Olanda - 16
settentrionale. La città è circondata di giardini, i quali verso la
fine di aprile e il principio di maggio si coprono d'una miriade di
tulipani, di giacinti, di garofani, di auricole, d'anemoni, di
ranuncoli, di camelie, di primavere, di cacti, di pelargonii, che
formano intorno ad Haarlem una immensa corona cui i viaggiatori di tutte
le parti del mondo rapiscono un mazzetto passando. Il giacinto, in
questi ultimi anni, è salito in grande onore; ma il tulipano è ancora il
re delle aiuole e il supremo amore dell'Olanda. Converrebbe poter
cangiare la penna col pennello del Van Huysum o del Menendez, per
descriver la pompa di quei colori arditi, lussuriosi, sfolgoranti, i
quali, se le sensazioni dell'occhio si potessero paragonare a quelle
dell'udito, si direbbe che son come grida e risa di gioia e d'amore nel
silenzio verde dei giardini; e che danno al capo come la musica
fragorosa d'una festa. Vi si vede il tulipano duca di Toll; i tulipani
detti precoci semplici, di più di seicento varietà; i doppi precoci; i
tardivi, divisi in unicolori, in fini, in sopraffini, in rettificati; i
fini, suddivisi ancora in violette, in rose, in bizardi; poi i mostruosi
o pappagalli, gl'ibridi, i ladri; classificati in mille ordini di
nobiltà e d'eleganza; tinti di tutte le sfumature che può concepire la
mente umana; macchiettati, striati, orlati, variegati, colle foglie a
onde, a frangie, a festoni; decorati di medaglie d'oro e d'argento;
distinti con mille nomi di generali, di pittori, di uccelli, di fiumi,
di poeti, di città, di regine, e mille aggettivi amorosi e spavaldi, che
rammentano le loro metamorfosi, le loro avventure e i loro trionfi, e
lasciano nella mente una dolcissima confusione d'immagini belle e di
pensieri gentili.
* * * * *
Dopo questo, mi pare di poter partire per Amsterdam, dove mi spinge una
curiosità irresistibile; e già metto il piede sul montatoio del treno, e
adocchio un bel posto vicino allo sportello del vagone; quando mi sento
afferrare per la falda, mi volto e vedo lo spettro d'un mio cortese
critico d'Italia, il quale mi dice in tuono di rimprovero: "Ma, e i
commerci, e le industrie, e gli stabilimenti di Haarlem, dove li ha
lasciati?"--"Ah! è vero" rispondo io; "lei è uno di quelli che vogliono
descrizione, guida, dizionario, trattato, indicatore, quadro statistico,
tutto in un libro? Ebbene, la voglio contentare. Sappia dunque che in
Haarlem c'è un ricchissimo museo d'istrumenti fisici, chimici, ottici,
idraulici, lasciato alla città da un Pietro Teyler van der Halst, con
una somma da destinarsi ogni anno a concorsi scientifici;--che c'è una
fonderia celebre di caratteri greci ed ebraici;--che ci sono parecchie
belle fabbriche di cotone fondate sotto il patronato di re Guglielmo
II;--che ci sono dei lavatoi di biancheria famosi in tutta l'Olanda." In
questo momento si sentì il fischio della partenza: "Un momento!" mi
gridò il critico cercando di trattenermi allo sportello, "che dimensioni
hanno le macchine elettriche del museo Teyler? Quanto producono anno
per anno le fabbriche di cotone? Che sapone s'adopera nei
lavatoi?...."--"Eh! mi lasci un po' in pace!" gli risposi, chiudendo lo
sportello mentre il treno era già in movimento; non lo sa il proverbio
che non si può cantare e portar la croce?
* * * * *
Ed ora a te, Amsterdam dalle novanta isole, Venezia del nord, regina del
Zuiderzee!
AMSTERDAM.
A due viaggiatori, uno poeta e uno ingegnere, che andassero insieme, per
la prima volta, da Haarlem ad Amsterdam, seguirebbe un caso che credo
non accada sovente: l'ingegnere si sentirebbe un po' poeta, e il poeta
desidererebbe di trovarsi nei panni dell'ingegnere. Tale è questo strano
paese, nel quale lo scrittore, per colpire l'immaginazione e destar
l'entusiasmo, non ha da far altro che noverare i chilometri, i metri
cubi d'acqua e gli anni di lavoro; onde un poema sull'Olanda sarebbe una
meschina cosa senza un'appendice piena di cifre, e una relazione
completa d'un ingegnere non avrebbe bisogno che del verso e della rima
per essere uno splendido poema.
Appena partito da Haarlem, il treno passa sur un bellissimo ponte di
ferro di sei archi, che accavalcia la Spaarne; il qual ponte,
immediatamente dopo il passaggio del treno, si apre, come per incanto,
nel mezzo, e lascia il varco libero ai bastimenti. Due soli uomini,
movendo una macchina a un segnale del cantoniere, staccano, in due
minuti, due archi del ponte, e in un tempo uguale, all'avvicinarsi d'un
altro treno, li ricongiungono. Poco dopo passato il ponte, si vedono
luccicare all'orizzonte le acque dell'Y.
