Racconti e bozzetti - 05
bello e dell'armonia. L'Angelina era educata a tutte le squisitezze
del sentimento, e le corde delicatissime dell'anima sua vibravano ad
ogni tocco leggiero; pure la ingenua grazia, ch'era parte di lei, non
si scompagnava mai da' suoi atti e dalle sue movenze. Ella non aveva
d'uopo dello specchio per raccogliere entro la bruna rete di seta il
fitto volume della sua chioma, senza che ne scappasse fuori un capello,
o per allacciarsi il vestito senza tradire la fretta o la negligenza.
Chi la vedeva di volo non poteva a meno di esclamare: — Com'è elegante!
— Chi la osservava più riposatamente doveva dire: — Com'è semplice! —
Una tinta di dolce malinconia soleva esserle diffusa pel volto, non di
quella malinconia querula e dispettosa che tedia gli altri e sè stessi;
ma di quella che trae origine da un'indole riflessiva, e non esclude
le serene allegrezze della vita e la spontanea compartecipazione ai
piaceri altrui. Saper partecipare ai dolori è nobilissima, ma non è
compìta virtù; le anime elette sanno partecipare come agli affanni,
alle gioie, come ai timori, alle speranze, come alle lagrime, al
riso. Nel breve corso de' suoi diciott'anni l'Angelina aveva molto
goduto e sofferto, e l'esperienza aveva nutrito in lei quella soave
disposizione alla simpatia che stringe di cari nodi gli umani. Oh!
la vita le si era pur dischiusa gioconda; nè carezze, nè agî erano
mancati alla sua cuna. Ella si ricordava ancora la casa ove nacque,
e il giardinetto ove correva bambina vigilata dall'attento occhio
materno. Si ricordava l'allegro salottino del pian terreno, ove suo
padre alzandola fra le braccia le faceva ammirare attraverso i vetri
colorati delle imposte le aiuole bizzarramente tinte di giallo, di
rosso, di violetto; mentre la genitrice, giovane, bella, elegante,
moveva rapidissime le agili dita sui tasti del pianoforte, e la
Filomena accomodava i fiori freschi nel vaso di _Sèvres_ posto sul
tavolino. Indi il pensiero le tornava a una notte angosciosa, nella
quale certi figuri dal volto sinistro avevano frugato ogni angolo
della casa, e condotto con loro il padre di lei, l'uomo amato, riverito
da tutto il paese. E si ricordava di sedici lunghi mesi trascorsi in
febbrile ansietà e della domanda da lei rivolta un giorno alla madre:
— Il babbo ha egli fatto qualche cosa di male che ce l'hanno condotto
via con sì cattiva maniera? — A cui quella, divinamente infiammandosi
in viso, aveva risposto: — Oh! no, fanciulla mia, tu non la puoi capire
la ragione, per la quale il tuo babbo è tribolato; ma sappi ch'egli
aveva in mente di gran belle cose, e che tu devi volergli più bene
di prima. — Ma tornerà presto? — Oh se tornerà! — Il dì del ritorno è
venuto: oh, quanto era bello! Avvenimenti incredibili si erano successi
con la rapidità della folgore, una vita nuova pareva commuovere la
città, le bandiere tricolori sventolavano da ogni finestra, le piazze,
le vie erano gremite di gente, era un abbracciarsi, un baciarsi,
un correre, un saltare a guisa di forsennati. Quand'ecco tra il
suono di allegre fanfare, tra le acclamazioni di un popolo immenso,
avanzarsi, agitando i fazzoletti, un gruppo d'uomini dall'aspetto
pallido e macilento, dal vestire dimesso, ma raggianti le fisonomie
di commozione e di gioia. Ed ella e sua madre in mezzo a quel gruppo
avevano ravvisato un caro volto, avevano segnato un punto in mezzo a
quella mobile onda di teste, e correndo a precipizio giù dalle scale,
e fendendo la folla che spontanea e riverente si apriva a far largo,
avevano toccato quel punto, s'erano gettate fra le braccia dell'uomo
sospirato affannosamente per sedici lunghi mesi. Come il babbo suo
l'aveva trovata grande, e seria, e giudiziosa! Non era più la bambina
che voleva ad ogni istante esser sollevata da terra per veder le
aiuole del giardino attraverso i vetri colorati del salotto: quei
sedici mesi ne avevano fatta un'altra persona, tutta riflessiva e
pensosa. Pure così ella era cresciuta felice, piena l'anima d'affetti
e d'armonie, adorando i suoi genitori e da loro trepidamente adorata.
Delle sue amiche la più cara era la Matilde, quantunque avesse due
anni meno di lei, e fosse d'indole più chiassosa e più inchinevole
ai giuochi dell'età sua; ma la bontà dell'animo, la quale avevano
comune, creava tra loro un vincolo indissolubile di simpatia. La Nella
non le piaceva, nè ella piaceva a lei, e sua madre e sua zia erano
di natura così diversa, che le due famiglie non potevano vivere in
una certa intimità. Sennonchè, quando il padre venne a morire, e la
genitrice ebbe l'interno presentimento che di corto dovrebbe seguirlo,
un pensiero terribile angustiò la povera donna: quello dell'abbandono,
in cui sarebbe restata la sua figliuola. E mandò pel cognato, tutore
dell'Angelina fino dalla morte del fratello, e a lui raccomandò
l'orfana derelitta, e che la prendesse in sua casa, e l'avesse in conto
di una sua creatura. Di che, assicurata da lui, spirò più tranquilla.
L'Angelina aveva una piccola sostanza, co' frutti della quale poteva
supplire alle spese del suo mantenimento e provvedersi quel poco di
vestiario che le occorreva; onde, seppur ella era ospite dello zio, non
era però di peso a nessuno: chè, se fosse stato altrimenti, non v'ha
dubbio che quell'anima caritatevole della signora Clara glielo avrebbe
ricordato dieci volle al giorno; non senza spacciare a' quattro venti
la propria magnanimità. Felice lei, chè così non apprese quanto sappia
di sale lo pane altrui, e parendo beneficata le fu più agevole di
essere benefattrice.
IV.
In verità, per quel che ne bisbigliavano gl'indiscreti, le faccende
del signor Bernardo Mauri prendevano una cattiva piega. Il credito
cominciava a sfuggirgli e la matassa de' suoi affari era divenuta
così arruffata, che non sarebbe riuscito forse nemmeno ad un uomo più
avveduto di lui di trovarvi il bandolo. Per rimediare a un operazione
cattiva se ne faceva una peggiore, e si camminava sul vuoto, come
avviene pur troppo a' negozianti, che, o non vogliono persuadersi
d'un primo sbilancio, o non sanno fermarsi a tempo. D'altra parte, lo
spreco della famiglia non iscemavasi punto. Senz'avere nè il gusto,
nè le abitudini della vera eleganza, la signora Clara possedeva il
segreto di spendere, per vestirsi male e per addobbare malissimo la sua
casa, più di quanto avrebbe speso una bella damina a mettere sè e il
suo quartiere all'ultima moda. Il signor Bernardo era un uomo debole
e nemico delle beghe domestiche: non istimava sua moglie, ma nemmeno
sapeva resisterle, e piuttosto che sentir le querimonie di lei e della
Nella, allentava i cordoni della borsa. Quelle due benedette donne gli
davano continua molestia per la preferenza da lui mostrata per Angelina
e Matilde, ed egli sperava di farle tacere appagando i loro capricci.
