Racconti e bozzetti - 10
quello nella onesta giovialità del carattere, e nella squisita bontà
che avea comune con esso. Non vedeva che cogli occhi del suo Vittorio,
e perciò se gli altri si sgomentarono del suo arrivo, Vittorio non se
ne sgomentò punto, conscio che i suoi desiderî erano legge al padre
suo. Il signor Antonio, che così nomavasi, sapeva benissimo che in casa
Mauri v'erano due ragazze da marito; ma sapeva anche che vi si trovava
una cugina non priva di dote, e non gli sarebbe spiaciuto che, se il
suo figliuolo doveva innamorarsi, s'innamorasse almeno di quella che
aveva quattro soldi da parte, invece che della Matilde, la quale, senza
sua colpa, era, come dicono, al verde. Sicchè vi furono, e più forse
che Vittorio non se l'aspettasse, obiezioni, prediche, paternali, musi
lunghi tre palmi, e soprattutto un certo ritornello, che al giovane
non faceva punto buon sangue: — Ma perchè non ti sei innamorato di
quell'altra? — Però, alla fine dei conti, il signor Antonio non volle
smentire la riputazione dei padri di commedia, e diede il consenso.
La cosa doveva rimaner segreta per qualche tempo, ma figuratevi!
tutti la sapevano già prima che avvenisse. Allora si centuplicarono
le congratulazioni, le visite, i rinfreschi, e nella casa si fece
quel brio, quel movimento che s'accompagnano sempre cogli sponsali
d'una ragazza. Prima i regali del fidanzato, poi un andirivieni di
scatole d'ogni misura, con pizzi e oggetti di biancheria pel corredo,
ed ora c'era da attendere alla crestaia, ora alla modista, o che so
io. Quanto al danaro, era Vittorio che lo provvedeva in gran parte;
e per procurarselo, gli convenne ricorrere allo strattagemma di far
credere a suo padre di avere vecchi debiti da saldare. Il buon uomo
strepitava, s'imbestialiva, dava dello scapestrato a Vittorio; ma poi
rabbonivasi, e, secondo il solito, finiva col pagare, dicendo: — Io li
guadagno e tu li mangi, bemobile che sei. — L'umiliazione reale era per
la famiglia Mauri, ma il solo signor Bernardo la sentiva profondamente:
la signora Clara non davasene nemmeno per intesa; la Nella aveva ben
altro pel capo, occupata com'era a un dotto parallelo fra gli uomini
maturi e i giovinastri della giornata, e quanto alla Matilde, o non
se n'accorgeva, o faceva le viste di non se ne accorgere. L'Amalia si
rimpinzava di dolci, e se ne metteva anche nelle tasche del vestito
per portarne all'Angelina, la quale scendeva molto mal volentieri nel
salotto comune. E siccome a proposito dell'Angelina e di Vittorio mi
aspetto dai lettori un nugolo di domande, così piglio fiato e rispondo.
XIV.
Vittorio si trovava verso l'Angelina nel difficile stato d'un uomo
che ha fatto un _fiasco_. Ora le ripulse di questo genere possono
avere due conseguenze affatto opposte. O stuzzicano la vanità e, se la
passione è viva e profonda, ne raddoppiano il vigore e fanno quindi
rinnovare gli assalti, o lasciano nell'animo quel po' di ruggine che
viene dall'esserci mostrati deboli verso qualcheduno che non si cura di
noi. Una dichiarazione d'amore, quando non riesca, ha sempre un lato di
ridicolo; una donna che non volle esser complice, può sempre divenire
accusatrice, ed è per lo meno una testimone importuna dei nostri
momenti di oblio. È certo che se null'altro fosse sopraggiunto nella
sera che l'Angelina respinse l'amore offertole, Vittorio non avrebbe
levato l'assedio, ma strettolo anzi con inesorabile pertinacia. Ma il
trambusto avvenuto dipoi aveva mutato corso alle sue idee e a' suoi
sentimenti: l'affetto vivissimo che gli destava la Matilde, i non dubbî
segni della riconoscenza e della tenerezza di lei, avevano dato una
nuova piega al suo animo. Più che il desiderio del trionfo lo premeva
il rancore del torto avuto, e tutto ciò convertivasi in un manifesto
imbarazzo nel suo trattare con l'Angelina. La poveretta se ne avvedeva,
e non saprei davvero se la riuscita più che compiuta de' suoi disegni
l'aveva messa di troppo buon umore. Ciò ch'ella aveva promesso di fare
verso la Matilde, ella l'aveva fatto lealmente, l'aveva fatto a prezzo
della sua sincerità ch'ella avea cara più d'ogni cosa al mondo, l'aveva
fatto a prezzo de' suoi sentimenti più intimi, e non era bastato a
smuover Vittorio. Che importava che il caso volesse metterci la sua
zampa e far nascere tutto quel parapiglia? Non era una crudeltà della
fortuna questo congiurare a' suoi danni?
Vi son certi sacrificî che si compiono con animo risoluto, appunto
perchè ci seducono con la loro grandezza. Il bisogno di raccogliere
tutta la nostra energia per uno sforzo supremo, e la voluttà di
vincere, sempre potente anche quando si vinca a danno di sè medesimi,
impediscono ne' primi istanti che il dolore ne soverchi. Ma quando s'è
riportato il trionfo, nè dura più la febbrile ansietà della lotta, e
il sacrificio compìto non reca mai un eguale tributo di riconoscenza,
oh! allora comincia davvero lo scoramento; allora una indefinita
tristezza s'impadronisce dell'anima nostra. Così avvenne all'Angelina.
L'era bastata la forza a domare la sua passione nascente, ella aveva
potuto perorare la causa di un'altra; ma adesso ella non si sentiva
da tanto di assistere allo spettacolo di una felicità che le costava
tutte le speranze dell'avvenire. La felicità è cieca come l'amore: a
simiglianza del fanciullo che folleggiando per la campagna calpesta le
macchie di fiori, ella procede nel suo cammino spensierata e obliosa,
e non si cura di ciò che schiaccia sotto i suoi piedi, o di ciò che
offende con la clamorosa allegria. La Matilde non aveva altro in
bocca che l'amor suo, e di questo ragionava con l'Angelina e de' suoi
disegni per l'avvenire, oh! quanto diversi da quelli che l'Angelina
s'era formati nel segreto del suo cuore a' dì beati, in cui ella pure
inebbriavasi in un sogno d'amore. Alla Matilde non sorrideva l'idea
della vita campestre, ed ella sperava d'indurre il suo Vittorio a
trasferirsi in città, ove col suo ingegno avrebbe potuto farsi un nome
e uno stato, e, chi sa? diventar col tempo un personaggio importante,
forse forse prefetto. Poi, seguendo i capricci della sua fantasia,
saltava a discorrere del suo vestito di nozze, mettendo sul tappeto
la grave questione se convenisse meglio ch'esso fosse di velo o di
_moire_, se con lungo strascico o senza. L'Angelina era sulle brage,
e quando la Matilde usciva, ella, cosa insolita, si sentiva sollevata
d'un peso e trovava almeno il refrigerio del pianto. E lì dalla sua
finestra mirava allontanarsi lungo il viale di platani la Matilde e
Vittorio, l'una al braccio dell'altro, col passo lieve ed elastico
di chi ha la letizia nell'animo e vede sparsa di rose la via. Quante
volte aveva anch'ella percorso quel viale a fianco di Vittorio, quante
volte gli sguardi e le parole di lui le avean fatto balenare innanzi
agli occhi i larghi orizzonti della felicità! Era appunto su quel
sentiero, era sotto quegli alberi, era presso a quell'argine, che
Vittorio le aveva fatto intendere di amarla, e ch'ella l'avea ributtato
armandosi d'una menzogna. Così, immobile, appoggiata al davanzale
del balcone, ella se ne stava senza parola lungo tempo dopo che i due
amanti s'erano dileguati, nè più si udiva il suono festevole delle loro
voci. Era allora che talvolta la sorprendeva lo zio, ed ella appena
sentiva muovere il saliscendi dell'uscio, si rasciugava gli occhi,
e componevasi alla più tranquilla cera del mondo. Non tanto però che
allo sguardo amorevole del signor Bernardo sfuggisse l'assidua cura,
da cui ell'era logorata. L'Angelina non diceva molto, non lagnavasi
mai, tentava distrarsi approfittando, più che non solesse una volta,
di alcuno fra gl'inviti che le faceano le sue discepole: eppure ella
dimagrava ogni giorno, ogni giorno si faceva più profondo il solco
del dolore sul suo pallido viso. Tutto rianimavasi in casa Mauri,
tutto aprivasi a una vita nuova; solo l'Angelina e il signor Bernardo
non ne sentivano gl'influssi. Ella cercava invano di farsi maggiore
dell'interno travaglio, egli dal soffrire di lei vedevasi tolta ogni
gioia per la contentezza della figliuola. Non v'era dubbio alcuno;
l'Angelina aveva amato Vittorio prima della Matilde. Ma qual rimedio a
sì malaugurato avvenimento? Appunto questa impossibilità del rimedio lo
turbava a mille doppî. Ed egli richiamava alla mente le raccomandazioni
del fratello e le lagrime della cognata al suo letto di morte, e gli
pareva udir la voce angosciosa di que' cari defunti chiedergli conto
della loro creatura. Oh! ma ella non gli serbava rancore, e se il
suo labbro aveva ancora sorrisi, erano per lui, e se aveva un resto
d'allegrezza nell'anima, lo serbava pei momenti de' loro colloquî.