Qui si prova più vivo che mai un certo sentimento d'inquietudine che
turba sovente chi viaggia per la prima volta in Olanda. La strada corre
sopra una striscia di terra che separa il fondo dell'antico mare
d'Haarlem dalle acque dell'Y; prolungamento, così chiamato per la sua
forma, del golfo di Zuiderzee, il quale s'addentra nelle terre, fra
Amsterdam e la Nord-Olanda, sino alle dune del Mare del Nord. Per
costrurre questa strada ferrata, che venne aperta nel 1839, prima del
prosciugamento del lago d'Haarlem, si dovette sovrapporre fascine a
fascine, palafitte a palafitte, pietre a pietre, sabbia a sabbia;
formare una sorta di istmo artificiale a traverso le paludi; comporre,
in una parola, il terreno, sul quale la strada doveva passare; e fu un
lavoro pieno di difficoltà e dispendiosissimo, che richiede tuttora cure
e spese continue. Questa lingua di terra si va assottigliando fino ad
Halfweg, che è la sola stazione compresa fra Haarlem ed Amsterdam. Qui
le acque dell'Y e il fondo del lago prosciugato sono divisi da cateratte
colossali, alle quali è affidata l'esistenza d'una buona parte
dell'Olanda meridionale. Se queste cateratte si aprissero, la città
d'Amsterdam, centinaia di villaggi, tutto l'antico lago, una distesa di
terra di cinquanta chilometri sarebbe invasa e devastata dalle acque. Il
prosciugamento del lago d'Haarlem ha scemato questo pericolo; ma non
l'ha tolto; e però ad Halfweg è stabilita una direzione speciale della
così detta amministrazione delle acque, che custodisce quelle termopili
dell'Olanda, coll'occhio sul nemico e la mano sull'armi.
Passata la stazione di Halfweg, si vede a sinistra, di là dal golfo
dell'Y, un movimento confuso come di migliaia d'alberi di bastimenti
sbattuti dalla tempesta, che si tuffino e si rituffino nel mare; e sono
le braccia di centinaia di mulini a vento mezzo nascosti dalle dighe, i
quali si stendono lungo la riva della Nord-Olanda, nei dintorni della
città di Zandam, in faccia ad Amsterdam. Poco dopo, apparisce Amsterdam.
Al primo aspetto di questa città, anche dopo aver visto tutte le altre
dell'Olanda, non si può trattenere un movimento di meraviglia. È una
foresta di altissimi mulini a vento della forma di torrioni, di
campanili, di fari, di piramidi, di coni tronchi, di case aeree, che
agitano da tutte le parti le loro enormi braccia incrociate, e formano
al disopra dei tetti e delle cupole un roteamento immenso come d'un
nuvolo d'uccelli mostruosi che battan le ali sulla città. In mezzo a
questi mulini, s'alzano innumerevoli torricciuole d'officine, alberi di
bastimento, campanili di architettura fantastica, cime di edifizi
bizzarri, pinacoli, punte, forme sconosciute; più lontano si vedono
altre ali di mulino fitte e intricate, che paiono una vastissima rete
sospesa nell'aria; tutta la città è nera; il cielo basso ed inquieto; è
uno spettacolo grandioso, confuso e strano, visto il quale, si entra in
Amsterdam con una vivissima curiosità.
* * * * *
Il primo effetto che produce questa città, appena si sono percorse
alcune strade, è difficile ad esprimersi. Pare una città immensa e
disordinata; Venezia ingigantita e imbruttita; una città olandese, sì,
ma vista a traverso una lente che la faccia apparire tre volte più
grande; la capitale d'un'Olanda immaginaria di cinquanta milioni
d'abitanti; una metropoli antica, fondata da un popolo di giganti sul
delta d'un fiume smisurato, per servir di porto a una flotta di
diecimila navi; una città maestosa, severa, quasi lugubre, che desta un
sentimento di stupore, sul quale s'ha bisogno di pensare.
* * * * *
La città, posta sulla riva dell'Y, è fabbricata sopra novanta isole,
quasi tutte di forma rettangolare, congiunte fra loro da circa
trecentocinquanta ponti. La sua figura è un perfetto semicircolo,
percorso da tanti canali in forma d'archi concentrici a quello che
chiude la città, e attraversati da altri canali convergenti al centro,
come i fili d'una tela di ragno. Un largo corso d'acqua, chiamato
l'Amstel (il quale forma colla parola _dam_, diga, il nome d'Amsterdam)
divide la città in due parti quasi uguali, e si va a gettare nell'Y.
Quasi tutte le case sono fabbricate su palafitte per il che suol dirsi
che la città di Amsterdam, rovesciata, presenterebbe lo spettacolo d'una
grande foresta senza fronde e senza rami; e quasi tutti i canali son
fiancheggiati da due larghe strade e da due file di tigli.
* * * * *
Questa regolarità di forma per la quale la vista può spaziare da tutte
le parti, dà alla città un aspetto ammirabilmente grandioso. Ad ogni
voltata di strada, si vedono nella nuova direzione, tre, quattro,
persino sei ponti levatoi, quale ritto, quale abbassato, quale in
movimento, i quali presentano all'occhio una fuga di porte, e una
confusione inestricabile di travi e di catene, da far pensare che
Amsterdam sia composta di tanti quartieri nemici fra loro e fortificati
gli uni contro gli altri. I canali, grandi come fiumi, formano qua e là
svolti e bacini spaziosi, intorno ai quali si gira, passando sur una
successione di ponti congiunti gli uni agli altri. Da tutti i crocicchi
si vedono prospetti lontani d'altri ponti, di altri canali, di
bastimenti, di edifizi, velati da una leggera nebbia che fa apparire
maggiore la lontananza.