E poi accade assai volte che sull'orlo del precipizio non si badi alle
spese. Quando le cifre del _deficit_ si contano per migliaia, che cosa
fa qualche centinaio di lire più o meno? Ne avvenne che proprio in quei
momenti critici casa Mauri s'era arricchita d'una nuova bestia, e una
carrozza a due cavalli aveva preso il posto del modesto biroccino usato
per tanti anni, e la signora Clara era occupatissima per far mettere un
gallone d'oro alto cinque dita intorno al cappello del suo cocchiere,
quando la bomba scoppiò, e il signor Bernardo dovette sospendere i suoi
pagamenti. Chi avesse veduto il pover'uomo nel giorno che per la prima
volta in sua vita gli toccò respingere una cambiale da lui accettata,
si sarebbe fatto un'idea di certi dolori che vanno a ferire quanto v'è
di più sacro — l'onore. — Il signor Bernardo era lì immobile, seduto
innanzi al suo scrittoio, con la testa fra le mani, pallido, sparuto,
senza lagrime e senza parola. Due commessi silenziosamente sommavano
cifre in due gran libroni aperti, e, dopo averne riportati i risultati
finali sopra un foglio di carta, li mettevano sott'occhio al loro
principale, che nè dava, nè chiedeva spiegazioni. Aveva sembianza di
automa, tanto avea fissa e cristallina la pupilla, tanto macchinali
i movimenti della persona. Nella mattina, appena ebbe sentore della
catastrofe, la signora Clara scese in banco, ma le prime parole che le
furono dette la fecero cadere in deliquio, onde fu mestieri che i due
commessi abbandonassero per un istante i loro libroni, e s'accingessero
a ricondurre ne' suoi appartamenti la venerabile padrona di casa.
Ma nè il deliquio della consorte, nè i baci della figliuola, nè i
conforti dell'Angelina valsero a scuotere il signor Bernardo dal suo
abbattimento. Convenne che la Matilde gli usasse amorevole violenza
per farlo salire al piano superiore nell'ora di pranzo. E che pranzo fu
quello! La signora Clara, presa dalle sue solite convulsioni, era nella
stanza assistita dalla Nella; l'Amalia, povera piccina, usa a correre e
a saltare, piangeva senza sapere il perchè; e la Matilde e l'Angelina
s'affaccendavano inutilmente per far prendere un pochino di brodo al
signor Bernardo, il quale non apriva bocca se non per esclamare: —
Povere creature mie! — Povere creature mie! —
Il dì seguente l'Angelina si alzò per tempissimo, e appena lo zio scese
in banco vi si avviò anch'essa con passo lieve e sollecito, e prima
quasi ch'egli se ne avvedesse gli era seduta vicino e avea strette
nelle sue mani le mani di lui.
— Angelina! — diss'egli con accento di viva sorpresa, non senza fissare
con curiosa tenerezza il volto malinconicamente espressivo della bella
fanciulla.
— Sì, zio, sono io stessa; — rispose ella seria e composta. — Vorrete
voi porgermi ascolto senza dirmi indiscreta?
— Parla, nipote mia.
— Zio, vorrei che m'insegnaste la maniera di farmi dichiarar
maggiore. —
Nella mente conturbata del signor Bernardo balenò in quell'istante un
pensiero ch'egli si peritava ad esprimere.
— Potremo pensarvi, ragazza mia;... però, sai, le tue ventimila....
insomma quello che ti hanno lasciato i tuoi genitori, nessuno può
toccarlo:... è intatto. —
Una tristezza profonda, indescrivibile, quale di chi si vede mal
giudicato, si dipinse sul volto dell'Angelina. Ella chinò il capo e
disse con voce sommessa:
— Zio, gli uomini devono esser molto cattivi, devono avervi fatto molto
male.
— Angelina, spiegati per amor di Dio.
— Scusate se sono importuna.... un'altra domanda....
— Quale?
— Potreste dirmi a quanto ascenda la somma che non siete in grado di
pagare ai vostri creditori? —
Il signor Bernardo tornò a figgere gli occhi nel viso dell'Angelina,
cercando inutilmente d'indovinare il senso arcano delle sue parole:
poi, reprimendo un sospiro, presa una carta ch'era sullo scrittoio,
la consegnò senza dir motto alla nipote, e si nascose la faccia tra le
mani.
La cifra segnata in fondo di quel foglio parve maravigliare
dolorosamente la giovine.
— Non basta, — diss'ella con l'accento di chi vede annientarsi un suo
disegno.
— Ma che cosa non basta? — chiese ansiosamente il signor Bernardo.
— Ohi Dio mio! nulla: speravo che le cose nostre potessero accomodarsi,
e mi sono ingannata.... Non basta.
— Ma dunque, — proruppe il signor Bernardo colto da una subita idea; —
ma dunque tu avevi in animo qualche gran sacrifizio?
— Io.... no... O non siete voi il fratello del mio povero babbo? Non
sono io della famiglia? La Matilde non è essa la mia migliore amica?
Io pensavo se vi era modo di rimettere in sesto le nostre faccende,
valendoci di quella piccola somma che mi appartiene. Pur troppo era
un'illusione.
— Ma tu vaneggi, Angelina, — sclamò lo zio. — Tu credevi dunque che io,
tuo tutore, potessi consentire a travolgere nella mia rovina anche la
tua poca sostanza, il frutto di tanti anni di lavoro di tuo padre, di
tanti anni di economia della tua genitrice? Angelina, lo sei un vero
miracolo di bontà e d'abnegazione; ma quando pure ciò che tu mi offri
bastasse a pareggiare fin l'ultimo mio debito, no, Angelina, io non
l'accetterei, io non potrei accettarlo. O che è permesso a un uomo che
affoga di trascinar seco anche quelli che stanno a riva?
— Ebbene, zio, se vi foste creduto umiliato da un mio dono, io vi
avrei pregato di accettare quel danaro come un imprestito. Me l'avreste
restituito più tardi col frutto del vostro lavoro.
— Il mio lavoro! — sclamò il signor Bernardo, soprappreso nuovamente da
funesti pensieri. — E come ricomincierò io la vita a sessant'anni? dove
troverò l'energia che mi basti a superare tutte le difficoltà della
mia nuova esistenza? Oh! Angelina: le molle della mia attività sono
infrante; io lo sento che non sono più buono a nulla....
— Zitto là, zio mio, — interruppe l'Angelina, mettendogli la mano sulla
bocca. — E sarà pure necessario che ci mettiamo tutti a far qualche
cosa, se si vuol campare.
— Ma tu, Angelina, non hai bisogno di nulla. Bene o male, puoi vivere
del frutto di ciò che è tuo, inviolabilmente tuo, di ciò che formerà la
tua dote.
— Oh, non vogliate mortificarmi! Prima delle vostre disgrazie m'avete
voi detto mai: — Questo è tuo, questo è mio? — Non m'avete voi accolto
come una figliuola? Quando io sono entrata nella vostra casa, io non
intesi di entrarvi come ospite, nè d'essere una cosa distinta dagli
altri di famiglia.... Ciò ch'è mio è di tutti.
— Anche di quelli che non ti trattano bene?
— Nessuno mi tratta male, — rispose l'Angelina, abbassando gli occhi.
— Orsù, Angelina, — concluse il signor Bernardo alzandosi in piedi,
— la tua visita mi ha fatto un gran bene.... ho visto che ho una
figliuola di più, e — soggiuns'egli tristamente — forse migliore
di qualchedun.... — Ma qui uno sguardo dell'Angelina gl'impose di
troncare a mezzo la frase. — Insomma, tu lo vedi, la tua offerta non è
accettabile: prima di tutto sarebbe una goccia nel mare; e poi quel tuo
danaro è un deposito sacro.
— E non son forse sacri anche gli altri vostri debiti? —
Il signor Bernardo riflettè un istante, poi disse con voce sicura: —
Meno di questo. — E poichè l'Angelina accennava a voler replicare, —
È proprio inutile che ne discorriamo, nipote mia; — egli concluse. —
Metti in calma quella tua testolina,... e il cielo provvederà. — Ciò
detto, le prese il capo con ambe le mani e la baciò in fronte.
