Racconti e bozzetti - 06

suo spirito s'era per così dire accasciato sotto il peso di assidui
pensieri; e dagli atti, e dall'aspetto, e dalle parole le traspariva
un profondo disgusto degli altri e di sè. Vedere l'apatìa della sua
famiglia che lasciava ad una estrania l'incarico di riparare alle
proprie follie, e imbandiva sul desco il pane guadagnato dai sudori
altrui, era cosa che feriva nel vivo i suoi nobili istinti. Ed ella
sentiva in cuor suo che di queste colpe era complice, e ch'ella,
giovane e vigorosa, avrebbe dovuto seguire l'esempio della cugina e
porsi al lavoro. Ma una volta ch'ella aveva lasciato trasparire questo
suo pensiero, aveva sollevato contro di sè una tempesta di rimproveri e
di contumelie. La signora Clara aveva un'idea tutta sua sul decoro del
proprio casato, e perchè nella sventura altro non rimaneva che un nome
senza macchia, ella diceva sempre che non si avesse a compromettere
permettendo che le figliuole scendessero ad opere mercenarie. Inoltre
la Matilde non era di quelle nature energiche che negli ostacoli
rinvigoriscono i loro propositi, e, innanzi ad una opposizione così
risoluta, sentì fiaccarsi la sua volontà e divorò in silenzio le sue
lagrime. Invero ella era divenuta assai infelice. Dacchè l'Angelina
erasi fatta necessaria in famiglia, e con la tranquilla fermezza del
suo carattere aveva inspirato rispetto ne' più renitenti, gli umori
bisbetici della signora Clara e della sua primogenita si sfogavano
sulla Matilde, la quale non poteva scendere nel salotto comune senza
vedersi fatta bersaglio di mille accuse e mille punture. Le apponevano
a colpa la sua ammirazione appassionata per la cugina, quasichè in casa
non vi fosse altro di buono e di bello che quella ragazza, quasichè
fosse da imitarsi in tutto e per tutto. Già ora le pesava di non potere
starsene più l'intera giornata insieme colla sua indivisibile; le
pesava di dover lavorare in compagnia di sua madre e di sua sorella.
Figuratevi! Loro erano ignoranti, e l'Angelina era un'arca di scienza,
che a passar un'ora seco ci s'imparava lo scibile umano. E poi il
pianoforte dell'Angelina, che aveva trent'anni, era mille volte
migliore di quello della Nella, giunto recentemente dalla più reputata
fabbrica di Vienna, e per sonar bene bisognava proprio salire una scala
e andare nel santuario della Dea. Del resto, era d'uopo confessarlo,
l'Angelina aveva i suoi meriti; ma ella, la Matilde, di che cosa
tenevasi, quali erano le sue particolari virtù?... Così martoriavano
la povera giovinetta a colpi di spillo, ed ella intanto con febbrile
celerità passava l'ago attraverso il suo ricamo, battendo convulsamente
sullo sgabello il suo piccolo piedino e soffocandosi per non
piangere. Ma quando l'Angelina ritornava a casa verso l'ora di pranzo,
affaticata, eppur vispa e serena, col suo rotolo di musica sotto il
braccio, con le sue cartoline di dolci in tasca per la vezzosa Amalia,
la Matilde sentiva il bisogno di sfogare tra le braccia di lei il
dolore represso, e dirle quanto amaramente soffriva.... E l'Angelina,
che appena erasi accorta delle ingiustizie commesse a riguardo suo, non
poteva a meno di risentirsi delle offese fatte all'amica, e si andava
persuadendo che, fuori del suo povero zio e della Matilde, non v'era
altri in quella casa, cui mettesse conto di sacrificarsi.

VI.
Era circa un anno che l'Angelina trovavasi in casa Mauri, quando
un nuovo ospite venne a rompere la vita uniforme della famiglia e
a complicare alquanto le fila di questa troppo semplice istoria.