* * * * *
Le case, quasi tutte altissime, rispetto a quelle delle altre città
olandesi, nere, colle finestre e le porte contornate di bianco, colle
facciate a punta e a scalini, decorate di bassorilievi che rappresentano
urne, fiori ed animali; sono quasi tutte difese sul davanti da
colonnette, balaustrate, stecconati, catene, sbarre di ferro, e divise
le une dalle altre da muriccioli ed assiti; e dentro queste specie di
fortezze avanzate che ingombrano una buona parte della strada, vi son
tavolini, panche con vasi di fiori, seggiole, secchie, carrette, ceste,
carcasse di vecchi mobili; così che a guardar le strade da una delle
estremità, pare che gli abitanti abbian portato fuori tutta la roba di
casa per una sgomberatura universale. Moltissime case hanno un piano
sottostante alla strada, al quale si scende per una scaletta di legno o
di pietra; e in quel vacuo tra la strada e il muro, ci sono altri vasi
di fiori, suppellettili, mercanzie esposte in vendita, gente che lavora,
tutto un mondo sotterraneo che brulica ai piedi di chi passa.
* * * * *
Le strade principali presentano uno spettacolo unico al mondo. I canali
sono coperti di bastimenti e di barconi; e sulle strade che li
fiancheggiano, si vedono da una parte mucchi di botti, di casse, di
sacchi, di balle; dall'altra una fila di botteghe splendide. Di qui
formicola il popolo in soprabito, le signore, le fantesche, i
merciaiuoli ambulanti, i bottegai; di là il popolo rozzo e vagante dei
marinai e dei battellieri colle loro mogli e i loro bambini. A destra si
ode il vivace cicaleccio cittadino, a sinistra le grida acute e lente
della gente di mare. Da un lato si sente il profumo dei fiori che
adornan le finestre e l'odore ghiotto delle trattorie; dall'altro il
puzzo di catrame e il fumo delle povere cucine delle barche a vela. Qui
si alza un ponte levatoio per dar passo a un bastimento; là si affolla
la gente per passare sopra un ponte spezzato che si ricompone; più oltre
una zattera traghetta un gruppo di persone all'altra riva del canale; in
fondo alla strada, parte un battello a vapore; dall'estremità opposta
entra una fila di barconi carichi; qui si apre una cateratta; lì scivola
un _trekschuit_; poco distante gira un mulino, laggiù si piantano le
palafitte per una nuova casa. Il cigolío delle catene dei ponti si mesce
collo strepito dei carri, il fischio dei piroscafi rompe le ariette dei
campanili, i cordami dei bastimenti s'intralciano colle fronde degli
alberi, la carrozza passa accanto alla barca, la bottega si specchia nel
canale, le vele si riflettono nelle vetrine, la vita di terra e la vita
di mare si rasentano, s'incrociano, passano l'una sull'altra, e si
confondono in uno spettacolo nuovo ed allegro come una festa d'alleanza
e di pace.
* * * * *
Se dalle strade principali uno si addentra nei vecchi quartieri, lo
spettacolo cangia affatto. Le strade più strette di Toledo, i vicoli più
oscuri di Genova, le case più squilibrate di Rotterdam, non son nulla in
confronto della strettezza, dell'oscurità e dello scompiglio
architettonico che si vede in quei quartieri. Le strade paiono crepe
aperte dal terremoto. Le case alte e nere, mezzo nascoste dai cenci
stesi sulle finestre e appesi alle corde, sono inclinate a segno da
metter paura; alcune sono ripiegate sopra sè stesse, come se fossero sul
punto di spezzarsi; altre si toccano quasi coi tetti, non lasciando
vedere che un filo di cielo; altre pendono da due parti opposte,
presentando la forma d'un trapezio rovesciato; e paion case da
palcoscenico nell'atto che son portate via per cangiare la scena. Furon
costrutte così appositamente per lo scolo delle acque, o s'inclinarono
perchè cedette il terreno? V'è chi crede la prima e chi la seconda cosa;
ma i più le credon tutte e due, il che mi pare più ragionevole. Ed anche
in quei labirinti, dove formicola una plebe pallida e trista per la
quale un raggio di sole è una benedizione di Dio, si vedono vasi di
fiori, specchietti e tendinette alle finestre, che rivelano una povertà
non scompagnata dal gentile amor della casa.
* * * * *
La parte più pittoresca della città è quella compresa nella curva
dell'Amstel, intorno alla grande piazza del Nuovo Mercato. Là si vedono
crocicchi di strade tenebrose e di canali deserti, piazzette solitarie
circondate da muri che sgocciolano acqua, case filigginose, muffose,
screpolate, decrepite, bagnate da acque morte ed immonde; vasti
magazzini, con tutte le porte e le finestre chiuse; barche e barconi
abbandonati in fondo a canali senza uscita, che hanno l'aria di
aspettare dei congiurati o delle streghe; mucchi di materiali da
costruzione, che presentan l'aspetto di avanzi d'incendio o di rovina;
bacini coperti d'erba e chiassuoli fangosi; muri, acqua, ponti, tutto
nero e tetro, da destare in chi passi di là per la prima volta, un
sentimento di inquietudine, come se ci spirasse la minaccia di qualche
sventura.