Il signor Antonio, il padre di Vittorio, provava anch'egli un vivo
affetto per l'Angelina, e le dava la preferenza sulla sua futura nuora,
e continuava a maravigliarsi come Vittorio non si fosse innamorato di
lei. Sennonchè, a vederla così pallida, così affilata, gli veniva il
sospetto ch'ella godesse di mal ferma salute, e questa era una ragione
sufficiente a giustificare Vittorio.
Passarono le settimane, passarono i mesi. Vittorio, presa la laurea, si
assentò insieme col padre per preparare gli appartamenti alla sposa.
Erasi deciso che, almeno per qualche tempo, Vittorio dimorerebbe
nella sua villa, e i sogni della Matilde circa il soggiorno nella
capitale erano andati in fumo. Vittorio si trattenne lontano dalla
sua fidanzata quindici giorni, e ogni mattina il fattorino della posta
recava alla Matilde una bella lettera in carta color di rosa, profumata
di _patchouli_, ch'ella leggeva tutta d'un fiato, e di cui faceva
poi sentire frammenti all'Angelina, non senza riportarle fedelmente
i saluti che le mandava Vittorio. Un dì le lettere furono due: oltre
alla solita per la Matilde ve n'era una del padre di Vittorio pel
signor Bernardo. In quella lettera il signor Antonio offriva, senza
tanti preamboli, al futuro suocero del figlio suo una occupazione
commerciale di non grande rilievo, ma sufficiente a procacciargli di
che mantenere la sua famiglia, senza dover nulla a nessuno. Era una
improvvisata, che il lettore può immaginarsi se riuscisse gradita
ad un uomo corto sì, ma delicato e dabbene come il signor Bernardo.
Non potè a meno di correr subito dall'Angelina a confidarle la sua
esultanza, e a portare ai sette cieli la bontà e la rettitudine del
padre di Vittorio, che con la sua provvida offerta lo facea rinascere
a nuova vita e lo rendeva utile a qualche cosa. La commozione sincera
dello zio toccò l'Angelina: eppure, lo credereste? ripensandovi, ella
provò nell'anima più vivo che mai quel senso pauroso d'isolamento onde,
a suo malgrado, ella era da qualche tempo assalita. L'aiuto ch'ella
recava alla famiglia de' suoi congiunti era sempre uno stimolo alla
sua attività, e le avea fatto parer cento volte più belle le ore del
lavoro e della fatica. Persino le bizzarrie della signora Clara e della
sua primogenita ella subiva con ispirito sereno, allorchè, consultando
il suo cuore, sentiva rispondersi: — Tu paghi col benefizio il male
ch'altri ti fa. — Era orgoglio? Era egoismo? Volesse il cielo che tali
fossero tutti gli egoismi e tutti gli orgogli del mondo! Finchè in
casa Mauri v'erano dolori da lenire, confidenze da ricevere, consigli
da porgere, la presenza dell'Angelina aveva un valore, uno scopo;
ma adesso? La Matilde, la dolce amica d'infanzia, era sposa, ebbra
di contentezza e d'amore; l'Amalia, secondo il costume dell'età sua,
preferiva la vispa ilarità della sorella alla tranquilla, ma profonda
mestizia dell'Angelina, e il signor Bernardo, l'ultimo ad esultare di
quei lieti eventi domestici, s'era rasserenato pur esso all'idea di
ritornare alla onesta operosità del passato. Ella sola era malinconica,
ella sola era sventurata in mezzo ai felici, e le sembrava di non poter
essere agli altri che un imbarazzo, o un peso, o un rimorso. Andava
svogliata alle consuete lezioni, e le sue discepole già susurravano
che la non pareva più quella; non che si ristessero però dall'amarla,
tanto era dolce e buona e indulgente. Ma tutti dicevano: — L'Angelina
sta male, l'Angelina dovrebbe far una cura seria; — oppure: —
L'Angelina ha qualche grande affanno nascosto. — E l'affanno nascosto
la poveretta l'aveva, ma non era soltanto il suo amore sventurato:
era l'insieme del suo stato, era la solitudine del suo cuore. Nelle
nature squisitamente temprate come la sua, lo spirito di gran lunga
prevale alla materia, e la vita, per mantenersi, domanda con più
angosciosa insistenza l'alimento dell'anima che quello del corpo.
Era appunto l'alimento dell'anima che andava mancando all'Angelina,
e la vita le veniva meno per insufficiente ricambio d'affetti. Se
la Matilde fosse stata infelice, se la piccola Amalia avesse avuto
bisogno di lei, se il signor Bernardo fosse rimasto nel primiero
abbattimento, forse l'Angelina avrebbe vissuto, avrebbe vissuto per
loro. Ma così le mancava una mèta: non poter giovare significava per
lei non poter vivere. Oh! certo, il mondo è vasto, e fuori di casa
Mauri vi sarebbero state altre piaghe da rimarginare, altre lagrime da
tergere; ma dovevasi esigere che ella, a vent'anni, andasse di porta
in porta ad offrire il balsamo de' suoi conforti? Ella non chiudeva in
sè la tempra venturosa dell'eroina, la quale, più che per l'uomo, si
sacrifica per il genere umano: era sortita agli affetti domestici, alle
casalinghe abitudini. Perchè non aveva, come hanno le altre fanciulle,
una famiglia, di cui esser l'angelo tutelare; perchè, come l'altre
fanciulle, non l'era dato allegrarsi nella speranza d'un tetto, ove il
suo cuore si aprirebbe alle semplici gioie di sposa e di madre? Perchè
il disinganno l'aveva colta proprio alla soglia dell'esistenza?
