Pagine sparse - 07

CICALINO. — È superfluo notare la differenza che corre fra questa
parola e _cicalone_.
DONNINO. ES.: _Che camera assestata tiene questo Pietro: è proprio
un donnino_ (Fanf.)
FARFALLINO. — Uomo volubile.
FICCHINO. — È quasi lo stesso che _Ficcanaso_; ma dicesi più
specialmente di chi, anche non invitato, cerca di andare o a
pranzi o a ritrovi, ecc.; mentre _Ficcanaso_ è chi si ficca per
curiosità più che per altro.
FRUCCHINO (da Frucchiare). — Chi mette le mani per ismania di darsi
faccenda in diverse cose, e anche in una sola, ma con gran moto,
senza senno nè gravità, e senza che le cose nelle quali mette le
mani gli appartengano gran fatto.
FRUGOLINO. — (dimin. di frugolo). — Una donnina, un bimbo, un ometto
che non sta mai fermo.
GALOPPINO. — Uno che strappa da vivere facendo mille mestieri.
GIRANDOLINO. — Lo stesso che Farfallino.
PERTICHINO. — Nel linguaggio teatrale si chiama _pertichino_ quel
cantante che sta fisso in teatro, a un tanto il mese, e che
è adoperato a fare le parti più umili, ordinate solo a tener
bordone e far apparir meglio le parti principali. Si applica per
analogia ad altre persone.
RABATTINO. — Persona ingegnosissima che in mille modi, ma sempre
per vie oneste, cerca di guadagnare e vantaggiare la propria
masserizia.
STILLINO. — Lo stesso che _Rabattino_; ma dicesi anche di chi aguzza
l'ingegno per riuscire in alcuna cosa; da _stillare_, trovare
accortamente il modo di far checchessia; _stillo_, modo, via,
ecc. ES.: _Trova qualche stillo per divertire, o per tenere a
dada questa gente._
TRITINO. — Dicesi di chi ha la manía di vestir bene, ma non
potendoci arrivar colla spesa, ha sempre dei panni rifiniti, e di
poco valore.
Quante volte, parlando e scrivendo, noi italiani del settentrione
abbiamo bisogno di queste parole, e non le sapendo, o non avendole,
come suol dirsi, alla mano, ne diciamo altre che non esprimono il
nostro pensiero! Invece di _stillino_, per esempio, uomo ingegnoso;
invece di _tritino_, vestito male; invece di _frugolino_, vivace;
invece di _rabattino_, mestierante; invece di _appiccichino_,
seccatore; parole generiche, adoperabili in mille casi, dalle quali il
linguaggio non riceve nè colore nè garbo. L'_astratto_, come diceva il
Manzoni, invece del _per l'appunto_.
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* *
Si notino quest'altre, tolte pure dal dizionario del Fanfani.
AFFANNONE
ALMANACCONE
ARRUFFONE
CABALONE
CIABATTONE
FACCENDONE
FIUTONE
FRACASSONE
FRUGONE
GIRANDOLONE
LITIGONE
LUMACONE
IMPICCIONE
MACHIONE
NINNOLONE
NOTTOLONE
PIALLONE
SBALLONE
SCIALONE
SCIOPERONE
SGOMENTONE
SINCERONE
SOFFIONE
STRONFIONE
RIGIRONE
TATTICONE
TENTENNONE
TRAFFICONE
TRAPPOLONE
VILUPPONE
Di queste trenta parole, ciascuna delle quali ha un significato
distinto, intelligibile da qualunque italiano che le senta per la
prima volta, quante sono usate, così parlando che scrivendo, dagli
italiani settentrionali? Tutt'al più quattro o cinque. E che parole
s'usano invece? Ci rifletta un momento un piemontese, un genovese o un
lombardo, e riconoscerà che usa quasi sempre una perifrasi, o esprime
la cosa con un gesto, o dice una parola la quale non rende che presso
a poco il suo pensiero.