Un lontano congiunto del signor Bernardo, ricco possidente del
Bresciano, aveva un figliuolo, il quale, interrotti gli studî a cagione
dell'ultima guerra nazionale, desiderava ora riprenderli nella riputata
Università di ***. Il padre che teneramente lo amava, quantunque
avesse preferito di averlo compagno nella cura de' suoi beni, pure
non seppe opporsi alla sua volontà; e per affidare a buone mani il suo
Vittorio, e per fare un bene ai Mauri, di cui conosceva le strettezze,
deliberò di metterlo presso di loro, a pensione. E poichè egli era
uomo liberalissimo, le condizioni pattuite furono tali da recar non
piccolo sollievo agl'imbarazzi della famiglia, di che la signora Clara
si rallegrò, specialmente nell'idea di torsi alla uggiosa superiorità
dell'Angelina. La casa ove abitavano i Mauri, comoda e spaziosa
e loro conservata anche dopo i rovesci commerciali dalla benevola
indulgenza del proprietario, aveva una stanza isolata nell'appartamento
medesimo ov'erano le camere dell'Angelina e della Matilde, ma da
queste divisa dal pianerottolo della scala. Fu quella la stanza che
si destinò a Vittorio, dopo averla rimessa a nuovo e fornita in gran
parte con alcuni mobili che l'Angelina aveva portati seco e ch'ella
non adoperava. Non era la prima volta che Vittorio veniva in casa
Mauri. Orfano della genitrice in tenerissima età, egli aveva costume
di seguire il padre nelle sue frequenti escursioni, e così aveva
visitato ripetutamente la città di *** e i congiunti che vi dimoravano.
Sennonchè l'ultima sua venuta risaliva a due lustri addietro. Però
egli si ricordava benissimo della Matilde, di due anni più giovane di
lui, e della Nella che in quel tempo gli era alquanto superiore d'età
e sdegnava di mescolarsi coi piccini, e ora invece gli ripeteva con
particolare compiacenza di essere stata sua compagna negl'innocenti
giuochi infantili, quantunque a mala pena se ne rammentasse perchè era
bimba affatto. Comunque sia, Vittorio tornava presso i suoi parenti
grande di persona e tarchiato di membra, la fronte abbronzata dal sole
dei campi, il mento adombrato dalla prima lanugine, l'occhio nero,
espressivo, profondo. Lettori e lettrici, non turatevi le orecchie
per carità, se io vi dico che la sua venuta fece passare una corrente
elettrica attraverso quella nidiata di ragazze. E non perchè egli fosse
bello di virile bellezza, e gli accrescesse attrattiva la memoria dei
corsi pericoli; ma, lasciatemelo confessare, perchè egli era uomo,
era giovane. Non ribelliamoci alle leggi della vita, non cerchiamo lo
scandalo nelle più semplici rivelazioni del cuore, e per soverchio di
scrupolo non diamo all'arte l'incarico di ritrarci, anzichè creature
umane, figure velate e vaporose, che quando riescono a modo rendono
immagine di fantasmi, e, se il tocco dell'artista non è delicato,
hanno sembianza di accappatoi. Bando alle metafore! Quale di noi,
nella bella età tra i quindici e i venti, non popolò il suo mondo
ideale di leggiadre figure femminili, e se vagheggiò la gloria, e se
amò la virtù, e se si cullò nella speranza dei domestici idillî, non
evocò dal suo pensiero una donna che fosse di questa gloria compagna,
di questa virtù consigliera, di queste gioie casalinghe ministra? E
quale di noi al fruscìo di una veste, al disegnarsi di un'elegante
persona fra i crepuscoli della sera, non sentì un battito arcano che
gli fece amare la vita? O colpito per via da una di quelle apparizioni
vertiginose che non mancano mai all'adolescente, perchè acquistano il
loro fascino dallo stato febbrile del suo spirito, non credette per un
istante di aver trovato l'ideale de' suoi sogni, di aver dato forma e
sostanza alle sfumature della sua fantasia? Ebbene: mettiamoci un poco
nei panni dell'altra metà del genere umano, e facciamo a noi stessi
l'onore di credere che quelle medesime creature dell'immaginazione,
che turbano dolcemente i nostri sogni, agitano anche quelli delle
nipoti d'Eva; sennonchè, mentre a noi piace vestirle di lunghi abiti
bianchi e cingerne la fronte di fiori e di veli armonicamente commossi
dagli zeffiri, esse invece s'appagano d'una acconciatura meno poetica
e forse forse danno un posticino nelle loro visioni anche al cappello
alla _Metternich_, anche alla cerimoniosa _marsina_. Noi uomini, in un
accesso di galanterìa che svela il nostro orgoglio, abbiamo esclamato:
— _L'ideale è donna_ — e atteggiandoci a tiranni persino nelle regioni
dell'arte, ci siamo dimenticati che le nostre gentili compagne potevano
proferire una diversa sentenza, e, pur lusingando la nostra vanità,
distruggere l'edificio da noi eretto con sì sicura baldanza.
