Olanda - 19

arricchiti, un gruppo di villette fatte per servir da teatro di
burattini, una fantasia d'un orientale ubriaco d'oppio, un qualche cosa
che faccia pensare nello stesso tempo al Giappone, all'India, alla
Tartaria, alla Svizzera, allo stile _plateresco_ e al _rococò_
Pompadour, e a quello degli edifici inzuccherati che mettono in mostra
i confettieri; una mescolanza di barbaro, di gentile, di presuntuoso, di
lezioso, d'ingenuo, di sciocco, che nello stesso punto offenda il buon
gusto, provochi le risa e innamori; immaginate insomma la più puerile
stravaganza a cui si possa dare il nome di villaggio, e avrete una
lontana immagine di Broek.
Tutte le case sono circondate da un giardinetto, separato dalla strada
da uno stecconato color cilestrino, della forma d'una balaustrata o
d'una ringhiera, con pomi, mele o aranci di legno sulla punta degli
stecconi. Le strade fiancheggiate da questi stecconati, sono
strettissime e formate di piccoli mattoni di vario colore, messi di
costa, e combinati in ogni sorta di disegni, in modo che da lontano le
strade paiono coperte di scialli turchi. Le case, la maggior parte di
legno, tutte col solo piano terreno, e piccolissime, sono color di rosa,
color nero, colore cenerino, colore di porpora, colore azzurro chiaro,
colore d'erba montanina; hanno il tetto coperto di coppi inverniciati e
disposti a scacchiera; le gronde ornate d'una specie di festone di legno
traforato come una trina; le facciate a punta, con una banderuolina
sulla cima, o una piccola lancia, o qualcosa che somiglia un mazzo di
fiori; le finestre coi vetri rossi o azzurri, ornate di tendine, di
ricami, di nastri, di reticelle, di frange, di nappe, di ninnoli; le
porte dipinte e dorate, e sormontate d'ogni sorta di bassorilievi che
rappresentano fiori, figurine e trofei, in mezzo ai quali si legge il
nome e la professione del proprietario. Quasi tutte le case hanno due
porte: una davanti e una di dietro; questa per l'entrata e l'uscita di
tutti giorni; l'altra che si apre soltanto nelle occasioni solenni della
vita, come nascite, morti, matrimoni.
I giardini non sono meno strani delle case. Paiono fatti per i nani. I
viali sono appena tanto larghi da poterci mettere i piedi, le aiuole si
cingono colle braccia, i capanni contengono a stento due personcine
rannicchiate, le siepi di mortella non arrivano ai ginocchi d'un bambino
di quattr'anni. Fra questi capanni e queste aiuole vi sono dei canaletti
che paion fatti per metterci delle barche di carta, sui quali
s'incurvano dei ponti di legno, puerilmente superflui, con colonnine e
spallette colorite; bacini grandi come una tinozza da bagno riempiti da
una barchetta lilliputtiana, legata con un cordoncino rosso a un palo
color celeste; piccoli scali, piccoli orti, piccoli crocicchi,
pergolatelli, porticciuole, cancellatine, tutte cose che si possono
misurare con una mano, superare con un salto e buttar all'aria con un
pugno. Intorno alle case e ai giardini s'innalzano alberi tagliati in
forma di ventagli, di pennacchi, di dischi, di trapezi, coi tronchi
coloriti di bianco e d'azzurrino, e qua e là casette di legno per gli
animali domestici, variopinte, dorate e scolpite come piccole reggie da
marionette.
