Olanda - 20
l'avevano avuto compagno diciotto anni prima. Per il mondo egli era il
vincitore di Pultava, il fondatore di Pietroburgo, l'incivilitore della
Russia; ma per loro era _Peterbas_, mastro Pietro, come lo chiamavano
famigliarmente quando lavoravano insieme; era un figliuolo di Zaandam
divenuto imperatore; era un vecchio amico che tornava in mezzo agli
amici. Dieci giorni dopo il parto arrivò la czarina e visitò anch'essa
la capanna. Imperatore e Imperatrice, senza seguito, senza pompa,
andarono a desinare in casa di Mynheer Calf, il costruttore di
bastimenti che aveva ricevuto nel suo arsenale il giovane operaio
coronato; il popolo li accompagnò gridando:--Viva mastro Pietro!--e
mastro Pietro, lo sterminatore dei boiardi e degli strelizzi, il
condannatore di suo figlio, il principe formidabile, pianse.
* * * * *
Per andare ad Alkmaar m'imbarcai sopra un piroscafo che doveva rimontare
lo Zaan fino al canale del Nord, e così vidi l'Oost Zaandam e la
West-Zaandam,--ossia tutta la parte della città che si stende per quasi
tre miglia lungo le due rive del fiume.
È uno spettacolo che rivende Broek cento volte.
Ognuno si ricorda dei primi paesaggi che si dipingono da ragazzi, quando
il padre o lo zio ci regala una scatola di colori sospirata da molto
tempo. Per il solito si vuol dipingere un luogo delizioso, come quei che
si sognano a scuola, sonnecchiando alle ultime lezioni di latino, sulla
fine del mese di giugno. Per render questo luogo veramente delizioso, ci
sforziamo di fare entrare in un piccolo spazio una villetta, un
giardino, un lago, un bosco, un prato, un orto, un fiume, un ponte, una
grotta, una cascata d'acqua, tutto ben vicino, ben stretto e ben
pigiato; e perchè non sfugga assolutamente nulla all'occhio di chi
guarda, si dipinge ogni cosa coi colori più vivi della scatola e si
fanno dei bei contorni vistosi; e quando s'è finito, colti dal timore di
non aver approfittato di tutto lo spazio, si ficca ancora una casetta
qui, un albero là, una capanna in fondo; finchè non essendo più
possibile di farci entrare un filo d'erba, nè una pietra, nè un fiore,
si smette il pennello soddisfatti dell'opera propria, e si corre a far
vedere il quadro alla fantesca, la quale giunge le mani in atto di
meraviglia, ed esclama che è un vero paradiso terrestre. Ebbene,
Zaandam, vista dal fiume, è tale quale uno di codesti paesaggi.
Sono tutte casette verdi, coi tetti coperti di coppi rossissimi, sui
quali s'innalzano dei chioschi pure verdi, sormontati da banderuole
variopinte o da palle di legno di diverso colore infilate in un'asta di
ferro; torricciuole coronate di balaustrate e di padiglioni; edifizii
della forma di tempietti e di villini; baracche e bicocche di una
struttura non mai vista, capricciosamente sovrapposte, e strette le une
contro le altre, che par che si disputino lo spazio; un'architettura di
ripiego, tutta vanità e tutta apparenza. In mezzo a questi edifizii,
stradine per cui passa appena una persona, piazzette anguste come
stanze, cortili poco più grandi di una tavola, canali dove non può
scorrere che un'anitra; e sul davanti, tra le case e la riva del fiume,
dei giardinetti da ragazzi, pieni di capanni, di casette per le galline,
di pergolati, di cancellate, di mulini a vento da trastullo e di salici
piangenti; e dinanzi a questi giardini, sulla riva del fiume, dei
piccoli porti pieni di piccole barche verdi legate a piccole palafitte
ancora più verdi. In mezzo a questo guazzabuglio di giardini e di
baracche, s'alzano da tutte le parti mulini a vento di grande altezza,
coloriti pure di verde e listati di bianco, o bianchi e listati di
verde, con le braccia dipinte come aste di bandiere e la rotella
dell'asse dorata e ornata di girandole multicolori; campanili verdi e
inverniciati dal piede fino alla punta; chiesuole che paion teatri da
fiera, scaccheggiate e orlate di tutte le tinte dell'arcobaleno. Ma
questo è anche più strano: che gli edifizi, già piccini all'entrata del
fiume, vanno scemando di grandezza via via che si procede, come se la
popolazione fosse distribuita per ordine di statura, tanto che verso la
fine non son più che casotti da sentinelle, stie, topaie, scatole,
nascondigli, che paiono sporgenze d'una città sotterrata;
un'architettura minuscola che è lì a dieci passi, e fa l'effetto di
essere molto lontana; un tritume di città, un vero alveare umano, dove i
bambini paiono colossi, e i gatti saltano dalla strada sui tetti; e là
ancora ci son giardini occupati interamente da un sedile, chioschi
capaci d'una persona sola, padiglioni grandi come ombrelli, e salici
piangenti, e piccoli scali, e piccolissimi mulini a vento, e banderuole
e fiori e colori.
Ma son proprio uomini che han fatto tutto codesto?--uno si domanda
dinanzi a questo spettacolo.--E questa è una città davvero? E ci sarà
ancora l'anno venturo? O non è stata fabbricata per una festa, e la
settimana prossima sarà tutta scomposta e accatastata dentro il
magazzino di un decoratore d'Amsterdam? Ah! burloni d'Olandesi!
ALKMAAR.
Il bastimento, dopo oltrepassata Zaandam, corse ancora per un lungo
tratto in mezzo a due file non interrotte di mulini a vento, toccò
parecchi villaggi, svoltò nel canale di Marker-Vaart, attraversò il lago
di Alkmaar, ed entrò finalmente nel gran canale del Nord. Non riuscirei
mai ad esprimere, per quanto mi ci sforzassi, il sentimento di
solitudine morale, di lontananza, e direi quasi di smarrimento che
provavo io solo in mezzo a una folla di contadine indiademate come
regine e immobili come idoli, su quel piroscafo che scorreva colla
placidità di una gondola a traverso una pianura sconfinata ed uniforme,
sotto quel cielo malinconico. Certi momenti domandavo a me stesso in che
maniera mi trovassi là, dove sarei andato a finire, quando sarei
tornato; sentivo la nostalgia di Amsterdam e dell'Aja, come se il paese
dove passavo fosse tanto lontano dall'Olanda meridionale, quanto
l'Olanda meridionale è lontana dall'Italia; facevo il proponimento di
non viaggiar mai più solo, e mi pareva di non aver mai più da tornare a
casa.
* * * * *
In quel punto mi trovavo proprio nel cuore della Nord-Olanda, di quella
piccola penisola bagnata dal Mare del Nord e dal Golfo di Zuiderzee,
ch'è quasi tutta più bassa delle acque che la circondano, ch'è difesa da
una parte dalle dune e dall'altra da immense dighe, e frastagliata da
un'infinità di canali, di laghi e di paludi, che le danno l'aspetto
d'una terra per metà sommersa, e destinata a sparire sotto le onde. Per
tutto lo spazio che si poteva abbracciare collo sguardo, non si vedeva
che qualche gruppo d'alberi, qualche vela di bastimento e qualche
mulino.
