano. —
La signora Anna porse al Dardi una manina che l'età non aveva nè troppo
dimagrata, nè troppo ingrassata; una manina giovane, se si potesse
usare questa frase, tanto n'erano ben tornite le forme, e morbide e
delicate le tinte, e pieni di una nervosa irritabilità i movimenti. Il
lepido vecchio parve molto compiacersi di quella stretta, e poich'ebbe
tenuta per alcuni secondi nella sua destra la destra della signora Anna
si soffiò due volte il naso, e si raschiò la gola come chi si accinge
a una perorazione accademica. Ella intanto, da avveduta massaia,
accendeva la macchina del tè, dicendo scherzosamente: — Perchè non
accada ch'io pigli sonno durante la vostra chiacchierata, mi preparo a
bevere una nuova tazza.
— Questa disgrazia non accadrà, maligna che siete, me ne fo
mallevadore. E comincio. Vi avviso però che quello ch'io faccio è il
racconto d'un racconto. Un amico, a cui la faccenda è toccata, me la
narrò in tutti i suoi particolari. È una storia vera, capite?
— O che bella verità, passata per due filtri; quello dell'amico e il
vostro.
— La storia risale a poco meno di quarant'anni addietro, — continuò il
signor Dardi senza occuparsi dell'interruzione. — Il mio amico che ora
è vecchio come me.... e come voi, era allora giovane e bello com'era
io.... e come eravate voi in quel tempo.
— Questo non ha che fare.
— Egli aveva di poco finito i suoi studî all'Università, lasciandovi
fama d'ingegno piuttosto vivace che peregrino, di coltura piuttosto
varia che profonda. Comunque sia, in un tempo che alle Università si
studiava pochissimo, egli poteva ragionevolmente passare tra i giovani
più valenti, e quelli che erano tali davvero lo accoglievano a braccia
aperte nei loro crocchî, ove il suo buon umore costante contribuiva
a tener allegra la brigata. E, fra parentesi, vi contribuiva anche un
po' la sua borsa, perchè egli era ricco e gli studenti ricchi possono
contarsi come le mosche bianche. In complesso l'era davvero una eletta
brigata di giovani, disseminatasi poscia qua e là secondo le necessità
della vita o i capriccî dei caso. Per una di quelle bizzarrìe che
non sono sì rare, il mio amico s'era legato di più intimo affetto con
quello che, fra tutti gli altri del gruppo, si discostava maggiormente
da lui pel carattere. Quanto egli era festevole e spensierato,
altrettanto l'amico suo era serio e meditabondo, nè la tempra del loro
ingegno era meno dissimile di quella della loro indole. L'uno andava
qua e là succhiando il miele da tutti i fiori, amava la poesia, la
musica, la pittura; l'altro coltivava con assiduità piuttosto germanica
che italiana gli studî filosofici, giuridici, storici. Ma, singolare a
dirsi eppur vero, quegli che possedeva una natura d'artista aveva un
fondo di scettico incorreggibile, l'altro sotto le gelide apparenze
celava una buona fede da non potersi immaginar la maggiore. Quanto
alla severità della sua indole, e alla rigidezza claustrale de' suoi
costumi, vi basti sapere che non c'era mai stato caso mentre eravamo
studenti insieme all'Università ***.
— O che cosa c'entrate voi?
— Avete ragione. Adopero la prima persona credendo di far parlare il
mio amico.
— Che amicizia! La vi fa persino dimenticare la vostra identità
personale, come dicono nei giornali di giurisprudenza di mio marito.
Proprio come Oreste e Pilade!...
— Via, mi fate perdere il filo con le vostre malignità. Che cosa
dicevo? Ah! dicevo che gli sforzi fatti per addomesticarlo erano
falliti, che non era stato possibile di renderlo soggetto alle
debolezze della sua età! A ventitrè anni egli era.... —
La signora Anna mosse un momento le forbici e il signor Maurizio cambiò
tuono.
