Racconti e bozzetti - 02

nulla meglio della musica;... ma, vede.... sono occupatissimo.... sa...
certi riguardi....
— Bene, signor Placido, le lascio tempo a pensarvi; è giusto ch'ella
non voglia rispondermi così su due piedi.... ne riparleremo. Anzi la
impegno a venir domani a far colazione da me.... Qui poi non ammetto
obiezioni, la ci verrà senza dubbio.... Badi che se la mi manca, vo
sulle furie.... Intanto scusi se l'ho disturbata....
— Oh.... come? anzi un onore.... — rispondeva l'organista tutto confuso
e rosso come un gambero, e, riprendendo il suo popone e l'involto di
musica, usciva dal cancello voltandosi ad ogni momento per fare un
nuovo inchino.
— Che imbroglio!... che roba!... — andava borbottando fra sè e già
stava per prendere una scorciatoia fra' campi che lo conducesse diritto
a casa, quando per compiere i contrattempi della giornata il sacrestano
che passava appunto di lì e l'aveva visto uscir dalla villa, si mise a
gridare:
— Bravo, signor Placido, anche voi siete una bella banderuola! Che cosa
ci siete andato a far dal conte? —
L'organista covava da lungo tempo, non sappiam per quali cagioni,
una profonda stizza contro il sacrestano. Onde, a malgrado della sua
naturale timidezza, la costui impertinenza gli fece montare il caldo
alla testa, e rispose con piglio reciso e con volto arcigno:
— Non rendo conto a nessuno de' fatti miei, e meno a voi che agli
altri. — E prima che l'offeso si risentisse, egli studiando il passo
s'era già messo innanzi pei campi.
La sera il signor Placido si recò difilato dal parroco per chiedergli
consiglio. Ma questi se ne indispettì.
— O che bisogno c'era di venire a seccar me? Certo che se dovessi
darvi un consiglio, vi direi di non accettare;... ma no, anzi, il conte
potrebbe prendersela meco.... infin dei conti è meglio accettare. Se
ci fossero qui il marchese Taddeo e la baronessa Marina, essi direbbero
certamente di no... eh! senza dubbio, si lagneranno meco perchè non mi
sono opposto, ma non so che dire.... essi si levano dagl'imbarazzi e
stanno in città nove mesi dell'anno: _costui_ invece, cioè il signor
conte, sta qui e non posso disgustarmi seco, non posso. Insomma, —
concluse irritandosi visibilmente contro il signor Placido, — non
capisco per qual ragione siate venuto da me: che amore del prossimo,
quando siam negl'impicci, di volerci cacciar dentro anche gli altri!
— Ma, Reverendo, io volevo anch'esser sicuro del mio posto d'organista.
— O chi volete che ci metta al vostro posto? la gatta?... —
La discussione iniziata con tanto buon successo a casa del parroco si
continuò con maggiore vivacità in bottega del farmacista.
Il medico, già informato dei disegni del conte, gli appoggiò con
molto calore e insistette presso il signor Placido affinchè accettasse
l'incarico, dolendosi assai dei pregiudizi del paese che costringevano
il giovane signore a circoscrivere l'opera sua nella villa. Quanto
al signor Melchiorre, deputato comunale, parevagli che si sarebbe
dovuto ricorrere al suo consiglio, e che del resto siffatte cose non
producessero altro frutto che quello di crescere i bisogni della gente
e di aumentare quindi il numero degl'infelici. — Non negherò — egli
concluse in tuono d'importanza — d'aver letto che in qualche villaggio
d'Inghilterra esiste questa istituzione della banda; ma è un bene o un
male? Ecco la questione.... — E ripeteva con palese compiacenza: — Ecco
la questione.
— E qual è il vostro parere? — chiese il signor Placido al farmacista,
che stava pesando un'oncia di cassia ad una contadina.
— Oh! caro mio, i farmacisti sono neutri. Quando tutto il giorno si
devono preparare armi contro la morte, siam bene al disopra di queste
bagattelle.... Credetemi pure, sono piccolezze.... l'essenziale è qui.
— E proferendo queste parole guardava con nobile orgoglio alle scansìe
del suo negozio, tutte piene di vasi di medicinali schierati in ordine
di battaglia.
Stanco delle inutili ciarle, il signor Placido tornò a casa a
consultarsi seriamente con la moglie. Dopo un gran discorrere, dopo
aver pesato da una parte i rischi e dall'altra il guadagno: — Accetta,
— gli disse la fortissima, ma non formosissima donna. E il signor
Placido accettò. Da quel giorno il partito conservatore lo riguardò
come un apostata.