* * * * *
Il tratto del canale del Nord che il piroscafo percorreva in quel punto,
fiancheggia il Beemster, la più grande distesa di terra che siasi
prosciugata nel secolo decimosettimo, uno dei quarantatrè laghi che
coprivano anticamente la provincia di Alkmaar, e che furono trasformati
in bellissime praterie. Questo Beemster, che abbraccia una superficie di
settemila ettari, e viene amministrato, come tutti gli altri _polders_,
da un Comitato eletto dai proprietari, il quale fa le spese col provento
d'un'imposta ripartita per ettari; è diviso in un gran numero di
quadrati cinti da strade ammattonate e da canali, che lo fanno parere
un'immensa scacchiera. Il fondo essendo quasi tre metri e mezzo sotto
il livello d'Amsterdam, le acque piovane debbono essere continuamente
estratte per mezzo di mulini a vento, che le riversano nei canali, i
quali alla loro volta le conducono al mare. Ci sono, in tutto il
_polder_, quasi trecento fattorie, che posseggono circa seimila bestie
bovine e più di quattrocento cavalli. Non vi si vedono altri alberi che
pioppi, olmi e salici, aggruppati intorno alle case, per difenderle dal
vento. Tutto è prateria, e come il Beemster, tali sono gli altri
_polders_. I soli oggetti che richiamino l'attenzione su quelle verdi
pianure sono le antenne che sorreggono i nidi delle cicogne, e qua e là
qualche enorme osso di balena, antico trofeo di pescatori olandesi,
piantato ritto nella terra, perchè ci si strofinino le vacche. Tutti i
trasporti di derrate da fattoria a fattoria si fanno per mezzo di
barche; nelle case si entra per un ponte che si solleva la notte, come
il ponte d'una fortezza; gli armenti pascolano senza guardiani; le
anitre e i cigni scorrono liberamente per i lunghi canali; ogni cosa
spira sicurezza, abbondanza e pace. Son queste infatti le provincie in
cui fiorisce in tutta la sua bellezza quella famosa razza bovina, alla
quale l'Olanda deve in gran parte la sua ricchezza; quelle vacche enormi
e pacifiche, che danno fino a trenta litri di latte al giorno; i
discendenti di quei gloriosi animali, che nel medio evo furon condotti a
nobilitare le razze in Francia, nel Belgio, nella Germania, nella
Svezia, nella Russia; un armento dei quali, se è vera la tradizione,
attraversò il continente fino ad Odessa, rifacendo all'indietro, passo
a passo, la strada che avean percorsa le grandi invasioni germaniche.
Col latte di questi animali si fa quello squisito formaggio chiamato
d'Edam, città della Nord-Olanda, _alla cui fama è angusto il mondo_. Nei
giorni di mercato tutte le città di questa provincia riboccano di quelle
belle forme rossiccie, ammontate come palle di cannone per le strade e
per le piazze, e mostrate allo straniero con un sentimento d'orgoglio
nazionale. Alkmaar ne vende in un anno più di quattro milioni di
chilogrammi, Horn tre milioni, Purmerende due, Medenblick e Enkhuisen da
settecento a ottocento mila, tutta la Nord-Olanda per più di quindici
milioni di lire. Tutte queste cose faranno sorridere qualche poeta e
qualche signorina; e capisco anch'io che suonerebbero male in un
sonetto; ma non sono per questo men belle, men buone e meno invidiabili
cose.
* * * * *
Mentre il bastimento s'avvicinava alla città, io andavo solleticando,
come sempre, la mia curiosità, col richiamarmi alla memoria quanto
sapevo intorno ad Alkmaar; ben lontano, poveretto, dal prevedere in che
brutto impiccio mi sarei trovato fra le sue mura. Me la raffiguravo
distrutta da Giovanni di Avesnes, conte di Olanda, in castigo delle sue
ribellioni. Seguitavo il coraggioso falegname, che attraversa il campo
degli Spagnuoli, va a portare al governatore della provincia l'ordine
del principe d'Orange di rompere le dighe, e perde poi la risposta del
governatore, la quale trovata e letta da Federico, figliuolo del duca
d'Alba, lo induce a levar l'assedio per non morire annegato. Vedevo una
frotta di scolari divertirsi a guardar la campagna coperta di neve a
traverso le scheggie di ghiaccio applicate al tubo dei calamai, e il
buon Mezio intromettersi fra loro, e cavare dal loro gioco la prima idea
del canocchiale. Incontravo allo svolto d'una strada il pittore
Schoruel, col capo ancora segnato dalle bastonate e dai pugni toccati in
rissa nelle taverne d'Utrecht, dove andava a pigliar le cotte con quella
buona lana di Giovanni di Mauberge, suo maestro di pittura e di
scapestrataggine. E infine m'immaginavo le belle alkmaaresi, che colla
loro aria modesta e innocente, ebbero la virtù di sollevare Napoleone il
Grande dalla noia di Amsterdam e dal dispetto di Broek. Intanto il
piroscafo arrivava ad Alkmaar dove un facchino che sapeva tre sole
parole francesi:--_Monsieur_, _hôtel_ e _pourboir_, mi toglieva di mano
la valigia e mi rimorchiava a un albergo.
* * * * *
A chi abbia visto le altre città dell'Olanda, Alkmaar non offre gran che
di straordinario. È una città di forma regolare, con grandi canali e
grandi strade, e le solite case rosse colla solita facciata triangolare.
Alcune grandi piazze sono interamente lastricate di piccoli mattoni
rossicci e gialli, disposti in disegni simmetrici, che da lontano paiono
un tappeto; e le strade hanno due marciapiedi, uno di mattoni, per chi
passa, e uno un po' più alto, di pietra, congiunto al muro delle case,
sul quale non bisogna mettere il piede, per non essere guardati con
occhi di falco dalla gente affacciata alle finestre. Molte case sono
imbiancate, non saprei dire perchè, forse per vezzo, soltanto fino a
metà; parecchie sono tinte di nero che paiono parate a lutto; altre sono
inverniciate come carrozze dal tetto al marciapiede. Le finestre essendo
molto basse, si vedono a traverso i tulipani e i giacinti bellissimi che
adornano i davanzali, i salotti smaglianti di specchi e di porcellane, e
le famiglie raccolte intorno a tavolini coperti di bicchieri di birra,
di portaliquori, di biscotti, di scatole di sigari. Per lunghi tratti di
strada non s'incontra nessuno; e cosa strana in una città di più di
diecimila abitanti, la poca gente, uomini, donne e ragazzi, che passano
o che stan sugli usci, salutano cortesemente gli stranieri. Mi passò
accanto un drappello di collegiali, condotti da un istitutore; questi
fece un cenno, e tutti si levarono il berretto; e sì che io ero
tutt'altro che vestito in modo da passare per un pezzo grosso. La città
non ha altri monumenti notevoli che la casa municipale, edifizio del
secolo decimosettimo, mezzo di stile gotico e mezzo di nessuno stile,
che arieggia, in piccino, quello di Bruxelles; e la gran chiesa di San
Lorenzo, della stessa epoca, nella quale è la tomba del conte Florenzio
V di Olanda, e spenzola sopra il coro, a guisa di lampadario, un
fac-simile del vascello-ammiraglio del Ruyter. A oriente della città c'è
un folto bosco che serve di passeggio pubblico, dove si fa in occasione
di grandi feste la così detta _harddraverij_, o corsa al gran trotto,
col premio genuinamente olandese d'una caffettiera d'argento. Ma non
ostante il bel bosco, la chiesa, la casa municipale e i suoi undicimila
abitanti, Alkmaar non ha che l'aspetto d'un grande villaggio, e per le
sue strade regna un silenzio così profondo, che la musica dei campanili,
più selvaggia ancora che nelle altre città, vi si sente da tutte le
parti rumorosa e distinta come nella quiete della notte.