Allorchè l'Angelina ebbe risalite le scale, pensando in quale altro
modo le sarebbe dato giovare alla famiglia dello zio, trovò nella sua
stanza una donna venuta a visitarla. Era la Filomena. Com'era naturale,
la catastrofe di casa Mauri fu il primo argomento dei suoi discorsi.
— Giù quando in una casa non c'è ordine, nulla fa maraviglia.
Figuratevi! Con le idee della signora Clara sarebbe andato in rovina
anche il più ricco uomo di questa terra.... E quel grullo di suo
marito, scusi sa, che pur di levarsi le seccature le avrebbe dato anche
il Duomo di Milano! Oh! si doveva vedere. Già io lo diceva sempre. In
quella famiglia c'è venuto il capogiro.... la non può durare.... E ora,
padroncina, s'ella volesse badare a me, che pur troppo, con tutto il
rispetto, lei ha un cervellino che vuol fare a suo modo, s'ella volesse
badare a me, non ci starebbe più un momento in questa Babele....
— Oh! Filomena...
— Mi lasci dire... ella non ci starebbe più un momento, e col frutto
di quel po' di ben di Dio che ha ereditato da suo padre, ci sarebbe
da campare in santa pace.... Io verrei a servirla per nulla.... sì,
giuro alla Madonna santissima, che non vorrei un centesimo pur di stare
vicino alla mia padroncina.
— Ma insomma, Filomena, finiamola.
— Eh! capisco.... son gusti.... lei si trova meglio con quelli che la
maltrattano....
— Basta così, Filomena, tu vaneggi....
— Punto, punto, — incalzò la fantesca, concitando la voce e piantandosi
le mani ai fianchi: — o in fin dei conti crede che non sappia io come
stanno le cose? Me ne informo sempre dalla donna di casa, dalla Teresa,
che quella è una donna a modo.... seppur nelle spese qualche volta....
ma basta.... nessuno è senza peccato,... e so per filo e per segno
tutto quello che fanno, tutto quello che dicono, e tutto quello che
pensano....
— Ma è una parte odiosa codesta....
— Oh! quando ci va di mezzo il bene della mia padroncina! E la Teresa
mi dice che la trattano come un cane.... oh! non stupisca,... e che
soprattutto fra la signora Clara e quel bel mobile della Nelluccia,
per rincarare la dose, vanno dicendo male di lei.... sì signora.... e
spargono ai quattro venti che lei è un'egoista, e che non pensa che a
sè, e a guardar la luna, e a far venire delle ubbie in capo.... —
L'Angelina s'era ritta in piedi pallida pallida, e con tuono
tranquillo, ma risoluto, si rivolse alla Filomena:
— Non una parola di più.... Checchè dicano, e checchè pensino sul conto
mio, io non voglio saperlo.... so quello che faccio io, e mi basta....
E se tu hai a venire a riferirmi de' pettegolezzi, senti, Filomena,
sebbene m'hai vista bambina, e mi hai tenuta fra le tue braccia, e hai
assistito i miei poveri genitori, te lo giuro, che non ti vo' veder più
in vita mia.... Per quello che hai detto oggi ti perdono, e va via. —
Ella stese la mano alla vecchia che la baciò tutta in lagrime, e usci
mortificata borbottando: — Che bel compenso! Che bel compenso! Oh la
gioventù! —
Rimasta sola, l'Angelina si lasciò ricader sulla seggiola nei più
profondo abbattimento. Ella aveva avvilito, aveva quasi scacciato
da sè come calunniatrice e pettegola una donna, della cui fede non
poteva dubitare; aveva spezzato forse per sempre l'ultimo anello che
la ricongiungeva ai dolci giorni della sua fanciullezza, e quale era
il guiderdone de' suoi sacrificî? No, tutto ciò che quella donna avea
detto non era falso. In quella casa v'era alcuno che non l'amava,
che mentr'ella spontanea voleva immolare la sua fortuna al bene della
famiglia, la diceva egoista e insidiatrice della quiete domestica....
Ma a che pro dunque?... Questo dubbio s'affacciò un istante allo
spirito della giovinetta, ma l'indole generosa di lei prevalse ai
freddi calcoli della ragione, ed ella uscì dalla lotta più gagliarda
di prima. Si alzò con subito movimento per cercare della Matilde.
Sennonchè essa entrò in quel punto nella stanza, e l'Angelina con
affettuoso abbandono le gettò le braccia al collo.
— Come va, Matilde?
— Così.... sono stata fino adesso presso alla mamma, che è a letto co'
suoi soliti incomodi.... Ma tu che cos'hai?... mi sembri commossa.
— Nulla.... ti do un bacio. — E sorridendo fra le lagrime, soggiunse: —
Non te n'hai mica a male?... —
V.
Quando il signor Bernardo nel suo colloquio con l'Angelina disse di
non sentirsi più buono a nulla, il poveretto esprimeva una cosa che
era pur troppo vera. La difficoltà di comporre amichevolmente le sue
faccende, il contegno ostile di alcuni creditori, la diserzione de'
più fidati amici, e sopra tutto il pensiero del suo buon nome perduto,
gli travagliavano l'animo siffattamente da renderlo inetto ad ogni
lavoro. Non si riconosceva più. Aveva serbata la consuetudine di
scendere la mattina per tempo nel banco, ma ivi giunto abbandonavasi
sul suo seggiolone, rimanendovi immobile e muto, sinchè taluno non
venisse a scuoterlo. Alle domande che gli erano rivolte rispondeva con
monosillabi, i due commessi che attendevano ancora alla liquidazione
dell'azienda dovevano regolarsi di proprio capo, tanto ardua impresa
era quella di levargli una parola di bocca. Pur tratto tratto
pareva risentirsi, e cercava fermare la mente su qualche disegno
per l'avvenire, e si alzava, e gli si spianavano per un istante
le rughe della fronte; ma di lì a poco lo vinceva la diffidenza di
sè, e ritornava nel posto e nell'atteggiamento di prima. In casa,
e specialmente con le due figliuole minori e con l'Angelina, era
affettuoso, tenero come al solito: ma nè i baci dell'Amalia, nè
le carezze della Matilde, nè lo sguardo amorevole, nè la parola
confortatrice della nipote avevano virtù che bastasse a ravvivare le
sue fibre intorpidite. E quando mercè il sacrificio di tutto il suo
avere e per le cure operose di un legale, amico di casa, gli venne
fatto di accomodare le cose sue senza lo scandalo dell'azione dei
tribunali, il suo spirito anzichè sollevarsi si accasciò maggiormente.