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* *
Di questa povertà della lingua che si parla tra noi, s'ha una prova
ogni momento. Un giorno, per esempio, ch'ero a desinare da una famiglia
piemontese, la padrona di casa mi disse: — Lei oggi non ha appetito.
— Non è che non abbia appetito, — risposi celiando; — è che ho fatto
uno _spuntino_ due ore fa. — Questa parola _spuntino_ destò uno stupore
generale, e tutti mi guardarono come per domandarmi che diavolo avessi
voluto dire. Io continuai: — In ogni modo bisogna che desini per
non essere poi obbligato a fare un _ritocchino_ fra un paio d'ore.
— Nuova meraviglia per questo misterioso _ritocchino_. — Del resto,
soggiunsi, questo piatto è così squisito che vorrei pigliare ancora il
_contentino_. — Terza meraviglia per il _contentino_.
Infine mi domandarono che cosa significassero quelle tre parole.
SPUNTINO, — è il piccolo mangiare che si fa fuori dell'ordinario e
tanto per sostenere lo stomaco fino all'ora solita del cibo. (F.)
RITOCCHINO, — è un piccolo pasto che si fa dopo aver mangiato. (F.)
CONTENTINO, — è quel po' che si piglia ancora d'una cosa che ci
piaccia, dopo che se n'è già mangiata la propria porzione. (Si
dice pure per la giunta che si dà dopo la derrata). (F.)
Queste tre parole graziosissime, usate in tutta la Toscana, entrarono
da quel giorno nel vocabolario faceto della famiglia, invece delle
espressioni _mangiare prima del desinare_, _mangiare dopo_, _prendere
ancora un boccone_ che erano usate prima. Ora ci sarà qualcuno il quale
consideri quelle parole come fiorentinismi, e le voglia bandite solo
perchè non sarebbero capite alla prima in tutta l'Italia? Si approvi
o no l'idea del Manzoni, non si può rifiutare di prendere tra le
espressioni e i vocaboli toscani tutti quelli che servono a dir cose
che noi diciamo altrimenti con più parole e con meno garbo. Ho veduto,
per esempio, dei genovesi e dei piemontesi sudar freddo per dire in
italiano quello che in francese si dice _foisonner_, in piemontese _fe
foson_, in genovese _faa reo_, ecc.; una cosa che in famiglia occorre
di dire spessissimo: di alimenti, cioè, i quali per mangiare che se ne
faccia, pare che non consumino e sieno più abbondanti di quello che
sono veramente. Dicevano: _la tal cosa pare più abbondante di quello
che è_, _della tal cosa ce n'è sempre più di quello che si crede_, ecc.
Espressioni vaghe, lunghe e inesatte. Ebbene, in Toscana si dice _far
comparita_. Chi vorrà continuare a filare un lungo periodo per dir male
una cosa semplicissima, se può dirla con un _toscanismo_ di due parole?
*
* *
Una delle gran ragioni per le quali molti di noi non capiamo la
necessità di arricchire la propria lingua è questa: che ignorando certi
modi e certi vocaboli, non ci accorgiamo punto, scrivendo o parlando,
delle perifrasi, dei giri di parole, delle contorsioni di frase di
cui ci serviamo per esprimer cose che quei modi e vocaboli esprimono
con poche sillabe. Se io ignoro l'esistenza della parola _golino_, per
esempio, non capisco perchè un Toscano sbadigli quando gli dico: — _il
tale mi diede un colpo nella gola col pollice e coll'indice aperti._ —
Se non so che ci sia la parola _ingozzatura_, non m'accorgo di fare una
lungaggine dicendo invece di: — Gli diedi un'ingozzatura, — _Gli diedi
un colpo colla mano aperta sul capello in modo che glielo feci scendere
fin sulle spalle_, ecc. ecc. Ma mettiamoci un po' a studiare la lingua,
come diceva il Giusti, con tanto d'occhi aperti; vedremo quante lacune
ci son nel nostro parlare e nel nostro scrivere, quante superfluità,
quante improprietà, quante pedanterie, quanta miseria!