Andando dalle strade solitarie verso il centro della città, cominciai a
vedere un po' più di gente, fra cui molte donne, che essendo giorno di
festa, erano tutte in oro e in fronzoli, particolarmente le contadine.
Per dir la verità, io non so che cosa avesse negli occhi Napoleone il
giorno che arrivò ad Alkmaar. Ci sono certo dei bei visetti di
monachelle che han l'aria di dire:--Non so nulla di nulla;--e
soprattutto delle guancine del più gentile color di rosa che abbia mai
diffuso il pudore sul volto d'una vergine; ma l'effetto di queste tenui
grazie è spietatamente distrutto dalla scellerata acconciatura del capo
e dall'ancor più scellerata foggia del vestire. Oltre i gruppi di
riccioli, gli orecchini a paraocchi di cavallo, la lastrina che
attraversa la fronte e la cuffia bianca che nasconde le orecchie e la
collottola, portano sulla testa, o per dir meglio sul cocuzzolo, un gran
cappello di paglia, di forma quasi cilindrica, con una larga tesa
rivestita di seta verde o gialla o d'altro colore, monca di dietro, e
arrovesciata in alto sul davanti, in modo che tra la tesa stessa e la
fronte ci resta un larghissimo vano simigliante a una di quelle
boccaccie di mostro che si mettevano altre volte sul capo i soldati
chinesi per far paura ai nemici. Oltre a questo, hanno i fianchi
spropositatamente rialzati, non so se con gonnelle o con altro, e il
busto che grossissimo alla cintura, si va via via stringendo fino alle
ascelle, al rovescio delle nostre donne, che si fanno il petto largo e
la vita piccina. E come se questo non bastasse, si premono (lo suppongo,
perchè non posso credere che la natura sia stata così matrignamente
avara con tutte) si premono il seno in maniera, da non lasciar apparire
nemmeno una leggerissima curva, come se per esse fosse una mostra
invereconda o un difetto ridicolo quello che per le donne degli altri
paesi è il più ambito complemento della bellezza. È un gran che se così
incappellate, infagottate e schiacciate, paiono ancora donne anche le
più gentili d'aspetto; onde si può immaginare che cosa paiano quelle
poco favorite dalla natura, che sono anche ad Alkmaar il numero
maggiore.
Passando così a rassegna il bel sesso, arrivai in una vasta piazza piena
di baracche e di gente, da cui m'accorsi ch'ero capitato ad Alkmaar in
un giorno di _kermesse_.
Eccoci al punto più caratteristico e più strano della vita olandese.
La _kermesse_ è il carnevale dell'Olanda: con questa differenza dal
carnevale dei nostri paesi, che essa dura soltanto otto giorni, e che
ogni città ed ogni villaggio la festeggia in un tempo diverso. È
difficile veramente il dire in che cosa consista questa festa. Nel tempo
della _kermesse_ sorge dentro ogni città olandese un'altra città,
composta di caffè, di teatri, di botteghe, di chioschi, di padiglioni,
che terminata la festa, si scompone come un accampamento, si carica sui
barconi e si trasporta in un altro luogo. Gli abitanti di questa città
vagabonda sono commercianti, suonatori, istrioni, ciarlatani, giganti,
donne colossali, ragazzi mostruosi, animali deformi, figure di cera,
cavalli di legno, automi semoventi, scimmie, cani ammaestrati, bestie
feroci. In mezzo alle innumerevoli baracche in cui alberga questa strana
popolazione, vi sono centinaia di casette dipinte, inverniciate e
dorate, tutte composte d'una sala e di quattro stanzine della forma di
un'alcova, nelle quali parecchie ragazze vestite alla frisona, col casco
d'oro e la cuffia trinata, servono agli avventori dei confetti
particolari chiamati _broedertijes_, che sono il mangiare emblematico
della festa, come il panettone per il Natale e la focaccia per
l'Epifania. Oltre le baracche dei saltimbanchi e i caffè, ci sono bazar,
fiere, circhi equestri, grandi teatri in cui si rappresenta l'opera in
musica, e ogni sorta di spettacoli straordinarii per il popolo olandese.
Tale è la città provvisoria in cui si celebra la _kermesse_; ma la festa
propriamente detta è ben altra cosa. In quei caffè, in quelle baracche,
per le strade, nelle piazze, giorno e notte, per tutto il tempo della
_kermesse_, sbevucchiano, s'ubbriacano, saltano, ballano, cantano,
s'urtano, s'abbracciano, si mescolano serve e operai, contadini e
contadine, uomini e donne di tutte le classi del popolo minuto, con un
furore e una licenza appetto a cui sono innocenti ragazzate i disordini
delle nostre notti di carnovale. In quei giorni il popolo olandese si
spoglia del suo carattere in modo da non esser più riconoscibile.
Abitualmente grave, economo, casalingo, modesto, nel tempo della
_kermesse_ diventa chiassoso, si ride della decenza, passa le notti fuor
di casa e spende in un giorno il frutto dei risparmi d'un mese. Le serve
alle quali è concessa in quei giorni una straordinaria libertà, e se non
glie la concedono se la pigliano, sono le attrici principali della
festa. Ognuna si fa accompagnare dal suo fidanzato o dall'amante, o da
un giovane qualunque noleggiato come un pertichino, a un prezzo diverso
se porta il cappello cilindrico o il berretto, se è bello o brutto, se è
un tanghero o un lesto fante. I contadini e le contadine vengono a far
la _kermesse_ alla città o al villaggio in un giorno determinato, che si
chiama il--giorno dei contadini--e fanno d'ogni erba fascio come il
popolino. Il colmo del baccano è la notte del sabato. Allora non è più
una festa, è una ridda, un'orgia, un saturnale, che non ha riscontro in
nessun altro paese d'Europa. Io ricusai per lungo tempo di prestar fede
a certi olandesi, i quali mi dipingevano la _kermesse_ con orribili
colori, e credevo, come altri più indulgenti mi dicevano, che fossero
rigoristi astiosi ed intolleranti. Ma quando udii affermare le stesse
cose da gente spregiudicata, da testimoni oculari, da olandesi e da
stranieri che mi dicevano:--Ho veduto io da questo palco e da questa
finestra;--allora credetti anch'io ai palchi dei teatri convertiti in
alcova, al pudore postergato nelle strade, alle coppie amorose
addormentate sul lastrico, alle guardie di polizia espressamente
incaricate d'impedire il supremo scandalo che si possa dare all'aria
aperta, ai medici che dicono:--Quest'anno non avremo molte balie, perchè
le _kermesses_ dell'anno scorso furono poco animate;--agli Olandesi
stessi che chiamano quelle feste una vergogna nazionale. Convien dire
però che da un tempo in qua le _kermesses_ sono in decadenza. L'opinione
pubblica, su questo punto, è divisa. V'hanno coloro che le favoreggiano,
perchè come attori o come spettatori, ci si divertono, e questi negano o
scusano i disordini, e dicono che la proibizione delle _kermesses_
farebbe scoppiare una rivoluzione. V'hanno altri che le combattono e le
vogliono vedere soppresse, e sollecitano a questo scopo l'istituzione di
spettacoli e di divertimenti onesti e gentili; la mancanza dei quali, a
loro avviso, è la principal cagione degli eccessi a cui s'abbandona il
popolo in quella unica occasione delle _kermesses_. L'avviso di questi
ultimi va di giorno in giorno prevalendo. In parecchie città furon già
presi provvedimenti per frenare i baccanali; in alcune fu determinata
un'ora della notte, oltre la quale le botteghe debbano esser chiuse; in
altre si allontanarono le baracche dal centro della città; il Municipio
d'Amsterdam ha stabilito un certo numero d'anni, trascorsi i quali, la
Sibari provvisoria in cui si fanno le feste, non potrà più essere
rifabbricata. Si può dunque affermare che fra un non lunghissimo tempo,
queste famose _kermesses_ saranno ridotte a un allegro e temperato
carnevale, con grandissimo vantaggio della moralità pubblica e della
dignità nazionale.