Che se prima si cullava per qualche minuto nell'illusione di poter
riguadagnare un giorno a sè il nome d'un commerciante senza macchia,
alla sua famiglia gli agî di una tranquilla esistenza, ora che facea
d'uopo di romper gl'indugî e mettersi all'opera, si sentiva troppo
disuguale all'impresa, e dalla difficoltà di risorgere misurava la
profondità della caduta. E invero n'aveva ben donde. È agevole perdere
le abitudini della economia, non così quello dello scialacquo, e
in casa Mauri non v'era nè tanta forza d'animo, nè tanta virtù di
rassegnazione da sapersi acconciare alle vicende della fortuna. Le
facoltà della famiglia si riducevano ormai a qualche migliaio di lire
della dote della signora Clara e al frutto del piccolo patrimonio
dell'Angelina. Poco importa al lettore se la signora Clara per una
innocente dimenticanza affermava che tutto il dispendio pesava sulle
sue spalle, e che non vi sarebbe stata altra donna al mondo così pronta
a sacrificarsi pel bene altrui. Forse in cuor suo ella sentiva di
andar debitrice di moltissimo alla nipote, ma appunto per questo le si
mostrava più fredda che mai. Non dovrebbe essere, ma pure è così: a
venire in uggia ad una persona non c'è più sicuro modo che quello di
renderle servigio. Il beneficato sbuffa come Encelado sotto il peso
immane della riconoscenza e se ne sta all'erta per trovare i secondi
fini della liberalità altrui, e se può scoprire mille difetti al
benefattore, gli è come se avesse guadagnato un terno al lotto. Eppure
chi rinunzierà per questo alle dolcezze di sovvenire alle miserie, di
alleviare i dolori? Non certo anime soavi come l'Angelina, per le quali
l'abnegazione diventa un'abitudine, per guisa da non accorgersi nemmeno
ch'ella è una virtù. Il peggio si era che, alla lunga, con quelle
entrate riusciva impossibile di tirare innanzi. Dal signor Bernardo non
potevasi più sperar nulla: s'era provato, riprovato più volte, e non
gli reggevan le forze; egli lo diceva con indescrivibile malinconia: —
Sono diventato un mobile della casa e nulla più. — Intanto gl'imbarazzi
crescevano; ogni giorno conveniva pensare a diminuire qualche spesa;
oggi licenziare il maestro di musica, domani rinunziare a un vestito,
un altro giorno a un piatto a tavola, e poi? Quando si fosse dato
fondo alla dote della signora Clara, che cosa sarebbe rimasto? Non un
centesimo fuori della sostanza dell'Angelina. Ora la giovinetta, che il
giorno dopo la catastrofe aveva offerto allo zio tutto il suo avere,
affinch'egli se ne servisse a pagare i suoi debiti e a ricominciare
con maggior lena la via, non si sentiva più l'animo inchinevole a tanto
sacrificio. Ella era pronta a dividere co' suoi ospiti anche l'ultimo
tozzo di pane, pronta a vivere in più umile dimora e a vestire più
dimessa; ma le ripugnava l'idea di veder travolta quell'ultima àncora
di salvezza, di veder dileguarsi senza frutto la scarsa eredità de'
suoi genitori. Aveva retto l'ingegno quanto buono il cuore, ed ella
intendeva che il dare tutto il suo non servirebbe che a procacciare
alla famiglia qualche anno di agiatezza, in fondo ai quale ed ella e
gli altri troverebbero la miseria e forse l'indigenza. È agevole però
immaginare se di questa sua saggezza non si mormorasse in famiglia.
La signora Clara pareva tutta trionfante di poter dire al marito: —
Vedete a che cosa si riduce la virtù della vostra protetta! Offerte
d'ogni maniera, quando sapeva che non avreste nulla accettato; ma ora,
al punto in cui siamo, non fiata nemmeno e la ci lascerà andare in
rovina senza tenderci una mano. Diavolo! La vuol serbare intatta la sua
dote. O che non l'ho sacrificata io la mia dote? Eh! l'ho sempre detto
io che non si doveva fidarsi, e che ci eravamo presi a riscaldare una
serpe.... Già voi non fate nulla, non tentate nemmeno di sollevare le
vostre creature, e questa è la causa più grande de' nostri guai....
— Il pover'uomo, mortificato com'era e conscio de' suoi torti e della
sua impotenza, mal riusciva a difendere la nipote così ingiustamente
assalita, e forse mentre vedeva a pochi passi il precipizio e sentiva
di non poterne recedere, maravigliavasi anch'egli che l'Angelina,
la dolce Angelina, da lui stimata il buon genio della famiglia, non
accorresse sollecita a tendergli le braccia, ad aiutarlo nelle sue
nuove strette. Nè alla fanciulla sfuggivano siffatte mormorazioni sul
conto suo, ma ell'era tanto sicura della propria coscienza da non darvi
peso alcuno e da non far conto delle accuse. Anzi da qualche tempo
il suo volto s'era fatto più sereno, e le raggiava dagli occhi una
ilarità inconsueta. Usciva talvolta di casa soletta, e al suo ritorno
aveva sempre un sorriso sul labbro ed era tutta amorosa e scherzevole
verso la piccola Amalia, che le balzava incontro come bambino alla sua
nutrice. Figuratevi se di queste sue passeggiate la signora Clara e
la Nella facevan commenti: la Matilde stessa non ne sapeva lo scopo.
V'era certo qualche amorazzo, qualche scandalo, che il cielo ci scampi
e liberi, e la signora Clara aveva già deliberato di venire in chiaro
della tresca, allorchè tutto divenne palese. L'Angelina, profittando di
alcune antiche conoscenze di casa sua, s'era procurata delle lezioni di
musica, col frutto delle quali ella pensava sovvenire a' bisogni più
urgenti della famiglia, e se non l'aveva detto a nessuno, era perchè
nessuno ponesse ostacoli al suo divisamento. Non ambiva le lodi. Che il
signor Bernardo le rivolgesse uno sguardo amorevole, che la Matilde le
saltasse al collo baciandola in fronte, era sufficiente guiderdone per
lei. E che le importava se la bisbetica zia trovava da ridire in quel
suo atto d'indipendenza, e giudicava disdicevole a una ragazza fregiata
del nome Mauri di far la maestra di musica? e se ripeteva qua e là
che l'era un cervellino balzano e che voleva far le cose a modo suo, e
mentre non le mancava nulla di nulla, pur d'emanciparsi s'era buttata a
quel mestieraccio? Del resto la signora Clara soggiungeva: — S'accomodi
pure, che in fin de' conti non è se non mia nipote, e il suo tutore è
quel grullo di mio marito; a me preme soltanto che la non si confonda
con le mie figliuole, le quali, finchè vivo io, non andranno certo a
guadagnarsi il pane in quella maniera.... Tutt'al più, se si trattasse
d'essere istitutrici in una famiglia principesca!... —
Eppure dal dì che, orfana e derelitta, aveva dovuto ricoverarsi sotto
un tetto che non era il suo, l'Angelina non si era mai sentita così
tranquilla come allora che una vita operosa occupava le sue giornate, e
la cresceva nella stima di sè stessa. Ella benediceva la memoria della
sua povera mamma, che aveva educato in lei la naturale inclinazione
alla musica e fin da bambina l'aveva tenuta per tante ore al suo
pianoforte, e ripensava con entusiasmo al precetto sì spesso ripetuto
dal padre suo: — Non esservi nulla di più onorevole che il lavoro;
nulla che meglio del lavoro doni vigore al corpo, calma allo spirito,
dignità all'esistenza. — Ella usciva ogni mattina alle otto, col suo
vestito semplice, ma decente e quasi elegante, col suo passo svelto
e sicuro, co' suoi diciannove anni sulla fronte, e percorreva senza
trepidanza le vie più popolose della città, guardata da molti, non
seguita mai da nessuno. I modi elettissimi e la rara abilità nell'arte
sua le procacciavano le più liete accoglienze nelle famiglie ov'ella
era introdotta, e le sue discepole, che la tenevano in conto d'amica,
facevano a gara per usarle ogni specie di cortesia, e chi l'avrebbe
voluta seco al teatro, e chi al ballo, e chi in villa. Però l'Angelina
non accettava nulla; chè per tutto l'oro del mondo non sarebbe entrata
in una società che non era la sua, nè avrebbe consentito a divertirsi,
mentre la sua buona Matilde se la passava malinconicamente nella
solitudine della sua stanza. Infatti se l'umore dell'Angelina s'era
da qualche tempo reso più giocondo che non fosse per l'addietro, un
mutamento contrario erasi operato nel carattere della Matilde. La
vispa fanciulla aveva perduto da un pezzo la sua ilarità clamorosa: il
del sentimento, e le corde delicatissime dell'anima sua vibravano ad
ogni tocco leggiero; pure la ingenua grazia, ch'era parte di lei, non
si scompagnava mai da' suoi atti e dalle sue movenze. Ella non aveva
d'uopo dello specchio per raccogliere entro la bruna rete di seta il
fitto volume della sua chioma, senza che ne scappasse fuori un capello,
o per allacciarsi il vestito senza tradire la fretta o la negligenza.
