Olanda - 23
di torba, bassa in ogni parte, e sopratutto a occidente, dove non di
rado, verso la fine d'autunno, le acque del mare si spandono su grandi
spazi. Vi sono moltissimi laghi, i quali formano come una catena a
traverso tutta la provincia dalla città di Stavoren fino alla città di
Dokkum. La campagna è coperta di vastissime praterie, e solcata in tutti
i versi da larghi canali, lungo i quali pascolano, per nove mesi
dell'anno, armenti innumerevoli non guardati nè da pastori nè da cani.
Lungo il Mare del Nord, vi si trovano dei piccoli rialti di terreno,
chiamati _terpen_, innalzati dagli antichi abitanti per rifugiarvisi
coi loro armenti al montare delle maree, e su alcuni di questi rialti
son fabbricati dei villaggi. Altri villaggi e città son costrutti su
palafitte, in terre conquistate a poco a poco sul mare. La provincia ha
duecento settantadue mila abitanti, che traggono non solo sostentamento,
ma ricchezza dal commercio del burro, del formaggio, dei pesci, della
torba, e comunicano agevolmente tra loro per via dei canali e dei laghi.
Pochi alberi dietro i quali son nascoste le case campestri e i villaggi;
qualche vela di bastimento; degli stormi di pavoncelle, di cornacchie e
di corvi; e i bellissimi armenti che picchiettano d'infinite macchie
nere e bianche il verde della campagna, sono le sole cose che attirino
l'occhio su quella vasta pianura di cui un velo di vapori bianchi
nasconde perpetuamente i confini. L'uomo che in quel paese ha fatto
tutto, non si vede da nessuna parte, e pare un paese nel quale l'acqua
viva e lavori da sè, e la terra non sia posseduta che dagli animali.
* * * * *
Arrivai a Leuwarde a notte fitta e trovai per buona ventura un albergo
dove si parlava francese.
La mattina per tempissimo--credo che non ci fossero ancora cento persone
levate in tutta la città--uscii, e mi diedi a girare per le strade
deserte sotto una pioggiolina lenta e diacciata che arrivava alle ossa.
Leuwarde ha l'aspetto d'un grande villaggio. Le strade sono quasi tutte
spaziosissime, percorse da larghi canali, e fiancheggiate da case
straordinariamente piccine, colorite di rosa, di lilla, di cenerino, di
verde chiaro, di tutti i colori di Broek. I canali interni si
congiungono con canali esteriori, i quali si stendono lungo i bastioni
della città, e si collegano alla loro vòlta con altri canali, che
conducono ai villaggi e alle città vicine. Vi sono piazze e crocicchi da
grande città, che paiono anche più vasti per la piccolezza delle case,
in moltissime delle quali le finestre sono a un palmo da terra e toccano
quasi il tetto colla parte superiore. Per lunghi tratti di strada, se si
ammucchiassero tutte insieme le case, non si formerebbe un edifizio di
grandezza ordinaria. Pare una città antichissima, primitiva, fondata da
un popolo di pescatori e di pastori, e a poco a poco ristaurata,
dipinta, ingentilita. Ma nonostante i bei ponti, le botteghe ricche, le
finestre adorne, il suo aspetto generale ha qualcosa di così esotico per
un europeo del mezzogiorno, da fargli parer strano che gli abitanti
portino il soprabito e il cappello cilindrico come noi. Di tutte le
città della Neerlandia è quella in cui un italiano si sente più lontano
dal suo paese. Le strade erano deserte, tutte le porte chiuse: mi pareva
di girare per una città abbandonata e sconosciuta, che avessi scoperta
io. Guardavo quelle strane casette e dicevo tra me, meravigliandomi, che
pure là dentro ci dovevano essere delle signore eleganti, dei
pianoforti, dei libri che anch'io avevo letti, delle carte geografiche
d'Italia, delle fotografie di Firenze e di Roma. Girando di strada in
strada, passai dinanzi all'antico castello dei governatori della Frisia,
della casa di Nassau Diez, gli antenati della regnante famiglia
d'Orange; scopersi una curiosissima prigione, un palazzo bianco e rosso,
sormontato da un tetto altissimo, e decorato di colonnine e di statue,
che gli dan l'aspetto d'un villino principesco; e infine riuscii in una
gran piazza, dove vidi una vecchia torre di mattoni, ai piedi della
quale si dice che cinquecento anni fa giungessero le acque del mare, e
che ora è lontana più di dieci miglia dalla costa. Di qui, passando per
altre strade pulite come salotti, in mezzo a due file di case di cui
rasentavo le gronde coll'ombrello, ritornai nel centro della città.
* * * * *
In tutto quel giro non avevo visto altre donne che qualche vecchia
scarmigliata e insonnita, che guardava il tempo dalla finestra; e ognuno
può immaginare quanto fossi curioso di vedere le altre, non tanto per la
loro celebre bellezza, quanto per la stranissima copertura di capo della
quale avevo inteso parlare e letto descrizioni e trovato immagini in
tutte le città dell'Olanda. La sera innanzi, arrivando a Leuwarde, avevo
ben visto a una cantonata qualche testa di donna stranamente luccicante;
ma l'avevo vista di sfuggita, al buio, e senza quasi badarci. Ben
altra cosa doveva essere il vedere tutto il bel sesso della capitale
della Frisia, in pieno giorno, a mio bell'agio. Ma come cavarsi questa
curiosità? Il cielo prometteva la pioggia per tutta la giornata, le
donne sarebbero probabilmente rimaste tappate in casa, io avrei dovuto
aspettare fino alla mattina dopo, e l'impazienza mi divorava. Per
fortuna mi venne una di quelle idee luminose che nelle grandi occasioni
sbocciano anche nei cervelli più piccoli. Vedendo passare un musicante
della guardia civica, col pennacchio in capo e la tromba sotto il
braccio, mi ricordai ch'era l'anniversario della nascita del Re di
Olanda, pensai che si dovesse radunare la banda musicale, che questa
banda avrebbe percorso la città, che dove sarebbe passata tutte le donne
avrebbero fatto capolino, e che perciò, mettendomi accanto al capo-banda
come i monelli che accompagnano i reggimenti agli esercizi, avrei veduto
quanto volevo. Dissi a me stesso:--Bravo!--e canterellando l'arietta
«Che invenzione prelibata» del _Barbiere di Siviglia_, seguii il
musicante. Arrivammo nella gran piazza dove la guardia civica s'andava
raccogliendo intrepidamente sotto una pioggia dirotta, in mezzo a un
centinaio di curiosi; in pochi minuti, il battaglione fu ordinato; il
maggiore gettò un grido stridulo; la banda diede fiato agli strumenti;
la colonna si mosse verso il centro della città. Io camminavo accanto al
capo tamburo, ed ero beato.