Non in tutte le città olandesi, però, le _kermesses_ sono clamorose e
scandalose allo stesso grado. All'Aja, per esempio, lo sono molto meno
che ad Amsterdam e a Rotterdam; e m'immagino (perchè non vi stetti la
notte) che ad Alkmaar lo siano ancora meno che all'Aja; ciò che per
altro non vuol dire che debbano essere un fior di decenza.
La piazza dov'ero riuscito era piena di baracche variopinte, sulla porta
delle quali si sbracciavano a sonare e si sgolavano a chiamar gente,
saltimbanchi vestiti di maglia carnicina e danzatrici di corda in
sottanelle. Davanti ad ogni baracca v'era una folla di curiosi, da cui
di tratto in tratto si staccavano due o tre contadini per entrare a
veder lo spettacolo. Io non ricordo d'aver mai visto gente più semplice,
più mansueta e di più facile contentatura di quella. Tra una sonata e
l'altra, un ragazzo di dieci anni, vestito da pagliaccio, ritto sur una
specie di palcoscenico accanto alla porta, bastava egli solo a
trattenere davanti alla baracca, divertire e far ridere dai precordi una
moltitudine di duecento persone. E con che? Non raccontando delle
storielle, non facendo dei _calembours_ come i saltimbanchi di Parigi,
non spiccando dei salti, non contraendo il viso; nulla di tutto questo;
ma semplicemente facendo di tratto in tratto, colla maggior flemma del
mondo, una piccola freccia di carta, che poi lanciava sulla folla
accompagnando l'atto con un leggero sorriso. Questo bastava a far andare
in visibilio quella buonissima gente. Girando in mezzo a quelle
baracche, incontrai qualche contadina un po' brilla, sentii cantare in
falsetto qualche ragazza malferma sulle gambe, colsi in flagrante
qualche coppia amorosa che si passava le mani sotto il mento, vidi
qualche gruppo di donne che preludevano alla ridda notturna, dandosi
delle spallate e delle fiancate da buttarsi in terra; ma nulla di
criminale. Era veramente una baraonda, come dice Alfonso Esquiroz, di
gente che non ne sa fare. Ma siccome io non ritenevo giusto il giudizio
dell'Esquiroz se non per il giorno, e prevedevo che sull'imbrunire
sarebbe incominciato uno spettacolo molto più drammatico, così, per non
trovarmi solo, di notte, in mezzo alla baldoria d'una città sconosciuta,
che ci sarei morto dall'uggia, decisi di partire immediatamente per
Helder, e me ne tornai per la strada più corta all'albergo.
Quando v'ero entrato, non avevo parlato con nessuno, perchè il facchino
che m'accompagnava, aveva chiesto per me la camera e portato su la
valigia. Perciò io credevo che o il padrone dell'albergo o uno almeno
dei camerieri capisse il francese. Quando rientrai, camerieri e padrone
erano forse andati a trincare in qualche baracca; e nell'albergo non
rimaneva che una vecchia serva, la quale mi condusse in una sala a
terreno, e facendomi capire che non mi capiva, se n'andò pei fatti suoi.
V'era in quella sala una tavolata di grossi alkmaaresi, che avevano
finito in quel punto una mangiataccia solenne, e facevano il chilo in
mezzo a una nuvola di fumo, chiacchierando e ghignazzando con una
vivacità straordinaria. Vedendomi così solo ed immobile in un canto, di
tratto in tratto mi rivolgevano uno sguardo compassionevole, e qualcuno
sussurrava nell'orecchio al vicino qualche parola, che m'immagino
esprimesse lo stesso sentimento che lo sguardo. Non c'è nulla che
sconforti di più uno straniero già sconfortato che il vedersi fatto
oggetto di commiserazione da una comitiva d'indigeni allegri. Lascio
dunque immaginare che faccia derelitta io dovessi aver in quel punto.
Dopo qualche minuto uno dei grossi alkmaaresi si alzò, prese il cappello
e si avviò per uscire. Quando mi fu dinanzi, si fermò, e mi disse con un
sorriso pietosamente cortese, spiccando le sillabe:--_Alkmaar.... pas de
plaisir; Paris.... toujours plaisir._--M'aveva preso per francese. Ciò
detto, si mise il cappello, e credendomi abbastanza consolato, mi voltò
le spalle e uscì a gravi passi dalla sala. Era il solo della brigata che
sapesse tre parole di francese. Sentii un vivo moto di gratitudine per
lui, e poi ricaddi nel mio misero stato. Passò un'altra quindicina di
minuti, e arrivò finalmente un cameriere. Respirai, gli corsi incontro,
gli dissi che volevo partire. Oh delusione! non capiva una saetta. Lo
presi per un braccio, lo condussi nella mia camera, gli mostrai la
valigia e gli feci cenno che me ne volevo andare. Andare! È presto
detto; ma come? per battello? per strada ferrata? per _trekschuit_? Mi
rispose che non mi comprendeva. M'ingegnai di fargli capire che volevo
una vettura. Capì, e mi rispose con un gesto che non c'era vettura.
Ebbene, pensai, cercherò io la stazione della strada ferrata; e
gesticolando, gli domandai se c'era un facchino. Mi rispose che non
c'era facchino. Gli domandai, coll'orologio in mano, a che ora sarebbe
tornato il padrone. Mi rispose che il padrone non sarebbe più ritornato.
Gli accennai che mi portasse la valigia lui. Mi rispose che non poteva.
Gli domandai con un gesto disperato che cosa dovevo fare. Non mi
rispose, e stette a guardarmi in silenzio. In simili occasioni io perdo
la pazienza, il coraggio e la testa con una facilità spaventosa.
Ricominciai a parlare facendo un guazzabuglio inaudito di parole
tedesche, francesi e italiane, aprendo e chiudendo la Guida, tracciando
e cancellando sul mio quaderno linee e ghirigori che volevano
rappresentare bastimenti e macchine a vapore, andando su e giù per la
stanza come uno scemo, finchè il povero giovane, non so se impaurito o
seccato, infilò la porta e mi lasciò nelle péste. Allora afferrai la
mia valigia e scesi le scale. Gli alkmaaresi della tavola, avvertiti dal
cameriere della mia strana agitazione, erano usciti dalla sala, e
vedendomi scendere, s'eran fermati nell'atrio, guardandomi come si
guarda un matto scappato dall'ospedale. Io diventai rosso come una
fragola, il che accrebbe il loro stupore. Arrivato nell'atrio, lasciai
cadere la pesante valigia, e rimasi immobile, guardando le punte dei
piedi dei miei spettatori. Tutti mi tenevano gli occhi addosso e nessuno
parlava. Ero avvilito, come non sono stato mai in vita mia. Perchè poi?