— Ma ciò poco importa. Nemmeno le questioni politiche, e qui spero
che mi lascerete parlare, l'occupavano più che tanto. In quel tempo
singolare, nel quale dalle poesie del Baffo e del Buratti (oh! non
fate smorfie, perchè le avrete lette anche voi) si passava alle liriche
del Berchet; e alla porta dei tepidi teatri e delle sale sfoggiate vi
aspettava talora la sedia di posta che doveva condurvi allo Spielberg;
in quel tempo, in cui pareva non esservi posto nella vita che per
la _farsa_ e per la tragedia, il nostro originale era riuscito a
tenersi ugualmente lontano dalle seduzioni del mondo elegante e da
quelle allora assai più nobili, ma assai più pericolose, delle società
segrete. E non era diffidenza, chè, come dissi, il suo animo era alieno
dai sospetti, e non era viltà, chè egli non aveva sortito natura
codarda; era soltanto quella sua grande passione dello studio che
soverchiava in lui gli altri affetti e gli altri pensieri, e lo rendeva
noncurante di molte cose che esercitavano un fascino sulla comune dei
giovani.
Potete immaginarvi come rimanessero i suoi compagni, quando seppero
un giorno ch'egli era perdutamente innamorato. Come! E di chi? Queste
domande correvano di bocca in bocca, e per uno o due giorni tutti
malignavano dicendo: — Sta a vedere che grossa corbellerìa egli ha
commesso!
— _Egli!_ — interruppe la signora Anna. — Abborro gli anonimi.
— Volete proprio che ci mettiamo in regola con lo stato civile? Ebbene:
il mio amico lo chiameremo Ugo, e all'amico del mio amico imporremo
il nome di Alberto. Alberto adunque, poichè di lui si parla in questo
momento, non aveva commesso quella grossa corbellerìa che gli si
attribuiva. Certo egli aveva avuto un gran torto ad innamorarsi sul
serio, ma almeno non s'era appigliato nè ad una brutta, nè ad una
civetta, nè ad una stolida; com'era pur verosimile in uomo che aveva sì
poca pratica di queste faccende.
— O che non aveva forse gli occhi questo signor Alberto?
— Occhi da erudito, mia cara Anna, buoni da decifrar palimsesti, e
capaci di fermarsi con maggior compiacenza sopra un'inscrizione in
lingua sanscrita che sulle forme divine della Venere di Milo. A ogni
modo, la fanciulla amata da Alberto era tale da affascinare qualunque
anima d'artista. Non ve ne farò la descrizione. Mi basterà dirvi che
gareggiavano in lei la bellezza, l'ingegno e la grazia. Era una grazia
schietta, spontanea, che spirava da tutta la persona come profumo da
fiore, era un ingegno vivo, elegante, poetico, era una bellezza piena
a un tempo d'abbandono e di fuoco, di soavi malinconìe e di celesti
sorrisi.... E quella fanciulla non aveva, io credo, che sedici a
diciassett'anni....
— Ih! come vi riscaldate: si direbbe che parlaste di una vostra
innamorata di ieri.
— Cara mia, le cose paiono vicine o lontane secondo che sono più o meno
scolpite nella memoria....
— Parlerete, io spero, della memoria del vostro amico.
— Certamente, — rispose il signor Maurizio con disinvoltura, quantunque
quella inchiesta suggestiva lo avesse un po' sconcertato. — Ma io
m'investo de' casi suoi.
— Siete pure il prezioso amico, — notò con un filo d'ironia la signora
Anna. — Ma, a proposito, il nome di questa Dea?
— Chiamiamola Giulietta.
— Oh! c'è un Romeo?
— Può darsi; non precipitate.
— Già capisco tutta la vostra storia peregrina. È uno dei soliti
innamoramenti.
— Ma per carità, mi avete promesso di non interrompermi. Lasciatemi
adunque tirare innanzi. La bella Giulietta, sorpresa dalla
dichiarazione di un giovane ch'ella aveva conosciuto il dì innanzi,
cominciò coll'esserne sgomenta; ma poi quella sua anima delicata e
gentile non potè a meno di rispondere a un affetto così vivo ed onesto,
così rispettoso nella sua violenza, e così lusinghiero per l'amor
proprio di lei. In generale anche lo donne leggiere e che non vanno
pazze per l'ingegno piegano il capo dinanzi al buon successo: e Alberto
era fra i giovani più celebrati della Università e tra quelli, a cui si
augurava un più splendido avvenire. L'indole severa del suo intelletto
e dei suoi studî non era invero tale da affascinare una giovinetta
sedicenne; ma dall'altra parte come respingere un uomo del suo valore?