Non era una malattia, su cui potesse arte di medico o virtù di
farmachi: l'Angelina finiva per una occulta stanchezza, per un
infiacchimento generale della persona. Chi l'aveva innanzi agli occhi
ogni giorno non accorgevasi di questo rapido deperire, ma chi la
vedeva dopo qualche intervallo n'era dolorosamente colpito. Vittorio,
reduce presso la sua fidanzata, mise l'inquietudine nella famiglia,
chè lo stesso signor Bernardo, per inquieto che fosse sul conto
della nipote, era ben lungi dal creder vicino il pericolo. L'Angelina
ricevette la visita del dottore senza stupore e senza sgomento, nè
si turbò vedendolo annuvolarsi in volto e manifestare nell'aspetto
una penosa incertezza. Quand'egli sedette al tavolino per iscrivervi
una ricetta, lo guardò con un mesto sorriso, e quando le portarono la
pozione ch'egli le aveva ordinata, la prese con indifferenza, come cosa
da cui non aveva nulla da sperare e nulla da temere. La Matilde, il
signor Bernardo e Vittorio fecero ressa intorno al medico per sentirne
i pronostici: ed egli, coscienzioso e sincero, disse che il male
dell'Angelina aveva per lui qualche cosa di arcano, che non v'erano
sintomi chiari, ma v'era una strana prostrazione di forze, di cui egli
non sapea dissimularsi la gravità. Chiese se vi potessero essere cause
morali a un tale abbattimento. Il signor Bernardo si scosse, ed era per
esporre il dubbio che da tanto tempo gli stava sull'anima; ma alzando
gli occhi vide la Matilde affisare con sì trepida ansietà il suo
fidanzato, che sentì compassione di lei, e l'amor paterno prevalse in
lui ad ogni altro affetto. Non isfuggì al dottore quell'imbarazzo, ma
da uomo accorto e discreto com'era, fece mostra di non avvedersene, e
disse soltanto: — Interrogherò la malata. — Vittorio lo accompagnò fino
all'uscio, ripetendogli: — La interroghi, la interroghi presto. — Egli
si ricordava delle parole misteriose proferite dall'Angelina nel suo
colloquio, e che sembravano accennare a un'occulta passione.
Da quel dì la stanza dell'Angelina era divenuta il convegno di
quasi tutta la famiglia Mauri. La buona giovinetta erasi trascinata,
finchè le forze glielo aveano concesso, nel salotto da pranzo; ma
ora il medico le aveva ordinato il più assoluto riposo, nè del resto
l'estrema debolezza le avrebbe concesso di scendere la scala. Passava
le ore del giorno in una sedia a braccioli, accurata nel vestito e
nell'acconciatura, e tanto più serena e tranquilla, quanto più il male
faceva progressi e quanto più nel volto degli altri s'esprimeva un
dolore disperato d'ogni conforto. Diceva di non soffrire, e forse era
vero, e alla Matilde e a suo zio che le stavano presso, non potendo
frenare le lagrime, stringeva teneramente la mano, e volgeva il più
amorevole de' suoi sorrisi. Ma nè dinanzi allo zio, nè alla Matilde,
nè al medico, che pur la interrogò con sottile artifizio, si lasciò
sfuggire un accento che tradisse il suo segreto.
E intanto ella affievolivasi sempre più, e se l'aria era un po' fredda,
e il tempo un po' umido, non si sentiva d'alzarsi e si tratteneva in
letto l'intera giornata. Alla sponda di quel letto era sempre il signor
Bernardo, e ogni momento le metteva la mano sulla fronte per sentirne
il calore, e la fissava con uno sguardo che vi straziava l'anima. Le
stava a' piedi una donna, una nostra antica conoscenza, la vecchia
Filomena, con certi occhi invetriati, con una certa immobilità nella
fisonomia, da mettere paura. Teneva le labbra strette che pareano
inchiodate, e le mani incrociate sulle ginocchia non si toglievano
da quella positura, se non per acconciare le coltrici della malata
o per porgerle da bere o per accomodarle meglio i guanciali sotto il
capo. Ogni due ore la Filomena senza dir parola, e si sarebbe creduto
impossibile in femmina tanto ciarliera, scendeva in cucina a preparare
ella stessa la minestra per la povera inferma, e in mezzo alle pentole
ritrovava un po' della sua antica eloquenza per bisticciar con la
fantesca di casa, la Teresa: poi risaliva muta come prima, soffiando
nel brodo della scodella. La Filomena non vedeva la sua padroncina
da oltre un anno, chè la sua smania di pettegoleggiare le aveva fatto
dar l'ostracismo; ma appena seppe l'Angelina malata, supplicò che le
fosse concesso di assisterla, ed ora vegliava dì e notte presso di
lei, reprimendo, pur di starle vicino, e l'angoscia che le strappava
il cuore, e quell'abitudine di discorrere, anche da sè sola, che le era
divenuta una seconda natura.
Mancavano poche settimane al termine fissato per le nozze di Vittorio
e Matilde, e già dibattevasi in famiglia se le si dovessero differire
a cagione dell'Angelina, quando l'inferma manifestò il desiderio di
parlare agli sposi. Fece la sua _toilette_ di malata con più cura del
consueto, ordinò alla Filomena che le accomodasse i capelli come soleva
una volta, s'acconciò sulle spalle e sul petto a guisa di sciallo un
fazzoletto di seta azzurra, e postasi a sedere e atteggiato il volto
al sorriso ricevette i due fidanzati, che le si presentavano innanzi
lagrimosi e compunti. Era soltanto il presagio dell'imminente sventura?
O era anche un senso indistinto d'inquietudine e di rimorso? Fu
l'Angelina che ruppe il silenzio.
— Non le differirete mica le vostre nozze, — diss'ella con accento
dolcissimo; — non lo permetterei a ogni modo, e poi.... non ve ne
sarà bisogno.... — E com'essi si peritavano a chiederle spiegazione
di questa frase: — Non ve ne sarà bisogno, — soggiunse, — perchè
l'Angelina non tira innanzi tanto.... Oh! via, non piangete, non fate
fanciullaggini.... Venite qui piuttosto, qui vicino a me. — Le si
appressarono col capo basso, con gli occhi gonfi di pianto. L'Angelina
pose la mano sulla spalla della Matilde: — Fatti animo, Matilde mia, tu
stai per diventar moglie, e il mio povero babbo mi diceva spesso che
le buone mogli devono presentarsi dinanzi ai loro mariti con aspetto
sereno. Una donna ilare è un tesoro inapprezzabile per una famiglia....
E voi, Vittorio, — riprese volgendosi al giovane, — amatela questa
mia buona Matilde. Siamo cresciute insieme, abbiamo durato insieme le
prove dell'avversità, e io vi posso dire ch'ella merita un'esistenza
men travagliata, e che di tutte le cure onde vorrete circondarla,
non ve n'è una, di cui ella non saprà compensarvi con l'amor suo. Oh!
Vittorio, promettetemi di amarla sempre e di fare quanto sta in voi per
renderla pienamente felice. —
Così dicendo staccò dalla spalla dell'amica la sua mano bianca,
affilata, e la stese verso Vittorio, che se la portò alle labbra e la
coperse di baci e di lagrime. Non proferì parola, ma il suo silenzio
era più espressivo d'ogni risposta.
La malata si colorò lievemente, gli occhi le brillarono d'un mesto
splendore, parve sorpresa da una commozione superiore alle sue forze,
e si lasciò ricadere sull'origliere. Però si ricompose prestissimo, e
dopo aver frugato sotto i guanciali, ne trasse un monile di granate a
due giri, da cui pendeva un piccolo medaglione d'oro. Lo pose al collo
della Matilde, che nell'eccesso del dolore appena era conscia di sè,
dicendole: — Eccoti il mio regalo di nozze. In quel medaglione troverai
de' capelli; son miei.... serbali per memoria dell'Angelina.... — La
Matilde, soverchiata dall'angoscia, cadde ginocchioni a piè del letto,
abbandonando il capo sulla coltrice, e rompendo in singhiozzi. Anche
Vittorio singhiozzava col viso nascosto fra le mani. Lungo le guance
pallide dell'Angelina scorrevano in silenzio le lagrime: v'era una
serenità celeste nel suo dolore.