*
* *
Il miglior mezzo di studiare il vocabolario mi par quello di cavarne
un altro piccolo vocabolario per nostro uso, raggruppando intorno a un
certo numero di soggetti generali tutte le parole e tutti i modi che
ci sembrano degni di nota. Una scorsa data poi di tratto in tratto a
queste note ravviva maggior quantità di lingua nella memoria che non
la lettura di dieci libri. Estraggo, per esempio, dai miei appunti sul
vocabolario del Fanfani, una parte di quello che riguarda il _mangiare_
e il _bere_.
_Sulla maniera di mangiare._
MANGIARE A DESCO MOLLE. — Mangiare a tavola sparecchiata.
MANGIARE A BATTISCARPA. — Senza apparecchiare, in fretta e stando in
piedi.
MANGIARE A SCAPPA E FUGGI. — In fretta.
MACINARE A MULINO SECCO. — Mangiare senza bere.
MANGIARE COLL'IMBUTO. — Mangiare in fretta e senza masticare.
_Espressioni comiche per indicare il mangiar molto o ingordamente._
_Diluviare_ — _Scuffiare_ — _Pacchiare_ — _Taffiare_ —
_Sgranocchiare_ — _Spolparsi_, per es., _un tacchino_ — _Mangiare
a scoppiacorpo_ — _Dar ripiego_ (Es.: Egli è una gola che darebbe
ripiego a quanto v'ha in un refettorio di frati. F.) — _Ungere il
dente, sbattere il dente, far ballare il dente, far ballare il
mento_ — _Gonfiar l'otre — Levarsi le crespe di su la pancia_ —
_Fare una mangiataccia_ — _Fare una spanciata_ — _Farsi una buona
satolla di qualche cosa_ — _Far dei bocconi che paiono giuramenti
falsi_ — _Impippiarsi, ingubbiarsi d'una cosa_.
FAR RIALTO. — Si dice in famiglia per far cena o desinare meglio
dell'usato (F.); a cui male si sostituisce comunemente _far
festa_ od altro.
BOCCONCINO DELLA CREANZA. — Il _morceau honteur_ dei francesi.
TORNAGUSTO. — Cosa che fa tornare il gusto e la voglia di mangiare,
ecc.
_Fame._
UZZOLO. — appetito intenso.
ALLAMPANARE, ALLUPARE, ARRABBIARE DALLA FAME.
FAR LE FILA SOPRA UN PIATTO. — Guardarlo con avidità grande.
FAR LE VOLTE DEL LEONE. — Aspettare passeggiando. (F.) L'intesi dire
efficacissimamente in Toscana a proposito del passeggiare che si
fa in una stanza quando s'ha appetito e s'aspetta che vengano a
dire ch'è in tavola.
PELATINA. — Malore che viene alle bestie, le quali pelatesi, non
mangiano; onde per ironía, quando si vede uno che mangia molto,
si dice che _debbe aver la pelatina_. (F.)
_Del bere._
COLMATURA. — La parte del liquido che riempie il vaso, la quale
rimane sopra l'orlo. (F.) Ho inteso dire molte volte: _il di più
o quello che sporge!_
CULACCINO. — L'avanzo del vino che occupa il fondo del bicchiere.
FAR SPRACCHE. — Quel suono che si fa stringendo e riaprendo la bocca
con forza quando s'è bevuto del vino generoso. (F.)
FAR LA ZUPPA SEGRETA (graziosissimo). Bere colla bocca piena.
BERE A SCIACQUABUDELLA. — Ber vino a digiuno.
BERE A GARGANELLA. — Bere senza accostare il vaso alle labbra.
BERE A GORGATE.
SBICCHIERARE. — Vendere il vino a bicchieri. Es.: _Barile con quella
bottega s'è arricchito. Compra tutto vino eccellente, e benchè lo
paghi caro, sbicchierando come fa, ci guadagna il doppio._ (F.)