* * * * *
Chi ama i contrasti, non ha che da recarsi da questa parte della città
nella piazza chiamata il _dam_, dove convergono le strade principali, e
si trova il Palazzo Reale, la Borsa, la Nuova Chiesa e il monumento
detto la Croce di Metallo, innalzato in commemorazione della guerra del
1830. Là v'è un movimento fittissimo e continuo di gente e di carrozze,
che rammenta lo _square_ di Trafalgar di Londra, la Porta del Sole di
Madrid e la piazza della Maddalena di Parigi. Stando là un'ora si gode
il più svariato spettacolo che si possa vedere in Olanda. Passano
faccioni rossi e petulanti dell'alto patriziato mercantile, volti
abbronzati delle colonie, stranieri di tutte le gradazioni di biondo,
ciceroni, suonatori d'organetti, ambasciatori della morte col lungo velo
nero, cuffiette bianche di fantesche, panciotti variopinti di pescatori
del Zuiderzee, orecchini a paraocchi delle donne della Nord-Olanda,
diademi d'argento della Frisia, caschetti dorati della Groninga, camicie
gialle dei lavoratori delle torbiere, gonnelle metà nere e metà rosse
delle orfane degli ospizi, vestiti bizzarri degli abitanti delle isole,
_cignons_ spropositati, cappelli da carnovale; grandi spalle, grandi
fianchi, grandi ventri, e tutta questa processione avvolta dal fumo dei
sigari e delle pipe, e accompagnata da un suono di parole tedesche,
olandesi, inglesi, francesi, fiamminghe, danesi, da credere d'essere
capitati nella valle di Giosafat o ai piedi della torre di Babele.
* * * * *
Dalla piazza del Dam si arriva in pochi minuti al porto, che offre
anch'esso uno spettacolo grandioso e strano oltre ogni dire. A primo
aspetto, non ci si capisce nulla. Si vedono da ogni parte dighe, ponti,
cateratte, palizzate, bacini, che presentano l'immagine d'un'immensa
fortezza costrutta così astutamente, perchè nessuno riesca a
raccapezzarne la forma; e non ci si riesce infatti che per mezzo della
carta e dopo una passeggiata di parecchie ore. Dal mezzo della città,
alla distanza di mille metri l'una dall'altra, partono in direzione
opposta due gran dighe arcate che abbracciano e difendono dal mare le
due estremità di Amsterdam sporgenti oltre il semicircolo delle sue case
come le punte d'una mezza luna. Queste due dighe che hanno ciascuna una
gran porta munita d'una cateratta gigantesca, racchiudono due bacini
capaci di mille bastimenti d'alto bordo e parecchie isolette sulle quali
son magazzini, arsenali, opificii, dove lavorano migliaia d'operai. Fra
le due grandi dighe s'avanzano parecchie dighe minori, formate di
robuste palizzate, che servono di stazione d'imbarco per i battelli a
vapore. In tutte queste dighe s'innalzano case, tettoie, baracche, fra
le quali formicola una folla di marinai, di passeggieri, di facchini, di
donne, di ragazzi, di carrozze, di carri, chiamati là dalle partenze e
dagli arrivi che si succedono rapidamente dal far del giorno alla sera.
Dai punti avanzati di codeste dighe si abbraccia con uno sguardo
l'intero porto: le due foreste di navigli dalle bandiere di mille
colori, racchiusi nei due grandi bacini; i bastimenti che arrivano dal
gran canale del Nord, e che entrano a vele spiegate nel mare di
Zuiderzee; i barconi e le barche che s'incrociano da tutte le parti del
golfo; la costa verde della Nord-Olanda; i cento mulini di Zandam: la
lunghissima schiera delle prime case di Amsterdam che disegnano sul
cielo le loro mille punte nere; le innumerevoli colonne di fumo
filigginoso, che s'alzano dalla città sull'orizzonte grigio; e quando le
nuvole sono in moto, una continua, rapidissima, meravigliosa variazione
di colori e d'aspetti, per la quale ora sembra di essere nel più gaio,
ora nel più tristo paese del mondo.
* * * * *
Ritornando in città, per osservare particolarmente gli edifizii, i primi
a chiamar l'attenzione sono i campanili. In Amsterdam ci sono templi di
tutte le religioni: sinagoghe, chiese per i riformati calvinisti, chiese
pei luterani della confessione Ausburgo strettamente osservata, chiese
per i luterani della confessione d'Ausburgo osservata largamente, chiese
per i rimostranti, per i mennoniti, per i valloni, per gl'inglesi
episcopali, per gl'inglesi presbiteriani, per i cattolici, per i greci
scismatici; e ognuno di questi templi innalza al cielo un campanile che
par stato fatto per vincere tutti gli altri di originalità e di
bizzarria. Quello che dice Vittor Hugo degli architetti fiamminghi, i
quali fabbricarono dei campanili ponendo un'insalatiera rovesciata sopra
un berretto da giudice, una zuccheriera sopra l'insalatiera, una
bottiglia sulla zuccheriera, e un ostensorio sulla bottiglia, si può
riferire in parte anche ai campanili d'Amsterdam. Alcuni son formati di
chioschi o di tempietti sovrapposti, altri di tante torricine che paiono
tirate fuori l'una dall'altra, in modo che a dare un colpo sulla più
alta, tutto il campanile si debba accorciare come un cannocchiale; altri
son sottili come minareti, quasi interamente costrutti di ferro, ornati,
dorati, traforati, trasparenti; altri coronati dal mezzo in su di
terrazzini, di balaustrate, di archi, di colonne; quasi tutti poi
sormontati da un globo o da una corona di ferro della forma d'un bulbo,
sulla quale posa un'altra corona, che regge alla sua volta una palla, la
quale sostiene un'asta, in cui è confitto ancora qualche altro oggetto,
che forse non è l'ultimo neanch'esso; tal quale come le torricciuole che
fanno i ragazzi, sovrapponendo tutti i ninnoli che cascan loro nelle
mani.