Però lasciamo andare le digressioni e torniamo al nostro argomento.
Può darsi benissimo che la Nella vagheggiasse in Vittorio un marito:
nè la Matilde, nè l'Angelina vi avevano sul momento pensato. Era
senz'avvedersene che tutte e due mettevano un po' di più cura nel loro
abbigliamento; e prima del pranzo, e prima di uscire alla passeggiata,
a cui talvolta Vittorio le accompagnava, correvano frettolose allo
specchio a ravviarsi i capelli, ad aggiustarsi il vestito, e poi
vispe vispe e saltellanti scendevano la scala a raggiungere il loro
_cavaliere_. Era senz'avvedersene che l'Angelina era divenuta più
pensosa, e la Matilde avea racquistato parte dell'antica ilarità; così
diversamente operava su due cuori di giovinette l'arrivo d'un garzone
ventenne.
Vittorio era in quell'età che all'anime e agl'ingegni non affatto
volgari dona una esuberanza di orizzonti e di vita, in quell'età a
cui sorridono i sogni della gloria e dell'amore, e non v'è mèta così
sublime che il pensiero non la tocchi e non la oltrepassi. Le membra
sono giovani, spigliate, vigorose come l'intelletto, e a simiglianza
degli echi che si rispondono dalle varie parti d'una valle, le vario
facoltà dell'individuo s'intendono e armonizzano fra loro. Oggi è
voluttà senza pari arrampicarsi per l'erta d'un monte, e immobili e
con le braccia conserte ascoltare il muggito del torrente e i cento
romori della campagna: domani è fonte di entusiasmo ineffabile l'aprire
le pagine di un nuovo libro e avviarsi con un poeta amico ai dolci
pellegrinaggi della fantasia. Anni d'impazienze generose e di audaci
propositi, nei quali noi disegniamo, per così dire, il programma della
nostra esistenza, non dubitando nemmeno se ci verrà dato di mantenerlo.
Quanti sono allora che paiono grandi, e son tali davvero, perchè hanno
il sentimento delle cose belle, e nobili ed alte! Guardate un albero
al principiar della ridente stagione. Com'è largo di promesse, come
trapunto di fiori che possono divenir frutta! Si direbbe che i rami non
basteranno a reggerne il peso. Ebbene: guardate quell'albero stesso di
lì a qualche mese. Esso è grave invero e superbo del suo portato; ma
il numero delle frutta, che oggi lo fanno inchinare al suolo a guisa
d'ombrello, non può nemmeno paragonarsi al numero dei fiori che lo
adornavano a primavera. Delle frutta sperate molte non nacquero mai,
molte morirono tristamente, non si sa quando, non si sa come: un'ora
di tempesta, una notte di brina, sono le epidemìe della natura: molte
non seppero venire a maturità; o mancò loro un raggio propizio di sole,
o non ebbero forza di assorbire i succhi vitali; e si nascondono tra
foglia e foglia, pallide, rachitiche, dispettose come vecchie zittelle.