Come ributtarlo da sè, s'egli, tra mille, aveva scelto lei, modesta ed
oscura? Ecco perchè la fanciulla, pur non partecipando all'entusiasmo
del suo amante, porse orecchio benevolo alle sue parole e promise a sè
stessa che col tempo lo avrebbe ricambiato di uguale trasporto. Come si
rimovessero gli ostacoli frapposti dalla famiglia, come il matrimonio
si concludesse, quando Alberto aveva appena ricevuta la laurea, sono
cose, di cui non mette conto tener parola. Eppoi sapete ch'io non posso
scendere a troppo minuti particolari per non tradire il segreto che mi
è confidato. Questo bensì vi dirò, che gli amici di Alberto, dopo le
sue nozze, si sentirono sollevati da un gran peso sullo stomaco, perchè
egli gli aveva noiati fuor di misura coi racconti della sua gelosia,
de' suoi dubbî e delle sue escandescenze. In alcune anime l'amore
scende come una pioggia benefica sulla terra preparata a riceverla; le
compie, le rallegra, le avviva, le fa capaci di spargere intorno a sè
una gioia pacata e serena: in altre invece esso irrompe come l'uragano
sopra un suolo granitico, in cui l'acqua non filtra lentamente, ma
s'arresta alla superficie formando larghe pozze e rigagnoli: anzichè
assimilarsi al loro organismo, l'amore crea in queste anime uno stato
inquieto, morboso e toglie alle loro manifestazioni quel gentile
riserbo, quella verecondia soave che le mostra ricordevoli, oltre che
del proprio pudore, anche del pudore dell'essere amato. Alberto era,
nelle sue confidenze, pettegolo, indiscreto, qualche volta persino
brutale; tanto lo sgomentava la trasformazione esterna che s'era
operata in lui, tanta era la disarmonia, da lui non perfettamente
compresa, fra questa passione e il resto dell'esser suo.
Allorchè egli divenne marito, le tendenze ingenite del suo animo e del
suo ingegno ripresero il disopra. Come coloro che, dormendo, ricevono
una impressione fisica che si mesce ai loro sogni, tantochè quando
si svegliano, ogni altra parte del sogno svanisce fuori di quella
impressione che è viva e reale; così Alberto, ritornato in sè stesso,
vide dileguarsi l'incanto che lo avea posseduto e solo restargli
a fianco, bella e gentile, più che desiderata compagna, la moglie.
Ambizioso per indole, Alberto scorgeva in lei piuttosto un inciampo che
un aiuto alla sua carriera, e gli mancava l'arte di nascondere affatto
ciò ch'egli sentiva. Giulietta invece, la quale, come accade alle
fanciulle virtuose, aveva, dopo il matrimonio, preso a voler più bene
che mai all'uomo che aveala fatta sua, rimase profondamente mortificata
di questo cambiamento; ma col riserbo misto di dignità ch'era il fondo
del suo carattere non si faceva scorgere, o chiudeva in sè il suo
dolore. Tanto inesperta da non prevedere ciò che era avvenuto, ella
non sapeva per anco, a malgrado della sua intelligenza, scoprire i
mezzi di ripararvi. Non sapeva ancora che, mescolandosi agli studî ed
alle aspirazioni di suo marito, divenendo un valido sussidio de' suoi
lavori, ella avrebbe potuto riafferrare quell'amore che le fuggiva. Le
afflizioni senza lamento non hanno nemmeno la soddisfazione d'essere
intese dagli altri, o, se sono intese, porgono un facile appiglio a chi
vuol far le viste di non avvedersene. Chi non si lagna non soffre, dice
l'egoista, e chi ha la vita troppo affollata di occupazioni è spesso
egoista. Il tempo, che è la stoffa del lavoro e della produzione,
è anche la stoffa dei sentimenti. Se chi nulla fa nulla aggiunge al
capitale materiale della società, chi non riposa mai non aggiunge nulla
al suo capitale di gentilezza e di simpatia. A ciò gli economisti non
hanno pensato.