Non lo so. So che mi vedevo una nebbia davanti agli occhi, che avrei
dato un anno di vita per sparire di là come un lampo, che maledivo i
viaggi, Alkmaar, la lingua olandese, la mia stupidaggine, e che pensavo
a casa mia come un profugo abbandonato dagli uomini e da Dio. Tutt'a un
tratto, un ragazzo sbucato di non so dove, prese la mia valigia e si
allontanò rapidamente accennandomi che lo seguissi. Lo seguii senza
vincitore di Pultava, il fondatore di Pietroburgo, l'incivilitore della
Russia; ma per loro era _Peterbas_, mastro Pietro, come lo chiamavano
famigliarmente quando lavoravano insieme; era un figliuolo di Zaandam
divenuto imperatore; era un vecchio amico che tornava in mezzo agli
amici. Dieci giorni dopo il parto arrivò la czarina e visitò anch'essa
la capanna. Imperatore e Imperatrice, senza seguito, senza pompa,
andarono a desinare in casa di Mynheer Calf, il costruttore di
bastimenti che aveva ricevuto nel suo arsenale il giovane operaio
coronato; il popolo li accompagnò gridando:--Viva mastro Pietro!--e
mastro Pietro, lo sterminatore dei boiardi e degli strelizzi, il
condannatore di suo figlio, il principe formidabile, pianse.
* * * * *
Per andare ad Alkmaar m'imbarcai sopra un piroscafo che doveva rimontare
lo Zaan fino al canale del Nord, e così vidi l'Oost Zaandam e la
West-Zaandam,--ossia tutta la parte della città che si stende per quasi
tre miglia lungo le due rive del fiume.
È uno spettacolo che rivende Broek cento volte.
Ognuno si ricorda dei primi paesaggi che si dipingono da ragazzi, quando
il padre o lo zio ci regala una scatola di colori sospirata da molto
tempo. Per il solito si vuol dipingere un luogo delizioso, come quei che
si sognano a scuola, sonnecchiando alle ultime lezioni di latino, sulla
fine del mese di giugno. Per render questo luogo veramente delizioso, ci
sforziamo di fare entrare in un piccolo spazio una villetta, un
giardino, un lago, un bosco, un prato, un orto, un fiume, un ponte, una
grotta, una cascata d'acqua, tutto ben vicino, ben stretto e ben
pigiato; e perchè non sfugga assolutamente nulla all'occhio di chi
guarda, si dipinge ogni cosa coi colori più vivi della scatola e si
fanno dei bei contorni vistosi; e quando s'è finito, colti dal timore di
non aver approfittato di tutto lo spazio, si ficca ancora una casetta
qui, un albero là, una capanna in fondo; finchè non essendo più
possibile di farci entrare un filo d'erba, nè una pietra, nè un fiore,
si smette il pennello soddisfatti dell'opera propria, e si corre a far
vedere il quadro alla fantesca, la quale giunge le mani in atto di
meraviglia, ed esclama che è un vero paradiso terrestre. Ebbene,
Zaandam, vista dal fiume, è tale quale uno di codesti paesaggi.
Sono tutte casette verdi, coi tetti coperti di coppi rossissimi, sui
quali s'innalzano dei chioschi pure verdi, sormontati da banderuole
variopinte o da palle di legno di diverso colore infilate in un'asta di
ferro; torricciuole coronate di balaustrate e di padiglioni; edifizii
della forma di tempietti e di villini; baracche e bicocche di una
struttura non mai vista, capricciosamente sovrapposte, e strette le une
contro le altre, che par che si disputino lo spazio; un'architettura di
ripiego, tutta vanità e tutta apparenza. In mezzo a questi edifizii,
stradine per cui passa appena una persona, piazzette anguste come
stanze, cortili poco più grandi di una tavola, canali dove non può
scorrere che un'anitra; e sul davanti, tra le case e la riva del fiume,
dei giardinetti da ragazzi, pieni di capanni, di casette per le galline,
di pergolati, di cancellate, di mulini a vento da trastullo e di salici
piangenti; e dinanzi a questi giardini, sulla riva del fiume, dei
piccoli porti pieni di piccole barche verdi legate a piccole palafitte
ancora più verdi. In mezzo a questo guazzabuglio di giardini e di
baracche, s'alzano da tutte le parti mulini a vento di grande altezza,
coloriti pure di verde e listati di bianco, o bianchi e listati di
verde, con le braccia dipinte come aste di bandiere e la rotella
dell'asse dorata e ornata di girandole multicolori; campanili verdi e
inverniciati dal piede fino alla punta; chiesuole che paion teatri da
fiera, scaccheggiate e orlate di tutte le tinte dell'arcobaleno. Ma
questo è anche più strano: che gli edifizi, già piccini all'entrata del
fiume, vanno scemando di grandezza via via che si procede, come se la
popolazione fosse distribuita per ordine di statura, tanto che verso la
fine non son più che casotti da sentinelle, stie, topaie, scatole,
nascondigli, che paiono sporgenze d'una città sotterrata;
un'architettura minuscola che è lì a dieci passi, e fa l'effetto di
essere molto lontana; un tritume di città, un vero alveare umano, dove i
bambini paiono colossi, e i gatti saltano dalla strada sui tetti; e là
ancora ci son giardini occupati interamente da un sedile, chioschi
capaci d'una persona sola, padiglioni grandi come ombrelli, e salici
piangenti, e piccoli scali, e piccolissimi mulini a vento, e banderuole
e fiori e colori.
Ma son proprio uomini che han fatto tutto codesto?--uno si domanda
dinanzi a questo spettacolo.--E questa è una città davvero? E ci sarà
ancora l'anno venturo? O non è stata fabbricata per una festa, e la
settimana prossima sarà tutta scomposta e accatastata dentro il
magazzino di un decoratore d'Amsterdam? Ah! burloni d'Olandesi!
ALKMAAR.
Il bastimento, dopo oltrepassata Zaandam, corse ancora per un lungo
tratto in mezzo a due file non interrotte di mulini a vento, toccò
parecchi villaggi, svoltò nel canale di Marker-Vaart, attraversò il lago
di Alkmaar, ed entrò finalmente nel gran canale del Nord. Non riuscirei
mai ad esprimere, per quanto mi ci sforzassi, il sentimento di
solitudine morale, di lontananza, e direi quasi di smarrimento che
provavo io solo in mezzo a una folla di contadine indiademate come
regine e immobili come idoli, su quel piroscafo che scorreva colla
placidità di una gondola a traverso una pianura sconfinata ed uniforme,
sotto quel cielo malinconico. Certi momenti domandavo a me stesso in che
maniera mi trovassi là, dove sarei andato a finire, quando sarei
tornato; sentivo la nostalgia di Amsterdam e dell'Aja, come se il paese
dove passavo fosse tanto lontano dall'Olanda meridionale, quanto
l'Olanda meridionale è lontana dall'Italia; facevo il proponimento di
non viaggiar mai più solo, e mi pareva di non aver mai più da tornare a
casa.
* * * * *
In quel punto mi trovavo proprio nel cuore della Nord-Olanda, di quella
piccola penisola bagnata dal Mare del Nord e dal Golfo di Zuiderzee,
ch'è quasi tutta più bassa delle acque che la circondano, ch'è difesa da
una parte dalle dune e dall'altra da immense dighe, e frastagliata da
un'infinità di canali, di laghi e di paludi, che le danno l'aspetto
d'una terra per metà sommersa, e destinata a sparire sotto le onde. Per
tutto lo spazio che si poteva abbracciare collo sguardo, non si vedeva
che qualche gruppo d'alberi, qualche vela di bastimento e qualche
mulino.