Alcuni dì appresso la inferma volle alzarsi, e le sue gracili dita
corsero ancora una volta sui tasti del pianoforte. Sonò un concerto
della _Norma_, e veramente al mirarla coi capelli ondeggianti, con
la lunga veste bianca, con quel volto che aveva la trasparenza e il
color della cera, la si sarebbe detta una visione notturna dei boschi
druidici. Sull'imbrunire si coricò chiedendo che le si aprissero le
finestre per respirar l'aria della campagna. E così, contemplando il
sole che tramontava, inebbriandosi nell'odor delle viole di primavera
(che era appunto sul finir dell'aprile), esalò l'anima soavissima fra
le braccia dello zio e della vecchia sua Filomena.
La Filomena rimase come impietrata: convenne strappare a forza il
signor Bernardo dalla stanza della defunta, perch'egli non voleva a
verun costo abbandonare quella tepida salma.
Sulla scrivanìa dell'Angelina fu trovata una lettera, con cui ella
disponeva della sua modesta sostanza. D'un terzo lasciava erede la
Filomena: destinava gli altri due terzi all'Amalia, con espressa
condizione che il capitale fosse messo a frutto sino al momento, in cui
la fanciulla andasse a marito.
Un mese dopo successero le nozze di Vittorio e Matilde; nè mai più
mestamente si compì la solenne cerimonia. I pochi convenuti notarono
nel volto di entrambi gli sposi i segni di una cura profonda, e tutti
furono maravigliati del pianto dirotto, in cui proruppe il signor
Bernardo, allorchè la figliuola si pose in dito la gemma nuziale.
Sulla veste bianca della Matilde spiccavano, singolare ornamento, le
granate, ultimo dono dell'Angelina, quasi a ricordare quanta parte di
lutto offuscasse quella giornata. Soltanto la signora Clara e la Nella
parevano abbandonarsi alle più gradite impressioni: la signora Clara
esultava pensando che porzione della ricchezza della figliuola verrebbe
di riflesso su lei, e la Nella faceva gli occhietti a un impiegato
in pensione molto azzimato e coi capelli tinti e ritinti. L'Amalia
era malinconica e taciturna: anch'ella dolevasi nel suo cuoricino
dell'amica che non vedrebbe mai più.
_1867._
RIMEMBRANZE DEL CADORE.
I.
Una riga d'esordio. — La città di Vittorio. — Un panegirico
dell'acqua. — Due laghi. — Longarone e la Punta. — L'edificio di
seghe del Wiel. — Il bacino della Piave. — Codissago e le zattere.
— Castello e gli scalpellini. — Fine della sinfonia e principio
dell'opera.
_Conosci tu il paese dove fioriscono i cedri, e i belli aranci d'oro
splendono sotto il frascato?_ È questo il grido che il Goethe pose
sulle labbra della sua _Mignon_, e che fa tuttavia balzar di desiderio
i buoni Tedeschi sospiranti affannosamente tra le nordiche brume al
cielo sereno e al clima primaverile della nostra Italia, prediletta
figlia del sole.
Ma noi che i cedri li sappiamo a memoria, e i belli aranci d'oro li
sentiamo gridar per le vie a pochi centesimi l'uno, ci prenderemmo
volentieri lo svago di seguire un'altra _Mignon_ che ci dicesse:
_Conosci tu la terra degli abeti e dei larici, la terra ove lo
scrosciar del torrente si confonde collo strido dell'aquila?_ Ebbene,
o lettore, senza che tu esca d'Italia, tu puoi soddisfare questa
curiosità del tuo spirito. Io non sono certo una _Mignon_; pur mi ti
offro a compagno, e t'invito a venir meco in Cadore. Che tu abiti in
riva alle lagune o sui margini del Bacchiglione e del Brenta, che tu
sii avvezzo a contemplare il tramonto del sole dalla baia incantata di
Napoli o dai colli di San Miniato e di Fiesole; credilo a me, due o tre
giorni in Cadore ti lasceranno una gradita impressione.
Diamoci la posta in Conegliano, piccola, ma ridente città edificata sul
pendìo d'un poggio. La si direbbe mollemente seduta a bearsi dei raggi
del sole che la cingono di tepore e di luce. Io potrei parlarti del suo
Castello e del Castello Collalto, e delle leggende di spettri che vi si
uniscono, e dei ricordi di Gaspara Stampa e del suo amante infedele. Ma
il tempo è prezioso, e tiriamo innanzi.
A Conegliano bisogna abbandonare la strada ferrata che si dirige
verso il Friuli, e prendere la postale di Belluno. Una buona carrozza
ti conduce in un'ora a Ceneda, che ormai s'è congiunta con la vicina
Serravalle e forma, insieme con questa, la città di Vittorio. Ceneda
e Serravalle erano divise da ire antiche ed irreconciliabili, e il
non aver mai visitato il paese rivale era un titolo di patriottismo
per molti fra gli abitanti di ciascuna delle due ville. Le cagioni
di questi grandi sdegni io non le so, e a chi legge probabilmente non
importa saperle, ond'io posso astenermi dal visitare gli archivi, e dal
consultare gli eruditi del luogo; tanto più che con eroico proposito
le due borgate pensarono di seppellire i loro rancori in un felice
connubio, e rinunziarono al proprio nome per prenderne uno comune —
VITTORIO. — Che Vittorio sia per diventare la _Washington_ dell'Italia?
Non oserei fare pronostici. Sinora l'è una città lunga lunga, la quale
ti dà l'immagine di una biscia tagliata a mezzo e congiunta nelle sue
parti da alcuni sottili filamenti. E invero il non breve tratto di via
che correva fra Ceneda e Serravalle è pressochè deserto d'abitazioni,
se non fossero due edifizî che rendono testimonianza della unione, e
sono l'Ufficio postale ed il Municipio. Com'è naturale, per non far
torto a nessuna delle due frazioni, questi due edifizî pubblici sorgono
a giusta metà della strada, e danno agli abitanti la consolazione
di dover fare un viaggio per arrivarvi. Vi sono città popolate e
importanti, che per la loro conformazione topografica rendono poco
faticoso il percorrerle da un capo all'altro: Vittorio ha sciolto
felicemente l'arduo problema d'essere una città piccola e sottile di
popolazione, e di non permettere a un buon galantuomo di misurarla
a piedi nella sua lunghezza senza correr rischio di buscarci un
riscaldamento.
Chi non ha voluto saperne della unione si fu un vetusto cipresso che
sorgeva all'entrata di Serravalle. Conservatore come tutti i vecchi,
quand'egli ha visto cader le antiche barriere che separavano le due
rivali, ebbe un accesso di crepacuore e morì! Allorchè io passai di
là nel maggio, egli durava ancora in piedi per forza d'inerzia; ma ad
ogni occhio un po' esperto riusciva agevole lo scorgere che gli umori
vitali non iscorrevano più per le sue fibre irrigidite, e che l'opaco
manto delle sue foglie aveva perduto ogni freschezza. Forse oggi il
suo tronco ha già sentito la scure, e quei rami, alla cui ombra si
riposarono tante generazioni d'abitanti di Serravalle, gemono nel
camminetto d'un cittadino di Ceneda.... Ironie della sorte!
Su su per una via spalleggiata di portici bassi ed angusti, che
costituisce quasi tutto il paese di Serravalle, esci finalmente
all'aperto, e ti sembra d'uscire da uno spegnitoio per entrare in
mezzo alla luce. Già in tutti que' siti, ove la natura è veramente
pittoresca, le città mi hanno l'aspetto d'usurpatrici, a cui la
gioconda campagna dice con piglio burbanzoso — _levati dal mio sole_.