Data un'occhiata alle prime case e ai primi giardini, m'inoltrai nel
villaggio. Non c'era anima viva nè per le strade nè alle finestre. Tutte
le porte eran chiuse, tutte le tendine calate, tutti i canali deserti,
tutte le barchette immobili. Il villaggio è costruito in maniera che in
nessun punto si vedono più di quattro o cinque case; e via via che si va
innanzi, una si nasconde, un'altra fa capolino, una terza balza fuori
tutta intera; e da tutte le parti, in mezzo ai tronchi degli alberi,
appariscono e spariscono striscie e tocchi di colori vivissimi, come di
una frotta di maschere sparpagliate che facciano a rimpiattíno. A ogni
passo si scopre un nuovo piccolo prospetto da palcoscenico, una nuova
combinazione strana di colori, un nuovo capriccio, una nuova
ridicolaggine. Par che da un momento all'altro debba uscire da tutte
quelle porte un popoletto d'automi coi piatti turchi e i tamburelli fra
le mani, come quei che si muovono sugli organetti. Con cinquanta passi
si gira intorno a una casa, si passa un ponte, si attraversa un
giardino, si percorre una strada e si ritorna nel luogo di prima. Un
bambino vi pare un uomo e un uomo vi pare un gigante. Tutto è piccino,
compassato, leccato, tinto, contraffatto, snaturato, fanciullesco. Sulle
prime vi vien da ridere; poi vi piglia la stizza pensando che gli
abitanti di quel villaggio crederanno che voi lo troviate bello; quella
caricatura vi riesce odiosa; dareste di scimunito a tutti i padroni di
casa; vorreste persuaderli che il loro famoso Broek è un insulto
all'arte e alla natura, e ch'essi non hanno nè buon gusto nè buon senso.
Ma quando vi siete ben sfogati a invettive, tornate a ridere, e il riso
finisce per prevalere.
Dopo aver girato un po' senza incontrare nessuno, mi venne il desiderio
di veder l'interno di una casa. Mentre guardavo qua e là in cerca
d'un'anima ospitale, m'intesi chiamare:--_Monsieur_--e voltatomi, vidi
una donna sur un uscio, la quale mi domandò timidamente:--_Foulez fous
foir une maison particulière?_--Accettai; la donna lasciò gli zoccoli
sulla soglia, come si usa in tutte le case di quei paesi, e mi condusse
dentro. Era una povera vedova, come mi disse appena fummo entrati, e non
aveva che una stanza; ma che stanza! Il pavimento era coperto di stuoie
pulitissime; i mobili erano luccicanti come l'ebano; le maniglie del
cassettone, la linguetta del baule, i rilievi d'un piccolo stipo, le
bullette delle seggiole, persino i chiodi piantati nel muro, parevano
d'argento. Il camino era un vero tempietto, tutto rivestito di lastrine
di maiolica colorite e nitide come se non avessero mai visto il fumo.
Sur un tavolino c'era un calamaio di rame, una penna di ferro e qualche
gingillo, che avrebbero richiamato l'attenzione nella vetrina d'un
orefice. Da qualunque parte volgessi gli occhi, scintillava qualche
cosa. Non vedendo il letto, domandai alla buona donna dove dormisse. Per
tutta risposta s'avvicinò a una parete ed aperse i due battenti nascosti
dalla tappezzeria. Il letto (come in quella casa, in tutte le altre) è
chiuso in una specie di armadio a muro, e consiste in un materasso e in
un pagliericcio distesi sopra la parte inferiore del muro medesimo,
senz'assi e senza cavalletti; letto che sarà comodo d'inverno, ma che
dev'essere un affogatoio d'estate. Mi fece vedere gli arnesi coi quali
faceva la pulizia. C'era da farne una bottega: scope, scopette,
spazzolini da denti, strofinacci, raschiatoi, rastrellini, scovoli,
frugoni, pelli, mazzetti di piume, acqua-forte, bianco di Spagna pei
vetri, rosso di Venezia per le posate, polvere di carbone per i rami,
smeriglio per i ferri, mattone inglese per i pavimenti, e persino
stecchini per cavar le pagliuzze microscopiche dalle commessure dei
mattoni.
