Racconti e bozzetti - 17

Egli mi si accostò e mi susurrò nell'orecchio: — Adelaide, quanto sei
migliore di me! — Poi ricadde nella sua incertezza, e soggiunse in
tuono di domanda: — Non è meglio discorrergli subito?...
— Ma sì, ma sì, — risposi mal dissimulando la mia impazienza. — Usciamo
per carità da queste angustie. —
Si avviò con passo deciso, ma prima di richiuder l'uscio dietro a sè,
mi rivolse ancora la parola: — Non ti sgomenterai se mio padre fa un
po' di strepito. Ha un carattere tanto bisbetico!... —
E senz'attendere altra risposta s'incamminò rapidamente verso il
quartierino ch'era assegnato alla sua famiglia.
Quando fui sola mi gettai sul canapè nascondendo la faccia tra i
guanciali. Sino da quel punto tutto era finito per me. Nel turbamento,
nelle incertezze di Gustavo io vedevo scritta la mia sentenza. Io
ero giovane, non avevo quell'abitudine dell'abnegazione onde uno
s'immola quasi senza avvertirlo: io sentivo la grandezza del sacrificio
compiuto, e mi pareva che l'uomo destinato ad esser mio sposo dovesse
pagarmi largo tributo di entusiasmo e di ammirazione. Nel caso suo,
io sarei caduta ai piedi di chi mi si fosse rivelato capace di tanto;
avrei detto: Questa donna non mi reca più una fortuna, ma essa mi
scopre il tesoro del suo cuore; nel caso suo avrei provato un senso
d'orgoglio nel farla mia a malgrado di mio padre, di tutti. L'affetto
vero non teme la lotta: esso forse la cerca e giganteggia in mezzo agli
ostacoli. Ma Gustavo aveva paura; bisogna ben dirla questa parola,
per quanto aspra ella sia, egli aveva paura della rampogna paterna.
E nell'ora che io m'aspettavo di vederlo deliberato a combattere
col proponimento di vincere, lo scorgevo invece timido, incerto,
oscillante, chiedente a me inspirazioni e consigli. Oh Lina! e ci
dicono il sesso debole?
Non so quanto io rimanessi così. So che alla fine l'impazienza mi
vinse, e provai il bisogno di scacciare con commozioni forse più tristi
e violente i pensieri che mi tormentavano. Uscii della stanza, dopo
aver preso meco le funeste cambiali ch'io dovevo restituire a mio
padre. Tant'era ch'io mi aprissi pienamente seco. Io avevo appena messo
piede in un salottino, sul quale riuscivano le camere dei miei suoceri
quando una porta si spalancò e ne uscì Gustavo con gli occhi stravolti,
con la chioma disordinata, con un pallore di morte sul viso. Quando
avvertì la mia presenza, mi si gettò incontro esclamando: — Che hai tu
fatto, Adelaide?
— Il mio dovere, — risposi risoluta.
Io non avevo ancora terminate queste parole, quando comparve il padre
di Gustavo, altrettanto infiammato nel volto quanto suo figlio era
pallido.
— Ah! siete qui, signorina, — egli gridò in tuono brutale; — voi che
avete aspettato d'aver preso il merlo alla rete prima di rivelargli che
appartenete ad una famiglia rovinata. —
V'era tanta sfrontatezza in quest'affermazione, ch'io sollevai il capo
sdegnosamente senza rispondere.
Però anche Gustavo sentì che suo padre aveva soverchiato la misura, e
disse vivamente: — Questa è una menzogna.
— Sì, sì, — riprese l'altro senza scomporsi; — ma intanto si vorrebbe
ch'io dessi il mio consenso al matrimonio di Gustavo con la figliuola
d'uno spiantato....
— Non ve ne date pensiero, — interruppi; — è Adelaide che ritira il suo.
— Che dici mai? — esclamò Gustavo avvicinandomisi.