— Quei colori freddi, quegli orizzonti ristretti, quei rettilinei di
che avea comune con esso. Non vedeva che cogli occhi del suo Vittorio,
e perciò se gli altri si sgomentarono del suo arrivo, Vittorio non se
ne sgomentò punto, conscio che i suoi desiderî erano legge al padre
suo. Il signor Antonio, che così nomavasi, sapeva benissimo che in casa
Mauri v'erano due ragazze da marito; ma sapeva anche che vi si trovava
una cugina non priva di dote, e non gli sarebbe spiaciuto che, se il
suo figliuolo doveva innamorarsi, s'innamorasse almeno di quella che
aveva quattro soldi da parte, invece che della Matilde, la quale, senza
sua colpa, era, come dicono, al verde. Sicchè vi furono, e più forse
che Vittorio non se l'aspettasse, obiezioni, prediche, paternali, musi
lunghi tre palmi, e soprattutto un certo ritornello, che al giovane
non faceva punto buon sangue: — Ma perchè non ti sei innamorato di
quell'altra? — Però, alla fine dei conti, il signor Antonio non volle
smentire la riputazione dei padri di commedia, e diede il consenso.
La cosa doveva rimaner segreta per qualche tempo, ma figuratevi!
tutti la sapevano già prima che avvenisse. Allora si centuplicarono
le congratulazioni, le visite, i rinfreschi, e nella casa si fece
quel brio, quel movimento che s'accompagnano sempre cogli sponsali
d'una ragazza. Prima i regali del fidanzato, poi un andirivieni di
scatole d'ogni misura, con pizzi e oggetti di biancheria pel corredo,
ed ora c'era da attendere alla crestaia, ora alla modista, o che so
io. Quanto al danaro, era Vittorio che lo provvedeva in gran parte;
e per procurarselo, gli convenne ricorrere allo strattagemma di far
credere a suo padre di avere vecchi debiti da saldare. Il buon uomo
strepitava, s'imbestialiva, dava dello scapestrato a Vittorio; ma poi
rabbonivasi, e, secondo il solito, finiva col pagare, dicendo: — Io li
guadagno e tu li mangi, bemobile che sei. — L'umiliazione reale era per
la famiglia Mauri, ma il solo signor Bernardo la sentiva profondamente:
la signora Clara non davasene nemmeno per intesa; la Nella aveva ben
altro pel capo, occupata com'era a un dotto parallelo fra gli uomini
maturi e i giovinastri della giornata, e quanto alla Matilde, o non
se n'accorgeva, o faceva le viste di non se ne accorgere. L'Amalia si
rimpinzava di dolci, e se ne metteva anche nelle tasche del vestito
per portarne all'Angelina, la quale scendeva molto mal volentieri nel
salotto comune. E siccome a proposito dell'Angelina e di Vittorio mi
aspetto dai lettori un nugolo di domande, così piglio fiato e rispondo.
XIV.
Vittorio si trovava verso l'Angelina nel difficile stato d'un uomo
che ha fatto un _fiasco_. Ora le ripulse di questo genere possono
avere due conseguenze affatto opposte. O stuzzicano la vanità e, se la
passione è viva e profonda, ne raddoppiano il vigore e fanno quindi
rinnovare gli assalti, o lasciano nell'animo quel po' di ruggine che
viene dall'esserci mostrati deboli verso qualcheduno che non si cura di
noi. Una dichiarazione d'amore, quando non riesca, ha sempre un lato di
ridicolo; una donna che non volle esser complice, può sempre divenire
accusatrice, ed è per lo meno una testimone importuna dei nostri
momenti di oblio. È certo che se null'altro fosse sopraggiunto nella
sera che l'Angelina respinse l'amore offertole, Vittorio non avrebbe
levato l'assedio, ma strettolo anzi con inesorabile pertinacia. Ma il
trambusto avvenuto dipoi aveva mutato corso alle sue idee e a' suoi
sentimenti: l'affetto vivissimo che gli destava la Matilde, i non dubbî
segni della riconoscenza e della tenerezza di lei, avevano dato una
nuova piega al suo animo. Più che il desiderio del trionfo lo premeva
il rancore del torto avuto, e tutto ciò convertivasi in un manifesto
imbarazzo nel suo trattare con l'Angelina. La poveretta se ne avvedeva,
e non saprei davvero se la riuscita più che compiuta de' suoi disegni
l'aveva messa di troppo buon umore. Ciò ch'ella aveva promesso di fare
verso la Matilde, ella l'aveva fatto lealmente, l'aveva fatto a prezzo
della sua sincerità ch'ella avea cara più d'ogni cosa al mondo, l'aveva
fatto a prezzo de' suoi sentimenti più intimi, e non era bastato a
smuover Vittorio. Che importava che il caso volesse metterci la sua
zampa e far nascere tutto quel parapiglia? Non era una crudeltà della
fortuna questo congiurare a' suoi danni?
Vi son certi sacrificî che si compiono con animo risoluto, appunto
perchè ci seducono con la loro grandezza. Il bisogno di raccogliere
tutta la nostra energia per uno sforzo supremo, e la voluttà di
vincere, sempre potente anche quando si vinca a danno di sè medesimi,
impediscono ne' primi istanti che il dolore ne soverchi. Ma quando s'è
riportato il trionfo, nè dura più la febbrile ansietà della lotta, e
il sacrificio compìto non reca mai un eguale tributo di riconoscenza,
oh! allora comincia davvero lo scoramento; allora una indefinita
tristezza s'impadronisce dell'anima nostra. Così avvenne all'Angelina.
L'era bastata la forza a domare la sua passione nascente, ella aveva
potuto perorare la causa di un'altra; ma adesso ella non si sentiva
da tanto di assistere allo spettacolo di una felicità che le costava
tutte le speranze dell'avvenire. La felicità è cieca come l'amore: a
simiglianza del fanciullo che folleggiando per la campagna calpesta le
macchie di fiori, ella procede nel suo cammino spensierata e obliosa,
e non si cura di ciò che schiaccia sotto i suoi piedi, o di ciò che
offende con la clamorosa allegria. La Matilde non aveva altro in
bocca che l'amor suo, e di questo ragionava con l'Angelina e de' suoi
disegni per l'avvenire, oh! quanto diversi da quelli che l'Angelina
s'era formati nel segreto del suo cuore a' dì beati, in cui ella pure
inebbriavasi in un sogno d'amore. Alla Matilde non sorrideva l'idea
della vita campestre, ed ella sperava d'indurre il suo Vittorio a
trasferirsi in città, ove col suo ingegno avrebbe potuto farsi un nome
e uno stato, e, chi sa? diventar col tempo un personaggio importante,
forse forse prefetto. Poi, seguendo i capricci della sua fantasia,
saltava a discorrere del suo vestito di nozze, mettendo sul tappeto
la grave questione se convenisse meglio ch'esso fosse di velo o di
_moire_, se con lungo strascico o senza. L'Angelina era sulle brage,
e quando la Matilde usciva, ella, cosa insolita, si sentiva sollevata
d'un peso e trovava almeno il refrigerio del pianto. E lì dalla sua
finestra mirava allontanarsi lungo il viale di platani la Matilde e
Vittorio, l'una al braccio dell'altro, col passo lieve ed elastico
di chi ha la letizia nell'animo e vede sparsa di rose la via. Quante
volte aveva anch'ella percorso quel viale a fianco di Vittorio, quante
volte gli sguardi e le parole di lui le avean fatto balenare innanzi
agli occhi i larghi orizzonti della felicità! Era appunto su quel
sentiero, era sotto quegli alberi, era presso a quell'argine, che
Vittorio le aveva fatto intendere di amarla, e ch'ella l'avea ributtato
armandosi d'una menzogna. Così, immobile, appoggiata al davanzale
del balcone, ella se ne stava senza parola lungo tempo dopo che i due
amanti s'erano dileguati, nè più si udiva il suono festevole delle loro
voci. Era allora che talvolta la sorprendeva lo zio, ed ella appena
sentiva muovere il saliscendi dell'uscio, si rasciugava gli occhi,
e componevasi alla più tranquilla cera del mondo. Non tanto però che
allo sguardo amorevole del signor Bernardo sfuggisse l'assidua cura,
da cui ell'era logorata. L'Angelina non diceva molto, non lagnavasi
mai, tentava distrarsi approfittando, più che non solesse una volta,
di alcuno fra gl'inviti che le faceano le sue discepole: eppure ella
dimagrava ogni giorno, ogni giorno si faceva più profondo il solco
del dolore sul suo pallido viso. Tutto rianimavasi in casa Mauri,
tutto aprivasi a una vita nuova; solo l'Angelina e il signor Bernardo
non ne sentivano gl'influssi. Ella cercava invano di farsi maggiore
dell'interno travaglio, egli dal soffrire di lei vedevasi tolta ogni
gioia per la contentezza della figliuola. Non v'era dubbio alcuno;
l'Angelina aveva amato Vittorio prima della Matilde. Ma qual rimedio a
sì malaugurato avvenimento? Appunto questa impossibilità del rimedio lo
turbava a mille doppî. Ed egli richiamava alla mente le raccomandazioni
del fratello e le lagrime della cognata al suo letto di morte, e gli
pareva udir la voce angosciosa di que' cari defunti chiedergli conto
della loro creatura. Oh! ma ella non gli serbava rancore, e se il
suo labbro aveva ancora sorrisi, erano per lui, e se aveva un resto
d'allegrezza nell'anima, lo serbava pei momenti de' loro colloquî.