_Ubbriachezza._
_Prendere una sbornia_ — _Prendere una bertuccia_ — _Prendere
una colta_ — _Prendere una briaca_ — _Prender l'orso_ —
_Perder l'alfabeto_ — _Perder l'erre_ — _Essere in bernecche_
— _Essere in cimberli_ — _Fare i gattini_ (pure del dialetto
piemontese), _o fare la ricevuta_, per vomitare — _Alzare la
gloria_, bere soverchio — _Essere una gola d'acquaio_, essere un
beone — _Essere un briachella_, aver l'abitudine d'ubbriacarsi
leggermente.
BEVERIA. — Il ber molto. Fare una beveria.
COMBIBBIA. — Bevuta fatta con altri nell'osteria.
Certo che non tutti questi vocaboli e modi sono dell'uso comune
neppure in Toscana, nè tutti sono da adoperarsi a occhi chiusi. Ma nel
prendere appunti sul vocabolario, è meglio largheggiare che essere
scarsi, poichè non v'è parola oziosa o poco usata o antipatica, —
poichè anche in fatto di lingua ci sono le antipatie, — la quale
adoperata in un certo senso o in un certo punto, particolarmente
nel linguaggio faceto, non acquisti un'efficacia singolarissima,
purchè, come diceva il Giusti, si sappia buttar là in modo da non far
sospettare che si sia cercata col lumicino. E proviene appunto da non
conoscere o dal non aver pronte sulle labbra che uno scarsissimo numero
di espressioni, la difficoltà che incontrano i non toscani a celiare
con grazia o raccontare barzellette e far descrizioni burlesche in
modo da far ridere. Perchè se la cosa che hanno da dire non è per sè
stessa comicissima, poco possono aggiungerle per mezzo della lingua.
Vediamo per l'opposto che quando raccontano nel loro dialetto cose
per sè stesse quasi punto ridicole, le fanno riuscire tali, solo
coll'adoperare certi vocaboli e modi particolari che eccitano il riso.
*
* *
Par strano, ma è vero: per i non toscani, massime dell'Italia
settentrionale, uno dei maggiori impedimenti a scrivere e a parlar
bene è la paura del proprio dialetto. Per paura, infatti, di lasciarsi
scappare degli idiotismi, bandiscono scrupolosamente dall'italiano
tutte le espressioni del vernacolo, delle quali molte, letteralmente
tradotte, sarebbero italianissime; e ciò facendo, durano una fatica
doppia, e parlano una lingua stentata, leccata e senza vita. Per
citare degli esempi, ho visto una volta un piemontese arrossire di
vergogna perchè credeva di aver detto un grossolano piemontesismo
coll'espressione: — Il tal libro, di cui m'avevan detto tanto male,
lo lessi, e non _mi parre il diacolo_: — ossia non mi parve tanto
cattivo quanto si diceva; modo usatissimo nel dialetto piemontese. —
Bell'italiano — soggiunse con ironia. — Perchè mai? — gli osservai.
— _non mi parve il diavolo_, _non è il diavolo_, _non sarà poi il
diavolo_, lo scrisse Giuseppe Giusti. — Non lo volle credere e gli
dovetti far vedere il libro. Un'altra volta scandolezzai un genovese
dicendo in italiano: — _So assai se il tale dei tali sia venuto_ — Alto
là! — mi gridò — la colgo in flagrante genovesismo. Il suo _so assai_
è il nostro _so assae_ pretto sputato. — Misi sotto gli occhi anche a
lui le prose del Giusti dove trovò due o tre _so assai_ che lo fecero
rimanere a bocca aperta. E potrei citare mille altre espressioni che
fanno rizzare i capelli a tutti coloro i quali a furia di scrupoli,
di paure, di pedanterie, si son fatti una lingua italiana compassata,
rigida, plumbea, che non è più una lingua. In Toscana, per esempio, si
domanda a un libraio: — Quanto _fate_ codesto libro? — Nove su dieci
italiani delle provincie settentrionali, dovendo fare quella domanda,
ficcano un prudente _pagare_ in mezzo alle parole _fate_ e _codesto_,
perchè per loro _fare un libro_, in questo caso, è un'espressione
assurda, e l'altra, invece, è intera, esatta, a prova di martello. Per
la stessa ragione non dicono mai _nel momento ch'egli usciva_, ma _nel
momento nel quale o in cui_; non _il luogo dove o per dove_, ma _il
luogo nel quale o per il quale_; non _guardai se passasse qualcuno_,
ma _guardai per vedere se passasse qualcuno_, ecc. Ciò che il Giusti
chiamava argutamente _parlare e scrivere colle seste_.