* * * * *
Il tratto del canale del Nord che il piroscafo percorreva in quel punto,
fiancheggia il Beemster, la più grande distesa di terra che siasi
prosciugata nel secolo decimosettimo, uno dei quarantatrè laghi che
coprivano anticamente la provincia di Alkmaar, e che furono trasformati
in bellissime praterie. Questo Beemster, che abbraccia una superficie di
settemila ettari, e viene amministrato, come tutti gli altri _polders_,
da un Comitato eletto dai proprietari, il quale fa le spese col provento
d'un'imposta ripartita per ettari; è diviso in un gran numero di
quadrati cinti da strade ammattonate e da canali, che lo fanno parere
un'immensa scacchiera. Il fondo essendo quasi tre metri e mezzo sotto
il livello d'Amsterdam, le acque piovane debbono essere continuamente
estratte per mezzo di mulini a vento, che le riversano nei canali, i
quali alla loro volta le conducono al mare. Ci sono, in tutto il
_polder_, quasi trecento fattorie, che posseggono circa seimila bestie
bovine e più di quattrocento cavalli. Non vi si vedono altri alberi che
pioppi, olmi e salici, aggruppati intorno alle case, per difenderle dal
vento. Tutto è prateria, e come il Beemster, tali sono gli altri
_polders_. I soli oggetti che richiamino l'attenzione su quelle verdi
pianure sono le antenne che sorreggono i nidi delle cicogne, e qua e là
qualche enorme osso di balena, antico trofeo di pescatori olandesi,
piantato ritto nella terra, perchè ci si strofinino le vacche. Tutti i
trasporti di derrate da fattoria a fattoria si fanno per mezzo di
barche; nelle case si entra per un ponte che si solleva la notte, come
il ponte d'una fortezza; gli armenti pascolano senza guardiani; le
anitre e i cigni scorrono liberamente per i lunghi canali; ogni cosa
spira sicurezza, abbondanza e pace. Son queste infatti le provincie in
cui fiorisce in tutta la sua bellezza quella famosa razza bovina, alla
quale l'Olanda deve in gran parte la sua ricchezza; quelle vacche enormi
e pacifiche, che danno fino a trenta litri di latte al giorno; i
discendenti di quei gloriosi animali, che nel medio evo furon condotti a
nobilitare le razze in Francia, nel Belgio, nella Germania, nella
Svezia, nella Russia; un armento dei quali, se è vera la tradizione,
attraversò il continente fino ad Odessa, rifacendo all'indietro, passo
a passo, la strada che avean percorsa le grandi invasioni germaniche.
Col latte di questi animali si fa quello squisito formaggio chiamato
d'Edam, città della Nord-Olanda, _alla cui fama è angusto il mondo_. Nei
giorni di mercato tutte le città di questa provincia riboccano di quelle
belle forme rossiccie, ammontate come palle di cannone per le strade e
per le piazze, e mostrate allo straniero con un sentimento d'orgoglio
nazionale. Alkmaar ne vende in un anno più di quattro milioni di
chilogrammi, Horn tre milioni, Purmerende due, Medenblick e Enkhuisen da
settecento a ottocento mila, tutta la Nord-Olanda per più di quindici
milioni di lire. Tutte queste cose faranno sorridere qualche poeta e
qualche signorina; e capisco anch'io che suonerebbero male in un
sonetto; ma non sono per questo men belle, men buone e meno invidiabili
cose.
* * * * *
Mentre il bastimento s'avvicinava alla città, io andavo solleticando,
come sempre, la mia curiosità, col richiamarmi alla memoria quanto
sapevo intorno ad Alkmaar; ben lontano, poveretto, dal prevedere in che
brutto impiccio mi sarei trovato fra le sue mura. Me la raffiguravo
distrutta da Giovanni di Avesnes, conte di Olanda, in castigo delle sue
ribellioni. Seguitavo il coraggioso falegname, che attraversa il campo
degli Spagnuoli, va a portare al governatore della provincia l'ordine
del principe d'Orange di rompere le dighe, e perde poi la risposta del
governatore, la quale trovata e letta da Federico, figliuolo del duca
d'Alba, lo induce a levar l'assedio per non morire annegato. Vedevo una
frotta di scolari divertirsi a guardar la campagna coperta di neve a
traverso le scheggie di ghiaccio applicate al tubo dei calamai, e il
buon Mezio intromettersi fra loro, e cavare dal loro gioco la prima idea
del canocchiale. Incontravo allo svolto d'una strada il pittore
Schoruel, col capo ancora segnato dalle bastonate e dai pugni toccati in
rissa nelle taverne d'Utrecht, dove andava a pigliar le cotte con quella
buona lana di Giovanni di Mauberge, suo maestro di pittura e di
scapestrataggine. E infine m'immaginavo le belle alkmaaresi, che colla
loro aria modesta e innocente, ebbero la virtù di sollevare Napoleone il
Grande dalla noia di Amsterdam e dal dispetto di Broek. Intanto il
piroscafo arrivava ad Alkmaar dove un facchino che sapeva tre sole
parole francesi:--_Monsieur_, _hôtel_ e _pourboir_, mi toglieva di mano
la valigia e mi rimorchiava a un albergo.
* * * * *
A chi abbia visto le altre città dell'Olanda, Alkmaar non offre gran che
di straordinario. È una città di forma regolare, con grandi canali e
grandi strade, e le solite case rosse colla solita facciata triangolare.
Alcune grandi piazze sono interamente lastricate di piccoli mattoni
rossicci e gialli, disposti in disegni simmetrici, che da lontano paiono
un tappeto; e le strade hanno due marciapiedi, uno di mattoni, per chi
passa, e uno un po' più alto, di pietra, congiunto al muro delle case,
sul quale non bisogna mettere il piede, per non essere guardati con
occhi di falco dalla gente affacciata alle finestre. Molte case sono
imbiancate, non saprei dire perchè, forse per vezzo, soltanto fino a
metà; parecchie sono tinte di nero che paiono parate a lutto; altre sono
inverniciate come carrozze dal tetto al marciapiede. Le finestre essendo
molto basse, si vedono a traverso i tulipani e i giacinti bellissimi che
adornano i davanzali, i salotti smaglianti di specchi e di porcellane, e
le famiglie raccolte intorno a tavolini coperti di bicchieri di birra,
di portaliquori, di biscotti, di scatole di sigari. Per lunghi tratti di
strada non s'incontra nessuno; e cosa strana in una città di più di
diecimila abitanti, la poca gente, uomini, donne e ragazzi, che passano
o che stan sugli usci, salutano cortesemente gli stranieri. Mi passò
accanto un drappello di collegiali, condotti da un istitutore; questi
fece un cenno, e tutti si levarono il berretto; e sì che io ero
tutt'altro che vestito in modo da passare per un pezzo grosso. La città
non ha altri monumenti notevoli che la casa municipale, edifizio del
secolo decimosettimo, mezzo di stile gotico e mezzo di nessuno stile,
che arieggia, in piccino, quello di Bruxelles; e la gran chiesa di San
Lorenzo, della stessa epoca, nella quale è la tomba del conte Florenzio
V di Olanda, e spenzola sopra il coro, a guisa di lampadario, un
fac-simile del vascello-ammiraglio del Ruyter. A oriente della città c'è
un folto bosco che serve di passeggio pubblico, dove si fa in occasione
di grandi feste la così detta _harddraverij_, o corsa al gran trotto,
col premio genuinamente olandese d'una caffettiera d'argento. Ma non
ostante il bel bosco, la chiesa, la casa municipale e i suoi undicimila
abitanti, Alkmaar non ha che l'aspetto d'un grande villaggio, e per le
sue strade regna un silenzio così profondo, che la musica dei campanili,
più selvaggia ancora che nelle altre città, vi si sente da tutte le
parti rumorosa e distinta come nella quiete della notte.