VI.
Trombe, tromboni, flauti, clarini, fagotti e tamburi giunsero in bel
numero nella villa con singolare commozione di tutto il paese, il quale
salutò i nuovi arrivati con molto schiamazzo.
Sul principio erano stuonature orribili, e noi non pretendiamo che chi
passava per la possessione avesse ad andare in visibilio sentendo i
mirabili accordi che uscivano dalle varie casupole de' contadini. Ma i
progressi vennero col tempo, e non andarono molti mesi che si riuscì a
provare qualche suonata intera.
Alberto diceva, e noi gli diamo piena ragione, che ogni modo onesto
di associare gli uomini è un modo di farli progredire; che la musica
gli associa e ingentilisce; che quelle nature rozze, alle quali non
si poteva pretendere di far gustare e la poesia e la pittura, erano
in grado di sentire la musica e di sollevarsi per essa a quel mondo
ideale, ch'è forse la vera patria dell'anima. Nè il conte volle
lasciar senza risposta le obiezioni che gli si facevano, e un giorno
alla scuola parlò a un dipresso così: — Mi si accusa di rendervi più
infelici suscitandovi nuove idee, ma io voglio farvi un'interrogazione.
Se voi, a cui natura diede il sacro lume degli occhi, foste stati
allevati in una stanza chiusa a ogni raggio di sole, è certo che non
avreste concetto della luce nè dolore d'esserne privi, come pure è
certo che vistala una volta non potreste farne a meno senza grave
danno; orbene, chi di voi rinunzierebbe allo spettacolo sublime dei
campi e del cielo, pur di non farsi un bisogno, al quale convien
dare perenne alimento? Così è delle facoltà dell'intelligenza. Dio
le ha poste in voi, Dio vi ha dotati della potenza d'intendere mille
nobilissime cose; ma senza l'educazione queste virtù giacevano inerti:
o vi par egli una sventura l'averle messe in movimento? Sicuro; vi
siete fatti nuovi bisogni, ma non vi sembra nello stesso tempo di aver
nuove forze? Non vi sentite più gagliardi di prima? Ma, Dio buono!
non v'è nulla al mondo che non tenda a compiersi: la rosa apre ad
uno ad uno tutti i suoi petali, l'albero mette tutte le fronde: che
più? il germe nascosto sotto la terra ha orrore delle tenebre, e si
trasforma, ed esce anelante agli aperti sereni; e l'uomo soltanto
dovrebbe ribellarsi a questa legge universale, egli solo dovrebbe
dire: — Signore, tenetevi tutti i vostri doni; so che avete riposto dei
tesori nell'anima mia, ma io non voglio affaticarmi a cercarli, voglio
morire zotico ed ignorante come son nato? — Però badate bene: oltre ad
essere una protesta sciocca ed irriverente, sarebbe anche una pessima
speculazione. Se voi poltriste nel sonno quando il sole è levato,
altri verrebbero sui vostri campi e mieterebbero le vostre spighe.
Il progresso è come il sole. Egli sorge e s'avanza senz'abbadare ai
dormienti, e chi non si scuote a' suoi raggi, tanto peggio per lui;
egli sarà calpestato da quelli che si muovono e si sveglierà troppo
tardi. Ma vi son molti che, anche ammettendo l'utilità della lettura,
mormorano contro la musica e soggiungono che l'è una cosa di lusso,
una raffinatezza da gran signori, e che i campi non si coltivano a
suon di chitarra. Questo lo sapevo benissimo, eppure credetemi che
non v'è alcuno esercizio più della musica accessibile a tutti. E
vi par poco d'esservi assicurati una ricreazione per l'ore d'ozio?
Il tempo bisogna occuparlo, e il difficile sta nell'occuparlo bene.