Non erano corsi due mesi dalle nozze, che Alberto e Giulietta vivevano
in un'orbita diversa: egli tutto inteso a' suoi studî; ella in una
solitudine malinconica che lasciava libero campo ai pellegrinaggi
della sua fantasia. Quantunque non ne andasse pazza, avrebbe gradito
i piaceri delle sue coetanee, i teatri, le feste, i convegni geniali;
ma suo marito o non aveva agio di condurvela, o conducendola, si
rincantucciava con tanto di muso in modo da toglierle tutto il
divertimento. Nondimeno ella avrebbe potuto passarsene. Spirito culto,
riflessivo, tranquillo, ella anelava essenzialmente a quella felicità
che nasce dal continuo ricambio d'impressioni e di pensieri tra due
persone che si apprezzano e s'amano, e, sposandosi, aveva creduto che
questa felicità non dovesse mancarle. Veggendosi delusa nella sua
aspettazione, si sentiva simile a chi s'accorge a mezzo il cammino
d'avere smarrito la via, nè sa qual nuovo sentiero debba prendere per
arrivare alla mèta. Intanto compieva da sè la manchevole educazione del
chiostro, faceva disordinatamente, febbrilmente, accatastando lettura
su lettura, gli studî ch'ella aveva sperati comuni con suo marito. Già
libri non ne mancavano nella sua nuova dimora.
Aveva, più che le abitudini, gl'istinti dell'eleganza, e abbenchè
uscisse di rado assai, era sempre accuratissima nel vestito e
nell'acconciatura. Questa sua innata eleganza ella aveva saputo
infondere non in tutta la casa, ma in uno stanzino che era il suo
nido, il suo tempio. Era uno stanzino appartato del primo piano,
a cui si giungeva anche per una scaletta laterale che da un andito
contiguo metteva in giardino. Le pareti d'un azzurro chiaro erano
fregiate di stucchi bianchi, e pure a stucchi era il palco leggiermente
arcuato.... —
La signora Anna si scosse e chiese: — O come sapete voi tutti questi
particolari?
— Oh bella! Me gli ha detti l'amico. Ma vi prego di non farmi perdere
il filo del racconto. La finestra del gabinetto (ve n'era una sola,
ma grande) dava sul giardino cinto da un muro basso e di là dal quale
erano altri giardini più vasti, più signorili, con bellissimi abeti.
In un punto la verdura era men fitta e lo sguardo indovinava un ampio
orizzonte. I mobili.... debbo parlare anche dei mobili?
— Come siete noioso! Lasciateli lì i mobili, e venite al punto.... O
se non volete venirci presto, smettiamo, chè già capisco che non val la
pena di continuare.
— Via, non v'impazientite. L'avete forse udita già questa storia? A
ogni modo dovete stare ai patti e lasciarmi dire. Sarebbe la prima
volta che manchereste alla vostra promessa.
— È vero. Proseguite, ma senza digressioni.
— Sarà difficile, perchè non è mio costume. La mia fantasia va
sempre caracollando e non mai di galoppo. Ella ama far sosta qua e
là, e cogliere i fiori pendenti dagli arbusti lungo la via: le corse
precipitose alla Mazeppa non son fatte per lei.... Però torniamo a
bomba, lasciando stare i mobili. Vi chiedo grazia soltanto per una
biblioteca d'acero a lustro, piccina, graziosa, elegante, che era
l'altare di quel tempietto, tutto silenzio e raccoglimento. La giovane
vi teneva i suoi libri, una cinquantina di volumi al più, ma scelti
e legati con ottimo gusto. Ed ella stava lì soletta le lunghe ore
del giorno, ora leggendo, ora fantasticando alla finestra, certa,
o quasi, di non veder giungere suo marito fino all'ora del pranzo.
Visite ne faceva poche, e quindi poche ne riceveva, perchè le era
troppo tedioso il sentirsi dire che una sposina non doveva fare una
vita così ritirata, e perchè abborriva da quel sistema comodissimo che
hanno tante mogli di lasciare sparlar dei loro mariti senza negar nè
assentire.
Il mio amico, che abbiamo detto di chiamar Ugo, non abitava la medesima
città, ma veniva di tratto in tratto a visitare il suo compagno di
studî, ed era accolto festosissimamente anche dalla Giulietta, che
vedeva una volta tanto una faccia aperta e gioviale. In quelle sue
visite, che non solevano durar più di tre o quattro giorni, egli
alloggiava sotto il tetto di Alberto, portandovi un soffio di vita,
un'eco del mondo esterno, a cui quella casa pareva chiusa del tutto.