Mi diede notizie curiosissime intorno al furore di pulizia per cui il
villaggio di Broek è famoso in Olanda. Non è lungo tempo che all'entrata
del villaggio si leggeva un'iscrizione concepita in questi
termini:--_Prima o dopo il tramonto del sole nessuno può fumare nel
villaggio di Broek, se non con una pipa munita di coperchio_ (perchè non
si spanda la cenere), _e quando si attraversa il villaggio con un
cavallo, è proibito di stare in sella, e bisogna condurlo a piedi_. Era
pure proibito di attraversare il villaggio in carrozza, o con pecore o
vacche, o qualunque altro animale che potesse insudiciare le strade; e
benchè non sussista più questa proibizione, i carri e gli animali girano
ancora intorno a Broek, per effetto dell'usanza antica. Dinanzi a tutte
le case c'erano, e se ne vede ancora qualcuna, delle sputacchiere di
pietra, nelle quali sputavano i fumatori dalle finestre. L'uso di stare
in casa coi piedi scalzi è ancora in pieno vigore, così che dinanzi a
tutte le porte si vedono scarpe, stivaletti e zoccoli ammonticchiati. È
una fiaba quello che si racconta di sommosse popolari accadute a Broek
contro stranieri che sparsero per la strada dei noccioli di ciliegia; ma
è vero che ogni cittadino il quale veda cadere una foglia o una festuca
portata dal vento dinanzi alla sua casa, la va a raccattare e la butta
nel canale. Che poi si vadano a spolverare le scarpe a cinquecento passi
fuor del villaggio, che ci sian dei ragazzi pagati per soffiare quattro
volte all'ora fra i mattoni della strada, e che in certe case si portino
gli ospiti a braccia perchè non insudicino il pavimento, son cose che si
raccontano,--mi disse quella buona donna,--ma che probabilmente non si
fecero mai. Però prima di lasciarmi uscire, mi raccontò un aneddoto che,
se fosse vero, farebbe quasi credere possibili quelle stravaganze.--Nei
tempi andati,--mi disse,--la manía della pulizia era arrivata a tal
segno, che le donne di Broek trascuravano, per strofinare e lavare,
persino i loro doveri religiosi. Il Pastore del villaggio, dopo aver
tentato inutilmente tutte le vie della persuasione per far cessare
quello scandalo, prese un altro partito. Fece una gran predica nella
quale disse che ogni donna olandese la quale avesse compiuto fedelmente
i suoi doveri verso Dio nella vita terrena, avrebbe trovato nel mondo di
là una casa piena zeppa di mobili, d'utensili e di gingilli
svariatissimi e preziosissimi, nella quale, non distratta da altre
occupazioni, avrebbe potuto spazzolare, insaponare e lustrare per tutta
l'eternità, senza mai poter dire d'aver finito. L'immagine di questa
sublime ricompensa, il pensiero di questa immensa felicità infuse tanto
ardore e tanta pietà nelle donne di Broek, che d'allora in poi furono
sempre assidue agli esercizi religiosi, e non ebbero mai più bisogno di
eccitamento.--
Eppure, nè questo furore di pulizia, nè la bizzarria architettonica che
ho descritta, sono la cagione della semi-seria celebrità del villaggio
di Broek. Questa celebrità derivò da una stravaganza di forme e di
consuetudini, appetto alla quale ciò che ora si vede non è più nulla. Il
Broek d'oggigiorno non è più che una larva del Broek antico. A
persuadersene, basta visitare una casa posta all'entrata del villaggio,
e aperta agli stranieri, la quale è un modello completo delle antiche
case, e vien conservata accuratamente dal proprietario come un monumento
storico delle follie trascorse. L'esterno della casa non è diverso dalle
altre: una baracca da burattini. Il maraviglioso sono le stanze e il