Ora, se invece di passare il dopo pranzo alla bettola vi radunerete
a studiare insieme un pezzo di musica, non ci avrete forse guadagnato
qualcosa? Ma, continuano i nostri dottori, che roba è quella _chimica
agraria_, quella _economia_ che si pretende insegnare? Amici miei, non
facciamoci mai paura dei nomi. _Chimica, economia_, possono parere,
a prima vista, parolone che non fanno per voi altri; ma ormai che
sapete di che si tratti, vi sembra che sia fuor di proposito l'averne
qualche nozione? È un levarvi dalla vostra sfera il dirvi di che
parti si componga il suolo che coltivate, e quali sostanze valgano a
renderlo più produttivo, e come l'aria e l'acqua e la luce influiscano
sulla fioritura delle mèssi? O se non le sapete voi queste cose, chi
deve saperle? È un levarvi dalla vostra sfera l'insegnarvi la virtù
che c'è nel risparmio e il vantaggio che ne deriva a tutti voi, se
nessuno v'impedisce di comperare le merci ove costano meno, senza
badare se siano del paese o non siano? Son pure atti della vostra vita
d'ogni giorno questi che la scienza prende a disamina, e non vi dorrà
d'andarvene col lume della ragione ove andavate finora a casaccio.
Insomma, amici miei, lasciamo che i maligni gracchino a loro posta, e
tiriamo innanzi. Sin che non ci faranno altre accuse che questo, non
c'è invero argomento da mortificarsene. —

VII.
Non andò molto che un grande avvenimento mise in subbuglio la villa.
Dopo qualche mese d'assenza il conte Alberto annunziò il suo ritorno,
avvisando però ch'ei non sarebbe solo, ma con _un'altra_. Il conte
s'era ammogliato, e si può immaginar quanti commenti si facessero
di questo suo matrimonio, e quante congetture per l'avvenire. Chi
diceva che una giovane, avvezza alla vita romorosa della capitale e
alle conversazioni ed ai teatri, non potrebbe trovarsi a suo agio in
un paesuccio così povero d'ogni consorzio, e turberebbe la pace del
marito co' suoi capricci; chi invece ne traeva lietissimo augurio, e
sperava che la presenza d'una gentile signora infonderebbe nuovo brio
nella villa. Il partito codino cercava, dal canto suo, di gettare
il discredito sulla futura contessa, e non v'è malanno che non le
cacciassero addosso. Nei villaggi la malignità abbonda e poco si bada
alla qualità dell'armi brandite, pur di ferire.
La giovane sposa, descritta in mille guise diverse secondo il
ghiribizzo di chi non l'aveva mai vista, comparve alfine a portare
la discussione sul _terreno dei fatti_. Non beltà sfolgorante, ma
leggiadria di volto e di forme; era tutta grazia nelle movenze, tutta
dolcezza nello sguardo e nei modi. Vi sono creature privilegiate, alle
quali natura diede di poter fare ogni cosa con garbo, e di mostrare
negli atti della vita più semplici l'eletto animo e l'armonia delle
facoltà. La Matilde, che così avea nome, era tra queste. Non umiliava
i suoi dipendenti nè con riserbo sdegnoso, nè con dimestichezza
affettata: chi crede tutti gli uomini uguali, può talvolta parer meno
affabile di chi, sentendo altamente del censo e del nome, cerca pure
di appianare le differenze con la famigliarità delle forme; ma per gli
spiriti ben fatti la fratellanza vale ancor meglio della pietà.
Quantunque nata e cresciuta in una capitale, Matilde amava la vita
campestre. E il conte Alberto comprese ottimamente che per non
fargliela venire a noia bisognava ch'ella non ne fosse semplice
spettatrice, ma si addimesticasse con quelle abitudini e con quegli
interessi. Le donne ricche, a' nostri tempi soprattutto in cui, la
Dio mercè, l'esigenze della vanità si son fatte men formidabili,
nè il _cavalier servente_ e lo specchio si dividono con tirannica
monotonia il pensiero femminile, son minacciate da due grandi malanni,
l'ozio e la noia. Le costumanze sociali hanno precluso alla nostra
compagna tante sorgenti d'attività, l'educazione ch'ella riceve suol
esser sì frivola, che quando non la soverchino le cure di numerosa
famiglia, il suo tempo è piuttosto consumato che adoperato. La è cosa
doppiamente funesta, e perchè mille germi fecondi inaridiscono nella
donna senza metter fiore, e perchè l'uomo viene a perdere un'alleata
operosa, la quale ha gl'istinti del bello e del vero, e se difetta
della pertinacia necessaria a condurre a termine le grandi imprese,
abbonda dell'entusiasmo necessario ad iniziarle. Abbandonata a
pernicioso influenze, per la mobilità della sua tempra inchinevole alla
superstizione ed al misticismo, ella riesce sovente un ostacolo, mentre
dovrebbe riuscire un aiuto, e quante volte alle dolcezze ineffabili
della carezza materna, alla soavità dei consigli d'amore si mescono
ammaestramenti, contro i quali protesterà più tardi l'animo nostro. Ma
la colpa è di chi sdegna seminare in quel suolo ferace, e per tema di
perdere uno scettro illusorio, non aiuta la debole creatura ad uscir di
pupillo.