Fra gli edifizii monumentali, che non sono molti, v'è il palazzo reale,
il primo dei palazzi d'Olanda, costrutto tra il 1648 e il 1655, sopra
tredicimilaseicentocinquantanove palafitte; grandioso, pesante e nero;
del quale il più bell'ornamento è una sala da ballo che si dice la più
vasta d'Europa, e il maggiore difetto, quello di non avere portone, per
il che vien chiamato comunemente la casa senza porta. Per contrapposto,
l'edifizio della Borsa che gli sorge dirimpetto, fondato su
trentaquattromila palafitte, perchè non ha di notevole che un peristilio
di diciassette colonne, si chiama la porta senza casa; bisticcio che
ogni olandese si fa un dovere di ripetere agli stranieri, sorridendo
impercettibilmente coll'estremità delle labbra. Chi capita ad Amsterdam
nella prima settimana della Kermesse, ch'è il carnevale dell'Olanda, può
vedere in questo edifizio uno spettacolo curiosissimo. Per sette giorni,
nelle ore in cui non si fanno affari, la Borsa è aperta a tutta la
ragazzaglia della città, che v'irrompe, facendo uno strepito infernale
di pifferi, di tamburi e di grida; licenza che, se è vera la tradizione,
sarebbe stata concessa dal Municipio in onore di alcuni ragazzi, i
quali, al tempo della guerra d'indipendenza, giocherellando presso
l'antica Borsa, scopersero gli Spagnuoli che si preparavano a far
saltare in aria l'edifizio con un naviglio pieno di polvere, corsero a
darne avviso ai cittadini, e mandarono così a vuoto il tentativo dei
nemici. Oltre il palazzo reale e la Borsa, sono un bell'ornamento di
Amsterdam il palazzo dell'industria, fatto di cristallo e di ferro, e
sormontato da una cupola leggerissima, che da lontano, quando vi batte
il sole, gli dà l'aspetto d'una grande moschea; e come monumenti
storici, le vecchie torri che s'alzano sulla riva del porto.
* * * * *
Fra queste torri ve n'è una che si chiama _Torre dell'angolo dei
piangenti_ o _Torre delle lagrime_, perchè là s'imbarcavano altre volte
i marinai olandesi per lunghissimi viaggi, e le loro famiglie andavano
presso quella torre per salutarli e vederli partire, e piangevano. Sopra
la porta v'è un rozzo bassorilievo segnato della data 1569, il quale
rappresenta il porto, una nave che parte, e una donna che piange; e fu
posto in commemorazione della moglie d'un marinaio, che morì di dolore
per la partenza di suo marito.
È stato osservato che quasi tutti gli stranieri che vanno a veder quella
torre, dopo aver dato un'occhiata al bassorilievo e alla _Guida_ che ne
spiega il significato, si voltano verso il mare come per cercare il
bastimento che parte, e rimangono qualche tempo pensierosi. A che cosa
pensano? Forse a quello che pensai io stesso. Seguono quel bastimento
nei mari artici, alla pesca delle balene o alla ricerca d'una nuova via
per le Indie, e alla loro mente si spiega come una visione l'epopea
tremenda della marina olandese in mezzo agli orrori del polo: i mari
ingombri di ghiaccio, il freddo che fa cadere a brani la pelle delle
mani e del viso, gli orsi bianchi che s'avventano sui marinai, e spezzan
le armi coi denti; i cavalli marini che accorrono a stormi furiosi per
rovesciare le scialuppe; le rocce di ghiaccio mulinate dalle onde e dal
vento, e le vaste pianure ghiacciate e mobili che s'incontrano,
imprigionano e stritolano le flotte; le isole deserte sparse di cadaveri
di marinai, di carcasse di navi, di cinture di cuoio rosicchiate nella
disperazione dell'agonia dagl'infelici che morirono di fame; poi le
frotte di balene che volteggiano intorno ai navigli, le formidabili
contorsioni del mostro ferito nelle acque insanguinate, le barche
rovesciate dai colpi di coda, i pescatori che cascan nel mare, e vi
rimangono irrigiditi, i naufraghi erranti seminudi nella nebbia e nelle
tenebre, le fosse scavate nel ghiaccio e ricoperte col ghiaccio per
ripararsi dalle fiere, i sonni che finiscono colla morte. Poi ancora
sconfinate solitudini bianche e brumose, dove non si sente altro rumore
che quello dei remi delle scialuppe ripercosso dalle caverne e i gridi
lamentevoli delle foche; poi altri deserti dove non è più traccia di
vita, le montagne di ghiaccio incommensurate, gl'immensi spazi ignoti,
le nevi secolari, l'inverno eterno, la tristezza solenne delle notti del
polo, il silenzio infinito in cui l'anima si spaura, i marinai consunti,
trasfiguriti, moribondi, che s'inginocchiano sul ponte, e giungono le
mani verso l'orizzonte infocato dall'aurora boreale, chiedendo a Dio di
rivedere il sole e la patria. Scienziati, mercatanti, poeti, tutti
s'inchinano a quelle umili avanguardie che hanno tracciato coi loro
scheletri sulle nevi immaculate del polo il primo sentiero della vita.
* * * * *
Da questa torre, voltando a destra, e seguitando a camminare lungo il
porto, si arriva alla Plantaadije, vasto quartiere composto di due isole
congiunte da molti ponti, nel quale c'è un parco, un giardino zoologico,
un giardino botanico, un passeggio pubblico, che formano una grande oasi
verde ed allegra in mezzo alle acque livide e alle case nere. Là
concerti musicali, là feste notturne, là il fiore della bellezza
amsterdamese; fiore che, per buona fortuna dei viaggiatori di fibra
sensitiva, spande un profumo soave; ma che non dà al capo. Dal qual
pericolo, in ogni caso, non c'è miglior rifugio che il giardino
zoologico, proprietà d'una società di quindicimila soci; il più bel
giardino zoologico d'Olanda, che pure ne ha dei bellissimi, e uno dei
più ricchi d'Europa; nel quale si scorda facilmente in mezzo alle
salamandre massime del Giappone, ai serpenti boa di lava e ai _bradypi
didactyli_ di Surinam, i visetti pallidi e gli occhi azzurri delle belle
calviniste.