— O Gustavo, — gli risposi con amarezza, — la vostra facondia l'avete
lasciata ieri al Tribunale di Torino: per difendere una donna colpevole
avete trovato accenti che non sapete più trovare per difendere la
vostra fidanzata. Siete sempre così, voi avvocati: avete l'eloquenza
del sofisma, non quella dell'affetto. Andatevene, andatevene, o
Gustavo, Adelaide vi ha reso la vostra parola....
— No, Adelaide, tu deliri, — egli proruppe; — io solo sono padrone
della mia volontà, e saprò farla trionfare. —
Vi confesso la mia debolezza. Ho fin da bambina tanto usato e abusato
del verbo _volere_, che mi accostumai a crederlo la parola più nobile
del dizionario. Un uomo che dice _voglio_ si è sempre rialzato al mio
cospetto, e perciò questo lampo inaspettato d'energia nel linguaggio di
Gustavo mi aveva racceso un fioco lume di speranza nell'anima.
— Ah! si pretende fare la volontà propria, — gridò il vecchio con
piglio ironico, — si pretende ribellarsi. Va benone; ma allora il
signorino penserà anche a trovarsi una casa propria, a mantenersi da
sè.... La dev'esser bella davvero con le sue abitudini da sibarita,
con la sua delicatezza; oh! la dev'esser bella a vederlo misurare le
spese con la sua signora consorte e abituarsi alle privazioni... Alle
privazioni, lui! Povero grullo. Via, datti pace, le non son virtù per
te, cresciuto fra due guanciali. Oh! recitare un discorsone da far
piangere i sassi, scrivere un paio di colonne su quei fogli di carta
sporca che si chiaman giornali, questo sì lo saprai fare; ma lavorare
per vivere come ho fatto io nella mia gioventù, ma patire.... via,
levatela dal capo.... Se non ti mancassero che le frutta a tavola,
sarebbe anche troppo per te.... —
Guardai in viso Gustavo. Io temevo che insulti sì bassi e triviali
gli facessero smarrire la ragione e dimenticare che l'insultatore
era suo padre. Io temevo di vederlo slanciarsi contro l'uomo che lo
feriva nella sua dignità, e che aggiungeva il sarcasmo all'offesa.
Ma Gustavo era impassibile. Le sue membra tremavano, le sue labbra si
erano contratte; però egli non si lasciò sfuggire nè un accento, nè un
gesto.... In verità io non capisco gli uomini, talora audaci fino alla
temerità, talora timidi fino alla vigliaccherìa.
Nondimeno ignoro se Gustavo si sarebbe scosso, quando apparve mio padre
attratto dal suono di quell'alterco. Io sentii, più che non vedessi,
i suoi occhi fissi in me per interrogarmi, e corsi a lui dicendogli: —
Babbo, usciamo di qui, la dignità di entrambi lo vuole.
— No, — egli rispose con fermezza, quantunque una tremenda ansietà
gli fosse dipinta nel volto, — no; a me occorre sapere prima di tutto
la cagione di questo diverbio nel mattino d'un giorno di nozze. E
se s'insulta mia figlia, _nè altri sorge a difenderla_, — e calcò su
queste parole ch'erano rivolte a Gustavo, — non voglio mancare io al
mio dovere. —
Ciò ch'io paventavo sopra tutto, accadde. Il vecchio sordido ed
egoista, che avrebbe dovuto diventare mio suocero, si svincolò da
Gustavo che voleva trattenerlo e avanzandosi di qualche passo, e
gestendo furiosamente, urlò a piena gola:
— Ve lo dirò io di che si tratta, o signore. Gli è ch'io non voglio
esser vittima d'una truffa; gli è ch'io non voglio consentire al
matrimonio di Gustavo con la figlia d'un fallito.