*
* *
Per spiegar meglio il modo che, secondo me, si dovrebbe tenere nel
prendere appunti sul vocabolario, mi pare utile addurre ancora alcuni
esempi. Leggendo il vocabolario, credetti opportuno di notare tutti
i seguenti modi e vocaboli che si riferiscono a commercio, affari,
denaro, ecc., perchè m'accorsi, leggendoli, che sebbene fossero
necessarî per dire per l'appunto quelle date cose, non li avevo
mai adoperati perchè in parte non li sapevo, e in parte non m'erano
abbastanza fitti nella mente da averli pronti sulla bocca o sulla punta
della penna parlando o scrivendo.
METTER SU BOTTEGA. — Rizzare una bottega, un negozio.
STIRACCHIARE IL PREZZO. (È chiaro).
SALIRE. — Per rincarare. Es.; _Quest'anno i tartufi son saliti alle
stelle_. (F.)
RINCARARE.
Il pane è rincarato.
Rincarare la pigione.
Il rincaro del cotone.
Nell'Italia settentrionale, massime parlando, si dice generalmente
colla solita lungaggine _il pane è divenuto caro_, invece di
_è rincarato_, e _l'aumento di prezzo del cotone_, invece del
_rincaro del cotone_.
RINVILIO. — Lo scemar di prezzo. Parola che il Manzoni, correggendo
i _Promessi Sposi_, sostituì a _diminuzione di prezzo_, e che
ora si comincia a usare anche fuor di Toscana. Es.: _C'è stato un
gran rinvilio nell'olio._
RIBASSO. — Es.: _Il cotone_ HA FATTO _un ribasso_. Gli scrupolosi
direbbero: _C'è stato un ribasso nel cotone._
RICHIESTA. — Una tal mercanzia ha molta richiesta.
RIENTRARE. — Il popolo e i venditori, in Toscana, dicono
_rientrarci_ per _ripigliare il costo_ con guadagno onesto
vendendo una data mercanzia, Es.: _A volere che ci rientri, quel
drappo bisogna che lo venda otto lire il braccio._ — _A tre lire
non posso darglielo: non ci rientro._ (F.)
RIENTRO. — Entrata, _rinfranco_ di denari o d'altro, meglio che
_risorsa_. Es.: _Giovanni non ha altro rientro che lo stipendio
di 100 lire al mese._ (F.)
VANTAGGIARE ALCUNO. — Risparmiargli nel comprare e avanzargli nel
vendere. (F.)
STARE A SPORTELLO. — Dicono gli artefici quando in alcuni giorni
di mezze feste o simili, non aprono interamente la bottega, ma
tengono solamente aperto lo sportello. (F.)
SPURGHI. — Le merci rimaste senza vendersi in una bottega. (F.)
RIPARARE. — Si dice _non ripara_ di una persona che non è
sufficiente a secondare le richieste infinite che le vengono
fatte; di un mercante che spaccia moltissimo di una tal mercanzia
ed ha sempre il banco assediato dai compratori. Es.: _Mise su
quella bottega di mercerie e si arricchirà di certo perchè non
ripara._ (F.)
COMPRARE COGLI OCCHIALI DI PANNO. — Senza esaminare quello che si
compra.
SERVIRSI _da_ UN TAL NEGOZIANTE. — Modo scansato da moltissimi per
timore che non sia di _buon italiano_.
STARE SU UN QUATTRINO, SU UNA LIRA. — Lo spiega l'esempio: _Che
credi ch'io stia sulle dieci lire? To' piglia un napoleone e
vattene._ (F.)