giardino. Le stanze, piccolissime, sono tanti bazar, ciascuno dei quali
richiederebbe un volume di descrizioni. La manía olandese di ammontare
oggetti su oggetti, e di cercar la bellezza e l'eleganza nell'eccesso
degli ornamenti più disparati, là si vede spinta sino al superlativo
grado del ridicolo. Vi sono figurine di porcellana sugli armadi, tazze e
zuccheriere chinesi sopra e sotto le tavole, piatti appesi alle pareti
dal soffitto fino al pavimento, orologi, ovi di struzzo, barchette,
bastimenti, conchiglie, vasi, piattini, calici, ficcati in tutti
gl'interstizi e nascosti in tutti i buchi; quadri che presentano figure
diverse, secondo da che parte si guardano; armadi pieni di centinaia di
ninnoli; ornamenti senza nome, decorazioni senza senso, un ingombro, un
lucicchío, una dissonanza di colori, un cattivo gusto così
innocentemente spietato, che è un piacere e un dispetto a vedersi. Ma
tutte queste stravaganze sono di gran lunga superate dal giardino. Qui
si vedono ponti messi per mostra sopra rigagnoli larghi un palmo, grotte
e cascatelle da presepio, chiesette rustiche, templi greci, chioschi
chinesi, pagodi indiani, statue dipinte, piccoli fantocci colle mani e i
piedi dorati che balzano fuori dai panieri di fiori, automi di grandezza
naturale che fumano e che filano, armadi che s'aprono al tocco d'un
ordigno, e lascian vedere una comitiva di burattini seduti a tavola,
bacinetti dove nuotano cigni e oche di zinco, aiuole coperte di un
mosaico di conchiglie, con un bel vaso di porcellana nel mezzo; alberi
che rappresentano figure umane, cespugli di bosso tagliati in forma di
campanili, di chiesuole, di navi, di chimere, di pavoni che fan la ruota
e di bambini che allargan le braccia; sentieri, capanni, siepi, fiori,
piante, tutto scontorto, manierato, tormentato, imbastardito, stravolto.
E così erano nei tempi andati tutte le case e tutti i giardini di Broek.
Ma ora non solamente l'aspetto del villaggio, anche la popolazione è in
gran parte mutata. Broek era chiamato altre volte il villaggio dei
milionarii, perchè quasi tutti i suoi abitanti erano negozianti
ricchissimi, che si raccoglievan là per amore della solitudine e della
pace. A poco a poco, la noia, il ridicolo di cui furon fatti segno le
loro case ed essi stessi, l'importunità dei viaggiatori, il desiderio di
luoghi più ameni, snidò da Broek quasi tutte le famiglie ricche, e le
poche rimaste, cessando la gara che aveva prodotte tante fanciullesche
meraviglie, non pensarono più a crearne delle nuove, e lasciarono
perdere o sparire le vecchie. Ora Broek ha circa un migliaio d'abitanti,
dei quali la maggior parte fanno formaggi, e gli altri son bottegai,
fattori e artefici che vivon di rendita.
Malgrado che sia decaduto, Broek è ancora visitato da quasi tutti gli
stranieri che vanno in Olanda. In una stanza della casa che ho
descritta, v'è un enorme libro che contiene parecchie migliaia di,
biglietti di visita e di firme manoscritte di gente d'ogni paese. Io
l'ho scorso tutto. Il maggior numero di visitatori sono inglesi e
americani; il minimo italiani, e questi quasi tutti nobili delle
provincie meridionali. Fra i molti nomi illustri vidi quello di Victor
Hugo, di Walter Scott, del Gambetta e del commediografo Emilio Augier.
Fra i ricordi, v'è un calcafogli che l'Imperatore e l'Imperatrice di
Russia regalarono a un cittadino di Broek in segno di gratitudine per
l'ospitalità ch'egli concesse nel 1864 al granduca Nicola di
Alexandrovitch.