Il signor Antonio, il padre di Vittorio, provava anch'egli un vivo
affetto per l'Angelina, e le dava la preferenza sulla sua futura nuora,
e continuava a maravigliarsi come Vittorio non si fosse innamorato di
lei. Sennonchè, a vederla così pallida, così affilata, gli veniva il
sospetto ch'ella godesse di mal ferma salute, e questa era una ragione
sufficiente a giustificare Vittorio.
Passarono le settimane, passarono i mesi. Vittorio, presa la laurea, si
assentò insieme col padre per preparare gli appartamenti alla sposa.
Erasi deciso che, almeno per qualche tempo, Vittorio dimorerebbe
nella sua villa, e i sogni della Matilde circa il soggiorno nella
capitale erano andati in fumo. Vittorio si trattenne lontano dalla
sua fidanzata quindici giorni, e ogni mattina il fattorino della posta
recava alla Matilde una bella lettera in carta color di rosa, profumata
di _patchouli_, ch'ella leggeva tutta d'un fiato, e di cui faceva
poi sentire frammenti all'Angelina, non senza riportarle fedelmente
i saluti che le mandava Vittorio. Un dì le lettere furono due: oltre
alla solita per la Matilde ve n'era una del padre di Vittorio pel
signor Bernardo. In quella lettera il signor Antonio offriva, senza
tanti preamboli, al futuro suocero del figlio suo una occupazione
commerciale di non grande rilievo, ma sufficiente a procacciargli di
che mantenere la sua famiglia, senza dover nulla a nessuno. Era una
improvvisata, che il lettore può immaginarsi se riuscisse gradita
ad un uomo corto sì, ma delicato e dabbene come il signor Bernardo.
Non potè a meno di correr subito dall'Angelina a confidarle la sua
esultanza, e a portare ai sette cieli la bontà e la rettitudine del
padre di Vittorio, che con la sua provvida offerta lo facea rinascere
a nuova vita e lo rendeva utile a qualche cosa. La commozione sincera
dello zio toccò l'Angelina: eppure, lo credereste? ripensandovi, ella
provò nell'anima più vivo che mai quel senso pauroso d'isolamento onde,
a suo malgrado, ella era da qualche tempo assalita. L'aiuto ch'ella
recava alla famiglia de' suoi congiunti era sempre uno stimolo alla
sua attività, e le avea fatto parer cento volte più belle le ore del
lavoro e della fatica. Persino le bizzarrie della signora Clara e della
sua primogenita ella subiva con ispirito sereno, allorchè, consultando
il suo cuore, sentiva rispondersi: — Tu paghi col benefizio il male
ch'altri ti fa. — Era orgoglio? Era egoismo? Volesse il cielo che tali
fossero tutti gli egoismi e tutti gli orgogli del mondo! Finchè in
casa Mauri v'erano dolori da lenire, confidenze da ricevere, consigli
da porgere, la presenza dell'Angelina aveva un valore, uno scopo;
ma adesso? La Matilde, la dolce amica d'infanzia, era sposa, ebbra
di contentezza e d'amore; l'Amalia, secondo il costume dell'età sua,
preferiva la vispa ilarità della sorella alla tranquilla, ma profonda
mestizia dell'Angelina, e il signor Bernardo, l'ultimo ad esultare di
quei lieti eventi domestici, s'era rasserenato pur esso all'idea di
ritornare alla onesta operosità del passato. Ella sola era malinconica,
ella sola era sventurata in mezzo ai felici, e le sembrava di non poter
essere agli altri che un imbarazzo, o un peso, o un rimorso. Andava
svogliata alle consuete lezioni, e le sue discepole già susurravano
che la non pareva più quella; non che si ristessero però dall'amarla,
tanto era dolce e buona e indulgente. Ma tutti dicevano: — L'Angelina
sta male, l'Angelina dovrebbe far una cura seria; — oppure: —
L'Angelina ha qualche grande affanno nascosto. — E l'affanno nascosto
la poveretta l'aveva, ma non era soltanto il suo amore sventurato:
era l'insieme del suo stato, era la solitudine del suo cuore. Nelle
nature squisitamente temprate come la sua, lo spirito di gran lunga
prevale alla materia, e la vita, per mantenersi, domanda con più
angosciosa insistenza l'alimento dell'anima che quello del corpo.
Era appunto l'alimento dell'anima che andava mancando all'Angelina,
e la vita le veniva meno per insufficiente ricambio d'affetti. Se
la Matilde fosse stata infelice, se la piccola Amalia avesse avuto
bisogno di lei, se il signor Bernardo fosse rimasto nel primiero
abbattimento, forse l'Angelina avrebbe vissuto, avrebbe vissuto per
loro. Ma così le mancava una mèta: non poter giovare significava per
lei non poter vivere. Oh! certo, il mondo è vasto, e fuori di casa
Mauri vi sarebbero state altre piaghe da rimarginare, altre lagrime da
tergere; ma dovevasi esigere che ella, a vent'anni, andasse di porta
in porta ad offrire il balsamo de' suoi conforti? Ella non chiudeva in
sè la tempra venturosa dell'eroina, la quale, più che per l'uomo, si
sacrifica per il genere umano: era sortita agli affetti domestici, alle
casalinghe abitudini. Perchè non aveva, come hanno le altre fanciulle,
una famiglia, di cui esser l'angelo tutelare; perchè, come l'altre
fanciulle, non l'era dato allegrarsi nella speranza d'un tetto, ove il
suo cuore si aprirebbe alle semplici gioie di sposa e di madre? Perchè
il disinganno l'aveva colta proprio alla soglia dell'esistenza?