Andando dalle strade solitarie verso il centro della città, cominciai a
vedere un po' più di gente, fra cui molte donne, che essendo giorno di
festa, erano tutte in oro e in fronzoli, particolarmente le contadine.
Per dir la verità, io non so che cosa avesse negli occhi Napoleone il
giorno che arrivò ad Alkmaar. Ci sono certo dei bei visetti di
monachelle che han l'aria di dire:--Non so nulla di nulla;--e
soprattutto delle guancine del più gentile color di rosa che abbia mai
diffuso il pudore sul volto d'una vergine; ma l'effetto di queste tenui
grazie è spietatamente distrutto dalla scellerata acconciatura del capo
e dall'ancor più scellerata foggia del vestire. Oltre i gruppi di
riccioli, gli orecchini a paraocchi di cavallo, la lastrina che
attraversa la fronte e la cuffia bianca che nasconde le orecchie e la
collottola, portano sulla testa, o per dir meglio sul cocuzzolo, un gran
cappello di paglia, di forma quasi cilindrica, con una larga tesa
rivestita di seta verde o gialla o d'altro colore, monca di dietro, e
arrovesciata in alto sul davanti, in modo che tra la tesa stessa e la
fronte ci resta un larghissimo vano simigliante a una di quelle
boccaccie di mostro che si mettevano altre volte sul capo i soldati
chinesi per far paura ai nemici. Oltre a questo, hanno i fianchi
spropositatamente rialzati, non so se con gonnelle o con altro, e il
busto che grossissimo alla cintura, si va via via stringendo fino alle
ascelle, al rovescio delle nostre donne, che si fanno il petto largo e
la vita piccina. E come se questo non bastasse, si premono (lo suppongo,
perchè non posso credere che la natura sia stata così matrignamente
avara con tutte) si premono il seno in maniera, da non lasciar apparire
nemmeno una leggerissima curva, come se per esse fosse una mostra
invereconda o un difetto ridicolo quello che per le donne degli altri
paesi è il più ambito complemento della bellezza. È un gran che se così
incappellate, infagottate e schiacciate, paiono ancora donne anche le
più gentili d'aspetto; onde si può immaginare che cosa paiano quelle
poco favorite dalla natura, che sono anche ad Alkmaar il numero
maggiore.
Passando così a rassegna il bel sesso, arrivai in una vasta piazza piena
di baracche e di gente, da cui m'accorsi ch'ero capitato ad Alkmaar in
un giorno di _kermesse_.
Eccoci al punto più caratteristico e più strano della vita olandese.
La _kermesse_ è il carnevale dell'Olanda: con questa differenza dal
carnevale dei nostri paesi, che essa dura soltanto otto giorni, e che
ogni città ed ogni villaggio la festeggia in un tempo diverso. È
difficile veramente il dire in che cosa consista questa festa. Nel tempo
della _kermesse_ sorge dentro ogni città olandese un'altra città,
composta di caffè, di teatri, di botteghe, di chioschi, di padiglioni,
che terminata la festa, si scompone come un accampamento, si carica sui
barconi e si trasporta in un altro luogo. Gli abitanti di questa città
vagabonda sono commercianti, suonatori, istrioni, ciarlatani, giganti,
donne colossali, ragazzi mostruosi, animali deformi, figure di cera,
cavalli di legno, automi semoventi, scimmie, cani ammaestrati, bestie
feroci. In mezzo alle innumerevoli baracche in cui alberga questa strana
popolazione, vi sono centinaia di casette dipinte, inverniciate e
dorate, tutte composte d'una sala e di quattro stanzine della forma di
un'alcova, nelle quali parecchie ragazze vestite alla frisona, col casco
d'oro e la cuffia trinata, servono agli avventori dei confetti
particolari chiamati _broedertijes_, che sono il mangiare emblematico
della festa, come il panettone per il Natale e la focaccia per
l'Epifania. Oltre le baracche dei saltimbanchi e i caffè, ci sono bazar,
fiere, circhi equestri, grandi teatri in cui si rappresenta l'opera in
musica, e ogni sorta di spettacoli straordinarii per il popolo olandese.
Tale è la città provvisoria in cui si celebra la _kermesse_; ma la festa
propriamente detta è ben altra cosa. In quei caffè, in quelle baracche,
per le strade, nelle piazze, giorno e notte, per tutto il tempo della
_kermesse_, sbevucchiano, s'ubbriacano, saltano, ballano, cantano,
s'urtano, s'abbracciano, si mescolano serve e operai, contadini e
contadine, uomini e donne di tutte le classi del popolo minuto, con un
furore e una licenza appetto a cui sono innocenti ragazzate i disordini
delle nostre notti di carnovale. In quei giorni il popolo olandese si
spoglia del suo carattere in modo da non esser più riconoscibile.
Abitualmente grave, economo, casalingo, modesto, nel tempo della
_kermesse_ diventa chiassoso, si ride della decenza, passa le notti fuor
di casa e spende in un giorno il frutto dei risparmi d'un mese. Le serve
alle quali è concessa in quei giorni una straordinaria libertà, e se non
glie la concedono se la pigliano, sono le attrici principali della
festa. Ognuna si fa accompagnare dal suo fidanzato o dall'amante, o da
un giovane qualunque noleggiato come un pertichino, a un prezzo diverso
se porta il cappello cilindrico o il berretto, se è bello o brutto, se è
un tanghero o un lesto fante. I contadini e le contadine vengono a far
la _kermesse_ alla città o al villaggio in un giorno determinato, che si
chiama il--giorno dei contadini--e fanno d'ogni erba fascio come il
popolino. Il colmo del baccano è la notte del sabato. Allora non è più
una festa, è una ridda, un'orgia, un saturnale, che non ha riscontro in
nessun altro paese d'Europa. Io ricusai per lungo tempo di prestar fede
a certi olandesi, i quali mi dipingevano la _kermesse_ con orribili
colori, e credevo, come altri più indulgenti mi dicevano, che fossero
rigoristi astiosi ed intolleranti. Ma quando udii affermare le stesse
cose da gente spregiudicata, da testimoni oculari, da olandesi e da
stranieri che mi dicevano:--Ho veduto io da questo palco e da questa
finestra;--allora credetti anch'io ai palchi dei teatri convertiti in
alcova, al pudore postergato nelle strade, alle coppie amorose
addormentate sul lastrico, alle guardie di polizia espressamente
incaricate d'impedire il supremo scandalo che si possa dare all'aria
aperta, ai medici che dicono:--Quest'anno non avremo molte balie, perchè
le _kermesses_ dell'anno scorso furono poco animate;--agli Olandesi
stessi che chiamano quelle feste una vergogna nazionale. Convien dire
però che da un tempo in qua le _kermesses_ sono in decadenza. L'opinione
pubblica, su questo punto, è divisa. V'hanno coloro che le favoreggiano,
perchè come attori o come spettatori, ci si divertono, e questi negano o
scusano i disordini, e dicono che la proibizione delle _kermesses_
farebbe scoppiare una rivoluzione. V'hanno altri che le combattono e le
vogliono vedere soppresse, e sollecitano a questo scopo l'istituzione di
spettacoli e di divertimenti onesti e gentili; la mancanza dei quali, a
loro avviso, è la principal cagione degli eccessi a cui s'abbandona il
popolo in quella unica occasione delle _kermesses_. L'avviso di questi
ultimi va di giorno in giorno prevalendo. In parecchie città furon già
presi provvedimenti per frenare i baccanali; in alcune fu determinata
un'ora della notte, oltre la quale le botteghe debbano esser chiuse; in
altre si allontanarono le baracche dal centro della città; il Municipio
d'Amsterdam ha stabilito un certo numero d'anni, trascorsi i quali, la
Sibari provvisoria in cui si fanno le feste, non potrà più essere
rifabbricata. Si può dunque affermare che fra un non lunghissimo tempo,
queste famose _kermesses_ saranno ridotte a un allegro e temperato
carnevale, con grandissimo vantaggio della moralità pubblica e della
dignità nazionale.