A proposito di visitatori illustri, anche l'Imperatore Alessandro di
Russia e Napoleone il Grande furono a Broek. La tradizione locale dice
che così l'uno che l'altro avendo voluto vedere l'interno d'una casa,
dovettero, prima d'entrare, infilarsi certe grosse calze di lana che
porse loro la serva, perchè non insudiciassero i pavimenti cogli
stivali. Non oserei affermare che questo sia vero; ma so, per averlo
letto in certe Memorie del viaggio di Napoleone in Olanda, che a Broek
egli s'indispettì nel vedere le strade deserte, e la gente tappata in
casa che lo guardava di dietro i vetri coll'aria di sorvegliare che non
insudiciasse le cancellate dei giardini. Anche l'imperatore Giuseppe II
fece una visita a Broek; ma, per quello che si narra, non avendo portato
con sè delle lettere di raccomandazione, non potè entrare in nessuna
casa. Un aiutante di campo insistendo presso un padrone di casa, perchè
lasciasse entrare la Maestà Sua:--Io non conosco il vostro
Imperatore,--quegli rispose;--e fosse anche il borgomastro d'Amsterdam
in persona, non ricevo chi non conosco.--
Quand'ebbi visitato la casa e il giardino antico, entrai in un piccolo
caffè dove una ragazza senza scarpe, inteso alla prima il mio linguaggio
da sordomuto, mi portò una mezza forma di buon formaggio di Edam, delle
uova e del burro, ogni cosa posto sotto un coperchio di maiolica,
protetto da una reticella di fil di ferro, e nascosto da una
bianchissima tovaglietta ricamata; e poi scortato da un ragazzo che mi
parlava a gesti, andai a vedere una fattoria. Molta gente, tra noi, che
porta cappello a staio ed orologio d'oro, non ha un appartamento pulito
ed ornato come quello in cui si pavoneggiano le vacche di Broek. Prima
d'entrare bisogna pulirsi le scarpe a una stuoia distesa davanti alla
porta, e se non lo fate, vi pregano di farlo. Il pavimento delle stalle
è di mattoni di vario colore, nitidi da poterci passare sopra la mano;
le pareti son rivestite di legno di abete; le finestre sono ornate di
tende di mossolina e di vasi di fiori; le mangiatoie son dipinte; le
vacche sono strigliate, pettinate, lavate, e perchè non s'insudicino
hanno la coda tenuta su da un cordoncino legato a un chiodo del
soffitto; un rigagnolo che attraversa la stalla, porta via continuamente
le immondizie; fuor che tra i piedi delle bestie, non si vede un
fuscello, nè una macchia; e l'aria è così purgata, che a occhi chiusi si
crederebbe di essere in un salotto. Le camere dei contadini, le stanze
dove si fa il formaggio, i cortili, i bugigattoli, tutto è netto e
luccicante ad un modo.
Prima di partire per Amsterdam feci ancora un giro per il villaggio
badando a nascondere il sigaro quando qualche donna dal diadema d'oro mi
guardava dalla finestra; passai su due o tre ponti bianchi, toccai col
piede qualche barchetta, mi trattenni un po' dinanzi alle casine più
variopinte; e poi, non vedendo comparire anima viva nè per le strade nè
dentro ai giardini, ripresi la mia via solitaria in groppa al cavallo di
san Francesco, con quel sentimento di tristezza che lascian nel cuore
tutte le grandi curiosità soddisfatte.


ZAANDAM.

La maggior parte degli stranieri, dopo aver visitato il villaggio di
Broek e la città di Zaandam, partono per la Frisia o se ne ritornano
all'Aja colla persuasione d'aver visto l'Olanda. Io volli invece
spingermi sino all'estremità della Nord-Olanda, pensando che in questa
provincia posta fuor di mano, non abitata da stranieri, non percorsa da
viaggiatori, avrei veduto costumi, usi ed aspetti antichi più
schiettamente conservati che nelle altre. Il pericolo di non esser
capito, di capitare in cattivi alberghi, di trovarmi solo, impicciato e
malinconico in piccole città delle quali non c'è nemmeno la pianta nelle
_Guide_, e che i viaggiatori più pazienti non fanno che attraversare di
volo; non mi distolse dal mio proposito. Una bella mattina del mese
d'agosto, il diavolo dei viaggi, il più prepotente di tutti i diavoli
che invasano l'anima umana, trasportò me e la mia valigia in un
piroscafo che partiva per Zaandam; m'imbarcò lo stesso giorno per
Alkmaar, la metropoli dei formaggi, e mi diede la stessa sera un
biglietto di seconda classe per Helder, la Gibilterra del nord.