Fortunatamente la vita campestre offre alla donna più modi assai del
vivere cittadino per adoprare utilmente le proprie forze. Nè Alberto
poteva consentire che sua moglie fosse una signora feudale alla foggia
antica, una di quelle dame che col falcone sull'omero si recavano alle
splendide caccie, beatificando di languidi sguardi i paggi svenevoli:
non in quell'atmosfera cortigianesca lo spirito si ritempra alle forti
virtù, non tra quelle molli consuetudini può esercitarsi l'ufficio vero
della donna.
La contessa Matilde aveva due campi d'attività innanzi a sè. Da un
lato ella poteva attendere alle bisogne della villa, e vigilare quella
parte di lavori campestri più particolarmente affidati alle donne,
quali sarebbero la coltivazione dei bachi, la filanda, la cascina,
ec.; dall'altro sarebbe stato ufficio non meno utile, non meno
lusinghiero pel suo amor proprio, il prendersi cura di quelle povere
contadine, e dirozzare alcun poco quelle bimbe lasciate crescere come
le male erbe. La giovane signora non esitò un istante ad assumersi
ambedue quest'incarichi: come padrona della tenuta, ella diceva suo
dovere di promuoverne gl'interessi; come donna, come patrocinatrice
delle sue dipendenti, pareale altrettanto necessario di accingersi
coraggiosamente a quell'ufficio educativo, checchè potessero dirne
e pensarne i fannulloni e i malevoli. Nè le chiacchiere mancarono.
Una brutta e scipita vecchia, che aveva fino allora congiunto i due
ufficî di levatrice e di maestra, venne a querelarsi personalmente
con la contessa, assicurandola di aver sempre tenute le bambine
legate alla sedia nel massimo ordine e meravigliandosi altamente
che si potesse fare qualche cosa di più. Il maestro di scuola
che pel numero scemato degli alunni soleva occuparsi con maggior
sollecitudine dell'agricoltura, stanco di quella parte da Cincinnato
tornò a rimescolarsi pe' suoi lesi diritti, e i due rappresentanti
dell'_istruzione pubblica_ strinsero alleanza offensiva e difensiva per
abbattere gl'inaspettati rivali. Che se l'opera loro riuscì inutile,
non tacque però la maldicenza paesana e nessuno poteva capacitarsi che
la villa dei conti *** fosse ridotta una scuola. Ma se ne capacitavano
a poco a poco i coloni, e quell'istruzione data alla buona, e più in
guisa di consiglio fraterno che d'insegnamento burbanzoso, sortiva già
ottimo effetto.

VIII.
Pochi mesi eran corsi dacchè la Matilde si trovava nella villa, quando,
coincidendo il tempo dei raccolti ubertosi assai più dell'usato, il
conte Alberto pensò di approntare una festa campestre in onore della
sua sposa. Era la ridente stagione, in cui la natura offre agli uomini
le sue ricchezze, e le spighe inchinandosi verso terra pel soverchio
del peso invitano alla mietitura. L'anno scende bensì la curva del
tempo, ma è vegeto ancora e robusto: invano il sole dardeggia sugli
alberi, invano il vento va scompigliando le fronde, non una foglia
ingiallisce, non una foglia strappata dai rami ingombra il cammino.
Le vigne, tenendosi l'una con l'altra pari a coppie gioconde di
danzatori, mostrano il lento rosseggiare dei grappoli; le pesche
pendono mature dal gambo, mentre, lontane annunziatrici del verno, le
mele acide ancora e scolorite si arrotondano sulla malinconica pianta.