Non in tutte le città olandesi, però, le _kermesses_ sono clamorose e
scandalose allo stesso grado. All'Aja, per esempio, lo sono molto meno
che ad Amsterdam e a Rotterdam; e m'immagino (perchè non vi stetti la
notte) che ad Alkmaar lo siano ancora meno che all'Aja; ciò che per
altro non vuol dire che debbano essere un fior di decenza.
La piazza dov'ero riuscito era piena di baracche variopinte, sulla porta
delle quali si sbracciavano a sonare e si sgolavano a chiamar gente,
saltimbanchi vestiti di maglia carnicina e danzatrici di corda in
sottanelle. Davanti ad ogni baracca v'era una folla di curiosi, da cui
di tratto in tratto si staccavano due o tre contadini per entrare a
veder lo spettacolo. Io non ricordo d'aver mai visto gente più semplice,
più mansueta e di più facile contentatura di quella. Tra una sonata e
l'altra, un ragazzo di dieci anni, vestito da pagliaccio, ritto sur una
specie di palcoscenico accanto alla porta, bastava egli solo a
trattenere davanti alla baracca, divertire e far ridere dai precordi una
moltitudine di duecento persone. E con che? Non raccontando delle
storielle, non facendo dei _calembours_ come i saltimbanchi di Parigi,
non spiccando dei salti, non contraendo il viso; nulla di tutto questo;
ma semplicemente facendo di tratto in tratto, colla maggior flemma del
mondo, una piccola freccia di carta, che poi lanciava sulla folla
accompagnando l'atto con un leggero sorriso. Questo bastava a far andare
in visibilio quella buonissima gente. Girando in mezzo a quelle
baracche, incontrai qualche contadina un po' brilla, sentii cantare in
falsetto qualche ragazza malferma sulle gambe, colsi in flagrante
qualche coppia amorosa che si passava le mani sotto il mento, vidi
qualche gruppo di donne che preludevano alla ridda notturna, dandosi
delle spallate e delle fiancate da buttarsi in terra; ma nulla di
criminale. Era veramente una baraonda, come dice Alfonso Esquiroz, di
gente che non ne sa fare. Ma siccome io non ritenevo giusto il giudizio
dell'Esquiroz se non per il giorno, e prevedevo che sull'imbrunire
sarebbe incominciato uno spettacolo molto più drammatico, così, per non
trovarmi solo, di notte, in mezzo alla baldoria d'una città sconosciuta,
che ci sarei morto dall'uggia, decisi di partire immediatamente per
Helder, e me ne tornai per la strada più corta all'albergo.
Quando v'ero entrato, non avevo parlato con nessuno, perchè il facchino
che m'accompagnava, aveva chiesto per me la camera e portato su la
valigia. Perciò io credevo che o il padrone dell'albergo o uno almeno
dei camerieri capisse il francese. Quando rientrai, camerieri e padrone
erano forse andati a trincare in qualche baracca; e nell'albergo non
rimaneva che una vecchia serva, la quale mi condusse in una sala a
terreno, e facendomi capire che non mi capiva, se n'andò pei fatti suoi.
V'era in quella sala una tavolata di grossi alkmaaresi, che avevano
finito in quel punto una mangiataccia solenne, e facevano il chilo in
mezzo a una nuvola di fumo, chiacchierando e ghignazzando con una
vivacità straordinaria. Vedendomi così solo ed immobile in un canto, di
tratto in tratto mi rivolgevano uno sguardo compassionevole, e qualcuno
sussurrava nell'orecchio al vicino qualche parola, che m'immagino
esprimesse lo stesso sentimento che lo sguardo. Non c'è nulla che
sconforti di più uno straniero già sconfortato che il vedersi fatto
oggetto di commiserazione da una comitiva d'indigeni allegri. Lascio
dunque immaginare che faccia derelitta io dovessi aver in quel punto.
Dopo qualche minuto uno dei grossi alkmaaresi si alzò, prese il cappello
e si avviò per uscire. Quando mi fu dinanzi, si fermò, e mi disse con un
sorriso pietosamente cortese, spiccando le sillabe:--_Alkmaar.... pas de
plaisir; Paris.... toujours plaisir._--M'aveva preso per francese. Ciò
detto, si mise il cappello, e credendomi abbastanza consolato, mi voltò
le spalle e uscì a gravi passi dalla sala. Era il solo della brigata che
sapesse tre parole di francese. Sentii un vivo moto di gratitudine per
lui, e poi ricaddi nel mio misero stato. Passò un'altra quindicina di
minuti, e arrivò finalmente un cameriere. Respirai, gli corsi incontro,
gli dissi che volevo partire. Oh delusione! non capiva una saetta. Lo
presi per un braccio, lo condussi nella mia camera, gli mostrai la
valigia e gli feci cenno che me ne volevo andare. Andare! È presto
detto; ma come? per battello? per strada ferrata? per _trekschuit_? Mi
rispose che non mi comprendeva. M'ingegnai di fargli capire che volevo
una vettura. Capì, e mi rispose con un gesto che non c'era vettura.
Ebbene, pensai, cercherò io la stazione della strada ferrata; e
gesticolando, gli domandai se c'era un facchino. Mi rispose che non
c'era facchino. Gli domandai, coll'orologio in mano, a che ora sarebbe
tornato il padrone. Mi rispose che il padrone non sarebbe più ritornato.
Gli accennai che mi portasse la valigia lui. Mi rispose che non poteva.
Gli domandai con un gesto disperato che cosa dovevo fare. Non mi
rispose, e stette a guardarmi in silenzio. In simili occasioni io perdo
la pazienza, il coraggio e la testa con una facilità spaventosa.
Ricominciai a parlare facendo un guazzabuglio inaudito di parole
tedesche, francesi e italiane, aprendo e chiudendo la Guida, tracciando
e cancellando sul mio quaderno linee e ghirigori che volevano
rappresentare bastimenti e macchine a vapore, andando su e giù per la
stanza come uno scemo, finchè il povero giovane, non so se impaurito o
seccato, infilò la porta e mi lasciò nelle péste. Allora afferrai la
mia valigia e scesi le scale. Gli alkmaaresi della tavola, avvertiti dal
cameriere della mia strana agitazione, erano usciti dalla sala, e
vedendomi scendere, s'eran fermati nell'atrio, guardandomi come si
guarda un matto scappato dall'ospedale. Io diventai rosso come una
fragola, il che accrebbe il loro stupore. Arrivato nell'atrio, lasciai
cadere la pesante valigia, e rimasi immobile, guardando le punte dei
piedi dei miei spettatori. Tutti mi tenevano gli occhi addosso e nessuno
parlava. Ero avvilito, come non sono stato mai in vita mia. Perchè poi?
Non lo so. So che mi vedevo una nebbia davanti agli occhi, che avrei
dato un anno di vita per sparire di là come un lampo, che maledivo i
viaggi, Alkmaar, la lingua olandese, la mia stupidaggine, e che pensavo
a casa mia come un profugo abbandonato dagli uomini e da Dio. Tutt'a un
tratto, un ragazzo sbucato di non so dove, prese la mia valigia e si
allontanò rapidamente accennandomi che lo seguissi. Lo seguii senza