Chi la vedeva di volo non poteva a meno di esclamare: — Com'è elegante!
— Chi la osservava più riposatamente doveva dire: — Com'è semplice! —
Una tinta di dolce malinconia soleva esserle diffusa pel volto, non di
quella malinconia querula e dispettosa che tedia gli altri e sè stessi;
ma di quella che trae origine da un'indole riflessiva, e non esclude
le serene allegrezze della vita e la spontanea compartecipazione ai
piaceri altrui. Saper partecipare ai dolori è nobilissima, ma non è
compìta virtù; le anime elette sanno partecipare come agli affanni,
alle gioie, come ai timori, alle speranze, come alle lagrime, al
riso. Nel breve corso de' suoi diciott'anni l'Angelina aveva molto
goduto e sofferto, e l'esperienza aveva nutrito in lei quella soave
disposizione alla simpatia che stringe di cari nodi gli umani. Oh!
la vita le si era pur dischiusa gioconda; nè carezze, nè agî erano
mancati alla sua cuna. Ella si ricordava ancora la casa ove nacque,
e il giardinetto ove correva bambina vigilata dall'attento occhio
materno. Si ricordava l'allegro salottino del pian terreno, ove suo
padre alzandola fra le braccia le faceva ammirare attraverso i vetri
colorati delle imposte le aiuole bizzarramente tinte di giallo, di
rosso, di violetto; mentre la genitrice, giovane, bella, elegante,
moveva rapidissime le agili dita sui tasti del pianoforte, e la
Filomena accomodava i fiori freschi nel vaso di _Sèvres_ posto sul
tavolino. Indi il pensiero le tornava a una notte angosciosa, nella
quale certi figuri dal volto sinistro avevano frugato ogni angolo
della casa, e condotto con loro il padre di lei, l'uomo amato, riverito
da tutto il paese. E si ricordava di sedici lunghi mesi trascorsi in
febbrile ansietà e della domanda da lei rivolta un giorno alla madre:
— Il babbo ha egli fatto qualche cosa di male che ce l'hanno condotto
via con sì cattiva maniera? — A cui quella, divinamente infiammandosi
in viso, aveva risposto: — Oh! no, fanciulla mia, tu non la puoi capire
la ragione, per la quale il tuo babbo è tribolato; ma sappi ch'egli
aveva in mente di gran belle cose, e che tu devi volergli più bene
di prima. — Ma tornerà presto? — Oh se tornerà! — Il dì del ritorno è
venuto: oh, quanto era bello! Avvenimenti incredibili si erano successi
con la rapidità della folgore, una vita nuova pareva commuovere la
città, le bandiere tricolori sventolavano da ogni finestra, le piazze,
le vie erano gremite di gente, era un abbracciarsi, un baciarsi,
un correre, un saltare a guisa di forsennati. Quand'ecco tra il
suono di allegre fanfare, tra le acclamazioni di un popolo immenso,
avanzarsi, agitando i fazzoletti, un gruppo d'uomini dall'aspetto
pallido e macilento, dal vestire dimesso, ma raggianti le fisonomie
di commozione e di gioia. Ed ella e sua madre in mezzo a quel gruppo
avevano ravvisato un caro volto, avevano segnato un punto in mezzo a
quella mobile onda di teste, e correndo a precipizio giù dalle scale,
e fendendo la folla che spontanea e riverente si apriva a far largo,
avevano toccato quel punto, s'erano gettate fra le braccia dell'uomo
sospirato affannosamente per sedici lunghi mesi. Come il babbo suo
l'aveva trovata grande, e seria, e giudiziosa! Non era più la bambina
che voleva ad ogni istante esser sollevata da terra per veder le
aiuole del giardino attraverso i vetri colorati del salotto: quei
sedici mesi ne avevano fatta un'altra persona, tutta riflessiva e
pensosa. Pure così ella era cresciuta felice, piena l'anima d'affetti
e d'armonie, adorando i suoi genitori e da loro trepidamente adorata.
Delle sue amiche la più cara era la Matilde, quantunque avesse due
anni meno di lei, e fosse d'indole più chiassosa e più inchinevole
ai giuochi dell'età sua; ma la bontà dell'animo, la quale avevano
comune, creava tra loro un vincolo indissolubile di simpatia. La Nella
non le piaceva, nè ella piaceva a lei, e sua madre e sua zia erano
di natura così diversa, che le due famiglie non potevano vivere in
una certa intimità. Sennonchè, quando il padre venne a morire, e la
genitrice ebbe l'interno presentimento che di corto dovrebbe seguirlo,
un pensiero terribile angustiò la povera donna: quello dell'abbandono,
in cui sarebbe restata la sua figliuola. E mandò pel cognato, tutore
dell'Angelina fino dalla morte del fratello, e a lui raccomandò
l'orfana derelitta, e che la prendesse in sua casa, e l'avesse in conto
di una sua creatura. Di che, assicurata da lui, spirò più tranquilla.
L'Angelina aveva una piccola sostanza, co' frutti della quale poteva
supplire alle spese del suo mantenimento e provvedersi quel poco di
vestiario che le occorreva; onde, seppur ella era ospite dello zio, non
era però di peso a nessuno: chè, se fosse stato altrimenti, non v'ha
dubbio che quell'anima caritatevole della signora Clara glielo avrebbe
ricordato dieci volle al giorno; non senza spacciare a' quattro venti
la propria magnanimità. Felice lei, chè così non apprese quanto sappia
di sale lo pane altrui, e parendo beneficata le fu più agevole di
essere benefattrice.
IV.
In verità, per quel che ne bisbigliavano gl'indiscreti, le faccende
del signor Bernardo Mauri prendevano una cattiva piega. Il credito
cominciava a sfuggirgli e la matassa de' suoi affari era divenuta
così arruffata, che non sarebbe riuscito forse nemmeno ad un uomo più
avveduto di lui di trovarvi il bandolo. Per rimediare a un operazione
cattiva se ne faceva una peggiore, e si camminava sul vuoto, come
avviene pur troppo a' negozianti, che, o non vogliono persuadersi
d'un primo sbilancio, o non sanno fermarsi a tempo. D'altra parte, lo
spreco della famiglia non iscemavasi punto. Senz'avere nè il gusto,
nè le abitudini della vera eleganza, la signora Clara possedeva il
segreto di spendere, per vestirsi male e per addobbare malissimo la sua
casa, più di quanto avrebbe speso una bella damina a mettere sè e il
suo quartiere all'ultima moda. Il signor Bernardo era un uomo debole
e nemico delle beghe domestiche: non istimava sua moglie, ma nemmeno
sapeva resisterle, e piuttosto che sentir le querimonie di lei e della
Nella, allentava i cordoni della borsa. Quelle due benedette donne gli
davano continua molestia per la preferenza da lui mostrata per Angelina
e Matilde, ed egli sperava di farle tacere appagando i loro capricci.