Era la stagione, in cui pel cominciar delle pioggie qualche striscia
argentea serpeggia fra i ciottoli del torrente; era la stagione, in
cui la luna svela più ampio e luminoso il suo disco. Gli uccelli,
immemori delle offese dell'uomo, tornano fra le siepi a rallegrarlo
dei variati gorgheggi; la tuberosa ed il gelsomino, aprendo a gara
le candide foglie, riempiono l'aria delle più soavi fragranze, e la
_dahlia_ nascosta ancor nella buccia sta acconciandosi il magnifico
vestimento. I carri colmi di mèssi s'avanzano con maestoso incesso
verso le fattorie. — _Harvest home_, cioè la raccolta a casa, —
gridano i contadini inglesi con unanime entusiasmo; — _harvest home_,
— e mille feste rallegrano in quei dì le campagne. È il carnovale del
colono che nel tempo dei teatri e dei balli non ha altro spettacolo
che un tappeto di neve sul suolo, che un velo di nubi nel cielo, e fa
mostra d'animo scarsamente gentile chi non sia tocco da quelle semplici
solennità. E non soltanto nelle campagne, ma dappertutto le feste in
comune sono un gran sollievo per la povera gente. Noi altri, però,
che siamo gente _chique_, guardiamo con un sorriso di compassione que'
convegni popolari, e se qualcuno di noi v'interviene lo fa specialmente
per adocchiarvi le belle ragazze, giacchè fra i molti privilegi nostri
sulla _gentuccia_ v'è pur quello di poter insidiarne la pace e l'onore.
Oh! se pensassimo che i tapinelli, i quali vivono sotto un tetto
affumicato, affranti dalle diuturne fatiche, nell'incertezza perpetua
del domani, non hanno passatempo migliore di quelle riunioni, non
hanno altro modo per dimenticare il tedio della penosa esistenza, oh!
senza dubbio la celia ci morrebbe sul labbro. E invece d'irridere le
feste popolari, vorremmo anzi promuoverle, e chi sa se, opportunamente
dirette, non potrebbero informare a maggior gentilezza i costumi e
svegliare nell'anime più torpide il senso educativo del bello.
Una vasta prateria di recente falciata, a un angolo della quale
sorgeva l'edifizio disposto ad uso di scuola, e a cui faceva cintura un
lunghissimo pergolato, venne scelta come il sito più acconcio a quella
solennità campestre. Sotto il pergolato eran disposte due tavole; l'una
assai grande per gli adulti, l'altra minore pei fanciulli. La Matilde
si era fatta assegnare un posto in questa, pigliandosi l'arduo ufficio
di vigilare uno sciame di bimbi. Alcuni rivenduglioli girovaghi, che
avevano avuto sentore della festa, s'erano introdotti nella villa fino
dal dì precedente, e il conte aveva loro permesso di rizzare lo loro
_baracche_ nella prateria per far più variato lo spettacolo; ond'essi
alla mattina per tempissimo sfoggiarono le loro merci, che consistevano
per lo più in balocchi, in spilli, in ombrelloni rossi di lana e in
ghiottonerie d'ogni fatta. Accorsero anche de' suonatori, ma trovarono
il posto occupato, chè quasi a mezzo della prateria erasi costruito,
con assi di legno commessi insieme alla meglio, un palco, dal quale
la banda doveva esporsi al pubblico per la prima volta. Un'asta
levigatissima sorgeva a foggia di vessillo a pochi metri di distanza,
e in cima a quell'asta erano degli abiti nuovi e delle appetitose
salsiccie; guiderdone serbato a chi avesse agilità bastante a giungere
lassù. Questa gara della _cuccagna_, i suoni, il banchetto, le danze
che potevano continuarsi tino a tarda sera nelle due sale della scuola,
ecco tutti i sollazzi della giornata. Ma quel trovarsi insieme uomini,
donne, fanciulli in un dì d'allegria; quello smettere per poche ore
la zappa e la marra; quel vedersi convitati con tanta affabilità dai
signori del luogo; erano circostanze che nell'animo ingenuo dei villici
accrescevano a mille doppi il valore del divertimento. Il sole era
sorto da poco che già la prateria rigurgitava di gente: venivano le
famiglie intere, quali a piedi, quali, se abitavan discoste assai,
nel loro biroccino con l'asinello, oppure sopra un carro pesante
tirato da buoi. Curiosissimo era lo studio che traspariva in tutte le
vesti e l'acconciature; non v'era vecchia rimbambita che non avesse
rovistato ne' suoi armadî per cercare di mettersi in fronzoli. Delle
giovani, alcune avevano un fiore nel crine, altre tenevano sul capo un
_fisciù_; e le più eleganti erano adorne di un cappellino di paglia,
assettato in testa con una certa negligenza che manifestava vie più
l'artificio. I contadini erano divisi in due classi: i partigiani del
buon tempo antico, che non rinunzierebbero per tutto l'oro del mondo a
sfoggiare i loro polpacci, e quindi tengono i calzoni corti e stretti
al ginocchio; i progressisti, che hanno adottato le brache lunghe alla
moda cittadina. Ma questi erano ben pochi nel paese di ***.