Rinuncio a descrivervi la scena che successe. Mio padre cadde fulminato
sopra una seggiola. Gustavo accorse in suo aiuto, ed egli lo respinse,
non volendo vicino altri che me. I servi, quali col pretesto di portar
soccorso, quali senz'altra scusa che la curiosità, si affollarono
nella stanza. Era comparsa allo spiraglio dell'uscio anche la madre di
Gustavo in gran cuffia coi nastri color di rosa e abito di seta verde,
senza decidersi nè a venire innanzi nè a ritirarsi, combattuta com'era
tra l'istinto femminile e la paura del marito che le faceva segno di
rientrare. Nel mentre che io spruzzavo d'acqua la fronte di mio padre,
andavo susurrandogli con rotti accenti: — No, babbo, sai? non sei
fallito.... È una vile menzogna.... Fui informata di tutto e ho salvato
tutto.... —
Egli si scosse, e sollevandosi con mezza la persona sulla sedia, e
afferrandomi per le braccia: — Hai salvato tutto!... tu?... Ma come?...
Spiegati.... —
Io mi liberai a fatica da quella stretta e trassi di tasca le cambiali,
aggiungendo: — Il Miragli è pagato.
— Pagato? — egli riprese — ma da chi? — Ebbe una subitanea intelligenza
della cosa, e presami per mano con un movimento convulso, nervoso: —
Saresti tu forse? — egli gridò con voce tremante per la commozione....
E perchè io non facevo motto, soggiunse: — Tu che ti saresti rovinata
per me? Adelaide, dimmi che non è vero, che non può esser vero....
— Ne parleremo più tardi, — risposi. — Ora ripiglia l'usata
tranquillità.... —
Ma mio padre non mi lasciò finire, e fattosi innanzi per modo che io
sentivo l'ardor della sua fronte.... — Tu non lo neghi, — proruppe,
— dunque è così, dunque io ho spezzato il tuo avvenire, dunque tu
sei povera?... Ora, ora intendo ogni cosa. — Ma io non lo permetterò
giammai,... io ricorrerò al Tribunale contro siffatta mostruosità. Chi
abusò della tua buona fede dovrà pagarne il fio....
— No, padre mio, — dissi con accento tranquillo e sicuro, — no; nessuno
abusò di me, io non fui ingannata da nessuno. Il Tribunale non potrebbe
trovar la menoma irregolarità in ciò ch'io feci, perchè operai sempre
d'accordo col notaio Anastasi.
— Col notaio! — gridò mio padre fuori di sè. — Ah sciagurato! —
Questa rivelazione parve produrre sull'animo suo un effetto ancora
maggior della prima, ed egli si abbandonò ad una collera, di cui io non
sapevo intendere la ragione. Si alzò per rientrare nella sua stanza,
ma le gambe non fecero l'ufficio loro, e convenne sostenerlo. Non volle
però, cosa incredibile, nemmeno esser sorretto da me, e si appoggiò al
braccio di un vecchio servo di famiglia. A un tratto si volse indietro,
e: — Che cosa fate qui? — chiese a Gustavo e a suo padre. — Questa non
è casa per voi, è la casa di un uomo rovinato. —
Gustavo gli si avvicinò con piglio sommesso, dicendo: — Voi mi
giudicate male, signor Giorgio. —
Un amaro sorriso sfiorò le labbra di mio padre, che non si degnò
nemmeno rispondere; ma soggiunse: — E dire che mia figlia lo amava
tanto! —
Io seguivo macchinalmente mio padre lungo gli anditi che conducevano
alla sua stanza, lo seguivo oppressa, sbalordita dalle commozioni
accumulate sull'animo mio, simile a chi dopo una grave caduta sente
un dolore per tutta la persona, ma non sa ancora discernere che membro
abbia contuso o ferito.
Prima ch'io giungessi alla soglia della stanza paterna, sentii una mano
toccarmi leggermente la spalla. Era Gustavo.
— Adelaide, — egli mi disse, — puoi tu credere ch'io ti lasci
così? Puoi credere che il nostro bel sogno sia svanito per sempre?