S'aprirono le finestre delle prime case, e si affacciarono alcune donne
colla testa tutta luccicante d'argento, come se fossero elmate; ed
avevano infatti due larghe lastre d'argento che nascondevano affatto i
capelli e coprivano una parte della fronte stringendo il capo come un
casco di guerriero antico. Un po' più oltre, s'affacciarono altre donne,
quali col casco d'argento, quali col casco d'oro. Il battaglione svoltò
in una delle strade principali, e allora su tutte le porte, a tutte le
finestre, agli svolti delle strade, sulle soglie delle botteghe, dietro
le cancellate dei giardini, comparirono caschi d'oro e d'argento, grandi
e piccini, con velo e senza velo, tersi e sfolgoranti come celate
d'armeria; mamme in mezzo a una nidiata di ragazzine, tutte col casco;
vecchie cadenti, col casco; serve colla casseruola in mano, col casco;
signorine che s'erano alzate allora dal pianoforte, col casco; Leuwarde
pareva una immensa caserma di corazzieri sbarbati, una metropoli di
regine spodestate, una città dove tutta la popolazione si preparasse ad
una grande mascherata medioevale. Non posso dire lo stupore e il piacere
che provavo dinanzi a quello spettacolo. Ogni nuovo casco che vedevo, mi
pareva il primo, ridevo, e mi pareva che il capo tamburo, le guardie
civiche e i monelli che avevo intorno, dovessero riderne con me. Tutti
quei caschi coloravano di riflessi dorati e argentati i vetri delle
finestre e le imposte inverniciate; brillavano confusamente nel buio
delle stanze semi-aperte del pian terreno; apparivano e sparivano
lampeggiando dietro le tendine trasparenti e i fiori dei davanzali.
Passando accanto alle ragazze ritte sul marciapiedi della strada,
rallentavo il passo, e vedevo riflessi sulle loro teste gli alberi, le
botteghe, le finestre, il cielo, le guardie civiche, il mio viso. In
mezzo a tutte quelle teste amabilmente terribili, su cui non si vedeva
una ciocca di capelli, io collo staio e la capigliatura lunga, mi parevo
un uomo imbelle e spregevole, a cui da un momento all'altro una di
quelle austere frisone dovesse porgere per scherno il fuso e la
rocca.--Ma che spedizione hanno in mente tutte codeste donne?--pensavo,
celiando con me stesso.--A chi vogliono far la guerra? A chi intendono
di metter paura?--A ogni passo vedevo qualche scena curiosa. Un ragazzo,
per far stizzire una bambina, le appannava il casco col fiato, e quella
subito s'affannava a ripulirlo colla manica, prorompendo in invettive,
come un soldato a cui il compagno insudici qualche parte dell'armatura
un momento prima della rivista del capitano. Un giovanotto, da una
finestra, toccava colla punta d'un bastoncino il casco d'una ragazza
affacciata alla finestra accanto, il casco risonava, i vicini si
voltavano, la ragazza faceva il viso rosso e spariva. In fondo a un
corridoio, una serva si aggiustava il casco guardandosi in quello d'una
compagna gentilmente inchinata per farle da specchio. Nell'atrio d'una
casa, che doveva essere un collegio, una cinquantina di ragazze, tutte
col casco, si disponevano a due a due, in silenzio, come un drappello di
guerriere che s'apparecchiassero a fare una sortita contro il popolo
ribellato. E in ogni nuova strada che infilava la banda, pullulava da
ogni parte, come a un richiamo di guerra, una nuova legione di
quell'esercito stravagante e gentile.
Da principio, tanto ero assorto nella contemplazione dei caschi, che non
avevo quasi badato ai volti di quelle Frisone, che hanno fama di essere
le più belle donne dei Paesi Bassi, di discendere in diritta linea dalle
antiche sirene del Mare del Nord, e di aver fatto andare in visibilio il
gran cancelliere dell'Impero germanico; il quale non dev'essere di
natura molto facilmente eccitabile. Riavuto dalla prima meraviglia dei
caschi, mi diedi a considerare le persone; e debbo dire che ne vidi,
come in tutti gli altri paesi, pochissime belle, ma queste degne
veramente della fama. Son donne la maggior parte di alta statura, di
larghe spalle, bionde, bianche, diritte come palme e gravi come antiche
sacerdotesse, alcune di mani e piedi molto piccoli, e malgrado la loro
gravità, sorridenti con una dolcezza che par davvero un riflesso lontano
delle loro favolose progenitrici. L'elmetto argenteo, che stringendo e
nascondendo i loro capelli, le priva del più bell'ornamento della
bellezza, le rifà in parte di questo difetto, col mettere in mostra la
nobile forma della loro testa, e col dare al loro viso dei lumeggiamenti
bianchi e azzurrini d'una delicatezza inesprimibile. All'apparenza, non
hanno ombra di civetteria.
* * * * *
Mi rimaneva però una grande curiosità, ed era di veder da vicino una di
quelle belle teste elmate, e di sapere come questi elmi fossero fatti, e
in che modo si mettessero, e che norme avesse quell'uso. A questo fine
avevo una lettera per una famiglia di Leuwarde, la portai, fui ricevuto
cortesemente in una bella casetta posta sull'orlo d'un canale, e
scambiati appena i primi saluti, dimandai di vedere un casco, il che
fece ridere di cuore i miei ospiti, perchè quella è immancabilmente la
prima domanda che rivolgono tutti gli stranieri arrivati in Frisia ai
primi Frisoni che hanno la fortuna di conoscere. Per tutta risposta, la
padrona di casa, una signora colta e gentilissima, che parlava con molto
garbo il francese, tirò il cordoncino d'un campanello, e comparve subito
una ragazza col casco d'oro e la veste lilla, a cui essa accennò di
venire innanzi. Era la serva: una ragazza alta come un granatiere,
robusta come un atleta, bianca come un angelo, fiera come una
principessa. Capì di volo che cosa volevo e mi si piantò davanti colla
testa alta e cogli occhi bassi. La signora mi disse che si chiamava
Sofia, che aveva diciott'anni, ch'era promessa sposa e che il casco
gliel'aveva regalato il suo fidanzato.
Domandai di che metallo fosse il casco.
"D'oro!" rispose la signora quasi meravigliandosi della mia domanda.
"D'oro!" esclamai alla mia volta. "Scusi; abbia la compiacenza di
domandarle quanto costa."
La signora interrogò in lingua frisona Sofia, e poi rivolgendosi a me:
"Costa," mi disse, "senza le spille e senza la catenella, trecento
fiorini."
"Seicento lire!" esclamai. "Scusi ancora: vorrei sapere qual'è la
professione del suo fidanzato."
"Segatore di legna," rispose la signora.
"Segatore di legna!" ripetei, e pensai con raccapriccio allo spessore
del libro che avrei dovuto scrivere per poter vincere di splendidezza
quel segatore di legna.
"Non hanno però tutte il casco d'oro," soggiunse la signora. "I
fidanzati che han pochi quattrini ne regalano uno d'argento. Le donne e
le ragazze povere l'hanno di rame dorato, o d'argento sottilissimo, che
costa pochi fiorini. Però la grande ambizione è d'averlo d'oro, e a
questo fine si lavora, si risparmia, si sospira per anni interi. Se poi
dovessi parlarle delle gelosie, io che ho la cameriera col casco
d'argento e la serva col casco d'oro, ne potrei dire qualche cosa."
Le domandai se portavano il casco anche le signore. Mi rispose che non
lo portavano più, fuor che pochissime; ma che tutte, anche delle prime
famiglie, si ricordano d'averlo veduto alle loro nonne e alle loro
madri; ed eran caschi cesellati e tempestati di diamanti che costavano
un subisso. Anticamente però non si portavano caschi, ma solo una sorta
di diademi molto sottili, d'argento o di ferro, senza ornamenti, i
quali, a poco a poco, si andarono allargando fino a coprire tutta la
parte anteriore del capo. Ora, come tutte le mode che cominciano a
decadere quando sono giunte all'esagerazione, anche il casco decade.