QUEL FONDACO _va_ SOTTO IL NOME DEL TALE.
IN QUELLA IMPRESA GLI CI _andarono_ DIECI MILA LIRE.
RIGIRARE I DENARI. — Utilizzare onestamente _un piccolo corpo di
denari_. Es.: _Ho pochi quattrini; ma mio fratello che ha pratica
di negozi me li rigira bene._
RIGIRARSELA. — _Non son ricco, ma me la son sempre rigirata bene._
IL SUO INCHIOSTRO CORRE PER TUTTO. — Dicesi d'un negoziante la cui
firma sia tenuta buona in tutte le piazze. E a chi non abbia
credito: _Il tuo inchiostro non tinge o non corre._
PUZZARE D'INCHIOSTRO. — Si dice di un abito o di altra cosa non
ancora pagata nella bottega dove si è presa, _e dove è già accesa
la partita del debito_. (F.)
PRENDERE UNA COSA A CHIODO. — Senza pagarla subito.
MANGIARSI IL GUADAGNO IN ERBA. — Consumare ciò che si guadagna prima
di riscuoterlo. (F.)
DANARI GIUSTIFICATI. — Danari spesi in cosa che li vale. (F.)
DENARI SECCHI. — Danari morti.
TIRARE LA PAGA. — Per _riscuoterla_.
VIVERE SUL LAVORO. (È chiaro).
LAVORARE O FARE SOPRA DI SÈ. — Si dice degli artefici che non stanno
con altri, ma esercitano la loro arte da per sè a loro pro e
danno.
TIRARE UN GRAN DADO. — Avere una gran sorte.
FARE UN BUON TRUCCO. — Aver buona fortuna in una cosa.
GLI È VENUTA LA GUAZZA. — Si dice di chi ha trovato una buona fonte
di guadagno.
GLI È BALZATA LA PALLA SUL GUANTO.
TROVARE UNA BELLA VIGNA. — Trovare facile e pronto utile (o piacere)
in alcuna cosa.
SUCCHIELLARE UNA BELLA CARTA. — Essere in procinto di avere una
qualche buona ventura. Ecc., ecc.
*
* *
Per citare un altro esempio, c'è intorno al _parlare_ un gran numero
di vocaboli e di modi efficacissimi, per la più parte lepidi, e molti
comuni ai vari dialetti d'Italia, e per questa ragione, ossia per
paura, non usati da chi vuol parlare e scrivere un italiano castissimo.
Stiantar bombe (il _craquer_ dei francesi). — Stiantar bugie. —
Stiantar spropositi. — Piantar carote. — Sballar favole. — Sfrottolare.
— Dire delle sballonate. — Dire delle papere. — Dire dei farfalloni.
— Fare delle sparate. — Dirne di quelle che non hanno nè babbo nè
mamma (strafalcioni madornali); ciò che scrisse il povero Guerrazzi,
poco prima di morire, parlando della sua ultima opera, _Il secolo che
muore_.
Graziosissima l'espressione: — _Dare una calcatella_, per rifiorire o
esagerare una cosa detta da altri.
DIRE UNA COSA DI RITORNO, DI RIPICCO, DI RINTOPPO, DI RIMBECCO. —
Dire una cosa fuori dei denti. — Dire a uno una fitta d'ingiurie,
una carta di villanie, una sfuriata d'impertinenze. — Fare una
parrucca a uno, fargli una lavata di testa, un lavacapo, una
risciacquata, una ripassata, una sbarbazzata. — Cantargli il
vespro, cantargli la zolfa. — Trinciargli la giubba addosso,
tagliargli le calze, lavarsene la bocca (per dirne male). — Dire,
vomitare ira di Dio.