E poi accade assai volte che sull'orlo del precipizio non si badi alle
spese. Quando le cifre del _deficit_ si contano per migliaia, che cosa
fa qualche centinaio di lire più o meno? Ne avvenne che proprio in quei
momenti critici casa Mauri s'era arricchita d'una nuova bestia, e una
carrozza a due cavalli aveva preso il posto del modesto biroccino usato
per tanti anni, e la signora Clara era occupatissima per far mettere un
gallone d'oro alto cinque dita intorno al cappello del suo cocchiere,
quando la bomba scoppiò, e il signor Bernardo dovette sospendere i suoi
pagamenti. Chi avesse veduto il pover'uomo nel giorno che per la prima
volta in sua vita gli toccò respingere una cambiale da lui accettata,
si sarebbe fatto un'idea di certi dolori che vanno a ferire quanto v'è
di più sacro — l'onore. — Il signor Bernardo era lì immobile, seduto
innanzi al suo scrittoio, con la testa fra le mani, pallido, sparuto,
senza lagrime e senza parola. Due commessi silenziosamente sommavano
cifre in due gran libroni aperti, e, dopo averne riportati i risultati
finali sopra un foglio di carta, li mettevano sott'occhio al loro
principale, che nè dava, nè chiedeva spiegazioni. Aveva sembianza di
automa, tanto avea fissa e cristallina la pupilla, tanto macchinali
i movimenti della persona. Nella mattina, appena ebbe sentore della
catastrofe, la signora Clara scese in banco, ma le prime parole che le
furono dette la fecero cadere in deliquio, onde fu mestieri che i due
commessi abbandonassero per un istante i loro libroni, e s'accingessero
a ricondurre ne' suoi appartamenti la venerabile padrona di casa.
Ma nè il deliquio della consorte, nè i baci della figliuola, nè i
conforti dell'Angelina valsero a scuotere il signor Bernardo dal suo
abbattimento. Convenne che la Matilde gli usasse amorevole violenza
per farlo salire al piano superiore nell'ora di pranzo. E che pranzo fu
quello! La signora Clara, presa dalle sue solite convulsioni, era nella
stanza assistita dalla Nella; l'Amalia, povera piccina, usa a correre e
a saltare, piangeva senza sapere il perchè; e la Matilde e l'Angelina
s'affaccendavano inutilmente per far prendere un pochino di brodo al
signor Bernardo, il quale non apriva bocca se non per esclamare: —
Povere creature mie! — Povere creature mie! —
Il dì seguente l'Angelina si alzò per tempissimo, e appena lo zio scese
in banco vi si avviò anch'essa con passo lieve e sollecito, e prima
quasi ch'egli se ne avvedesse gli era seduta vicino e avea strette
nelle sue mani le mani di lui.
— Angelina! — diss'egli con accento di viva sorpresa, non senza fissare
con curiosa tenerezza il volto malinconicamente espressivo della bella
fanciulla.
— Sì, zio, sono io stessa; — rispose ella seria e composta. — Vorrete
voi porgermi ascolto senza dirmi indiscreta?
— Parla, nipote mia.
— Zio, vorrei che m'insegnaste la maniera di farmi dichiarar
maggiore. —
Nella mente conturbata del signor Bernardo balenò in quell'istante un
pensiero ch'egli si peritava ad esprimere.
— Potremo pensarvi, ragazza mia;... però, sai, le tue ventimila....
insomma quello che ti hanno lasciato i tuoi genitori, nessuno può
toccarlo:... è intatto. —
Una tristezza profonda, indescrivibile, quale di chi si vede mal
giudicato, si dipinse sul volto dell'Angelina. Ella chinò il capo e
disse con voce sommessa:
— Zio, gli uomini devono esser molto cattivi, devono avervi fatto molto
male.
— Angelina, spiegati per amor di Dio.
— Scusate se sono importuna.... un'altra domanda....
— Quale?
— Potreste dirmi a quanto ascenda la somma che non siete in grado di
pagare ai vostri creditori? —
Il signor Bernardo tornò a figgere gli occhi nel viso dell'Angelina,
cercando inutilmente d'indovinare il senso arcano delle sue parole:
poi, reprimendo un sospiro, presa una carta ch'era sullo scrittoio,
la consegnò senza dir motto alla nipote, e si nascose la faccia tra le
mani.
La cifra segnata in fondo di quel foglio parve maravigliare
dolorosamente la giovine.
— Non basta, — diss'ella con l'accento di chi vede annientarsi un suo
disegno.
— Ma che cosa non basta? — chiese ansiosamente il signor Bernardo.
— Ohi Dio mio! nulla: speravo che le cose nostre potessero accomodarsi,
e mi sono ingannata.... Non basta.
— Ma dunque, — proruppe il signor Bernardo colto da una subita idea; —
ma dunque tu avevi in animo qualche gran sacrifizio?
— Io.... no... O non siete voi il fratello del mio povero babbo? Non
sono io della famiglia? La Matilde non è essa la mia migliore amica?
Io pensavo se vi era modo di rimettere in sesto le nostre faccende,
valendoci di quella piccola somma che mi appartiene. Pur troppo era
un'illusione.
— Ma tu vaneggi, Angelina, — sclamò lo zio. — Tu credevi dunque che io,
tuo tutore, potessi consentire a travolgere nella mia rovina anche la
tua poca sostanza, il frutto di tanti anni di lavoro di tuo padre, di
tanti anni di economia della tua genitrice? Angelina, lo sei un vero
miracolo di bontà e d'abnegazione; ma quando pure ciò che tu mi offri
bastasse a pareggiare fin l'ultimo mio debito, no, Angelina, io non
l'accetterei, io non potrei accettarlo. O che è permesso a un uomo che
affoga di trascinar seco anche quelli che stanno a riva?
— Ebbene, zio, se vi foste creduto umiliato da un mio dono, io vi
avrei pregato di accettare quel danaro come un imprestito. Me l'avreste
restituito più tardi col frutto del vostro lavoro.
— Il mio lavoro! — sclamò il signor Bernardo, soprappreso nuovamente da
funesti pensieri. — E come ricomincierò io la vita a sessant'anni? dove
troverò l'energia che mi basti a superare tutte le difficoltà della
mia nuova esistenza? Oh! Angelina: le molle della mia attività sono
infrante; io lo sento che non sono più buono a nulla....
— Zitto là, zio mio, — interruppe l'Angelina, mettendogli la mano sulla
bocca. — E sarà pure necessario che ci mettiamo tutti a far qualche
cosa, se si vuol campare.
— Ma tu, Angelina, non hai bisogno di nulla. Bene o male, puoi vivere
del frutto di ciò che è tuo, inviolabilmente tuo, di ciò che formerà la
tua dote.
— Oh, non vogliate mortificarmi! Prima delle vostre disgrazie m'avete
voi detto mai: — Questo è tuo, questo è mio? — Non m'avete voi accolto
come una figliuola? Quando io sono entrata nella vostra casa, io non
intesi di entrarvi come ospite, nè d'essere una cosa distinta dagli
altri di famiglia.... Ciò ch'è mio è di tutti.
— Anche di quelli che non ti trattano bene?
— Nessuno mi tratta male, — rispose l'Angelina, abbassando gli occhi.
— Orsù, Angelina, — concluse il signor Bernardo alzandosi in piedi,
— la tua visita mi ha fatto un gran bene.... ho visto che ho una
figliuola di più, e — soggiuns'egli tristamente — forse migliore
di qualchedun.... — Ma qui uno sguardo dell'Angelina gl'impose di
troncare a mezzo la frase. — Insomma, tu lo vedi, la tua offerta non è
accettabile: prima di tutto sarebbe una goccia nel mare; e poi quel tuo
danaro è un deposito sacro.
— E non son forse sacri anche gli altri vostri debiti? —
Il signor Bernardo riflettè un istante, poi disse con voce sicura: —
Meno di questo. — E poichè l'Angelina accennava a voler replicare, —
È proprio inutile che ne discorriamo, nipote mia; — egli concluse. —
Metti in calma quella tua testolina,... e il cielo provvederà. — Ciò
detto, le prese il capo con ambe le mani e la baciò in fronte.