Io partirò, ma per poco; io partirò per farmi uno stato libero,
indipendente, per poter offrirti una casa _mia_, ove _nessuno_ osi
insultare alla santità del tuo sacrificio, alla grandezza della tua
povertà. Adelaide, mi aspetterai, mi ridonerai la tua stima?... —
Io sentivo scorrermi per le vene una insperata dolcezza; ma fui forte,
e risposi:
— Gustavo, voi lo sapete, io vi ho reso la vostra libertà.... —
Egli mi pose vivamente una mano sulle labbra, è interruppe: — No,
Adelaide, non parlarmi così. Dammi ancora del _tu_, come quando mi
amavi, come un'ora fa. Oh! non volgere gli occhi altrove. Non sono
poi tanto colpevole. Dio buono! È egli possibile che un'ora sola abbia
distrutto un amore come il nostro? —
Non dissi parola, ma le lagrime che mi scendevano giù per le gote
attestavano la mia debolezza. Egli era là presso di me, l'alito del
suo respiro si confondeva col mio, la mia mano aveva tentato invano di
sottrarsi alla sua, un bacio ardente sfiorò la mia bocca.... Mi scossi
svincolandomi dalle sue braccia, e accennando a Gustavo che partisse,
sclamai: — A rivederci. —
Egli si portò alle labbra la mia mano che teneva stretta, e col volto
raggiante mi disse: — Grazie, Adelaide, a rivederci. —
Si dileguò. Immobile dietro i cristalli della finestra vidi la carrozza
che lo conduceva lontano.... Intorno a me era un silenzio di morte;
solo la neve a piccoli fiocchi gelati flagellando i vetri dava un suono
simile al battito di un orologio.... Uno strato candidissimo copriva
il davanzale della finestra e i tetti delle case circostanti....
le guglie acuminate del Duomo tutte vestite di bianco spiccavano
fantasticamente sul cielo grigio e uniforme.... Nella via sottoposta
la gente affaccendata passava e ripassava senza strepito alcuno....
pareva come un muoversi d'ombre in un mondo di sogni.... Oh! certo io
sognavo.... Era quello il mio giorno di nozze, il mio giorno di festa e
di trionfo?... Avevo io inteso veramente echeggiare le stanze d'insulti
e di minacce brutali?... Il mio sposo era egli veramente partito?...
Eppure io sentivo ancora sulle labbra il suo bacio, e mi suonava
nell'orecchio la sua voce amorosa....
Io andavo vaneggiando così, quando intesi chiamarmi a nome: — Adelaide,
povera Adelaide! —
Mi volsi in sussulto, staccandomi dalla finestra. Era il notaio
Anastasi. Le lagrime che mi si erano cristallizzate negli occhi
irruppero a un punto e m'abbandonai a un pianto sfrenato. Caddi nelle
braccia dell'amico fedele, e obbedendo al mio pensiero dominante,
esclamai in mezzo ai singhiozzi: — Oh! tornerà, sapete, tornerà.
— Sì certo, Adelaide, — egli mi rispose con dolcezza; — ma vostro
padre? —
Mio padre! Io l'avevo dimenticato. Ed egli febbricitava nella stanza
vicina.

III.
Il mio racconto è ormai così lungo, che mi conviene stringerne le fila
e non discendere a troppo minuti particolari. Non vi dirò adunque dello
scompiglio della mia casa in quel giorno, finito tanto diversamente
da ogni ragionevole previsione; non vi dirò delle chiose petulanti
dei servi, delle indiscrete ambasciate dei maligni, delle visite
inesorabilmente rispinte, dei regali rinviati ai donatori, delle tavole
levate prima d'imbandirle, dei pretesti con cui tentammo coprire
il vero e far credere che si trattasse soltanto di una brevissima
proroga, non vi dirò nulla di tutto ciò; chè la vostra imaginazione può
formarsene un'idea e indurre quello che dovesse passarmi nell'animo.
Nondimeno, come accade assai spesso, i miei pronostici della vigilia
non s'erano avverati. O sommamente felice, o misera sommamente, era
stato il mio presagio. Ebbene, la fortuna, pur volgendomi avversa, non
mi aveva tolto ogni raggio di speranza; tant'è vero che il cuore umano
assai di rado ha disseccate le fonti del conforto, e, come il naufrago
all'alghe, s'aggrappa ai più deboli appoggi per non sommergere affatto.