Non era una malattia, su cui potesse arte di medico o virtù di
farmachi: l'Angelina finiva per una occulta stanchezza, per un
infiacchimento generale della persona. Chi l'aveva innanzi agli occhi
ogni giorno non accorgevasi di questo rapido deperire, ma chi la
vedeva dopo qualche intervallo n'era dolorosamente colpito. Vittorio,
reduce presso la sua fidanzata, mise l'inquietudine nella famiglia,
chè lo stesso signor Bernardo, per inquieto che fosse sul conto
della nipote, era ben lungi dal creder vicino il pericolo. L'Angelina
ricevette la visita del dottore senza stupore e senza sgomento, nè
si turbò vedendolo annuvolarsi in volto e manifestare nell'aspetto
una penosa incertezza. Quand'egli sedette al tavolino per iscrivervi
una ricetta, lo guardò con un mesto sorriso, e quando le portarono la
pozione ch'egli le aveva ordinata, la prese con indifferenza, come cosa
da cui non aveva nulla da sperare e nulla da temere. La Matilde, il
signor Bernardo e Vittorio fecero ressa intorno al medico per sentirne
i pronostici: ed egli, coscienzioso e sincero, disse che il male
dell'Angelina aveva per lui qualche cosa di arcano, che non v'erano
sintomi chiari, ma v'era una strana prostrazione di forze, di cui egli
non sapea dissimularsi la gravità. Chiese se vi potessero essere cause
morali a un tale abbattimento. Il signor Bernardo si scosse, ed era per
esporre il dubbio che da tanto tempo gli stava sull'anima; ma alzando
gli occhi vide la Matilde affisare con sì trepida ansietà il suo
fidanzato, che sentì compassione di lei, e l'amor paterno prevalse in
lui ad ogni altro affetto. Non isfuggì al dottore quell'imbarazzo, ma
da uomo accorto e discreto com'era, fece mostra di non avvedersene, e
disse soltanto: — Interrogherò la malata. — Vittorio lo accompagnò fino
all'uscio, ripetendogli: — La interroghi, la interroghi presto. — Egli
si ricordava delle parole misteriose proferite dall'Angelina nel suo
colloquio, e che sembravano accennare a un'occulta passione.
Da quel dì la stanza dell'Angelina era divenuta il convegno di
quasi tutta la famiglia Mauri. La buona giovinetta erasi trascinata,
finchè le forze glielo aveano concesso, nel salotto da pranzo; ma
ora il medico le aveva ordinato il più assoluto riposo, nè del resto
l'estrema debolezza le avrebbe concesso di scendere la scala. Passava
le ore del giorno in una sedia a braccioli, accurata nel vestito e
nell'acconciatura, e tanto più serena e tranquilla, quanto più il male
faceva progressi e quanto più nel volto degli altri s'esprimeva un
dolore disperato d'ogni conforto. Diceva di non soffrire, e forse era
vero, e alla Matilde e a suo zio che le stavano presso, non potendo
frenare le lagrime, stringeva teneramente la mano, e volgeva il più
amorevole de' suoi sorrisi. Ma nè dinanzi allo zio, nè alla Matilde,
nè al medico, che pur la interrogò con sottile artifizio, si lasciò
sfuggire un accento che tradisse il suo segreto.
E intanto ella affievolivasi sempre più, e se l'aria era un po' fredda,
e il tempo un po' umido, non si sentiva d'alzarsi e si tratteneva in
letto l'intera giornata. Alla sponda di quel letto era sempre il signor
Bernardo, e ogni momento le metteva la mano sulla fronte per sentirne
il calore, e la fissava con uno sguardo che vi straziava l'anima. Le
stava a' piedi una donna, una nostra antica conoscenza, la vecchia
Filomena, con certi occhi invetriati, con una certa immobilità nella
fisonomia, da mettere paura. Teneva le labbra strette che pareano
inchiodate, e le mani incrociate sulle ginocchia non si toglievano
da quella positura, se non per acconciare le coltrici della malata
o per porgerle da bere o per accomodarle meglio i guanciali sotto il
capo. Ogni due ore la Filomena senza dir parola, e si sarebbe creduto
impossibile in femmina tanto ciarliera, scendeva in cucina a preparare
ella stessa la minestra per la povera inferma, e in mezzo alle pentole
ritrovava un po' della sua antica eloquenza per bisticciar con la
fantesca di casa, la Teresa: poi risaliva muta come prima, soffiando
nel brodo della scodella. La Filomena non vedeva la sua padroncina
da oltre un anno, chè la sua smania di pettegoleggiare le aveva fatto
dar l'ostracismo; ma appena seppe l'Angelina malata, supplicò che le
fosse concesso di assisterla, ed ora vegliava dì e notte presso di
lei, reprimendo, pur di starle vicino, e l'angoscia che le strappava
il cuore, e quell'abitudine di discorrere, anche da sè sola, che le era
divenuta una seconda natura.
Mancavano poche settimane al termine fissato per le nozze di Vittorio
e Matilde, e già dibattevasi in famiglia se le si dovessero differire
a cagione dell'Angelina, quando l'inferma manifestò il desiderio di
parlare agli sposi. Fece la sua _toilette_ di malata con più cura del
consueto, ordinò alla Filomena che le accomodasse i capelli come soleva
una volta, s'acconciò sulle spalle e sul petto a guisa di sciallo un
fazzoletto di seta azzurra, e postasi a sedere e atteggiato il volto
al sorriso ricevette i due fidanzati, che le si presentavano innanzi
lagrimosi e compunti. Era soltanto il presagio dell'imminente sventura?
O era anche un senso indistinto d'inquietudine e di rimorso? Fu
l'Angelina che ruppe il silenzio.
— Non le differirete mica le vostre nozze, — diss'ella con accento
dolcissimo; — non lo permetterei a ogni modo, e poi.... non ve ne
sarà bisogno.... — E com'essi si peritavano a chiederle spiegazione
di questa frase: — Non ve ne sarà bisogno, — soggiunse, — perchè
l'Angelina non tira innanzi tanto.... Oh! via, non piangete, non fate
fanciullaggini.... Venite qui piuttosto, qui vicino a me. — Le si
appressarono col capo basso, con gli occhi gonfi di pianto. L'Angelina
pose la mano sulla spalla della Matilde: — Fatti animo, Matilde mia, tu
stai per diventar moglie, e il mio povero babbo mi diceva spesso che
le buone mogli devono presentarsi dinanzi ai loro mariti con aspetto
sereno. Una donna ilare è un tesoro inapprezzabile per una famiglia....
E voi, Vittorio, — riprese volgendosi al giovane, — amatela questa
mia buona Matilde. Siamo cresciute insieme, abbiamo durato insieme le
prove dell'avversità, e io vi posso dire ch'ella merita un'esistenza
men travagliata, e che di tutte le cure onde vorrete circondarla,
non ve n'è una, di cui ella non saprà compensarvi con l'amor suo. Oh!
Vittorio, promettetemi di amarla sempre e di fare quanto sta in voi per
renderla pienamente felice. —
Così dicendo staccò dalla spalla dell'amica la sua mano bianca,
affilata, e la stese verso Vittorio, che se la portò alle labbra e la
coperse di baci e di lagrime. Non proferì parola, ma il suo silenzio
era più espressivo d'ogni risposta.
La malata si colorò lievemente, gli occhi le brillarono d'un mesto
splendore, parve sorpresa da una commozione superiore alle sue forze,
e si lasciò ricadere sull'origliere. Però si ricompose prestissimo, e
dopo aver frugato sotto i guanciali, ne trasse un monile di granate a
due giri, da cui pendeva un piccolo medaglione d'oro. Lo pose al collo
della Matilde, che nell'eccesso del dolore appena era conscia di sè,
dicendole: — Eccoti il mio regalo di nozze. In quel medaglione troverai
de' capelli; son miei.... serbali per memoria dell'Angelina.... — La
Matilde, soverchiata dall'angoscia, cadde ginocchioni a piè del letto,
abbandonando il capo sulla coltrice, e rompendo in singhiozzi. Anche
Vittorio singhiozzava col viso nascosto fra le mani. Lungo le guance
pallide dell'Angelina scorrevano in silenzio le lagrime: v'era una
serenità celeste nel suo dolore.