Alle donne comincia a rincrescere di non poter mostrare i loro bei
capelli biondi. Oltre questo, il casco produce il triste effetto di
affrettare la calvizie, tanto che molte donne, in età ancor fresca,
hanno già delle piazzate che metton paura. I medici, dal canto loro,
dicono che quella continua pressione sul capo fa male al seno, e molti
affermano che ne arresta lo sviluppo; il che non è difficile a credersi,
poichè in fatti le donne frisone, robuste e carnose come sono, hanno per
lo più un rilievo leggerissimo là dove è bello il vedere una curva
audace. Tutte queste ragioni hanno indotto anni sono parecchie signore
della provincia di Groninga, dove è pure in uso quella copertura di
capo, a formare una specie di propaganda contro quell'uso, smettendolo
esse per le prime; dopo di che moltissime altre lo smisero. Passeranno
però molti anni prima che tutti i caschi siano spariti. Le serve, le
contadine, la maggior parte delle donne del mezzo ceto, lo portano
ancora. V'è la parte pro e la parte contro. Questa guadagna terreno
lentissimamente, e quella si difende con ostinazione.
Desideravo di vedere il casco di Sofia, ma era coperto dal solito velo
di trina, e non osavo farla pregare che se lo togliesse. Le presi il
velo per l'orlo colla punta delle dita e spiegando la parola col gesto,
le domandai se lo potevo alzare.
"Lo alzi pure," mi disse la signora, traducendo la risposta della
ragazza.
Lo alzai.
Dei del cielo, che bianchezza! Paragonai quel collo, ch'era tutto
scoperto, col velo che tenevo in mano, e rimasi incerto di quale dei
due fosse più bianco.
Il casco di Sofia era assai diverso dai caschi di argento che avevo
visti per le strade; anzi, per dire il vero, questo nome di casco non
conviene che a quei d'oro, poichè gli altri, sebbene presentino, a chi
li guarda di fronte, il medesimo aspetto di caschi, non ne hanno punto
la forma. Questi son fatti di due lastre quasi circolari, congiunte da
un cerchietto flessibile di metallo che passa dietro il cocuzzolo, e
ornate di due grandi bottoni cesellati che riescono sulle tempie. Queste
due lastre non coprono che la parte anteriore del capo. I caschi d'oro
invece sono un larghissimo cerchio che abbraccia tutta la testa, fuorchè
il cocuzzolo, e si allarga ancora alle estremità fino a non lasciar più
vedere che una piccolissima parte della fronte. La lamina è sottile e
flessibile come carta di Bristol in modo che si può adattare facilmente
a teste di diversa grandezza. Sotto questo casco (anco sotto quei
d'argento) portano una specie di cuffia nera, che serra i capelli come
un berretto da notte; e sopra il casco, un'altra sorta di cuffia di
trina, che scende fin sulle spalle. Su questa seconda cuffia molte donne
mettono ancora un cappellino indescrivibile, ornato di fiori e di frutti
finti, o un cappello _Pamela_. Prima di mezzo giorno, stando in casa o
uscendo per faccende, le donne del popolo portano il casco senz'altro;
la cuffia e il cappello se lo mettono per andare alla passeggiata.
Mentre osservavo il casco della ragazza, la signora mi parlava di certi
usi singolarissimi che si ritrovano ancora nella campagna della Frisia.
Quando un giovane si presenta in una casa per domandare la mano d'una
ragazza, questa gli fa subito capire se lo accetta o non lo accetta per
sposo. Se lo accetta, esce dalla stanza e vi ritorna poco dopo col
casco. Se non si va a mettere il casco vuol dire che il giovane non le
piace, e ch'essa non acconsente a diventare sua regina. Gli amanti
sogliono regalare alle loro fidanzate dei legacci da calze, sui quali
sono iscritte delle sentenze, delle parole d'amore e degli auguri di
felicità. Qualche volta l'innamorato presenta alla ragazza un fazzoletto
annodato con iscrizioni nel nodo e dentro monete o gingilli. Se la bella
lo scioglie, s'intende che accetta la mano del giovane; se non lo
scioglie, s'intende che la ricusa. L'onore più ambito dagli amanti è
quello di poter legare lo zoccolo, o patino che si voglia dire, al piede
della loro diva; la quale li ricompensa di questa cortesia con un bacio.
Del resto, giovani e ragazze godono della più ampia libertà. Vanno a
passeggiare insieme come marito e moglie, e rimangono sovente soli in
casa, per parecchie ore, di notte, dopo che il padre e la madre sono
andati a letto.--E non si hanno mai da pentire di esserci andati troppo
presto? domandai: "Il fallo," mi rispose la signora "è sempre riparato."
Durante tutti questi discorsi, la bella frisona era sempre rimasta seria
ed immobile come una statua. Prima che se n'andasse, le dissi, per
ringraziarla con un complimento, che era una delle più belle guerriere
della Frisia, e pregai la signora di tradurle quelle parole. Le ascoltò
col viso serio e diventò rossa fino ai capelli; poi, come se ci avesse
pensato meglio, sorrise leggerissimamente, e fatto un mezzo inchino uscì
dalla stanza, ritta, lenta e maestosa come una regina di tragedia.
Grazie alla cortesia dei miei ospiti, vidi un piccolo _Museo d'antichità
nazionali della Frisia_, formato da pochi anni, e già ricco di
moltissimi oggetti preziosi. Profano come sono a questi studi, non feci
che sogguardare le medaglie e le monete, e mi trattenni particolarmente
dinanzi agli antichi zoccoli dei patinatori, ai rozzi diademi da cui
derivarono i caschi, e a certe strane pipe trovate nella terra a una
grande profondità, le quali paiono anteriori all'uso del tabacco, e si
crede servissero a fumare la canapa. Ma il più curioso oggetto del Museo
è un cappello da donna, ch'era in uso sulla fine del secolo scorso, un
cappello così spropositato e così ridicolo, che se l'antiquario che me
lo mostrò, non m'avesse assicurato d'averne visto ancor uno, coi suoi
occhi, sul capo d'una vecchia signora di Leuwarde, non sono molti anni,
in occasione di una festa per l'arrivo del re d'Olanda, avrei creduto
impossibile che delle creature ragionevoli si fossero mai incappellate
in quella maniera. Non è un cappello, è una tenda, un baldacchino, una
tettoia, sotto la quale si potrebbe riparare dalla pioggia e dal sole
un'intera famiglia. Si compone di un cerchio di legno, grande due volte
uno degli ordinari tavolini da caffè, e d'un cappello di paglia munito
d'una tesa della stessa grandezza, mancante da una parte, in modo che
presenta la forma d'un semicircolo. Il cerchio è ornato di una lunga
frangia, ed ha una piccola apertura, nella quale entra la testa, e vi si
assicura non so come. Quando il cerchio è assicurato, il cappello, che è
una cosa a parte, vi si posa su e vi si stende come una tela
sull'armatura d'una baracca, e l'edifizio è compiuto. Quest'edifizio,
quando le signore entravano in chiesa, lo scomponevano, per non
ingombrare troppo spazio, e lo rifabbricavano al momento d'uscire, e il
cappello pareva grazioso, e l'operazione comodissima. Tanto è vero il
proverbio, che tutti i gusti son gusti.