Ugo era elegante, frequentava i teatri, le conversazioni, e quindi non
gli mancavano mai argomenti da discorrere. Figuratevi! Erano quelli i
tempi della Pasta e della Malibran, della _Norma_ e dell'_Otello_. La
Giulietta, che amava tanto la musica, non aveva mai potuto persuader
suo marito a uscir per una settimana da quella loro misera cittadina
di provincia e condurla a vedere gli spettacoli della capitale. Onde,
quando Ugo gliene parlava, ella sentiva venirsi l'acquolina in bocca, e
pendeva da' suoi labbri con una curiosità piena di commozione. Non c'è
da maravigliarsi di questa parola. A' quei tempi in Italia i trionfi
musicali destavano un vero entusiasmo. Lo dissi già prima: non c'erano
che due cose da fare: o cospirare, o divertirsi; o andare in carcere, o
andare al teatro.... semprechè non si preferisse di andare in entrambi
i luoghi. Alberto chiamava frivolezze questi discorsi; ma, in ogni
modo, poichè egli aveva ottimo cuore, riceveva l'amico suo a braccia
aperte, e quando questi gli diceva a quattr'occhi ch'egli aveva torto
a trascurare sua moglie, giovane, bella, adorna di tutte le virtù,
gli dava un mondo di ragioni, scusandosi soltanto col pretesto delle
sue mille faccende e della serietà de' suoi studî. Comunque sia, la
presenza d'Ugo, ch'era forse uomo un po' leggiero, ma certo vivacissimo
e pronto d'ingegno, era una vera provvidenza per quella casa. Per la
Giulietta egli non provava che una viva amicizia, e poi la sincera e
devota affezione che lo legava ad Alberto avrebbe soffocato nell'animo
di lui ogni altro sentimento. Quanto maggiore la sicurezza, tanto
maggiore la confidenza: confidenza fraterna, e quasi infantile.... Io
non capisco, mia cara amica, perchè andiate agitandovi sulla seggiola,
mentre non mi sembra di dir cosa che sia o possa parervi sconvenevole
punto. Perciò vi supplico che ve ne stiate buona e tranquilla, poichè
la mia eloquenza, per mantenersi, vuole il raccoglimento dell'uditorio.
— Siete un grande originale, — rispose la signora Anna, sorridendo
fuggevolmente. — E se vi déssi una tazza di tè, non mi risparmiereste
la seconda metà della vostra storia?
— Accetto la tazza, ma continuo. —
La signora Anna diè una scrollatina di testa come se volesse dir
nuovamente: _Che matto!_ e versò il tè al suo lepido interlocutore.
— Un giorno — riprese il signor Maurizio tra un sorso e l'altro — il
mio amico arrivò inatteso in casa d'Alberto, e quindi più festeggiato
che mai. Si deliberò di fare pel dì vegnente (ch'era una domenica)
una gita a una villa poco discosta, e si passò la sera pregustando il
divertimento del domani. La Giulietta non era mai stata più ilare, nè
Alberto più espansivo, nè Ugo più amabile....
— Ve l'ha detto lui?
— Sicuro!
— Beati gli uomini franchi!
— Il mattino del dì appresso (era in primavera avanzata, poco importa
il mese) Ugo fu in piedi all'ora stabilita, e fece la sua _toilette_
con grande accuratezza e sollecitudine vicino alla finestra aperta
della sua stanza che dava anch'essa sopra il giardino. Faceva un
bellissimo tempo: però l'orizzonte non era tutto sereno, e qualche
nube percorreva il cielo con insolita rapidità a simiglianza di persona
affaccendata. La moda di quarant'anni addietro, e voi lo sapete meglio
di me, non era la moda dell'anno 1870, e se il mio amico vi comparisse
dinanzi acconciato nella foggia di quel dì, voi non potreste certo
trattenere una sonora risata. Un cappello di paglia con cupola alta
e larghe tese orizzontali, un vestito color caffè con le maniche
attillatissime e col bavero di smisurata altezza, una cravatta bianca
che si attortigliava al collo come il serpente del Laocoonte, e che
scendeva a riempire tutto lo sparato del panciotto chiaro di fondo
e stampato di gran fioroni gialli, un paio di calzoni d'una tinta
sentimentale stretti alla gamba, ecco a un dipresso il figurino del
mio amico in quel giorno memorabile. E in quel giorno, ve lo assicuro
io, egli era bello, e aveva ben ragione di sorridere guardandosi
nello specchio. La giovinetta che acquista la coscienza della propria
bellezza non può vincere un vago presentimento di arcani pericoli, e
in mezzo all'orgoglio del sapersi regina chiede talvolta a sè stessa
se il suo scettro non sarà bagnato di lagrime. Nei mille occhi che
l'affisano, nelle mille labbra che si muovono a susurrarle una parola
gentile, ella indovina un'insidia al suo pudore, alla pace dell'animo
suo; insidia che tanto più la sgomenta, quanto più le versa nel
cuore un'incognita voluttà. L'uomo invece, a torto o a ragione, non è
assalito da questi scrupoli: l'avvenenza è per lui un dono che non ha
mistura d'amarezza; un sorriso non gli fa salire i rossori sul volto;
uno sguardo non gli fa chinare la fronte. Nel suo aspetto raggiante è
la gioia del dominio o la certezza della conquista; sulla sua bocca sta
il grido di Schiller: — _Ich bin ein Mann, wer ist es mehr?_ Io sono un
_uomo_, chi tal è più di me? —
Ecco ciò che Ugo, contemplandosi nello specchio, andava in quel mattino
ripetendo a sè medesimo.