La Matilde associatasi ai bambini ne dirigeva festosamente i giochi, e
le vispe creature che non sanno ancora di riguardi sociali, posta da
banda ogni timidezza, le carolavano intorno con clamorosa allegria.
Per una delicata sollecitudine di alcuni fra i coloni, tre fanciulle
delle più leggiadre in abito bianco, vagamente acconciate, la
presentarono d'un bel mazzo di fiori, mentre la banda intuonava una
_polka_, che il signor Placido aveva scritto apposta, intitolandola: —
_Matilde._ — Alle prime note si fece universale silenzio. Le femmine
interruppero il loro cicaleccio, i rivenduglioli cessarono dagli
striduli richiami, e, vedi miracolo! i bimbi stessi divennero zitti.
In mezzo alla dolce maraviglia, scolpita in viso a quelle turbe non
avvezze ad altre armonie che al suono dell'organo o al fracasso delle
trombe dei saltimbanchi, in quell'agitarsi di tante bionde testine,
chi poteva guardar pel sottile all'ispirazione musicale della suonata
o all'accuratezza dell'esecuzione? Gli applausi furono immensi, ed era
singolare sentir poi le donne bisticciarsi tra loro, poichè ognuno che
avesse congiunti o amici nella banda, attribuiva ad essi a preferenza
degli altri il buon esito della suonata.
Poco prima del pranzo la contessa, quale regina della festa, chiamò a
sè i fanciulli d'ambo i sessi ch'erano più lodati per la svegliatezza
dell'ingegno e la bontà del costume, e regalò ciascheduno d'un libretto
della Cassa di Risparmio da lire 20, avvertendo che se di lì a un anno
non lo avevano intatto, non si aspettassero più da lei nè un dono
nè un chicco. Soggiunse a un tempo che il giorno appresso avrebbe
tentato di spiegar loro che cosa fossero quei libretti e a che cosa
servissero. Diremmo una bugia asserendo che i bimbi ne restassero
assai soddisfatti: a sentirsi parlar d'un presente la loro fantasia era
volata tant'alto, che per poco non si aspettavano uno di que' castelli
di fate, onde avevano udito discorrere negl'invernali _filò_.[1]
Qualcuno nel vedersi in mano quel magro libretto sentiva imperlarsi
la lagrima sul ciglio, ma il pranzo fece porre ogni cosa in obblìo.
Finito il banchetto, che si chiuse con un brindisi entusiastico alla
salute degli sposi, la banda ricominciò le suonate ed ebbero principio
le danze, alle quali assistettero molte fra le _notabilità_ del
villaggio. Il parroco, per salvar capra e cavoli, giunse al _dessert_:
così poteva dire di non essere stato a pranzo, e insieme buscavasi
un dolce e un bicchier di vino: certo che gli uomini dei partiti
estremi condannavano siffatto temperamento, certo che il sacrestano,
rappresentante delle idee ultra-conservatrici, non solo non avea messo
piede nella villa in quel giorno, ma anzi s'era assentato dal paese
per fare una dimostrazione ostile al conte Alberto; però il parroco
diceva: — Male, malissimo, bisogna saper tenersi con tutti... io mi
pregio d'esser moderato. — E questa soddisfazione di sè ei la condiva
abbondantemente col vino della cantina del conte. Quanto al vecchio
marchese, che la curiosità spingeva ad ogni tratto nella villa e che
s'era tanto doluto della mancanza di livree, egli aveva assistito
alla festa con un sorriso di superiorità. E, voltosi al parroco, gli
bisbigliò all'orecchio: — Creda pure, Reverendo, che le feste vogliono
esser date da noi altri nobili di vecchia data. Non crede?... dica
liberamente. — Eh! credo. — Io una volta ho avuto nel mio palazzo i
professori d'orchestra di ***, nientemeno, capisce, Reverendo? Ma nelle
sale, s'intende, non già nei campi per far ballare un po' di plebaglia.