* * * * *
Un cortese frisone, al quale ero raccomandato da un amico dell'Aja, mi
condusse in campagna per vedere le case dei contadini. Ci dirigemmo da
Leuwarde verso la città di Freek, a traverso uno dei tratti più fertili
della Frisia, per una bella strada ammattonata e pulita come un
marciapiede di Parigi; e arrivammo, dopo un breve cammino, a una casa
dinanzi alla quale il mio compagno s'arrestò e disse in tuono grave:
"Ecco il _friesche hiem_ del contadino frisone, la vecchia fattoria
degli antenati." Era una casa di mattoni, con le persiane verdi e le
tendine bianche, coronata d'alberi e posta in mezzo a un giardinetto
circondato da un fosso pieno d'acqua. Accanto a questa casetta, c'era
un fienile formato di gigantesche travi di pino di Norvegia e coperto da
un enorme tetto di canne; e in questo fienile la stalla, difesa da una
gran parete di legno. Entrammo nella stalla. Le vacche, come nella
Nord-Olanda, non hanno strame, e sono unite a due a due, colla coda
legata alle travi del soffitto, perchè non s'insudicino. Dietro di esse
corre un rigagnolo profondo che porta via le immondizie. Il pavimento,
le pareti, gli animali stessi sono pulitissimi, e non mandano punto
cattivo odore. Mentre io osservavo in ogni parte quel salotto
animalesco, il mio compagno, che era un erudito agronomo, mi dava dei
preziosi ragguagli intorno alla campagna frisona. In un podere di trenta
o trentacinque ettari si suol tenere un cavallo e settanta bestie
bovine. Per ogni ettare c'è una vacca da latte, e in quasi tutti i
poderi otto o dieci grandi pecore, col latte delle quali si fanno dei
piccoli formaggi cercati come una ghiottoneria sopraffina in tutte le
città della Frisia. Tuttavia il prodotto principale, in Frisia, non è il
formaggio, come nella Nord-Olanda; ma il burro. La stanza dove si fa il
burro è il penetrale sacro della casa dei contadini. C'entrammo, e non
fu piccola concessione quella che ci venne fatta, perchè i profani sono
pregati per il solito di fermarsi sulla soglia della porta. Era una
stanza pulita come un tempietto e fresca come una grotta, nella quale si
vedevano molte file di vasi di rame pieni fino all'orlo di latte munto
allora allora, e già coperto di un denso strato di fiore. La zangola
era messa in movimento da un cavallo, come s'usa in quasi tutta la
Frisia. A una parete era appeso un termometro, le finestre erano ornate
di tendine, e sul davanzale si vedeva un bel vaso di giacinti. Questo
burro di Frisia è così squisito, mi diceva il compagno, che sul mercato
di Londra, dove se ne porta una quantità immensa, si vende a un prezzo
esorbitante. Anno per anno se ne raccolgono nei varii mercati della
provincia da sette a otto milioni di chilogrammi. Il burro è posto in
certi bariletti di quercia di Russia, del peso di venti o quaranta
chilogrammi ciascuno, che vengono portati al Peso Municipale delle città
della Frisia. Qui un perito li esamina, li assaggia, li pesa e poi ci
mette il suggello delle armi della città; dopo la quale operazione sono
trasportati ad Harlingen, e caricati sopra uno _steamer_, che li reca
sulle rive del Tamigi. Questa è la nostra ricchezza, concluse il cortese
frisone, colla quale ci consoliamo della mancanza delle palme e degli
aranci che avete voi, prediletti dalla natura. E terminò, a proposito di
aranci e di burro, raccontandomi di quel generale spagnuolo, che un
giorno mostrò un arancio a un contadino frisone e gli disse con
orgoglio: "Questo è un frutto che il nostro paese produce due volte
all'anno!" e il contadino, ponendogli sotto gli occhi un pane di burro,
gli rispose: "E questo è un frutto che il nostro paese produce due volte
al giorno!" E il generale rimase senza parola.
Il contadino che ci accompagnava, ci permise di dare una capatina in una
stanza dove sua moglie e la sua figliuola, l'una col casco d'oro e
l'altra col casco d'argento, lavoravano sedute di qua e di là d'un
tavolino. Pareva una stanza apparecchiata appositamente per gli
stranieri curiosi. V'erano dei grandi armadi di forma antica, degli
specchi colle cornici dorate, delle porcellane chinesi, dei vasi da
fiori scolpiti, delle argenterie esposte sugli stipi. "E il meno è
quello che si vede," mi susurrò nell'orecchio il mio compagno, vedendomi
dar segno di meraviglia. "Quegli armadi sono pieni di biancheria, di
gioielli, di vesti di seta; e vi son dei contadini che hanno i piatti,
le tazze, le caffettiere d'argento; e ve n'è persino di quelli che si
fan fare le posate e le scatole da tabacco d'oro massiccio. Guadagnano
molto, vivono economicamente, e spendono il frutto dei loro risparmi in
oggetti di lusso." Questo spiega perchè nei più piccoli villaggi ci sian
delle botteghe di gioiellieri quali non si trovano in molte grandi città
europee. Ci son contadine che comprano delle collane di corallo del
valore di mille lire e che hanno nelle loro cassette per più di
diecimila fiorini tra anelli, buccole, spille, gingilli. E vivono
economicamente, è vero, durante la maggior parte dell'anno; ma i giorni
di grandi feste, nelle occasioni di matrimonio, al tempo delle
_Kermesses_, quando vanno in città per divertirsi, s'installano nei
primi alberghi, pigliano i più bei palchi al teatro dell'opera e
stappano tra un atto e l'altro delle brave bottiglie di Champagne. Un
contadino che possegga un capitale di centomila lire non passa punto per
ricco, poichè sono moltissimi quei che ne possedono duecento mila,
trecento mila, un mezzo milione, ed anche molto di più.
Il carattere di questi contadini (e quello che si dice dei contadini si
può dire di tutti i Frisoni) è per testimonianza universale ed antica,
maschio, aperto, generoso.--Che peccato che non siate un
Frisone!--dicono a una persona che stimano. Sono alteri della nobiltà
della loro razza, che credono la prima della grande famiglia germanica,
e si vantano d'essere il solo popolo di quella famiglia, che abbia
conservato il suo nome dopo i tempi di Tacito. Molti credono ancora che
il loro paese sia stato chiamato Frisia da Frisio, figliuolo di Alano,
fratello di Mesa, nipote di Sem, e s'inorgogliscono di quest'origine
antica. L'amore della libertà è il loro sentimento dominante, «I
Frisoni,--dice il loro vecchio codice,--saranno liberi fin che i venti
soffieranno nelle nuvole e fin che durerà il mondo.» È la Frisia,
infatti, che manda al Parlamento i deputati più arditi della parte
liberale. La popolazione è quasi tutta protestante, e gelosissima della
sua fede, e non meno che della fede, della lingua, illustrata da un
grande poeta popolare, e coltivata tuttora con grande amore. Il
contadino in particolare, dice il Laveleye, cita con alterezza gli
uomini illustri che nacquero sotto l'_hiem_ frisone, i due poeti
Gisberto Japhis e Salverda, il filologo Tiberio Hemsterhuis e suo
figlio Frans, l'amabile e profondo filosofo che la signora di Staël
chiamava il Platone olandese.
Strada facendo verso Leuwarde, incontrammo parecchi carri di contadini
tirati da quei famosi cavalli frisoni, che si dicono i primi trottatori
del mondo. Hanno il pelo nero, il collo lungo, la testa piccina e piena
di vita. I più belli son quelli allevati nell'isola di Ameland.