Mise il capo fuori della finestra, aspirò a larghi sorsi l'aria
frizzante della campagna, e cominciò a solfeggiare la deliziosa romanza
dell'_Anna Bolena_:
Oh! non voler costringere
A finta gioia il viso,
Son belle le tue lagrime
Siccome il tuo sorriso,
con quel che segue. Proprio sotto la sua finestra un'imposta si aprì, e
un bel visino arrovesciato apparve sul davanzale. Era Giulietta.
— Bravissimo! — sclamò la giovane con quella sua vocina melodiosa ed
insinuante.
— Oh diamine! già vestita, — rispose Ugo balzando subitamente, senza
saperne il perchè.
— Ma certo; e già nel mio santuario, — soggiunse Giulietta, accennando
al suo gabinetto da lavoro e da studio. — Quegli che non è pronto è
Alberto, il quale, per miracolo, vuol terminare una scrittura prima di
partire. Anzi dovreste fare una bella cosa, andare a sollecitarlo voi
stesso; già a me non mi abbada. — Guardò l'orologio e disse: — Sono
le sette e mezzo. Mi pare che bisognerebbe mettersi in carrozza fra
un'ora. Andate, andate. — Fece un cenno garbato col capo, sorrise in
modo da mostrare, certo senza volerlo, una doppia fila di denti candidi
come l'avorio, e sparì.
Vi sono cose curiosissime a questo mondo. Ugo aveva visto Giulietta
un centinaio di volte, e la gli era sembrata, come a tutti, un'assai
avvenente donnina: ma, bella come in quel momento, egli non l'aveva
trovata mai. Del resto, bella o brutta, egli non ci aveva che fare. Si
guardò un momento nello specchio, e scorse un leggiero rossore diffuso
sulle sue guance; onde divenne ancora più rubicondo, perchè arrossì
di avere arrossito. Nondimeno, obbediente al comando ricevuto, fece in
quattro salti le scale, e andò nello studio dell'amico.
Alberto era difeso da un intero sistema di fortificazioni. Aveva
dinanzi a sè un tavolino, su cui i libri stavano ammonticchiati
l'uno sull'altro sino ad altezze portentose; ai lati due scaffali
pieni anch'essi di libri e di scartafacci. La poderosa persona era
sprofondata in una scranna a bracciuoli assai bassa e larga, foderata
di pelle nera, e tre o quattro sedie appoggiate al tavolino con le
due gambe anteriori all'aria come persone svenute costituivano le
opere avanzate della fortezza. Alquanto miope, egli teneva la testa
china in modo da toccar quasi col naso la carta; con le dita sudicie
d'inchiostro si carezzava i capelli che parevano acquistare a poco a
poco dimensioni spropositate come il can barbone di Fausto.
Ugo non potè trattenersi dal ridere, quando entrò nella stanza. Ma
Alberto non si scompose punto, e rivolto all'amico: — Vuoi udire —
gli disse — questo brano d'una Memoria sulla legislazione mineraria
che debbo mandare stasera all'_Antologia_ di Firenze? Io muovo dalla
considerazione che il possessore del soprassuolo....
— Senti, — interruppe Ugo, — la tua considerazione sarà giustissima;
ma mi pare che non sarebbe mal fatto di rimandare la legislazione
mineraria ad un altro giorno, e di disporsi alla partenza. Si fa, o non
si fa questa gita?... Ebbene: che cosa c'è?