Saranno forse l'ultime che rimarranno sul ramo, perchè la morte poco
si cura di quelli che furono suoi insino dal nascere. Così è l'albero
della vita. I fiori a centinaia vi si contano nell'aprile: le frutta
belle, appetitose, mature, vi si contano appena a diecine nel luglio.
Come! di tanti che si mossero a un punto, e avevano tutti una stella
sulla fronte, un sorriso sul labbro, così pochi sono arrivati? La
morte, inesorabile mietitrice, ne ha tanti falciati sul suo cammino?
Oh! non era solamente la morte. A chi mancò l'energia dei propositi, a
chi la perseveranza contro le avversità; i più, quando videro spegnersi
la fiamma fulgidissima, ma passeggiera, che nell'alba degli anni
spande i suoi raggi per l'universo, non ebbero la virtù di accendere
la fiaccola modesta che non abbaglia, ma rischiara, che non lascia
forse indovinare in sulle prime la mèta, ma vi ci guida, segnando
di non dubbia luce il cammino. In tal guisa divennero le pallide e
tisiche frutta dell'albero, e invano, quando l'autunno farà più rare le
foglie, godranno senza contrasto il beneficio della pioggia e del sole:
l'esperienza sarà come un germe gettato sopra il duro macigno: vi si
posa, non vi s'insinua.
Noi non diremo a quale specie d'uomini appartenesse Vittorio, se a
quelli che toccano la mèta o a coloro che s'arrestano a mezza via;
chè dopo il periodo di tempo compreso in questa novella lo abbiamo
perduto d'occhio: certo ch'egli era tra i più promettenti; di fantasia
vivacissima, d'intelligenza pronta ed arguta. Sennonchè gli mancava
forse quella che gl'Inglesi chiamerebbero solidità di carattere, e
che si manifesta nella perseveranza de' propositi, nella tenacità
irremovibile in alcuni principî. Buono ed onesto, era però un tantino
incostante e leggiero, v'era un po' di fatuo ne' suoi entusiasmi,
un po' di sfumato nelle sue convinzioni. Ad ogni modo, era bello,
ardito, poetico, aveva una cicatrice sul petto, ricordanza di recenti
battaglie.... a venti anni che può desiderarsi di più? Il suo umore,
come in tutte le nature ricche, era dotato di una grande elasticità,
e passava più volte in un giorno dalla schietta giovialità a una
tal quale malinconia, che cresceva dolcezza ed espressione alla sua
fisonomia. Amava smisuratamente i versi, e aveva divorato i volumi
di quasi tutti i migliori poeti d'Europa, chè appunto per conoscere
alcuni capolavori nel loro idioma originale erasi accinto allo studio
delle lingue straniere. Versi ne faceva anch'egli, però nulla più
che mediocri, e anzi soleva alzarsi dal suo scrittoio con la fronte
annuvolata, ben sentendo come le idee gli morissero nell'inchiostro,
e la penna mal sapesse seguire la foga de' suoi pensieri. Del resto
chi non fa versi, e cattivi versi, a vent'anni? Quanto ai suoi codici,
chè Vittorio era studente di legge, egli non se ne dava troppo
pensiero, e assai più sovente vedevasi aperto sul suo tavolino un
volume del Leopardi, o del Musset, o del Byron, che non il Regolamento
di procedura penale o il Trattato di diritto romano del celebre
professore.... Molto spesso, dopo essersi quasi addormentato sopra
uno di que' grossi e sapientissimi libri, balzava dalla seggiola e
si recava nella stanza dell'Angelina, ove a certe ore convenivano la
Matilde e l'Amalia. L'Angelina era per solito al suo pianoforte, tutta
intenta in qualche musica nuova, e quella bricconcella dell'Amalia le
sedeva a fianco sopra un trespolo, facendo di tratto in tratto scorrere
le sue piccole dita sui tasti, con certi suoni scordati ch'era uno
spasso a sentirla; mentre la Matilde ricamava accanto alla finestra.