Zaandam, vista dal golfo dell'Y, presenta l'aspetto d'una fortezza
coronata di torri innumerevoli, dall'alto delle quali i cittadini
chiedano soccorso, con segnali affrettati, a un esercito lontano. Son
centinaia di mulini altissimi che si alzano fra le case, sulle dighe,
lungo la spiaggia, per tutta la campagna circostante alla città; una
parte dei quali lavorano al prosciugamento delle terre, altri a far
l'olio di colza, che è una delle più importanti materie di commercio di
Zaandam; altri a ridurre in polvere una specie di tufo vulcanico portato
dal Reno, che serve a comporre un cemento particolare per le opere
idrauliche; altri a segar legna, a mondar orzo, a macinar colori, a
fabbricar carta, mostarda, smalto, corde, amido, paste. La città non si
vede che pochi minuti prima d'entrare nel porto.
È una vera veduta da scenario di ballo pastorale.
La città è fabbricata lungo le due rive d'un fiume, chiamato Zaan, che
si versa nell'Y, e intorno a un piccolo seno formato dall'Y medesimo,
che le serve di porto. Le due parti eguali in cui rimane divisa la
città, sono congiunte da un ponte, che s'alza per dar passo ai
bastimenti. Intorno al porto non ci sono che poche strade e poche case;
la parte principale di Zaandam si stende lungo le rive dello Zaan.
Il piroscafo s'avvicinò fino a toccar la riva: scesi, mi liberai da un
drappello di ciceroni, e in pochi minuti percorsi le strade principali.
Zaandam è un grande Broek, meno puerile e più bello del Broek piccino.
Le case sono di legno, d'un solo piano, colla facciata a punta, e quasi
tutte colorite di verde. Vi sono strade intere, nelle quali non si vede
altro colore, che paiono strade d'una città fatta di bosso e di
mortella. Come a Broek, i coppi dei tetti sono inverniciati, le finestre
ornate di tendine e di fiori, le strade ammattonate e pulite come il
pavimento d'una sala. Nei vetri, nelle lastre d'ottone delle porte,
negli oggetti esposti sui davanzali, da qualunque parte si guardi, si
vede riflessa la propria immagine. Tutta la città spira un'aria
d'allegria, di freschezza e d'innocenza, che innamora. È una città ricca
e popolosa, e sembra un piccolo villaggio. Ha tutti i tratti propri
delle città olandesi, ed insieme un non so che aspetto nuovo ed esotico,
che la fa parere immensamente lontana da tutte le altre.
Essendo giorno di festa, le strade principali eran piene di gente che
andava o tornava di chiesa. La prima cosa che mi colpì fu l'acconciatura
del capo delle donne. Portano, sotto un cappello coperto di fiori, una
specie di cuffia di trina, che scende fin sulle spalle, dalla quale
escono di qua e di là dalla fronte due nodi di capelli arricciolati e
stretti che paion ciocche di chicchi d'uva. Il cerchio d'oro o
d'argento, che stringe la testa, e luccica attraverso la trina di
codesta cuffia, termina sulle tempie in due lastrine quadrate dello
stesso metallo, rivolte verso chi guarda, con una rosetta nel mezzo.