Dalla Plantaadije, passando su parecchi ponti, e fiancheggiando diversi
canali, si arriva sulla grande piazza del _Boter Markt_, dove c'è una
statua gigantesca del Rembrandt e l'ufficio del consolato italiano. Da
questa piazza si va al quartiere degli Ebrei che è una delle meraviglie
di Amsterdam.
* * * * *
Per andarci, domandai la strada al nostro gentilissimo console, il quale
mi rispose:--Cammini diritto fin che non si trovi in un quartiere
infinitamente più sudicio di tutti quelli ch'ella ha considerati finora
come il _non plus ultra_ del sudiciume; quello è il ghetto; non può
sbagliare.--Andai innanzi, ognuno può immaginare con che aspettazione;
passai accanto a una sinagoga; mi soffermai un momento in un crocicchio;
poi presi la strada più stretta, e in capo a pochi minuti, riconobbi il
ghetto. La mia aspettazione fu superata.
È un labirinto di strade strette, fangose e cupe, fiancheggiate da case
vecchissime, che pare debbano cadere in rovina a dare un calcio nel
muro. Dalle corde tese fra finestra e finestra, dai davanzali, dai
chiodi piantati nelle porte, spenzolano e svolazzano sui muri umidi
camicie sbrandellate, gonnelle rappezzate, vestiti unti, lenzuoli
macchiati, calzoni cenciosi. Davanti alle porte e sugli scalini rotti,
in mezzo alle cancellate cadenti, sono esposte le vecchie mercanzie.
Rottami di mobili, frammenti d'armi, oggetti di divozione, brandelli
d'uniformi, avanzi di strumenti, frantumi di giocattoli, ferramenti,
cocci, frangie, cenci, tutte le cose che non han più nome in alcuna
lingua umana, tutto quello che hanno guasto e disperso la ruggine, il
tarlo, il foco, la rovina, il disordine, la dissipazione, le malattie,
la miseria, la morte; tutto quello che i servitori spazzano, che i
rigattieri ributtano, che i mendicanti calpestano, che gli animali
fine di aprile e il principio di maggio si coprono d'una miriade di
tulipani, di giacinti, di garofani, di auricole, d'anemoni, di
ranuncoli, di camelie, di primavere, di cacti, di pelargonii, che
formano intorno ad Haarlem una immensa corona cui i viaggiatori di tutte
le parti del mondo rapiscono un mazzetto passando. Il giacinto, in
questi ultimi anni, è salito in grande onore; ma il tulipano è ancora il
re delle aiuole e il supremo amore dell'Olanda. Converrebbe poter
cangiare la penna col pennello del Van Huysum o del Menendez, per
descriver la pompa di quei colori arditi, lussuriosi, sfolgoranti, i
quali, se le sensazioni dell'occhio si potessero paragonare a quelle
dell'udito, si direbbe che son come grida e risa di gioia e d'amore nel
silenzio verde dei giardini; e che danno al capo come la musica
fragorosa d'una festa. Vi si vede il tulipano duca di Toll; i tulipani
detti precoci semplici, di più di seicento varietà; i doppi precoci; i
tardivi, divisi in unicolori, in fini, in sopraffini, in rettificati; i
fini, suddivisi ancora in violette, in rose, in bizardi; poi i mostruosi
o pappagalli, gl'ibridi, i ladri; classificati in mille ordini di
nobiltà e d'eleganza; tinti di tutte le sfumature che può concepire la
mente umana; macchiettati, striati, orlati, variegati, colle foglie a
onde, a frangie, a festoni; decorati di medaglie d'oro e d'argento;
distinti con mille nomi di generali, di pittori, di uccelli, di fiumi,
di poeti, di città, di regine, e mille aggettivi amorosi e spavaldi, che
rammentano le loro metamorfosi, le loro avventure e i loro trionfi, e
lasciano nella mente una dolcissima confusione d'immagini belle e di
pensieri gentili.
* * * * *
Dopo questo, mi pare di poter partire per Amsterdam, dove mi spinge una
curiosità irresistibile; e già metto il piede sul montatoio del treno, e
adocchio un bel posto vicino allo sportello del vagone; quando mi sento
afferrare per la falda, mi volto e vedo lo spettro d'un mio cortese
critico d'Italia, il quale mi dice in tuono di rimprovero: "Ma, e i
commerci, e le industrie, e gli stabilimenti di Haarlem, dove li ha
lasciati?"--"Ah! è vero" rispondo io; "lei è uno di quelli che vogliono
descrizione, guida, dizionario, trattato, indicatore, quadro statistico,
tutto in un libro? Ebbene, la voglio contentare. Sappia dunque che in
Haarlem c'è un ricchissimo museo d'istrumenti fisici, chimici, ottici,
idraulici, lasciato alla città da un Pietro Teyler van der Halst, con
una somma da destinarsi ogni anno a concorsi scientifici;--che c'è una
fonderia celebre di caratteri greci ed ebraici;--che ci sono parecchie
belle fabbriche di cotone fondate sotto il patronato di re Guglielmo
II;--che ci sono dei lavatoi di biancheria famosi in tutta l'Olanda." In
questo momento si sentì il fischio della partenza: "Un momento!" mi
gridò il critico cercando di trattenermi allo sportello, "che dimensioni
hanno le macchine elettriche del museo Teyler? Quanto producono anno
per anno le fabbriche di cotone? Che sapone s'adopera nei
lavatoi?...."--"Eh! mi lasci un po' in pace!" gli risposi, chiudendo lo
sportello mentre il treno era già in movimento; non lo sa il proverbio
che non si può cantare e portar la croce?