Io ho osservato che la logica rigida ed inflessibile ci abbandona nella
pratica della vita, ed è gran ventura, perchè essa ci condurrebbe agli
estremi nei nostri atti e nei nostri sentimenti. La contraddizione
qualche volta ci salva da noi medesimi: essa è l'ultimo nostro rifugio,
quando il dolore ci uccide, o la fatalità ci trascina alla colpa.
Disprezzare, odiare il mio sposo, s'egli esitava a farmi sua per
la mutata fortuna, ecco ciò ch'io avevo creduto agevole e naturale.
Stolta! Non si disprezza e non si odia così presto, quando si è amato
davvero. Il cuore si ribella contro questo proposito della volontà, e
lungamente e tenacemente resiste, e co' suoi mille artifizî scompiglia
gli argomenti della ragione. Pensando a Gustavo, e potete immaginarvi
ch'io vi pensavo sempre, io non ne rammentavo la perplessità, le
indecisioni colpevoli, non ne rammentavo la timidezza codarda al
cospetto della brutale arroganza paterna; ma ne ricomponevo con la
fantasia le ultime parole e le carezze prima di lasciarmi, quando, in
fine, nessuno lo costringeva a promettermi ciò che non avesse in animo
di mantenere. Io sentivo che non era abbastanza, sentivo che Gustavo
non era più l'uomo che avanzava per me tutti gli altri, e nondimeno io
volevo riacquistar la mia fede, volevo sperare. Una lettera di Gustavo
ricevuta il giorno dopo la catastrofe era discesa come un balsamo sulle
mie piaghe: un mese addietro avrei desiderato molto di più, un mese
addietro quella lettera mi sarebbe parsa troppo concisa, troppo fredda,
ma il dolore è tanto meno esigente quanto è più grande.
Sennonchè io avevo ben altre cagioni d'affanno. Lo stato di mio
padre m'angustiava fuor di misura. Egli non sapeva perdonarmi di
averlo salvato a spese della mia felicità, ed era poi inesorabile
verso il notaio Anastasi. Quello ch'io feci per riconciliarlo con
l'uomo, il quale aveva mostrato tanta abnegazione, tanto affetto per
noi, è incredibile. Eppure andò molto prima che le mie sollecitudini
riuscissero a buon fine, e spesso mi accadde di dover ricevere io
sola il notaio, perchè mio padre rifiutava di vederlo. Il povero
Anastasi, avvezzo a riguardare la casa nostra come casa sua, avvezzo
ad esservi accolto a braccia aperte, non sapeva darsi pace di così
ingiusto trattamento, e se ne doleva meco e mi rimproverava quasi di
avergli usato violenza. Nondimeno egli occupavasi alacremente della
liquidazione de' nostri affari.
E qui era per me una sorgente di umiliazioni giornaliere, continue.
V'è qualche cosa assai più doloroso che l'esser poveri: è il divenir
tali, è il dover rinunciare ad uno ad uno a tutti quegli agî della
vita, che la lunga consuetudine ci fa credere altrettante necessità.
La sostanza di mio padre bastava a supplire ad ogni suo debito, ma
ad un patto soltanto, quello cioè di dare a tal uopo tutto il nostro
avere, di vendere ciò che avevamo più caro. La nostra bella casa di
Milano, le nostre carrozze, i nostri cavalli, il nostro villino sul
lago, pieno per me di ricordanze soavi a un tempo ed amare, erano tanti
amici, da cui faceva mestieri staccarsi. Mi ricordo sempre le lagrime
che ho versato, quando il notaio mi annunziò la vendita della villa,
dicendomi che se aveva qualche oggetto che mi stesse più a cuore,
potevo andarmene a prenderlo. Egli mi accompagnò nella mestissima
gita, e invero io avevo bisogno di qualcheduno che mi desse coraggio,
tanto ero divenuta negli ultimi tempi impressionabile e sensitiva.