Allorchè l'Angelina ebbe risalite le scale, pensando in quale altro
modo le sarebbe dato giovare alla famiglia dello zio, trovò nella sua
stanza una donna venuta a visitarla. Era la Filomena. Com'era naturale,
la catastrofe di casa Mauri fu il primo argomento dei suoi discorsi.
— Giù quando in una casa non c'è ordine, nulla fa maraviglia.
Figuratevi! Con le idee della signora Clara sarebbe andato in rovina
anche il più ricco uomo di questa terra.... E quel grullo di suo
marito, scusi sa, che pur di levarsi le seccature le avrebbe dato anche
il Duomo di Milano! Oh! si doveva vedere. Già io lo diceva sempre. In
quella famiglia c'è venuto il capogiro.... la non può durare.... E ora,
padroncina, s'ella volesse badare a me, che pur troppo, con tutto il
rispetto, lei ha un cervellino che vuol fare a suo modo, s'ella volesse
badare a me, non ci starebbe più un momento in questa Babele....
— Oh! Filomena...
— Mi lasci dire... ella non ci starebbe più un momento, e col frutto
di quel po' di ben di Dio che ha ereditato da suo padre, ci sarebbe
da campare in santa pace.... Io verrei a servirla per nulla.... sì,
giuro alla Madonna santissima, che non vorrei un centesimo pur di stare
vicino alla mia padroncina.
— Ma insomma, Filomena, finiamola.
— Eh! capisco.... son gusti.... lei si trova meglio con quelli che la
maltrattano....
— Basta così, Filomena, tu vaneggi....
— Punto, punto, — incalzò la fantesca, concitando la voce e piantandosi
le mani ai fianchi: — o in fin dei conti crede che non sappia io come
stanno le cose? Me ne informo sempre dalla donna di casa, dalla Teresa,
che quella è una donna a modo.... seppur nelle spese qualche volta....
ma basta.... nessuno è senza peccato,... e so per filo e per segno
tutto quello che fanno, tutto quello che dicono, e tutto quello che
pensano....
— Ma è una parte odiosa codesta....
— Oh! quando ci va di mezzo il bene della mia padroncina! E la Teresa
mi dice che la trattano come un cane.... oh! non stupisca,... e che
soprattutto fra la signora Clara e quel bel mobile della Nelluccia,
per rincarare la dose, vanno dicendo male di lei.... sì signora.... e
spargono ai quattro venti che lei è un'egoista, e che non pensa che a
sè, e a guardar la luna, e a far venire delle ubbie in capo.... —
L'Angelina s'era ritta in piedi pallida pallida, e con tuono
tranquillo, ma risoluto, si rivolse alla Filomena:
— Non una parola di più.... Checchè dicano, e checchè pensino sul conto
mio, io non voglio saperlo.... so quello che faccio io, e mi basta....
E se tu hai a venire a riferirmi de' pettegolezzi, senti, Filomena,
sebbene m'hai vista bambina, e mi hai tenuta fra le tue braccia, e hai
assistito i miei poveri genitori, te lo giuro, che non ti vo' veder più
in vita mia.... Per quello che hai detto oggi ti perdono, e va via. —
Ella stese la mano alla vecchia che la baciò tutta in lagrime, e usci
mortificata borbottando: — Che bel compenso! Che bel compenso! Oh la
gioventù! —
Rimasta sola, l'Angelina si lasciò ricader sulla seggiola nei più
profondo abbattimento. Ella aveva avvilito, aveva quasi scacciato
da sè come calunniatrice e pettegola una donna, della cui fede non
poteva dubitare; aveva spezzato forse per sempre l'ultimo anello che
la ricongiungeva ai dolci giorni della sua fanciullezza, e quale era
il guiderdone de' suoi sacrificî? No, tutto ciò che quella donna avea
detto non era falso. In quella casa v'era alcuno che non l'amava,
che mentr'ella spontanea voleva immolare la sua fortuna al bene della
famiglia, la diceva egoista e insidiatrice della quiete domestica....
Ma a che pro dunque?... Questo dubbio s'affacciò un istante allo
spirito della giovinetta, ma l'indole generosa di lei prevalse ai
freddi calcoli della ragione, ed ella uscì dalla lotta più gagliarda
di prima. Si alzò con subito movimento per cercare della Matilde.
Sennonchè essa entrò in quel punto nella stanza, e l'Angelina con
affettuoso abbandono le gettò le braccia al collo.
— Come va, Matilde?
— Così.... sono stata fino adesso presso alla mamma, che è a letto co'
suoi soliti incomodi.... Ma tu che cos'hai?... mi sembri commossa.
— Nulla.... ti do un bacio. — E sorridendo fra le lagrime, soggiunse: —
Non te n'hai mica a male?... —
V.
Quando il signor Bernardo nel suo colloquio con l'Angelina disse di
non sentirsi più buono a nulla, il poveretto esprimeva una cosa che
era pur troppo vera. La difficoltà di comporre amichevolmente le sue
faccende, il contegno ostile di alcuni creditori, la diserzione de'
più fidati amici, e sopra tutto il pensiero del suo buon nome perduto,
gli travagliavano l'animo siffattamente da renderlo inetto ad ogni
lavoro. Non si riconosceva più. Aveva serbata la consuetudine di
scendere la mattina per tempo nel banco, ma ivi giunto abbandonavasi
sul suo seggiolone, rimanendovi immobile e muto, sinchè taluno non
venisse a scuoterlo. Alle domande che gli erano rivolte rispondeva con
monosillabi, i due commessi che attendevano ancora alla liquidazione
dell'azienda dovevano regolarsi di proprio capo, tanto ardua impresa
era quella di levargli una parola di bocca. Pur tratto tratto
pareva risentirsi, e cercava fermare la mente su qualche disegno
per l'avvenire, e si alzava, e gli si spianavano per un istante
le rughe della fronte; ma di lì a poco lo vinceva la diffidenza di
sè, e ritornava nel posto e nell'atteggiamento di prima. In casa,
e specialmente con le due figliuole minori e con l'Angelina, era
affettuoso, tenero come al solito: ma nè i baci dell'Amalia, nè
le carezze della Matilde, nè lo sguardo amorevole, nè la parola
confortatrice della nipote avevano virtù che bastasse a ravvivare le
sue fibre intorpidite. E quando mercè il sacrificio di tutto il suo
avere e per le cure operose di un legale, amico di casa, gli venne
fatto di accomodare le cose sue senza lo scandalo dell'azione dei
tribunali, il suo spirito anzichè sollevarsi si accasciò maggiormente.