— Nulla, nulla, — rispose Alberto, sollevando alquanto il capo e
ravviando la chioma disordinata; — penso alla grande mutazione che si è
fatta in te da qualche tempo a questa parte. Tu non ti appassioni più
per niente, e basta discorrerti di una questione seria, perchè tu mi
scappi di mano come un'anguilla. O dove sono i bei giorni, nei quali
si passavano insieme lunghe ore a ragionare de' nostri studî? Allora
si trovava pur la maniera di vincere il tuo scetticismo. Lasciatelo
dire.... tu ti sciupi, l'aria della città ti fa male, la vita elegante
ti ammazza l'intelligenza, gli amici scipiti ti riducono al loro
livello.... —
Così dicendo tuffò la penna d'oca nel calamaio, e poi la portò con
tanto impeto sulla carta che ne cadde una grossa goccia d'inchiostro,
la quale imbrattò tutto il foglio. Con la rapidità del lampo, Alberto
vi corse sopra con la lingua, lo che finì col dare a quella macchia
l'aspetto di una stella cometa.
— Grazie pe' miei amici, che sono, o erano almeno, anche i tuoi, —
disse Ugo con un grande inchino. — E a proposito di che mi fai questa
patetica perorazione? Io capito qui a ricordarti un impegno che hai
preso iersera con me e con Giulietta.... capito anzi per ordine di
lei... —
Alberto fece una piccola smorfia col labbro, tantochè l'altro
soggiunse: — Non ti darà noia, spero, a sentir parlar di tua moglie?
— Hai ragione, hai ragione: il torto l'ho io che mi sono ammogliato....
E non mica per lei — continuò poscia in un tuono di onesto candore....
— non mica per lei che è un angiolo, ma per me che non ero fatto
pel matrimonio. Ho bisogno di studiare, ho bisogno di farmi una
riputazione.... altro che di andare a spasso con donne. —
La signora Anna si morse le labbra, e proruppe: — Proprio così diceva?
— Proprio così? Vi fa maraviglia forse?
— Punto, punto: continuate. —
Il signor Maurizio non se lo fece ripetere un'altra volta, e riprese: —
Ma Ugo era invece un uomo estremamente compìto, e lascio pensare a voi
se rimproverò il suo amico di queste sue parole. Fatto si è che, a capo
di cinque minuti, Alberto, che s'era ritto in piedi ed era uscito fuori
delle sue fortificazioni, pose una mano sul braccio di Ugo (che la
sbirciò con inquietudine per vedere s'ella fosse sporca d'inchiostro)
e concluse così il suo discorso: — Fammi questo piacere; sinchè io
termini di scrivere, e in meno d'un'ora spero d'essere sbrigato, va
a tener compagnia alla Giulietta, e pregala che mi scusi, e dille che
dopo verrò con voi altri, e staremo tutta la giornata di buon umore. E
non si parlerà più di cose serie.... —
Le ultime parole furono proferite spingendo leggiermente Ugo verso
l'uscio, tantochè questi capì l'antifona, e se la svignò.
Egli si avviò per un corridoio che conduceva ad un salottino, dal
salottino passò in un'altra stanza, ascese pochi gradini, e si
trovò dinanzi a un gabinetto che aveva l'uscio aperto. Era quello il
soggiorno preferito da Giulietta. Ella sedeva con un libro in mano
volgendo il dorso alla porta in modo da non poter vedere chi entrava.
Però, al suono dei passi d'Ugo, girò rapidamente la testa, e si fece
rossa, e disse: — Oh! siete qui?
— Appunto; e non dovevo rendervi conto della mia ambasciata?
— È vero: e dunque?
— Vuol finire un lavoro, ma promette che in un'ora sarà sbrigato. —
Giulietta scrollò leggiermente le spalle in atto di impazienza,
mormorando: — Sempre così. —
Vi fu un momento di silenzio, durante il quale Ugo fisò uno sguardo
abbastanza lungo sulla simpatica donnina. «Vergini e spose, griderei
io, se per avventura fossi un predicatore, diffidate degli sguardi
lunghi. Gli occhi che cominciano a guardare con curiosità finiscono
a guardare con desiderio; e allora....» Ma qui non siamo in chiesa, e
posso risparmiarvi il sermone. Vi dirò piuttosto che la mia Giulietta,
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