RIPAPPARSI UNO (per garrirlo acerbamente). Es.: _Nebbia, in presenza
della gente, tratta suo marito coi guanti, ma in casa poi bisogna
vedere come se lo ripappa._
RIMPOLPETTARE. — Lo spiega l'esempio: _Non è padrona di aprir bocca
quella povera donna che bisogna vedere come la rimpolpettano._
RIMBRONTOLARE (efficacissimo). — Rammentare spesso ad altri un
beneficio o un favore fattogli. Es.: _Tizio mi regalò una
volta cinquanta lire, è vero; ma non passa giorno che non me le
rimbrontoli._
RIFISCHIARE. — _Si cacciò in quell'adunanza il P., e poi andò a
rifischiare ogni cosa al prefetto._ Quanto più efficace che il
solito _riferire_ e _riportare_ che si può dire in cento sensi!
SPETTEGOLARE. — Chiaccherar molto e senza proposito. — Es.: _Dopo
essere stata là un'ora a spettegolare se ne andò._ — _Già io ti
dico tutto in segreto, e poi tu vai a spettegolare ogni cosa in
casa delle vicine._
TIRAR SAGRATI, TIRAR MOCCOLI, ATTACCAR MOCCOLI, TIRAR GIÙ TUTTI I
SANTI, ATTACCARLA A DIO E AL SANTI.
PARLARE COLLA BOCCA PICCINA (graziosissimo). — Per parlare
timidamente. Es.: _Cogl'inferiori fa il prepotente; ma coi
superiori parla colla bocca piccina._
STILLARE, PIOMBARE LE PAROLE, — per parlare lentamente, a stento.
SPICCICARE LE PAROLE. — Spiccarle. Si dice: _Non spiccica nulla, non
spiccica parola_, di chi volendo parlare, non gli vien fatto.
DISCORRERE FITTO O FITTO FITTO. — Presto e senza interruzione.
SFILAR LA CORONA. — Dir tutto senza riguardo.
SPIPPOLARE. — _Spappolarla_, per es., _tale e quale_. — Chiaro.
FATICARE, per es., una filza di paternostri, ciò che si esprime
anche al verbo _Spaternostrare_, _Scoronciare_, ecc.
GONFIAR GLI ORECCHI A UNO. — Dirgli cose che non gli piacciono.
DARE SPAGO A UNO. — Fingere di secondarlo per farlo parlare e
svelare l'animo suo.
MENARE A SPASSO UNO. — Aggirarlo con parole.
INFILARE GLI AGHI AL BUIO. — Parlare di ciò che non si conosce.
ALLUNGARE LA TELA. — Per allungare il discorso. Es.: _Per cinque
minuti lo stetti a sentire, ma poi, vedendo che allungava la
tela, gli voltai le spalle._
DARE UN TASTO. — Toccare un motto di qualche cosa. Es.: _Se vedo il
prefetto, così alla larga gli voglio dare un tasto sulla faccenda
degli arresti di domenica._
FARSI DA ALTO. — Per cominciare a parlare d'una cosa dal primissimo
principio o alla lontana.
FARLA CASCAR D'ALTO. — Dare con parole a una cosa un'importanza
maggiore di quella che ha, volerla far parere più bella, più
difficile, ecc., di quello che è.
INTONARLA TROPPO ALTA. — Si dice di chi comincia a parlare con un
tuono che non può e non deve poi mantenere.
TIRARE A TRAVERSO. — Si dice di chi, disputando con noi, vuol
torcere a cattivo senso le nostre parole, o sposta astutamente la
quistione dai suoi veri termini.
PARLARE PER COMPRARE. — (Chiaro).
ABBREVIARE IL TESTO. — Farla corta.
FARE UN DISCORSO CORTO. — Modo usatissimo in Toscana, quando nel
contrattare una cosa si vuol far subito la proposta ultima e
difinitiva. Es.: _S'ha a fare un discorso corto: la m'ha a dar
tanto_, ecc. Si usa anche per venire a una risoluzione contro
qualcuno: _Oh sai? s'ha a fare un discorso corto: tu t'hai a
levar di qui._
MOZZIAMOLA! — Lasciamola lì, tronchiamo questo discorso. Gli
Spagnuoli dicono graziosamente: — _Doblémos la hoja_ — pieghiamo
la pagina.