Resistono meravigliosamente alla fatica; servono insieme al tiro e alle
corse, e cosa singolare in un paese dove tutto si muove
placidissimamente, i loro flemmatici padroni li fanno andar sempre di
rado, verso la fine d'autunno, le acque del mare si spandono su grandi
spazi. Vi sono moltissimi laghi, i quali formano come una catena a
traverso tutta la provincia dalla città di Stavoren fino alla città di
Dokkum. La campagna è coperta di vastissime praterie, e solcata in tutti
i versi da larghi canali, lungo i quali pascolano, per nove mesi
dell'anno, armenti innumerevoli non guardati nè da pastori nè da cani.
Lungo il Mare del Nord, vi si trovano dei piccoli rialti di terreno,
chiamati _terpen_, innalzati dagli antichi abitanti per rifugiarvisi
coi loro armenti al montare delle maree, e su alcuni di questi rialti
son fabbricati dei villaggi. Altri villaggi e città son costrutti su
palafitte, in terre conquistate a poco a poco sul mare. La provincia ha
duecento settantadue mila abitanti, che traggono non solo sostentamento,
ma ricchezza dal commercio del burro, del formaggio, dei pesci, della
torba, e comunicano agevolmente tra loro per via dei canali e dei laghi.
Pochi alberi dietro i quali son nascoste le case campestri e i villaggi;
qualche vela di bastimento; degli stormi di pavoncelle, di cornacchie e
di corvi; e i bellissimi armenti che picchiettano d'infinite macchie
nere e bianche il verde della campagna, sono le sole cose che attirino
l'occhio su quella vasta pianura di cui un velo di vapori bianchi
nasconde perpetuamente i confini. L'uomo che in quel paese ha fatto
tutto, non si vede da nessuna parte, e pare un paese nel quale l'acqua
viva e lavori da sè, e la terra non sia posseduta che dagli animali.
* * * * *
Arrivai a Leuwarde a notte fitta e trovai per buona ventura un albergo
dove si parlava francese.
La mattina per tempissimo--credo che non ci fossero ancora cento persone
levate in tutta la città--uscii, e mi diedi a girare per le strade
deserte sotto una pioggiolina lenta e diacciata che arrivava alle ossa.
Leuwarde ha l'aspetto d'un grande villaggio. Le strade sono quasi tutte
spaziosissime, percorse da larghi canali, e fiancheggiate da case
straordinariamente piccine, colorite di rosa, di lilla, di cenerino, di
verde chiaro, di tutti i colori di Broek. I canali interni si
congiungono con canali esteriori, i quali si stendono lungo i bastioni
della città, e si collegano alla loro vòlta con altri canali, che
conducono ai villaggi e alle città vicine. Vi sono piazze e crocicchi da
grande città, che paiono anche più vasti per la piccolezza delle case,
in moltissime delle quali le finestre sono a un palmo da terra e toccano
quasi il tetto colla parte superiore. Per lunghi tratti di strada, se si
ammucchiassero tutte insieme le case, non si formerebbe un edifizio di
grandezza ordinaria. Pare una città antichissima, primitiva, fondata da
un popolo di pescatori e di pastori, e a poco a poco ristaurata,
dipinta, ingentilita. Ma nonostante i bei ponti, le botteghe ricche, le
finestre adorne, il suo aspetto generale ha qualcosa di così esotico per
un europeo del mezzogiorno, da fargli parer strano che gli abitanti
portino il soprabito e il cappello cilindrico come noi. Di tutte le
città della Neerlandia è quella in cui un italiano si sente più lontano
dal suo paese. Le strade erano deserte, tutte le porte chiuse: mi pareva
di girare per una città abbandonata e sconosciuta, che avessi scoperta
io. Guardavo quelle strane casette e dicevo tra me, meravigliandomi, che
pure là dentro ci dovevano essere delle signore eleganti, dei
pianoforti, dei libri che anch'io avevo letti, delle carte geografiche
d'Italia, delle fotografie di Firenze e di Roma. Girando di strada in
strada, passai dinanzi all'antico castello dei governatori della Frisia,
della casa di Nassau Diez, gli antenati della regnante famiglia
d'Orange; scopersi una curiosissima prigione, un palazzo bianco e rosso,
sormontato da un tetto altissimo, e decorato di colonnine e di statue,
che gli dan l'aspetto d'un villino principesco; e infine riuscii in una
gran piazza, dove vidi una vecchia torre di mattoni, ai piedi della
quale si dice che cinquecento anni fa giungessero le acque del mare, e
che ora è lontana più di dieci miglia dalla costa. Di qui, passando per
altre strade pulite come salotti, in mezzo a due file di case di cui
rasentavo le gronde coll'ombrello, ritornai nel centro della città.
* * * * *
In tutto quel giro non avevo visto altre donne che qualche vecchia
scarmigliata e insonnita, che guardava il tempo dalla finestra; e ognuno
può immaginare quanto fossi curioso di vedere le altre, non tanto per la
loro celebre bellezza, quanto per la stranissima copertura di capo della
quale avevo inteso parlare e letto descrizioni e trovato immagini in
tutte le città dell'Olanda. La sera innanzi, arrivando a Leuwarde, avevo
ben visto a una cantonata qualche testa di donna stranamente luccicante;
ma l'avevo vista di sfuggita, al buio, e senza quasi badarci. Ben
altra cosa doveva essere il vedere tutto il bel sesso della capitale
della Frisia, in pieno giorno, a mio bell'agio. Ma come cavarsi questa
curiosità? Il cielo prometteva la pioggia per tutta la giornata, le
donne sarebbero probabilmente rimaste tappate in casa, io avrei dovuto
aspettare fino alla mattina dopo, e l'impazienza mi divorava. Per
fortuna mi venne una di quelle idee luminose che nelle grandi occasioni
sbocciano anche nei cervelli più piccoli. Vedendo passare un musicante
della guardia civica, col pennacchio in capo e la tromba sotto il
braccio, mi ricordai ch'era l'anniversario della nascita del Re di
Olanda, pensai che si dovesse radunare la banda musicale, che questa
banda avrebbe percorso la città, che dove sarebbe passata tutte le donne
avrebbero fatto capolino, e che perciò, mettendomi accanto al capo-banda
come i monelli che accompagnano i reggimenti agli esercizi, avrei veduto
quanto volevo. Dissi a me stesso:--Bravo!--e canterellando l'arietta
«Che invenzione prelibata» del _Barbiere di Siviglia_, seguii il
musicante. Arrivammo nella gran piazza dove la guardia civica s'andava
raccogliendo intrepidamente sotto una pioggia dirotta, in mezzo a un
centinaio di curiosi; in pochi minuti, il battaglione fu ordinato; il
maggiore gettò un grido stridulo; la banda diede fiato agli strumenti;
la colonna si mosse verso il centro della città. Io camminavo accanto al
capo tamburo, ed ero beato.