All'entrare di Vittorio, che, confessiamolo, amava meglio che gli altri
badassero a lui che non di badare agli altri, le due ragazze smettevano
le loro occupazioni, e anche l'Amalia lasciava in pace i tasti del
cembalo, e il giovane non si faceva pregare a declamare qualche strofa
o a narrare qualche avventura della sua campagna. Non sarà stato tutto
oro di zecca, ma perchè egli aveva l'arte del porgere, e poichè de'
rischi ne avea corsi davvero e ne avea toccata una buona ferita, le
fanciulle pendevano dalle sue labbra e lo tempestavano di domande. Ed
egli si compiaceva di tener viva la curiosità delle cugine, e l'affetto
destato in due leggiadre ed ingenue giovinette gli accresceva valore
ai suoi proprî occhi: era il mirto che s'intrecciava all'alloro.
Poi, diciamo le cose come sono, egli era soddisfattissimo che quelle
ragazze fossero due, invece di una sola. Non aveva intendimento nè di
sedurle, chè l'onestà del suo animo rifuggiva pur anco dal pensiero di
tale infamia; nè di sposarle, chè troppo gli era cara la sua libertà,
e troppo sentivasi alieno dal matrimonio. Ed egli, mostrandosi ad
un tempo cortese e galante verso di entrambe, teneva per fermo di
assicurare sè dalle tentazioni e loro dalle lusinghe, acquistandosi
intanto verso i suoi condiscepoli il vanto di giovane in grazia del bel
sesso.

VII.
Anzi un bello spirito della scolaresca lo chiamava Paride contrastato
dalle tre Dee, mettendo nel conto anche la Nella, che vi si sarebbe
acconciata assai volentieri, ma ch'era proprio fuori di combattimento.
Il suo sentimentalismo non aveva fatto che destare l'ilarità di
Vittorio. Gli piaceva in Matilde la franca giovialità del carattere,
in Angelina l'indole riflessiva e dolcemente meditabonda; ma la Nella
con que' suoi sospiri e quella sua facilità alle convulsioni gli
pareva in ritardo di un secolo. Era una provinciale che aveva preso
le mode della città cent'anni dopo che la città se n'era scordata,
una cameriera svenevole dei tempi di Luigi XV, trapiantata non si sa
come in mezzo al secolo XIX. La signora Clara che, come si è visto,
aveva una predilezione speciale per la sua primonata, non sapeva
darsi pace che il gusto degli uomini si fosse pervertito in guisa da
non apprezzare tanta squisitezza di modi e di sentimento, e le si
accresceva ognor più quel superbo disprezzo del mondo e dei tempi,
col quale ella confortava da un pezzo i disinganni amorosi della sua
Nella. E in verità, aver dato a una propria figliuola un nome così
romantico, e vederla costretta a sfogare la sua poesia in un eterno
monologo, è cosa da far venire la stizza anche a persone più tranquille
e assennate che non fosse la signora Clara. Chi subiva gli effetti
di queste beghe domestiche era pur sempre la Matilde; chè l'Angelina,
sebbene la più docile, e buona, e rimessa fanciulla del mondo, aveva
nell'aspetto e nei modi una certa quieta dignità, che faceva morire
sul labbro le rampogne e i sogghigni. Ahi! la Matilde non poteva più
dimenticare la freddezza materna nelle festose carezze del padre.