Era sullo scorcio d'aprile. I tepidi fiati di primavera avevano già
desta la natura sopìta, e le pendici ammantate di verde, e i giardini
odorosi di fiori facevano bella mostra di sè sul morbido specchio
del lago incantevole. Ella era lì la bianca casetta testimonio de'
miei giuochi, confidente del mio amore; ella era lì sul suo piccolo
promontorio vestito di muschi, e pareva protendersi per veder meglio
la barca che le riconduceva ancora una volta l'ospite antica. Le
imposte erano tutte spalancate, e alcuni uomini andavano disponendo
sopra il terrazzo i vasi di limoni che avevano passato l'inverno
nello stanzone degli agrumi. Quando toccai la riva, visitatrice
inattesa, fu un grido di meraviglia: — La signorina, la signorina! —
Tonio, il vecchio giardiniere, mi corse incontro, e mi baciò la mano,
tentando dirmi chi sa quante cose, ma non riuscendo ad aprir bocca
per la commozione. L'ispido cane di guardia si mise a scuotere con
tale violenza la sua catena, e a mettere un guaìto così lamentevole,
che convenne scioglierlo e lasciarlo venire a farmi festa. Grande e
grosso com'era, mi seguiva sommesso come un pulcino, alzando di tratto
in tratto i suoi occhioni verso di me, quasi volesse interrogarmi.
Percorsi in silenzio tutto il giardino, sospingendo col piede i
ciottoli degli ombrosi sentieri, ove avevo tante volte passeggiato
con _lui_, riposandomi sui rustici sedili di legno, ove sì spesso ci
eravamo soffermati insieme in soavi colloquî, contemplando la superba
_magnolia_, i cui fiori giganteschi, agitati dal vento d'autunno,
avevano versate sul nostro capo sì deliziose fragranze; mi trattenni
un quarto d'ora, indovinate davanti a che? davanti a una lunga fila
di formiche che, traversando diagonalmente un piccolo viale, andavano
e venivano frettolose da due punti ignoti del pari per me. Dacchè io
villeggiavo sul lago, avevo veduta quella singolare processione, che
m'era stata sempre oggetto di curiosità e di maraviglia. Un giorno,
passando di là con Gustavo, egli mi aveva descritto assai per disteso
i costumi di quei mirabili insetti, e adesso io richiamavo al pensiero
l'istruzione ricevuta. Mossami alfine, salii nella casa, e rividi
la mia nitida stanza di vergine e la contigua cameretta da studio,
intorno alla cui finestra s'arrampicava una pianta d'oleandri fioriti,
e il salottino co' suoi vetri a colori che davano al giardino sì
vaghi e fantastici aspetti, col suo pianoforte, sul quale stavano i
quaderni di musica ammonticchiati l'uno sull'altro, con le sue belle
litografie appese alle pareti; indi ridiscesi, e visitai la cucina
e il pollaio. Il giardiniere mi pregò che entrassi un istante nella
sua abitazione, ove sua moglie malaticcia avrebbe voluto vedermi, e
avendo io acconsentito all'inchiesta, non vi so dire che dimostrazioni
d'affetto mi facesse la povera donna. L'assisteva la più giovane delle
sue figliuole, una ragazza che contava due o tre anni meno di me, e a
cui io aveva insegnato a leggere e a scrivere. Lasciò per un minuto
la madre, e corse a prendere i suoi scartafacci per mostrarmi che,
anche me assente, si manteneva in qualche esercizio. — O signorina, —
soggiunse congiungendo le mani, — quanto, quanto le debbo! E adesso chi
ripasserà le mie lezioni? — Abbi pazienza, — risposi, — anche i nuovi
padroni piglieranno a volerti bene. — Fece una smorfia col labbro e
crollò le spalle in segno d'incredulità; poi, passandosi la mano sugli
occhi, riprese: — Oh! chi l'avrebbe potuto prevedere? — La malata le
fece segno che tacesse, ed io uscii di là dopo aver voluto a ogni costo
lasciare un piccolo ricordo a lei e alla figliuola.