Che se prima si cullava per qualche minuto nell'illusione di poter
riguadagnare un giorno a sè il nome d'un commerciante senza macchia,
alla sua famiglia gli agî di una tranquilla esistenza, ora che facea
d'uopo di romper gl'indugî e mettersi all'opera, si sentiva troppo
disuguale all'impresa, e dalla difficoltà di risorgere misurava la
profondità della caduta. E invero n'aveva ben donde. È agevole perdere
le abitudini della economia, non così quello dello scialacquo, e
in casa Mauri non v'era nè tanta forza d'animo, nè tanta virtù di
rassegnazione da sapersi acconciare alle vicende della fortuna. Le
facoltà della famiglia si riducevano ormai a qualche migliaio di lire
della dote della signora Clara e al frutto del piccolo patrimonio
dell'Angelina. Poco importa al lettore se la signora Clara per una
innocente dimenticanza affermava che tutto il dispendio pesava sulle
sue spalle, e che non vi sarebbe stata altra donna al mondo così pronta
a sacrificarsi pel bene altrui. Forse in cuor suo ella sentiva di
andar debitrice di moltissimo alla nipote, ma appunto per questo le si
mostrava più fredda che mai. Non dovrebbe essere, ma pure è così: a
venire in uggia ad una persona non c'è più sicuro modo che quello di
renderle servigio. Il beneficato sbuffa come Encelado sotto il peso
immane della riconoscenza e se ne sta all'erta per trovare i secondi
fini della liberalità altrui, e se può scoprire mille difetti al
benefattore, gli è come se avesse guadagnato un terno al lotto. Eppure
chi rinunzierà per questo alle dolcezze di sovvenire alle miserie, di
alleviare i dolori? Non certo anime soavi come l'Angelina, per le quali
l'abnegazione diventa un'abitudine, per guisa da non accorgersi nemmeno
ch'ella è una virtù. Il peggio si era che, alla lunga, con quelle
entrate riusciva impossibile di tirare innanzi. Dal signor Bernardo non
potevasi più sperar nulla: s'era provato, riprovato più volte, e non
gli reggevan le forze; egli lo diceva con indescrivibile malinconia: —
Sono diventato un mobile della casa e nulla più. — Intanto gl'imbarazzi
crescevano; ogni giorno conveniva pensare a diminuire qualche spesa;
oggi licenziare il maestro di musica, domani rinunziare a un vestito,
un altro giorno a un piatto a tavola, e poi? Quando si fosse dato
fondo alla dote della signora Clara, che cosa sarebbe rimasto? Non un
centesimo fuori della sostanza dell'Angelina. Ora la giovinetta, che il
giorno dopo la catastrofe aveva offerto allo zio tutto il suo avere,
affinch'egli se ne servisse a pagare i suoi debiti e a ricominciare
con maggior lena la via, non si sentiva più l'animo inchinevole a tanto
sacrificio. Ella era pronta a dividere co' suoi ospiti anche l'ultimo
tozzo di pane, pronta a vivere in più umile dimora e a vestire più
dimessa; ma le ripugnava l'idea di veder travolta quell'ultima àncora
di salvezza, di veder dileguarsi senza frutto la scarsa eredità de'
suoi genitori. Aveva retto l'ingegno quanto buono il cuore, ed ella
intendeva che il dare tutto il suo non servirebbe che a procacciare
alla famiglia qualche anno di agiatezza, in fondo ai quale ed ella e
gli altri troverebbero la miseria e forse l'indigenza. È agevole però
immaginare se di questa sua saggezza non si mormorasse in famiglia.
La signora Clara pareva tutta trionfante di poter dire al marito: —
Vedete a che cosa si riduce la virtù della vostra protetta! Offerte
d'ogni maniera, quando sapeva che non avreste nulla accettato; ma ora,
al punto in cui siamo, non fiata nemmeno e la ci lascerà andare in
rovina senza tenderci una mano. Diavolo! La vuol serbare intatta la sua
dote. O che non l'ho sacrificata io la mia dote? Eh! l'ho sempre detto
io che non si doveva fidarsi, e che ci eravamo presi a riscaldare una
serpe.... Già voi non fate nulla, non tentate nemmeno di sollevare le
vostre creature, e questa è la causa più grande de' nostri guai....
— Il pover'uomo, mortificato com'era e conscio de' suoi torti e della
sua impotenza, mal riusciva a difendere la nipote così ingiustamente
assalita, e forse mentre vedeva a pochi passi il precipizio e sentiva
di non poterne recedere, maravigliavasi anch'egli che l'Angelina,
la dolce Angelina, da lui stimata il buon genio della famiglia, non
accorresse sollecita a tendergli le braccia, ad aiutarlo nelle sue
nuove strette. Nè alla fanciulla sfuggivano siffatte mormorazioni sul
conto suo, ma ell'era tanto sicura della propria coscienza da non darvi
peso alcuno e da non far conto delle accuse. Anzi da qualche tempo
il suo volto s'era fatto più sereno, e le raggiava dagli occhi una
ilarità inconsueta. Usciva talvolta di casa soletta, e al suo ritorno
aveva sempre un sorriso sul labbro ed era tutta amorosa e scherzevole
verso la piccola Amalia, che le balzava incontro come bambino alla sua
nutrice. Figuratevi se di queste sue passeggiate la signora Clara e
la Nella facevan commenti: la Matilde stessa non ne sapeva lo scopo.
V'era certo qualche amorazzo, qualche scandalo, che il cielo ci scampi
e liberi, e la signora Clara aveva già deliberato di venire in chiaro
della tresca, allorchè tutto divenne palese. L'Angelina, profittando di
alcune antiche conoscenze di casa sua, s'era procurata delle lezioni di
musica, col frutto delle quali ella pensava sovvenire a' bisogni più
urgenti della famiglia, e se non l'aveva detto a nessuno, era perchè
nessuno ponesse ostacoli al suo divisamento. Non ambiva le lodi. Che il
signor Bernardo le rivolgesse uno sguardo amorevole, che la Matilde le
saltasse al collo baciandola in fronte, era sufficiente guiderdone per
lei. E che le importava se la bisbetica zia trovava da ridire in quel
suo atto d'indipendenza, e giudicava disdicevole a una ragazza fregiata
del nome Mauri di far la maestra di musica? e se ripeteva qua e là
che l'era un cervellino balzano e che voleva far le cose a modo suo, e
mentre non le mancava nulla di nulla, pur d'emanciparsi s'era buttata a
quel mestieraccio? Del resto la signora Clara soggiungeva: — S'accomodi
pure, che in fin de' conti non è se non mia nipote, e il suo tutore è
quel grullo di mio marito; a me preme soltanto che la non si confonda
con le mie figliuole, le quali, finchè vivo io, non andranno certo a
guadagnarsi il pane in quella maniera.... Tutt'al più, se si trattasse
d'essere istitutrici in una famiglia principesca!... —
Eppure dal dì che, orfana e derelitta, aveva dovuto ricoverarsi sotto
un tetto che non era il suo, l'Angelina non si era mai sentita così
tranquilla come allora che una vita operosa occupava le sue giornate, e
la cresceva nella stima di sè stessa. Ella benediceva la memoria della
sua povera mamma, che aveva educato in lei la naturale inclinazione
alla musica e fin da bambina l'aveva tenuta per tante ore al suo
pianoforte, e ripensava con entusiasmo al precetto sì spesso ripetuto
dal padre suo: — Non esservi nulla di più onorevole che il lavoro;
nulla che meglio del lavoro doni vigore al corpo, calma allo spirito,
dignità all'esistenza. — Ella usciva ogni mattina alle otto, col suo
vestito semplice, ma decente e quasi elegante, col suo passo svelto
e sicuro, co' suoi diciannove anni sulla fronte, e percorreva senza
trepidanza le vie più popolose della città, guardata da molti, non
seguita mai da nessuno. I modi elettissimi e la rara abilità nell'arte
sua le procacciavano le più liete accoglienze nelle famiglie ov'ella
era introdotta, e le sue discepole, che la tenevano in conto d'amica,
facevano a gara per usarle ogni specie di cortesia, e chi l'avrebbe
voluta seco al teatro, e chi al ballo, e chi in villa. Però l'Angelina
non accettava nulla; chè per tutto l'oro del mondo non sarebbe entrata
in una società che non era la sua, nè avrebbe consentito a divertirsi,
mentre la sua buona Matilde se la passava malinconicamente nella
solitudine della sua stanza. Infatti se l'umore dell'Angelina s'era
da qualche tempo reso più giocondo che non fosse per l'addietro, un
mutamento contrario erasi operato nel carattere della Matilde. La
vispa fanciulla aveva perduto da un pezzo la sua ilarità clamorosa: il
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