S'aprirono le finestre delle prime case, e si affacciarono alcune donne
colla testa tutta luccicante d'argento, come se fossero elmate; ed
avevano infatti due larghe lastre d'argento che nascondevano affatto i
capelli e coprivano una parte della fronte stringendo il capo come un
casco di guerriero antico. Un po' più oltre, s'affacciarono altre donne,
quali col casco d'argento, quali col casco d'oro. Il battaglione svoltò
in una delle strade principali, e allora su tutte le porte, a tutte le
finestre, agli svolti delle strade, sulle soglie delle botteghe, dietro
le cancellate dei giardini, comparirono caschi d'oro e d'argento, grandi
e piccini, con velo e senza velo, tersi e sfolgoranti come celate
d'armeria; mamme in mezzo a una nidiata di ragazzine, tutte col casco;
vecchie cadenti, col casco; serve colla casseruola in mano, col casco;
signorine che s'erano alzate allora dal pianoforte, col casco; Leuwarde
pareva una immensa caserma di corazzieri sbarbati, una metropoli di
regine spodestate, una città dove tutta la popolazione si preparasse ad
una grande mascherata medioevale. Non posso dire lo stupore e il piacere
che provavo dinanzi a quello spettacolo. Ogni nuovo casco che vedevo, mi
pareva il primo, ridevo, e mi pareva che il capo tamburo, le guardie
civiche e i monelli che avevo intorno, dovessero riderne con me. Tutti
quei caschi coloravano di riflessi dorati e argentati i vetri delle
finestre e le imposte inverniciate; brillavano confusamente nel buio
delle stanze semi-aperte del pian terreno; apparivano e sparivano
lampeggiando dietro le tendine trasparenti e i fiori dei davanzali.
Passando accanto alle ragazze ritte sul marciapiedi della strada,
rallentavo il passo, e vedevo riflessi sulle loro teste gli alberi, le
botteghe, le finestre, il cielo, le guardie civiche, il mio viso. In
mezzo a tutte quelle teste amabilmente terribili, su cui non si vedeva
una ciocca di capelli, io collo staio e la capigliatura lunga, mi parevo
un uomo imbelle e spregevole, a cui da un momento all'altro una di
quelle austere frisone dovesse porgere per scherno il fuso e la
rocca.--Ma che spedizione hanno in mente tutte codeste donne?--pensavo,
celiando con me stesso.--A chi vogliono far la guerra? A chi intendono
di metter paura?--A ogni passo vedevo qualche scena curiosa. Un ragazzo,
per far stizzire una bambina, le appannava il casco col fiato, e quella
subito s'affannava a ripulirlo colla manica, prorompendo in invettive,
come un soldato a cui il compagno insudici qualche parte dell'armatura
un momento prima della rivista del capitano. Un giovanotto, da una
finestra, toccava colla punta d'un bastoncino il casco d'una ragazza
affacciata alla finestra accanto, il casco risonava, i vicini si
voltavano, la ragazza faceva il viso rosso e spariva. In fondo a un
corridoio, una serva si aggiustava il casco guardandosi in quello d'una
compagna gentilmente inchinata per farle da specchio. Nell'atrio d'una
casa, che doveva essere un collegio, una cinquantina di ragazze, tutte
col casco, si disponevano a due a due, in silenzio, come un drappello di
guerriere che s'apparecchiassero a fare una sortita contro il popolo
ribellato. E in ogni nuova strada che infilava la banda, pullulava da
ogni parte, come a un richiamo di guerra, una nuova legione di
quell'esercito stravagante e gentile.
Da principio, tanto ero assorto nella contemplazione dei caschi, che non
avevo quasi badato ai volti di quelle Frisone, che hanno fama di essere
le più belle donne dei Paesi Bassi, di discendere in diritta linea dalle
antiche sirene del Mare del Nord, e di aver fatto andare in visibilio il
gran cancelliere dell'Impero germanico; il quale non dev'essere di
natura molto facilmente eccitabile. Riavuto dalla prima meraviglia dei
caschi, mi diedi a considerare le persone; e debbo dire che ne vidi,
come in tutti gli altri paesi, pochissime belle, ma queste degne
veramente della fama. Son donne la maggior parte di alta statura, di
larghe spalle, bionde, bianche, diritte come palme e gravi come antiche
sacerdotesse, alcune di mani e piedi molto piccoli, e malgrado la loro
gravità, sorridenti con una dolcezza che par davvero un riflesso lontano
delle loro favolose progenitrici. L'elmetto argenteo, che stringendo e
nascondendo i loro capelli, le priva del più bell'ornamento della
bellezza, le rifà in parte di questo difetto, col mettere in mostra la
nobile forma della loro testa, e col dare al loro viso dei lumeggiamenti
bianchi e azzurrini d'una delicatezza inesprimibile. All'apparenza, non
hanno ombra di civetteria.
* * * * *
Mi rimaneva però una grande curiosità, ed era di veder da vicino una di
quelle belle teste elmate, e di sapere come questi elmi fossero fatti, e
in che modo si mettessero, e che norme avesse quell'uso. A questo fine
avevo una lettera per una famiglia di Leuwarde, la portai, fui ricevuto
cortesemente in una bella casetta posta sull'orlo d'un canale, e
scambiati appena i primi saluti, dimandai di vedere un casco, il che
fece ridere di cuore i miei ospiti, perchè quella è immancabilmente la
prima domanda che rivolgono tutti gli stranieri arrivati in Frisia ai
primi Frisoni che hanno la fortuna di conoscere. Per tutta risposta, la
padrona di casa, una signora colta e gentilissima, che parlava con molto
garbo il francese, tirò il cordoncino d'un campanello, e comparve subito
una ragazza col casco d'oro e la veste lilla, a cui essa accennò di
venire innanzi. Era la serva: una ragazza alta come un granatiere,
robusta come un atleta, bianca come un angelo, fiera come una
principessa. Capì di volo che cosa volevo e mi si piantò davanti colla
testa alta e cogli occhi bassi. La signora mi disse che si chiamava
Sofia, che aveva diciott'anni, ch'era promessa sposa e che il casco
gliel'aveva regalato il suo fidanzato.
Domandai di che metallo fosse il casco.
"D'oro!" rispose la signora quasi meravigliandosi della mia domanda.
"D'oro!" esclamai alla mia volta. "Scusi; abbia la compiacenza di
domandarle quanto costa."
La signora interrogò in lingua frisona Sofia, e poi rivolgendosi a me:
"Costa," mi disse, "senza le spille e senza la catenella, trecento
fiorini."
"Seicento lire!" esclamai. "Scusi ancora: vorrei sapere qual'è la
professione del suo fidanzato."
"Segatore di legna," rispose la signora.
"Segatore di legna!" ripetei, e pensai con raccapriccio allo spessore
del libro che avrei dovuto scrivere per poter vincere di splendidezza
quel segatore di legna.
"Non hanno però tutte il casco d'oro," soggiunse la signora. "I
fidanzati che han pochi quattrini ne regalano uno d'argento. Le donne e
le ragazze povere l'hanno di rame dorato, o d'argento sottilissimo, che
costa pochi fiorini. Però la grande ambizione è d'averlo d'oro, e a
questo fine si lavora, si risparmia, si sospira per anni interi. Se poi
dovessi parlarle delle gelosie, io che ho la cameriera col casco
d'argento e la serva col casco d'oro, ne potrei dire qualche cosa."
Le domandai se portavano il casco anche le signore. Mi rispose che non
lo portavano più, fuor che pochissime; ma che tutte, anche delle prime
famiglie, si ricordano d'averlo veduto alle loro nonne e alle loro
madri; ed eran caschi cesellati e tempestati di diamanti che costavano
un subisso. Anticamente però non si portavano caschi, ma solo una sorta
di diademi molto sottili, d'argento o di ferro, senza ornamenti, i
quali, a poco a poco, si andarono allargando fino a coprire tutta la
parte anteriore del capo. Ora, come tutte le mode che cominciano a
decadere quando sono giunte all'esagerazione, anche il casco decade.