La nostra villa era stata venduta con tutte le sue suppellettili; ma
il notaio Anastasi, nello stipulare il contratto, mi aveva riservato il
diritto di ritirarne qualche oggetto, che, senza avere un valore reale
pei nuovi proprietarî, avesse per me un valore morale grandissimo.
Presi cose di poco pregio, come reliquie di un passato irrevocabile....
Oh! io avrei voluto portar meco le piante, i sassi, le aiuole di
quel mio paradiso! Tonio un po' imbarazzato, un po' confuso e tenendo
il cappello per la falda e facendolo andare attorno fra le due mani
come una girandola, mentre io mi disponevo alla partenza, mi disse: —
Signorina, forse sono troppo ardito, ma ho pensato.... ho creduto che
non le spiacerebbe portar seco un altro ricordo del giardino. Un bel
vaso di geranî, di quelli, sa? che abbiamo piantato l'anno scorso....
l'ho messo da parte per lei.... sicchè.... se crede.... lo collochiamo
in barca. — E vedendo ne' miei occhi il più ampio consenso alla sua
gentile richiesta, si allontanò un paio di minuti, e fu tosto da me col
magnifico vaso di fiori.... — Che bel colore, non è vero? — soggiunse,
esaminando la pianta con compiacenza d'artista. — Io credo che a
cinquanta miglia d'intorno non vi siano geranî simili a questi. — Indi
col passo d'un giovane di venticinqu'anni scese alla riva, e gettatosi
in barca vi accomodò il suo tesoro, raccomandando ai remiganti che
lo tenessero d'occhio e non lo urtassero col piede. Ci allontanammo
rapidamente. Udii ancora per qualche minuto il vecchio cane abbaiare
sulla scalinata, ravvisai il giardiniere e la sua figliuola che
sporgevano con la persona dal parapetto del terrazzo per accompagnarmi
più lontano con lo sguardo; poi la sponda si ripiegò su sè stessa,
e la barca, che andava via via costeggiando, perdette di vista la
villa. — Addio, mio bel lago, — potevo esclamare anch'io come Renzo e
Lucia, quando solcavano le acque di Lecco, — addio, pendici ridenti,
addio, montagne incoronate di nubi, addio, isolette confortate dal
profumo degli aranci e dei cedri; forse vi vedrò ancora, ma l'anima
infantilmente serena che s'inebbriò al vostro aspetto, ma l'anima
innamorata che vi confidò i suoi battiti più segreti, ma l'antica
Adelaide è morta e nessuno potrà farla risorgere... —
Il mio viaggio era compiuto; io avevo, mesta pellegrina, risalutato il
mio tempio, ed ora mi attendevano nuovi fastidî e nuove amarezze.
— Siete più forte di quello che crediate voi stessa, — mi disse il
notaio Anastasi, allorchè, il giorno seguente, mi ricondusse alla mia
casa in Milano. — Abbiate coraggio; chi la dura la vince. —
Intanto, anche in Milano convenne ridursi in un'abitazione più conforme
al nuovo stato. Non più i soffitti dipinti, non più le pareti a
stucco, non più le porte con fregî dorati, non più i morbidi tappeti.
Or tutto era decente, ma modesto e dimesso, e le poche mobiglie di
lusso, che rammentavano lo sfarzo di un tempo, nuocevano alla simmetria
dell'insieme.
Nella nuova casa come nell'antica, nel nuovo come nell'antico stato,
la mia volontà faceva legge, e mio padre, che anche quando aveva piena
la sua energia e il suo vigore non attentava al mio scettro domestico,
ora poi si lasciava dirigere in ogni cosa da me. Io ripagavo l'autorità
che m'era concessa con un assiduo tributo di cure, di sollecitudini, di
previdenze. A ventiquattr'anni si può cangiare abitudini e sfidare le
strettezze e i disagî; ma una esistenza non si ricomincia a sessanta,
non si avvezza l'animo alle privazioni nell'età che si fanno più
sentire i bisogni.