Sarà stata una festa ben migliore di quella d'oggi, non le pare?... —
Eh! sicuramente.... — Ma, fra noi due, che nessuno ci senta, queste son
pagliacciate belle e buone.... Via, mi dica la sua opinione.... — Ma,
secondo.... si.... capisce.... — Come? — La causa di questa evoluzione
era l'avvicinarsi del conte Alberto, al quale, non appena ei fu giunto,
don Gaudenzio e il marchese gridarono in coro: — Festa stupenda,
impareggiabile; ce ne congratuliamo col conte Alberto. —

IX.
_Les jours se suivent et ne se ressemblent pas_, dice il proverbio
francese, e chi avesse visitato la villa tre settimane dopo il dì
della festa, l'avrebbe trovata poco men che in aperta rivolta. E tutto
perchè? Per un trebbiatoio di frumento che il conte Alberto s'era
fatto venire in quei giorni, e dal quale i coloni traevano i più cupi
pronostici pel loro avvenire. Il fatto si è che i lavori accresciutisi,
l'incremento notabile della cascina, le cure richieste dal nuovo
prodotto della canape rendendo necessario un maggior numero di braccia,
avevano arrecato un rincaro non lieve nella mano d'opera, che per
buona parte doveva affidarsi a giornalieri. Ora la macchina, secondo
il solito, adempiendo il suo ufficio con risparmio di tempo e di spesa,
consentiva di sbarazzarsi de' lavoranti soprannumerarî e di ridurre le
mercedi a più equa misura. Nelle sue lezioni il conte aveva discorso
più d'una volta intorno alle macchine, ne aveva discorso con soda
dottrina e con argomentazione calzante; ma quando ci sia l'interesse
di mezzo, si trova sempre il modo di sottrarsi alle tirannie della
logica rifuggendosi nel terreno neutro delle eccezioni. Chi di noi
non ha sentito dirsi mille volte: — La cosa è giusta in teoria, ma in
questo caso... poste certe condizioni particolari, ci vogliono speciali
riguardi?... Non si possono nemmen dire arti vecchie; è un portato
spontaneo della natura umana, la quale ben di rado è così austeramente
giusta da ammetter di primo acchito quelle verità che sanno d'amaro.
Immaginatevi poi in un paese gretto, ignorante, ove le piccole ire
trovano buono ogni pretesto per farsi innanzi. — Ecco la conclusione
delle belle riforme del nuovo signore, dicevano alcuni; ecco la
filantropia di questi dottoroni, di questi filosofi.... sotto colore
di progresso insidiano l'esistenza del contadino, come s'ella non fosse
stentata abbastanza e penosa. Povera gente! Hanno sudato sangue, hanno
incallito le mani, hanno abbronzito le fronti per farvi più pingui le
mèssi, e un giorno, quando meno se lo aspettano, un congegno di ferro
si pianta in mezzo ai campi rigogliosi, in mezzo alle verdi praterie,
e dice a questa popolazione miseranda: — Va via: io mieto le spiche, io
falcio l'erba più a buon mercato di te. Va via: rinuncia i tuoi salarî,
lascia la casa dove sei nata, dove son morti i tuoi padri, va via;
cercati un altro tetto, un altro padrone che ti scaccerà anch'egli,
quando lui pure rischiari il lume della civiltà. — Son le solite
querimonie che da anni ed anni tendono a rinfocolare le ire dei creduli
volghi, a' quali il danno presente fa velo al giudizio e toglie ogni
facoltà di riposato consiglio.
A queste arringhe dissennate aggiungasi la mal celata esultanza
di quelli che godono sempre degl'imbarazzi altrui, gente che si
raggranella in ogni ordine sociale, nella turba infinita degl'indolenti
e degl'invidi. Pare a costoro di trovar una giustificazione della
propria inerzia nei malanni che incolgono agli operosi, ed hanno
eternamente sul labbro quella frase sapientissima — _Lo avevamo
predetto_, — come se la fosse una divinazione sublime il predire
che chi cammina potrà incespicare talvolta; mentre gl'immobili non
incespicano, ma vanno in putrefazione e marciscono l'aria che li
circonda.
Il sacrestano idrofobo, come sempre, voleva passare a vie di fatto e
rimestando nella folla quasi quasi lasciava intravvedere la possibile
alleanza delle sue campane, come se si trattasse d'un vespro. Gli
spiriti del villaggio non eran però così bellicosi, e l'intemperanza
stessa delle proposte chiudeva i germi d'una reazione. Quanto ai
_moderati_, e' non poterono mettersi d'accordo in verun partito. Anzi
il farmacista, sollecitato a dire almeno il suo parere, si contentò di