* * * * *
Ed ora a te, Amsterdam dalle novanta isole, Venezia del nord, regina del
Zuiderzee!
AMSTERDAM.
A due viaggiatori, uno poeta e uno ingegnere, che andassero insieme, per
la prima volta, da Haarlem ad Amsterdam, seguirebbe un caso che credo
non accada sovente: l'ingegnere si sentirebbe un po' poeta, e il poeta
desidererebbe di trovarsi nei panni dell'ingegnere. Tale è questo strano
paese, nel quale lo scrittore, per colpire l'immaginazione e destar
l'entusiasmo, non ha da far altro che noverare i chilometri, i metri
cubi d'acqua e gli anni di lavoro; onde un poema sull'Olanda sarebbe una
meschina cosa senza un'appendice piena di cifre, e una relazione
completa d'un ingegnere non avrebbe bisogno che del verso e della rima
per essere uno splendido poema.
Appena partito da Haarlem, il treno passa sur un bellissimo ponte di
ferro di sei archi, che accavalcia la Spaarne; il qual ponte,
immediatamente dopo il passaggio del treno, si apre, come per incanto,
nel mezzo, e lascia il varco libero ai bastimenti. Due soli uomini,
movendo una macchina a un segnale del cantoniere, staccano, in due
minuti, due archi del ponte, e in un tempo uguale, all'avvicinarsi d'un
altro treno, li ricongiungono. Poco dopo passato il ponte, si vedono
luccicare all'orizzonte le acque dell'Y.
Qui si prova più vivo che mai un certo sentimento d'inquietudine che
turba sovente chi viaggia per la prima volta in Olanda. La strada corre
sopra una striscia di terra che separa il fondo dell'antico mare
d'Haarlem dalle acque dell'Y; prolungamento, così chiamato per la sua
forma, del golfo di Zuiderzee, il quale s'addentra nelle terre, fra
Amsterdam e la Nord-Olanda, sino alle dune del Mare del Nord. Per
costrurre questa strada ferrata, che venne aperta nel 1839, prima del
prosciugamento del lago d'Haarlem, si dovette sovrapporre fascine a
fascine, palafitte a palafitte, pietre a pietre, sabbia a sabbia;
formare una sorta di istmo artificiale a traverso le paludi; comporre,
in una parola, il terreno, sul quale la strada doveva passare; e fu un
lavoro pieno di difficoltà e dispendiosissimo, che richiede tuttora cure
e spese continue. Questa lingua di terra si va assottigliando fino ad
Halfweg, che è la sola stazione compresa fra Haarlem ed Amsterdam. Qui
le acque dell'Y e il fondo del lago prosciugato sono divisi da cateratte
colossali, alle quali è affidata l'esistenza d'una buona parte
dell'Olanda meridionale. Se queste cateratte si aprissero, la città
d'Amsterdam, centinaia di villaggi, tutto l'antico lago, una distesa di
terra di cinquanta chilometri sarebbe invasa e devastata dalle acque. Il
prosciugamento del lago d'Haarlem ha scemato questo pericolo; ma non
l'ha tolto; e però ad Halfweg è stabilita una direzione speciale della
così detta amministrazione delle acque, che custodisce quelle termopili
dell'Olanda, coll'occhio sul nemico e la mano sull'armi.
Passata la stazione di Halfweg, si vede a sinistra, di là dal golfo
dell'Y, un movimento confuso come di migliaia d'alberi di bastimenti
sbattuti dalla tempesta, che si tuffino e si rituffino nel mare; e sono
le braccia di centinaia di mulini a vento mezzo nascosti dalle dighe, i
quali si stendono lungo la riva della Nord-Olanda, nei dintorni della
città di Zandam, in faccia ad Amsterdam. Poco dopo, apparisce Amsterdam.
Al primo aspetto di questa città, anche dopo aver visto tutte le altre
dell'Olanda, non si può trattenere un movimento di meraviglia. È una
foresta di altissimi mulini a vento della forma di torrioni, di
campanili, di fari, di piramidi, di coni tronchi, di case aeree, che
agitano da tutte le parti le loro enormi braccia incrociate, e formano
al disopra dei tetti e delle cupole un roteamento immenso come d'un
nuvolo d'uccelli mostruosi che battan le ali sulla città. In mezzo a
questi mulini, s'alzano innumerevoli torricciuole d'officine, alberi di
bastimento, campanili di architettura fantastica, cime di edifizi
bizzarri, pinacoli, punte, forme sconosciute; più lontano si vedono
altre ali di mulino fitte e intricate, che paiono una vastissima rete
sospesa nell'aria; tutta la città è nera; il cielo basso ed inquieto; è
uno spettacolo grandioso, confuso e strano, visto il quale, si entra in
Amsterdam con una vivissima curiosità.
* * * * *
Il primo effetto che produce questa città, appena si sono percorse
alcune strade, è difficile ad esprimersi. Pare una città immensa e
disordinata; Venezia ingigantita e imbruttita; una città olandese, sì,
ma vista a traverso una lente che la faccia apparire tre volte più
grande; la capitale d'un'Olanda immaginaria di cinquanta milioni
d'abitanti; una metropoli antica, fondata da un popolo di giganti sul
delta d'un fiume smisurato, per servir di porto a una flotta di
diecimila navi; una città maestosa, severa, quasi lugubre, che desta un
sentimento di stupore, sul quale s'ha bisogno di pensare.