Quando, mercè l'opera infaticabile del notaio Anastasi, fu condotta
a termine la liquidazione dei nostri affari, e i creditori di mio
padre ebbero incassato fino all'ultimo centesimo, ci rimase del gran
naufragio una sostanza di cinquantamila lire. Era più assai ch'io non
avessi sperato; era un'esistenza, se non comoda, almeno tranquilla,
assicurata a mio padre. Ma qui io aveva contato soverchiamente sul mio
potere.
Mio padre aveva un'idea fissa; rifarmi la dote. Approfittando del
poco capitale che gli era rimasto, delle sue estese relazioni e del
credito che non poteva mancargli dopo sì evidenti prove d'integrità,
egli voleva slanciarsi novellamente negli affari e ritentar la
fortuna. Questa sua deliberazione mi faceva terrore. Allorchè si può
contrapporre alle cresciute difficoltà la baldanza della giovinezza,
è lecito ripromettersi il buon successo; ma come sperarlo quando si va
alla battaglia con lo spirito e con le membra affralite? L'esperienza
non basta. Ella insegna talvolta ad evitare gli scogli, ben di rado
ci guida nel porto, ella ci toglie le illusioni, ma non ci assicura
il trionfo. Che non feci e non dissi per rimuovere mio padre dal
suo proposito? In altri tempi l'alleanza del notaio mi sarebbe
stata preziosa, ma l'Anastasi non godeva più in casa mia dell'antico
credito: si diffidava di lui, perchè egli aveva cooperato a salvarci
dal disonore e dalla rovina. Certo questa del babbo era una grande
ingiustizia, nè io potevo non riconoscerlo, sebbene mi fosse facile
intendere ch'ella dipendeva da uno sviscerato amore per me e dalla
pietà del mio destino compromesso così da quanto era accaduto.
Comunque sia, le mie esortazioni non valsero, e mio padre vinse il
suo punto, e tornò ad aprire il suo banco. Ma, Dio buono, quanto le
cose erano diverse da prima, come tutto procedeva lento e stentato,
come gli affari erano tardi a ravviarsi! Io ne discorrevo sovente con
l'Anastasi, che crollava il capo sfiduciato. — È una nobile idea quella
di vostro padre, — egli diceva, — ma ci vorrebbero vent'anni di meno
per condurla ad effetto. Forse non ci sarebbe che un modo; ma io sono
uno scimunito, ed è inutile parlarne. —
E per quanto io insistessi, non potevo cavargli una sillaba di più.
Solo una volta egli soggiunse: — Può darsi che venga un giorno, in cui
ve lo dica. —
Ma bisogna pure ch'io torni a favellarvi del mio amore. Esso si era
trasformato, ma, quale pur fosse, non occupava il mio cuore meno
di prima. Ora c'era dentro un po' d'orgoglio offeso, e quindi un
po' di puntiglio e di amarezza, e la mia pertinacia nello sperar la
vittoria s'accresceva della sfiducia e della disapprovazione degli
altri. Anzi io non so dirvi nemmeno se la mia fede fosse tutta vera
e spontanea; poichè il mio animo era sempre in guardia contro tutti e
contro sè stesso. _Tornerà_: ecco la parola ch'io avevo pronta sulle
labbra ad ogni inchiesta che mi fosse rivolta, ad ogni sguardo che
m'interrogasse.
Le lettere di Gustavo giungevano non sempre puntuali, ma pure
abbastanza frequenti. Talora erano brevi, ma egli si scusava con le
occupazioni che gli crescevano in mano e ch'egli non poteva trascurare,
perchè ne andava di mezzo il nostro avvenire. Io pensavo che, s'egli
era così occupato, non ci sarebbe poi voluto tanto a conquistarsi
questo benedetto stato ed a farmi sua; ma se io gliene scrivevo, egli
trovava sempre una buona ragione per tirare in lungo la faccenda.
Non bisogna farsi una famiglia se non si è in grado di farla vivere