LEVAR LE REPLICHE. — Lo spiega l'esempio: _Gli fece una di quelle
filippiche che levano le repliche._
RIMANERE IN SECCO. — Si dice di quando a un tratto, a chi parla o
scrive, mancano le parole o i concetti.
RIMANERE COLLA PAROLA IN ARIA. — (È chiaro). In senso affine intesi
dire a un contadino toscano: _Per quanto si sforzasse a parlare,
le parole gli rimanevano attaccate giù per la gola._
AGGIUSTARE LE PAROLE IN BOCCA A UNO. — Insegnargli ciò che deve
dire.
FAR PEDUCCIO A UNO. — Aiutarlo colle parole, dicendo il medesimo che
ha detto lui, facendo buone e fortificando le sue ragioni.
PISSI PISSI, PISPILLORIA. — Strepito di voci che fanno molti
uccelli, anche applicabile a voci umane, specialmente per
indicare chiacchericcio, cicaleccio di donne. — Es.: _Ogni tanto
la Gigia lo piantava per andare a fare un pissi pissi di mezz'ora
colle sue amiche._
PISSIPISSARE. — Bisbigliare, far pissi pissi.
RIBOBOLARE. — V. att. Ribobolare, per es., un bel pensiero, ossia
nasconderlo con riboboli. — _Il P. è un buon prosatore; ma per
quel maledetto suo vezzo di far vedere che sa scrivere, un bel
pensiero te lo ribobola in modo che non si capisce più._
PARLARE COLLE SESTE. — Con cautela. Parlare colle seste in bocca,
disse il Giusti, per parlare con ripicchiata eleganza.
TIRAR SU LE CALZE A UNO. — Cavargli di bocca, con arte, un segreto,
ecc., ecc.
A proposito di questo e d'altri modi dello stesso genere, occorre
fare un'osservazione; ed è che son modi vivi, efficaci, usatissimi
e usabilissimi; ma che sono volgari, e che perciò si debbono usare
parcamente, e solo quando il soggetto del discorso lo concede. Molti
non la intendono così. Per costoro tutto quello che è toscano è
dicibile e scrivibile a qualunque proposito. Moltissimi anzi non
fanno propriamente consistere lo scriver toscano, secondo l'idea
del Manzoni, che in una certa sfacciataggine di lingua, in un certo
sprezzo del galateo filologico, nello scrivere, insomma, una lettera
a una signora tale e quale come una lettera a un fattore; un discorso
accademico tale e quale come un aneddoto carnovalesco. Sono costoro
che, da qualche anno in qua, empiono romanzi, novelle, articoli, ecc.,
di modi come _cascar l'asino_, _levar le gambe_, _tirar su le calze_,
_tagliar le calze_, _essere agli sgoccioli_, _uscir per il rotto della
cuffia_, ecc., ecc., i quali modi se danno efficacia e sapor comico
al linguaggio quando sono adoperati a tempo e luogo, gli tolgono,
adoperati a casaccio, ogni dignità, ogni gentilezza, ogni grazia. Ed
anche a rischio di farmi dare sulle dita voglio dire che lo stesso
Giuseppe Giusti ha qualche volta peccato da questo lato. Poichè, per
esempio, quando scrivendo a una signora dice in un solo periodo che
«scegliere per un congresso una città piccola come Lucca _è un voler
metter l'asino a cavallo_: ma che i Lucchesi ne leveranno le gambe
meglio che non si crede; che il duca se l'è battuta perchè _gli bolle
a mala pena la pentola per sè e per i suoi_, ecc.,» io sento, non
in ciascuna di queste maniere di dire per sè medesima, ma nella loro
frequenza, nel tuono che danno al discorso, qualche cosa che non mi
piace. Il Manzoni stesso, che in fatto di lingua è così delicatamente
guardingo, nell'usare frasi e vocaboli toscani ha qualche volta mancato
a questo riserbo, e io credo che anche i suoi più ardenti ammiratori,