Alcuni dì appresso la inferma volle alzarsi, e le sue gracili dita
corsero ancora una volta sui tasti del pianoforte. Sonò un concerto
della _Norma_, e veramente al mirarla coi capelli ondeggianti, con
la lunga veste bianca, con quel volto che aveva la trasparenza e il
color della cera, la si sarebbe detta una visione notturna dei boschi
druidici. Sull'imbrunire si coricò chiedendo che le si aprissero le
finestre per respirar l'aria della campagna. E così, contemplando il
sole che tramontava, inebbriandosi nell'odor delle viole di primavera
(che era appunto sul finir dell'aprile), esalò l'anima soavissima fra
le braccia dello zio e della vecchia sua Filomena.
La Filomena rimase come impietrata: convenne strappare a forza il
signor Bernardo dalla stanza della defunta, perch'egli non voleva a
verun costo abbandonare quella tepida salma.
Sulla scrivanìa dell'Angelina fu trovata una lettera, con cui ella
disponeva della sua modesta sostanza. D'un terzo lasciava erede la
Filomena: destinava gli altri due terzi all'Amalia, con espressa
condizione che il capitale fosse messo a frutto sino al momento, in cui
la fanciulla andasse a marito.
Un mese dopo successero le nozze di Vittorio e Matilde; nè mai più
mestamente si compì la solenne cerimonia. I pochi convenuti notarono
nel volto di entrambi gli sposi i segni di una cura profonda, e tutti
furono maravigliati del pianto dirotto, in cui proruppe il signor
Bernardo, allorchè la figliuola si pose in dito la gemma nuziale.
Sulla veste bianca della Matilde spiccavano, singolare ornamento, le
granate, ultimo dono dell'Angelina, quasi a ricordare quanta parte di
lutto offuscasse quella giornata. Soltanto la signora Clara e la Nella
parevano abbandonarsi alle più gradite impressioni: la signora Clara
esultava pensando che porzione della ricchezza della figliuola verrebbe
di riflesso su lei, e la Nella faceva gli occhietti a un impiegato
in pensione molto azzimato e coi capelli tinti e ritinti. L'Amalia
era malinconica e taciturna: anch'ella dolevasi nel suo cuoricino
dell'amica che non vedrebbe mai più.
_1867._
RIMEMBRANZE DEL CADORE.
I.
Una riga d'esordio. — La città di Vittorio. — Un panegirico
dell'acqua. — Due laghi. — Longarone e la Punta. — L'edificio di
seghe del Wiel. — Il bacino della Piave. — Codissago e le zattere.
— Castello e gli scalpellini. — Fine della sinfonia e principio
dell'opera.
_Conosci tu il paese dove fioriscono i cedri, e i belli aranci d'oro
splendono sotto il frascato?_ È questo il grido che il Goethe pose
sulle labbra della sua _Mignon_, e che fa tuttavia balzar di desiderio
i buoni Tedeschi sospiranti affannosamente tra le nordiche brume al
cielo sereno e al clima primaverile della nostra Italia, prediletta
figlia del sole.
Ma noi che i cedri li sappiamo a memoria, e i belli aranci d'oro li
sentiamo gridar per le vie a pochi centesimi l'uno, ci prenderemmo
volentieri lo svago di seguire un'altra _Mignon_ che ci dicesse:
_Conosci tu la terra degli abeti e dei larici, la terra ove lo
scrosciar del torrente si confonde collo strido dell'aquila?_ Ebbene,
o lettore, senza che tu esca d'Italia, tu puoi soddisfare questa
curiosità del tuo spirito. Io non sono certo una _Mignon_; pur mi ti
offro a compagno, e t'invito a venir meco in Cadore. Che tu abiti in
riva alle lagune o sui margini del Bacchiglione e del Brenta, che tu
sii avvezzo a contemplare il tramonto del sole dalla baia incantata di
Napoli o dai colli di San Miniato e di Fiesole; credilo a me, due o tre
giorni in Cadore ti lasceranno una gradita impressione.
Diamoci la posta in Conegliano, piccola, ma ridente città edificata sul
pendìo d'un poggio. La si direbbe mollemente seduta a bearsi dei raggi
del sole che la cingono di tepore e di luce. Io potrei parlarti del suo
Castello e del Castello Collalto, e delle leggende di spettri che vi si
uniscono, e dei ricordi di Gaspara Stampa e del suo amante infedele. Ma
il tempo è prezioso, e tiriamo innanzi.
A Conegliano bisogna abbandonare la strada ferrata che si dirige
verso il Friuli, e prendere la postale di Belluno. Una buona carrozza
ti conduce in un'ora a Ceneda, che ormai s'è congiunta con la vicina
Serravalle e forma, insieme con questa, la città di Vittorio. Ceneda
e Serravalle erano divise da ire antiche ed irreconciliabili, e il
non aver mai visitato il paese rivale era un titolo di patriottismo
per molti fra gli abitanti di ciascuna delle due ville. Le cagioni
di questi grandi sdegni io non le so, e a chi legge probabilmente non
importa saperle, ond'io posso astenermi dal visitare gli archivi, e dal
consultare gli eruditi del luogo; tanto più che con eroico proposito
le due borgate pensarono di seppellire i loro rancori in un felice
connubio, e rinunziarono al proprio nome per prenderne uno comune —
VITTORIO. — Che Vittorio sia per diventare la _Washington_ dell'Italia?
Non oserei fare pronostici. Sinora l'è una città lunga lunga, la quale
ti dà l'immagine di una biscia tagliata a mezzo e congiunta nelle sue
parti da alcuni sottili filamenti. E invero il non breve tratto di via
che correva fra Ceneda e Serravalle è pressochè deserto d'abitazioni,
se non fossero due edifizî che rendono testimonianza della unione, e
sono l'Ufficio postale ed il Municipio. Com'è naturale, per non far
torto a nessuna delle due frazioni, questi due edifizî pubblici sorgono
a giusta metà della strada, e danno agli abitanti la consolazione
di dover fare un viaggio per arrivarvi. Vi sono città popolate e
importanti, che per la loro conformazione topografica rendono poco
faticoso il percorrerle da un capo all'altro: Vittorio ha sciolto
felicemente l'arduo problema d'essere una città piccola e sottile di
popolazione, e di non permettere a un buon galantuomo di misurarla
a piedi nella sua lunghezza senza correr rischio di buscarci un
riscaldamento.
Chi non ha voluto saperne della unione si fu un vetusto cipresso che
sorgeva all'entrata di Serravalle. Conservatore come tutti i vecchi,
quand'egli ha visto cader le antiche barriere che separavano le due
rivali, ebbe un accesso di crepacuore e morì! Allorchè io passai di
là nel maggio, egli durava ancora in piedi per forza d'inerzia; ma ad
ogni occhio un po' esperto riusciva agevole lo scorgere che gli umori
vitali non iscorrevano più per le sue fibre irrigidite, e che l'opaco
manto delle sue foglie aveva perduto ogni freschezza. Forse oggi il
suo tronco ha già sentito la scure, e quei rami, alla cui ombra si
riposarono tante generazioni d'abitanti di Serravalle, gemono nel
camminetto d'un cittadino di Ceneda.... Ironie della sorte!
Su su per una via spalleggiata di portici bassi ed angusti, che
costituisce quasi tutto il paese di Serravalle, esci finalmente
all'aperto, e ti sembra d'uscire da uno spegnitoio per entrare in
mezzo alla luce. Già in tutti que' siti, ove la natura è veramente
pittoresca, le città mi hanno l'aspetto d'usurpatrici, a cui la
gioconda campagna dice con piglio burbanzoso — _levati dal mio sole_.
— Quei colori freddi, quegli orizzonti ristretti, quei rettilinei di
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