Alle donne comincia a rincrescere di non poter mostrare i loro bei
capelli biondi. Oltre questo, il casco produce il triste effetto di
affrettare la calvizie, tanto che molte donne, in età ancor fresca,
hanno già delle piazzate che metton paura. I medici, dal canto loro,
dicono che quella continua pressione sul capo fa male al seno, e molti
affermano che ne arresta lo sviluppo; il che non è difficile a credersi,
poichè in fatti le donne frisone, robuste e carnose come sono, hanno per
lo più un rilievo leggerissimo là dove è bello il vedere una curva
audace. Tutte queste ragioni hanno indotto anni sono parecchie signore
della provincia di Groninga, dove è pure in uso quella copertura di
capo, a formare una specie di propaganda contro quell'uso, smettendolo
esse per le prime; dopo di che moltissime altre lo smisero. Passeranno
però molti anni prima che tutti i caschi siano spariti. Le serve, le
contadine, la maggior parte delle donne del mezzo ceto, lo portano
ancora. V'è la parte pro e la parte contro. Questa guadagna terreno
lentissimamente, e quella si difende con ostinazione.
Desideravo di vedere il casco di Sofia, ma era coperto dal solito velo
di trina, e non osavo farla pregare che se lo togliesse. Le presi il
velo per l'orlo colla punta delle dita e spiegando la parola col gesto,
le domandai se lo potevo alzare.
"Lo alzi pure," mi disse la signora, traducendo la risposta della
ragazza.
Lo alzai.
Dei del cielo, che bianchezza! Paragonai quel collo, ch'era tutto
scoperto, col velo che tenevo in mano, e rimasi incerto di quale dei
due fosse più bianco.
Il casco di Sofia era assai diverso dai caschi di argento che avevo
visti per le strade; anzi, per dire il vero, questo nome di casco non
conviene che a quei d'oro, poichè gli altri, sebbene presentino, a chi
li guarda di fronte, il medesimo aspetto di caschi, non ne hanno punto
la forma. Questi son fatti di due lastre quasi circolari, congiunte da
un cerchietto flessibile di metallo che passa dietro il cocuzzolo, e
ornate di due grandi bottoni cesellati che riescono sulle tempie. Queste
due lastre non coprono che la parte anteriore del capo. I caschi d'oro
invece sono un larghissimo cerchio che abbraccia tutta la testa, fuorchè
il cocuzzolo, e si allarga ancora alle estremità fino a non lasciar più
vedere che una piccolissima parte della fronte. La lamina è sottile e
flessibile come carta di Bristol in modo che si può adattare facilmente
a teste di diversa grandezza. Sotto questo casco (anco sotto quei
d'argento) portano una specie di cuffia nera, che serra i capelli come
un berretto da notte; e sopra il casco, un'altra sorta di cuffia di
trina, che scende fin sulle spalle. Su questa seconda cuffia molte donne
mettono ancora un cappellino indescrivibile, ornato di fiori e di frutti
finti, o un cappello _Pamela_. Prima di mezzo giorno, stando in casa o
uscendo per faccende, le donne del popolo portano il casco senz'altro;
la cuffia e il cappello se lo mettono per andare alla passeggiata.
Mentre osservavo il casco della ragazza, la signora mi parlava di certi
usi singolarissimi che si ritrovano ancora nella campagna della Frisia.
Quando un giovane si presenta in una casa per domandare la mano d'una
ragazza, questa gli fa subito capire se lo accetta o non lo accetta per
sposo. Se lo accetta, esce dalla stanza e vi ritorna poco dopo col
casco. Se non si va a mettere il casco vuol dire che il giovane non le
piace, e ch'essa non acconsente a diventare sua regina. Gli amanti
sogliono regalare alle loro fidanzate dei legacci da calze, sui quali
sono iscritte delle sentenze, delle parole d'amore e degli auguri di
felicità. Qualche volta l'innamorato presenta alla ragazza un fazzoletto
annodato con iscrizioni nel nodo e dentro monete o gingilli. Se la bella
lo scioglie, s'intende che accetta la mano del giovane; se non lo
scioglie, s'intende che la ricusa. L'onore più ambito dagli amanti è
quello di poter legare lo zoccolo, o patino che si voglia dire, al piede
della loro diva; la quale li ricompensa di questa cortesia con un bacio.
Del resto, giovani e ragazze godono della più ampia libertà. Vanno a
passeggiare insieme come marito e moglie, e rimangono sovente soli in
casa, per parecchie ore, di notte, dopo che il padre e la madre sono
andati a letto.--E non si hanno mai da pentire di esserci andati troppo
presto? domandai: "Il fallo," mi rispose la signora "è sempre riparato."
Durante tutti questi discorsi, la bella frisona era sempre rimasta seria
ed immobile come una statua. Prima che se n'andasse, le dissi, per
ringraziarla con un complimento, che era una delle più belle guerriere
della Frisia, e pregai la signora di tradurle quelle parole. Le ascoltò
col viso serio e diventò rossa fino ai capelli; poi, come se ci avesse
pensato meglio, sorrise leggerissimamente, e fatto un mezzo inchino uscì
dalla stanza, ritta, lenta e maestosa come una regina di tragedia.
Grazie alla cortesia dei miei ospiti, vidi un piccolo _Museo d'antichità
nazionali della Frisia_, formato da pochi anni, e già ricco di
moltissimi oggetti preziosi. Profano come sono a questi studi, non feci
che sogguardare le medaglie e le monete, e mi trattenni particolarmente
dinanzi agli antichi zoccoli dei patinatori, ai rozzi diademi da cui
derivarono i caschi, e a certe strane pipe trovate nella terra a una
grande profondità, le quali paiono anteriori all'uso del tabacco, e si
crede servissero a fumare la canapa. Ma il più curioso oggetto del Museo
è un cappello da donna, ch'era in uso sulla fine del secolo scorso, un
cappello così spropositato e così ridicolo, che se l'antiquario che me
lo mostrò, non m'avesse assicurato d'averne visto ancor uno, coi suoi
occhi, sul capo d'una vecchia signora di Leuwarde, non sono molti anni,
in occasione di una festa per l'arrivo del re d'Olanda, avrei creduto
impossibile che delle creature ragionevoli si fossero mai incappellate
in quella maniera. Non è un cappello, è una tenda, un baldacchino, una
tettoia, sotto la quale si potrebbe riparare dalla pioggia e dal sole
un'intera famiglia. Si compone di un cerchio di legno, grande due volte
uno degli ordinari tavolini da caffè, e d'un cappello di paglia munito
d'una tesa della stessa grandezza, mancante da una parte, in modo che
presenta la forma d'un semicircolo. Il cerchio è ornato di una lunga
frangia, ed ha una piccola apertura, nella quale entra la testa, e vi si
assicura non so come. Quando il cerchio è assicurato, il cappello, che è
una cosa a parte, vi si posa su e vi si stende come una tela
sull'armatura d'una baracca, e l'edifizio è compiuto. Quest'edifizio,
quando le signore entravano in chiesa, lo scomponevano, per non
ingombrare troppo spazio, e lo rifabbricavano al momento d'uscire, e il
cappello pareva grazioso, e l'operazione comodissima. Tanto è vero il
proverbio, che tutti i gusti son gusti.