Fin da quando ell'era piccina, allorchè la sua mamma la sgridava,
ella scendeva in banco, ed era certa di veder farlesi incontro tutto
sorridente e amorevole il suo buon genitore, che la teneva seco e le
dava da scartocciare de' vecchi campioni, non senza visibile scandalo
del signor Menico, l'antico commesso. Ella metteva ogni cosa sossopra,
e più d'una volta il rispettabilissimo signor Menico, mentre stava
per intestare in bella scrittura rotonda le partite del suo registro,
mordendosi il labbro inferiore e facendo fare due giri in aria alla
sua penna d'oca, come uccello carnivoro che svolazza intorno alla
preda, ebbe a ricevere un urtone al gomito che gli scompose le idee,
e nel luogo delle cifre meditate mise una larga macchia d'inchiostro.
Erano dolori terribili pel signor Menico, ma la bambina dava in uno
scroscio di risa, e suo padre, pur rimproverandola, non poteva a
meno di parteciparne la ilarità. E adesso il banco era deserto e la
polvere si ammonticchiava sui vecchi scaffali, e ii librone, testimonio
delle arditezze calligrafiche del signor Menico, era chiuso forse per
sempre. Il povero signor Bernardo, nè abbastanza rassegnato contro le
ingiurie della fortuna, nè abbastanza energico da trovarsi nuove fonti
di lucro, menava la più misera vita che idear si possa. Errava senza
riposo di stanza in stanza, pallido, taciturno, con gli occhi bassi
e con le guance infossate: ora prendeva sulle ginocchia l'Amalia, ora
saliva nella cameretta della Matilde, ora moveva incontro all'Angelina,
quando il passo svelto e spigliato di lei facevasi sentire su per
le scale, ora infine mettevasi a sedere nel salotto da pranzo, ove
lavoravano sua moglie e la Nella; ma dappertutto lo inseguiva una cura
assidua e molesta. Così la Matilde, sola gran parte della giornata,
fatta segno all'ironia di sua madre e della sorella maggiore, non
vedendo da un lato che malignità, dall'altro che malinconia, sentivasi
oppressa dall'atmosfera in cui viveva. L'Angelina glielo aveva
susurrato più volte all'orecchio. — Conveniva ch'ella desse uno scopo
alla sua esistenza, conveniva ch'ella dicesse: — Io mi sacrifico
per rendere meno amari gli ultimi giorni del padre mio. — Invece di
starsene immobile a subire rampogne immeritate, tentasse anch'ella
di render proficua la sua educazione, cercasse lezioni di ricamo;
ella, l'Angelina, gliele avrebbe procurate, e stesse pur certa che
sua madre avrebbe finito col darsene pace. Forse, chi sa? l'esempio
della figliuola avrebbe rianimato anche il signor Bernardo; forse la
Matilde, divenuta utile, operosa, avrebbe potuto dirgli quelle parole
che l'Angelina non aveva diritto di proferire, avrebbe potuto ravviarlo
sul cammino dell'attività e del lavoro.... — La Matilde ascoltava
con affetto, con entusiasmo quasi, le ammonizioni della cugina, e
intendeva la saggezza de' suoi consigli e proponevasi di seguirli;
ma poi il pensiero delle difficoltà l'arrestava, e ricadeva scorata
nelle sue irresolutezze. Ella non voleva confessarlo a sè medesima,
ma pure un'altra idea meno generosa andava facendosi signora del suo
spirito; quella di uscire più presto che fosse possibile di casa sua,
di entrare in una nuova famiglia. Ognuno di noi ha un limite, oltre al
quale non giunge la sua potenza d'annegazione e di sacrifizio; finchè
non si tocchi quel punto, l'esercizio della virtù riesce facile e
dolce, e male acquista rilievo la diversità dei caratteri. Un'esistenza
tranquilla, dalle pacate commozioni e dai placidi affetti, avrebbe
reso malagevole al più acuto osservatore di giudicare se fosse maggiore
la bontà dell'animo in Angelina o in Matilde: erano entrambe piene di