Un'altra lastrina dorata e cesellata, una sorta di nastro metallico,
legato, non so come, al cerchio, attraversa obliquamente la fronte e
scende quasi fino a toccare la tempia opposta, o l'occhio, o
l'intracciglio, in modo che pare un pezzo del cerchio stesso, rotto e
lasciato spenzolare per negligenza o per vezzo. Due grossi spilloni
confitti verticalmente all'estremità del cerchio s'alzano come due corna
sopra le due ciocche di riccioli. Altri orecchini lunghissimi ciondolano
alle orecchie, il collo è ornato di più giri di collane, il seno di
borchie, di fermagli, di catenelle, da riempirne una vetrina di
gioielliere. Tutte le donne, con leggiere differenze, sono ornate così;
e son tutte bianche, rosee e vestite col medesimo cattivo gusto, in modo
che uno straniero non distingue alla prima la contadina dalla signora.
Non si può dir certo che quell'acconciatura del capo e quella
sovrabbondanza d'ornamenti sia bella ed elegante; ma pure quei visi
bianchi, in mezzo a quella trina e a quell'oro, quel misto di
principesco e di campagnuolo, di opulento e di rozzo, di pomposo e
d'ingenuo, ha una grazia tutta sua, che s'accorda mirabilmente
coll'aria, se così può dirsi, della città, e che finisce per piacere.
Anche le bambine hanno il loro diadema e le loro trine: gli uomini sono
la maggior parte vestiti di nero. Bambine, poi, uomini, ragazze, donne,
giovani, vecchi, hanno tutti un aspetto di gente contenta, un non so che
di primitivo, di verginale, di nuovo, che fa quasi parer strano che
siano europei del tempo nostro; che fa pensare di essere in un altro
continente e in un'altra civiltà; di trovarsi in un paese dove la
ricchezza fiorisca senza fatica, la vita scorra senza passioni, la
società si regga e si muova senz'attriti e senza scosse, e nessuno
desideri altro bene che la pace. E se mentre si pensa a questo,
l'orologio del campanile più vicino canta colle sue note argentine una
vecchia canzone nazionale, allora l'illusione è intera, e si vorrebbe
condurre a Zaandam la famiglia e gli amici, e finire in una di quelle
casette verdi i nostri giorni tranquilli.
Ma se tutta questa beatitudine non è che illusione, è un fatto però che
Zaandam è una delle più agiate città dell'Olanda, che in molte di quelle
casette verdi stanno dei costruttori di navi millionarii, e che non c'è
famiglia senza pane, nè ragazzo senza maestro.
Oltre a questo, Zaandam possiede quello che Napoleone I disse: «il più
bel monumento dell'Olanda» cioè la capanna di Pietro il Grande, in onore
del quale la città fu per un tempo ed è ancora chiamata da molti Czardam
o Saardam. Una squadra di ciceroni sussurra il nome di questa capanna
famosa nell'orecchio a tutti gli stranieri che arrivano a Zaandam, e si
può dire ch'essa è lo scopo unico di tutti coloro che vanno a visitare
questa città.
Quando e perchè il grande Imperatore sia andato a stare in quella
capanna, è noto a tutti. Dopo aver vinto i Tartari e i Turchi, ed essere
entrato trionfalmente in Mosca, il giovane czar volle fare un viaggio
nei principali Stati d'Europa per studiare le arti e le industrie.