* * * * *
Un cortese frisone, al quale ero raccomandato da un amico dell'Aja, mi
condusse in campagna per vedere le case dei contadini. Ci dirigemmo da
Leuwarde verso la città di Freek, a traverso uno dei tratti più fertili
della Frisia, per una bella strada ammattonata e pulita come un
marciapiede di Parigi; e arrivammo, dopo un breve cammino, a una casa
dinanzi alla quale il mio compagno s'arrestò e disse in tuono grave:
"Ecco il _friesche hiem_ del contadino frisone, la vecchia fattoria
degli antenati." Era una casa di mattoni, con le persiane verdi e le
tendine bianche, coronata d'alberi e posta in mezzo a un giardinetto
circondato da un fosso pieno d'acqua. Accanto a questa casetta, c'era
un fienile formato di gigantesche travi di pino di Norvegia e coperto da
un enorme tetto di canne; e in questo fienile la stalla, difesa da una
gran parete di legno. Entrammo nella stalla. Le vacche, come nella
Nord-Olanda, non hanno strame, e sono unite a due a due, colla coda
legata alle travi del soffitto, perchè non s'insudicino. Dietro di esse
corre un rigagnolo profondo che porta via le immondizie. Il pavimento,
le pareti, gli animali stessi sono pulitissimi, e non mandano punto
cattivo odore. Mentre io osservavo in ogni parte quel salotto
animalesco, il mio compagno, che era un erudito agronomo, mi dava dei
preziosi ragguagli intorno alla campagna frisona. In un podere di trenta
o trentacinque ettari si suol tenere un cavallo e settanta bestie
bovine. Per ogni ettare c'è una vacca da latte, e in quasi tutti i
poderi otto o dieci grandi pecore, col latte delle quali si fanno dei
piccoli formaggi cercati come una ghiottoneria sopraffina in tutte le
città della Frisia. Tuttavia il prodotto principale, in Frisia, non è il
formaggio, come nella Nord-Olanda; ma il burro. La stanza dove si fa il
burro è il penetrale sacro della casa dei contadini. C'entrammo, e non
fu piccola concessione quella che ci venne fatta, perchè i profani sono
pregati per il solito di fermarsi sulla soglia della porta. Era una
stanza pulita come un tempietto e fresca come una grotta, nella quale si
vedevano molte file di vasi di rame pieni fino all'orlo di latte munto
allora allora, e già coperto di un denso strato di fiore. La zangola
era messa in movimento da un cavallo, come s'usa in quasi tutta la
Frisia. A una parete era appeso un termometro, le finestre erano ornate
di tendine, e sul davanzale si vedeva un bel vaso di giacinti. Questo
burro di Frisia è così squisito, mi diceva il compagno, che sul mercato
di Londra, dove se ne porta una quantità immensa, si vende a un prezzo
esorbitante. Anno per anno se ne raccolgono nei varii mercati della
provincia da sette a otto milioni di chilogrammi. Il burro è posto in
certi bariletti di quercia di Russia, del peso di venti o quaranta
chilogrammi ciascuno, che vengono portati al Peso Municipale delle città
della Frisia. Qui un perito li esamina, li assaggia, li pesa e poi ci
mette il suggello delle armi della città; dopo la quale operazione sono
trasportati ad Harlingen, e caricati sopra uno _steamer_, che li reca
sulle rive del Tamigi. Questa è la nostra ricchezza, concluse il cortese
frisone, colla quale ci consoliamo della mancanza delle palme e degli
aranci che avete voi, prediletti dalla natura. E terminò, a proposito di
aranci e di burro, raccontandomi di quel generale spagnuolo, che un
giorno mostrò un arancio a un contadino frisone e gli disse con
orgoglio: "Questo è un frutto che il nostro paese produce due volte
all'anno!" e il contadino, ponendogli sotto gli occhi un pane di burro,
gli rispose: "E questo è un frutto che il nostro paese produce due volte
al giorno!" E il generale rimase senza parola.
Il contadino che ci accompagnava, ci permise di dare una capatina in una
stanza dove sua moglie e la sua figliuola, l'una col casco d'oro e
l'altra col casco d'argento, lavoravano sedute di qua e di là d'un
tavolino. Pareva una stanza apparecchiata appositamente per gli
stranieri curiosi. V'erano dei grandi armadi di forma antica, degli
specchi colle cornici dorate, delle porcellane chinesi, dei vasi da
fiori scolpiti, delle argenterie esposte sugli stipi. "E il meno è
quello che si vede," mi susurrò nell'orecchio il mio compagno, vedendomi
dar segno di meraviglia. "Quegli armadi sono pieni di biancheria, di
gioielli, di vesti di seta; e vi son dei contadini che hanno i piatti,
le tazze, le caffettiere d'argento; e ve n'è persino di quelli che si
fan fare le posate e le scatole da tabacco d'oro massiccio. Guadagnano
molto, vivono economicamente, e spendono il frutto dei loro risparmi in
oggetti di lusso." Questo spiega perchè nei più piccoli villaggi ci sian
delle botteghe di gioiellieri quali non si trovano in molte grandi città
europee. Ci son contadine che comprano delle collane di corallo del
valore di mille lire e che hanno nelle loro cassette per più di
diecimila fiorini tra anelli, buccole, spille, gingilli. E vivono
economicamente, è vero, durante la maggior parte dell'anno; ma i giorni
di grandi feste, nelle occasioni di matrimonio, al tempo delle
_Kermesses_, quando vanno in città per divertirsi, s'installano nei
primi alberghi, pigliano i più bei palchi al teatro dell'opera e
stappano tra un atto e l'altro delle brave bottiglie di Champagne. Un
contadino che possegga un capitale di centomila lire non passa punto per
ricco, poichè sono moltissimi quei che ne possedono duecento mila,
trecento mila, un mezzo milione, ed anche molto di più.
Il carattere di questi contadini (e quello che si dice dei contadini si
può dire di tutti i Frisoni) è per testimonianza universale ed antica,
maschio, aperto, generoso.--Che peccato che non siate un
Frisone!--dicono a una persona che stimano. Sono alteri della nobiltà
della loro razza, che credono la prima della grande famiglia germanica,
e si vantano d'essere il solo popolo di quella famiglia, che abbia
conservato il suo nome dopo i tempi di Tacito. Molti credono ancora che
il loro paese sia stato chiamato Frisia da Frisio, figliuolo di Alano,
fratello di Mesa, nipote di Sem, e s'inorgogliscono di quest'origine
antica. L'amore della libertà è il loro sentimento dominante, «I
Frisoni,--dice il loro vecchio codice,--saranno liberi fin che i venti
soffieranno nelle nuvole e fin che durerà il mondo.» È la Frisia,
infatti, che manda al Parlamento i deputati più arditi della parte
liberale. La popolazione è quasi tutta protestante, e gelosissima della
sua fede, e non meno che della fede, della lingua, illustrata da un
grande poeta popolare, e coltivata tuttora con grande amore. Il
contadino in particolare, dice il Laveleye, cita con alterezza gli
uomini illustri che nacquero sotto l'_hiem_ frisone, i due poeti
Gisberto Japhis e Salverda, il filologo Tiberio Hemsterhuis e suo
figlio Frans, l'amabile e profondo filosofo che la signora di Staël
chiamava il Platone olandese.
Strada facendo verso Leuwarde, incontrammo parecchi carri di contadini
tirati da quei famosi cavalli frisoni, che si dicono i primi trottatori
del mondo. Hanno il pelo nero, il collo lungo, la testa piccina e piena
di vita. I più belli son quelli allevati nell'isola di Ameland.
Resistono meravigliosamente alla fatica; servono insieme al tiro e alle
corse, e cosa singolare in un paese dove tutto si muove
placidissimamente, i loro flemmatici padroni li fanno andar sempre di