simpatia per gli altrui dolori, entrambe create ad intendere la soavità
dell'amicizia e la consolazione di ricambiate confidenze. Sarebbero
state tutte e due ottime spose, ottime madri. Ma non bastava! La sorte
imponeva di più, e qui si fece palese la diversa tempra dell'animo
loro. L'Angelina resse alla prova; la Matilde lottò, lottò, e quindi
si lasciò trascinare dalla corrente. Accade poi, che chi tenia un
sacrifizio maggiore delle sue forze, se non gli vien fatto di compirlo,
subisce per rimbalzo una specie di reazione, che lo fa più sollecito
di sè stesso, men curante degli altri. Questa mutazione operavasi
lentamente in Matilde. Poichè s'avvide di non poter seguire gli esempi
e i consigli dell'Angelina, di non potere al pari di lei sfidar la
resistenza della famiglia, e i pregiudizî del mondo, e la fatiche
d'una vita affannosamente operosa, ella, senza saperlo, si ripiegò su
sè medesima, e cedette alla cura del proprio avvenire. Un sentimento
naturale alla sua età ed al suo sesso erasi impadronito di lei fin
da quando venne in casa Vittorio. Non era un sentimento tranquillo
come l'amicizia, nè febbrile come l'amore: era quel non so che di
vago e sfumato, che a vent'anni avvicina i giovani alle fanciulle e
le fanciulle ai giovani: era quella specie di crepuscolo ch'è ad un
tempo tramonto ed aurora, perchè in esso volge al suo termine l'età
ingenua e fidente, e sorge l'età delle gagliarde commozioni, ricca di
ebbrezze e di disinganni. Ed ora, dopo alcuni mesi che Vittorio le
stava dappresso, la giovinetta sentiva farsi ogni dì più tenace il
vincolo di simpatia che la legava all'ospite suo; e già le balenava
al pensiero di poter nel lontano avvenire associare la propria sorte
alla sorte di lui e diventare sua sposa. Oh! un cervellino di donna
va rapidissimo nelle sue immaginazioni.... Quanto a Vittorio, egli si
era messo a un giuoco assai imprudente. Per la vanità di farsi credere
ben accetto a due ragazze leggiadre ed oneste, egli aveva usato verso
le due cugine quei modi che, se non toccano i limiti della passione,
oltrepassano quelli della cortesia; aveva sperato che, corteggiandole
entrambe, nessuna delle due avrebbe preso troppo sul serio la cosa,
ed ora trovavasi al punto, che l'una lo vagheggiava già per marito,
e l'altra.... oh! entro il cuore dell'altra era ben più difficile
di leggere! L'Angelina non sapeva forse ella stessa veder chiaro nei
suoi affetti e nei suoi pensieri.... Pure la sua pace se n'era ita....
E perchè? Era forse una passione irresistibile che l'attraeva verso
Vittorio? — No. — Le aveva egli parlato d'amore? — Schiettamente mai.
— Erasi egli servito con lei di espressioni diverse da quelle ch'egli
usava con la Matilde? — Nemmeno. — Ad ogni modo era un fatto che certi
discorsi preferiva farli a lei anzichè alla cugina. Con la Matilde
rideva più spesso, è vero, e se nelle passeggiate del dopo pranzo la
volubile fanciulla, abbandonandosi a un accesso d'infantile allegria,
si metteva a correre per la campagna, egli la inseguiva scherzoso, e
cogliendo un fiore del prato glielo intrecciava nei bruni capelli. Con
lei invece aveva più di riserbo. Ma a lei amava discorrere dei suoi
studî e declamare i suoi versi; a lei più volentieri parlava della
sua casa e dei ricordi della sua infanzia. Con che minuta diligenza le
descriveva le varie parti della sua tenuta, le vaste praterìe irrigate
artificialmente, i vigneti che rivestivano il pendìo meridionale della
collina, i gelsi piantati attorno al verziere; le ampie sale, ove il
filugello compieva le maravigliose trasformazioni; l'uccellatolo, in
cui passava lunghe ore insieme con suo padre; la cascina, nella quale