Accompagnato da tre ambasciatori, quattro segretarii, dodici
gentiluomini, cinquanta guardie ed un nano, partì nell'aprile del 1697
dai suoi Stati, attraversò la Livonia, passò per la Prussia
brandeburghese, per la Pomerania, per Berlino, la Vestfalia, e arrivò ad
Amsterdam, quindici giorni prima del suo seguito. In questa città,
sconosciuto a tutti, passò qualche tempo negli arsenali
dell'ammiragliato; e quindi per imparare coi propri occhi e colle
proprie mani l'arte della costruzione delle navi, nella quale gli
Olandesi, in quel tempo, primeggiavano, si vestì da marinaio, e si recò
a Zaandam dov'erano i più famosi arsenali. Qui entrò col nome di Pietro
Michaeloff, nell'arsenale di un certo Mynheer Calf, si fece iscrivere
nel numero degli operai, lavorò da falegname, da ferraio, da cordaio, e
per tutto il tempo che rimase a Zaandam, andò vestito e si nutrì come i
suoi compagni di lavoro e dormì com'essi, in una casetta di legno, che è
quella che si vede oggigiorno. Quanto tempo sia stato in quella città,
non si sa di certo. V'è chi dice che ci sia stato qualche mese, v'è chi
crede con maggior ragione, che seccato della curiosità degli abitanti,
non ci sia stato che una settimana. Certo è che, ritornato in Amsterdam
dopo breve tempo, terminò colle sue mani, nell'arsenale della Compagnia
delle Indie, un vascello da sessanta cannoni; che studiò matematica,
fisica, geografia, anatomia, pittura, e che lasciò quella città nel
gennaio del 1698, per andare a Londra.
La famosa capanna si trova a un'estremità di Zaandam, in vista
dell'aperta campagna; ed è come incassata in un piccolo edifizio in
muratura che la regina d'Olanda, Anna Paulowna, russa di nascita, fece
costruire per difenderla dalle intemperie. È una vera casupola da
pescatori, di legno, composta di due piccole stanze, e talmente
sconnessa e sbilenca, che se non fosse puntellata dall'edifizio che la
circonda, un soffio di vento la butterebbe a terra. In una stanza vi
sono tre rozze scranne, una larga tavola, un letto ad armadio ed un
grande cammino dell'antica forma fiamminga. Nella seconda stanza vi sono
due grandi ritratti: uno di Pietro il Grande vestito da operaio, e
l'altro dell'imperatrice Carolina. Sul soffitto sono stese delle
bandiere russe e delle bandiere olandesi. La tavola, le pareti, le
imposte, le porte, le travi sono coperte di nomi, di versi, di sentenze,
d'iscrizioni di tutte le lingue del mondo. V'è una lastra di marmo su
cui è scritto:--_Petro magno Alexander_,--fatta porre dall'imperatore
Alessandro di Russia, in memoria della sua visita del 1814. Un'altra
lapide ricorda la visita fatta dal principe ereditario, ora czar, nel
1839, e c'è sotto una strofa d'un poeta russo che dice:--Sopra
quest'umile abituro aleggiano gli angeli santi. Isarevitch! inchínati.
Qui è la culla del tuo impero, qui nacque la grandezza della
Russia.--Altre lapidi rammentano visite di re e di principi, e colle
lapidi altre poesie e soprattutto iscrizioni russe che esprimono
l'entusiasmo e la gioia di gente arrivata alla mèta d'un sacro
pellegrinaggio. Una di queste iscrizioni ricorda che da quella
catapecchia il falegname Pietro Michaeloff dirigeva le mosse
dell'esercito moscovita, che combatteva contro i Turchi in Ucrania.
Uscendo di là, pensavo che se il giorno più glorioso della vita di
Pietro il Grande fu quello in cui s'addormentò sotto quella capanna dopo
aver lavorato per la prima volta colle proprie braccia, così il più
felice doveva essere stato quell'altro in cui, dopo diciotto anni egli
ci ritornava, nel colmo della sua potenza e della sua gloria, per
mostrare a Caterina il luogo dove facendo l'operaio aveva imparato a far
l'imperatore. Gli abitanti di Zaandam ricordano quel giorno con
orgoglio, e ne parlano come d'un avvenimento di cui sian stati
testimoni. La czarina era rimasta a Vesel per partorire; lo czar arrivò
a Zaandam solo. Ognuno può immaginare con che gioia e che alterezza
l'abbiano ricevuto quei negozianti, quei marinai, quei falegnami, che