era un moto, un andirivieni continuo, e le villanelle, cantando a
piena gola, preparavano i solidi pani di burro, che poi recavansi a
vender sul mercato della città. Un giorno Vittorio, nel chiudere il
suo discorso, disse sospirando: — Sapete che cosa ci manca alla bella
tenuta di mio padre? Ci manca una donna ordinata, operosa, che tenga
le redini delle faccende, che si occupi un poco più de' coloni, che
pensi alla loro educazione, al loro avvenire. Mio padre è un uomo
angelico, ma è soprattutto un uomo d'affari, e certe cose non gli
vengono in mente.... oh! se fosse viva la mia povera mamma! Io avevo
sei anni quando l'è morta, e me ne ricordo come d'un caro sogno:
eppure ho presente un giorno che mi condusse seco alla scuola da lei
istituita pei figliuoli dei contadini.... Era in una sala terrena della
fattoria, era il giorno degli esami: ella vestiva un abito di lana
color cenere, a un dipresso come il vostro, e non aveva altro ornamento
che una dalia rossa nei capelli.... Com'era dolce il suo aspetto,
come insinuante la sua parola, come affettuoso il suo sorriso! Que'
piccini la guardavano con un misto di venerazione e di tenerezza, ed
io, seduto a' suoi piedi.... oh! me ne rammento come se fosse oggi....
provavo un senso d'orgoglio, che non sapevo spiegarmi. Ella morì poco
dopo, e fu un lutto profondo in tutta la villa. Ogni casolare ne pianse
come di affanno domestico, chè più non si vide nei giorni del dolore e
della malattia una pallida e bionda persona venirne ministra di soavi
conforti, e più non s'udì una voce amorevole intenta ad estirpare i
mille pregiudizî delle ignoranti contadinelle. La scuola rimase aperta
ancora per qualche tempo, ma nessuno più invigilava, acciocchè i
bambini la frequentassero, e in pochi mesi rimase deserta e fu chiusa.
La memoria della donna esemplare vive però tuttora nell'animo di
que' fidi coloni, e non si può parlarne senza spremer loro le lagrime
dagli occhi.... — Ed erano lagrime sincere quelle che versava Vittorio
nel rammentare sua madre perduta da sedici anni. L'Angelina, orfana
anch'ella, mal poteva frenare la sua commozione. Pure quelle confidenze
le lasciavano un senso d'infinita dolcezza nell'animo: ella le serbava
gelosamente come si serba un tesoro, come si educa un fiore, nè v'era
dono al mondo che più di questo potesse esserle caro. Così almeno ella
pensava. Però una sera Vittorio, tornando a casa, portò un cartoccio di
chicchi all'Amalia, una polka nuova alla Nella, un mazzolino di gaggìe
alla Matilde e una dalia rossa all'Angelina. Tutti sorrisero di questo
singolare presente, ma l'Angelina si fece color di porpora, e si ritirò
nella sua stanza, mettendo la dalia in un bicchier d'acqua sopra il suo
tavolino. E immobile, e senza parola, seduta dinanzi a quel fiore, con
la mano sinistra abbandonata sulle ginocchia, e premendo con l'indice
della destra il labbro inferiore ed il mento a guisa di chi sta
meditando, si lasciò andare ai voli arditi della fantasia. E si ricordò
dei colloquî avuti con Vittorio, e di quanto egli le avea detto circa
il suo podere, e della dalia rossa che adornava, sedici anni addietro,
i capelli della madre di lui, e del bene che una donna, ordinata,
operosa, potrebbe fare nella vasta tenuta, e per un istante le venne
l'idea di essere ella medesima l'angelo tutelare di quei luoghi, di
prendere il posto della genitrice di Vittorio, tanto desiderata e
compianta.... Stolta ch'ell'era!... Vittorio godeva d'ogni agiatezza,
ed ella non possedeva che una tenue sostanza.... Vittorio, bello,
giovane, elegante, ben d'altro curavasi che di farla sua sposa. Pure