* * * * *
La città, posta sulla riva dell'Y, è fabbricata sopra novanta isole,
quasi tutte di forma rettangolare, congiunte fra loro da circa
trecentocinquanta ponti. La sua figura è un perfetto semicircolo,
percorso da tanti canali in forma d'archi concentrici a quello che
chiude la città, e attraversati da altri canali convergenti al centro,
come i fili d'una tela di ragno. Un largo corso d'acqua, chiamato
l'Amstel (il quale forma colla parola _dam_, diga, il nome d'Amsterdam)
divide la città in due parti quasi uguali, e si va a gettare nell'Y.
Quasi tutte le case sono fabbricate su palafitte per il che suol dirsi
che la città di Amsterdam, rovesciata, presenterebbe lo spettacolo d'una
grande foresta senza fronde e senza rami; e quasi tutti i canali son
fiancheggiati da due larghe strade e da due file di tigli.
* * * * *
Questa regolarità di forma per la quale la vista può spaziare da tutte
le parti, dà alla città un aspetto ammirabilmente grandioso. Ad ogni
voltata di strada, si vedono nella nuova direzione, tre, quattro,
persino sei ponti levatoi, quale ritto, quale abbassato, quale in
movimento, i quali presentano all'occhio una fuga di porte, e una
confusione inestricabile di travi e di catene, da far pensare che
Amsterdam sia composta di tanti quartieri nemici fra loro e fortificati
gli uni contro gli altri. I canali, grandi come fiumi, formano qua e là
svolti e bacini spaziosi, intorno ai quali si gira, passando sur una
successione di ponti congiunti gli uni agli altri. Da tutti i crocicchi
si vedono prospetti lontani d'altri ponti, di altri canali, di
bastimenti, di edifizi, velati da una leggera nebbia che fa apparire
maggiore la lontananza.
* * * * *
Le case, quasi tutte altissime, rispetto a quelle delle altre città
olandesi, nere, colle finestre e le porte contornate di bianco, colle
facciate a punta e a scalini, decorate di bassorilievi che rappresentano
urne, fiori ed animali; sono quasi tutte difese sul davanti da
colonnette, balaustrate, stecconati, catene, sbarre di ferro, e divise
le une dalle altre da muriccioli ed assiti; e dentro queste specie di
fortezze avanzate che ingombrano una buona parte della strada, vi son
tavolini, panche con vasi di fiori, seggiole, secchie, carrette, ceste,
carcasse di vecchi mobili; così che a guardar le strade da una delle
estremità, pare che gli abitanti abbian portato fuori tutta la roba di
casa per una sgomberatura universale. Moltissime case hanno un piano
sottostante alla strada, al quale si scende per una scaletta di legno o
di pietra; e in quel vacuo tra la strada e il muro, ci sono altri vasi
di fiori, suppellettili, mercanzie esposte in vendita, gente che lavora,
tutto un mondo sotterraneo che brulica ai piedi di chi passa.
* * * * *
Le strade principali presentano uno spettacolo unico al mondo. I canali
sono coperti di bastimenti e di barconi; e sulle strade che li
fiancheggiano, si vedono da una parte mucchi di botti, di casse, di
sacchi, di balle; dall'altra una fila di botteghe splendide. Di qui
formicola il popolo in soprabito, le signore, le fantesche, i
merciaiuoli ambulanti, i bottegai; di là il popolo rozzo e vagante dei
marinai e dei battellieri colle loro mogli e i loro bambini. A destra si
ode il vivace cicaleccio cittadino, a sinistra le grida acute e lente
della gente di mare. Da un lato si sente il profumo dei fiori che
adornan le finestre e l'odore ghiotto delle trattorie; dall'altro il
puzzo di catrame e il fumo delle povere cucine delle barche a vela. Qui
si alza un ponte levatoio per dar passo a un bastimento; là si affolla
la gente per passare sopra un ponte spezzato che si ricompone; più oltre
una zattera traghetta un gruppo di persone all'altra riva del canale; in
fondo alla strada, parte un battello a vapore; dall'estremità opposta
entra una fila di barconi carichi; qui si apre una cateratta; lì scivola
un _trekschuit_; poco distante gira un mulino, laggiù si piantano le
palafitte per una nuova casa. Il cigolío delle catene dei ponti si mesce
collo strepito dei carri, il fischio dei piroscafi rompe le ariette dei
campanili, i cordami dei bastimenti s'intralciano colle fronde degli
alberi, la carrozza passa accanto alla barca, la bottega si specchia nel
canale, le vele si riflettono nelle vetrine, la vita di terra e la vita
di mare si rasentano, s'incrociano, passano l'una sull'altra, e si
confondono in uno spettacolo nuovo ed allegro come una festa d'alleanza
e di pace.
* * * * *
Se dalle strade principali uno si addentra nei vecchi quartieri, lo
spettacolo cangia affatto. Le strade più strette di Toledo, i vicoli più
oscuri di Genova, le case più squilibrate di Rotterdam, non son nulla in
confronto della strettezza, dell'oscurità e dello scompiglio
architettonico che si vede in quei quartieri. Le strade paiono crepe
aperte dal terremoto. Le case alte e nere, mezzo nascoste dai cenci
stesi sulle finestre e appesi alle corde, sono inclinate a segno da
metter paura; alcune sono ripiegate sopra sè stesse, come se fossero sul
punto di spezzarsi; altre si toccano quasi coi tetti, non lasciando
vedere che un filo di cielo; altre pendono da due parti opposte,
presentando la forma d'un trapezio rovesciato; e paion case da
palcoscenico nell'atto che son portate via per cangiare la scena. Furon
costrutte così appositamente per lo scolo delle acque, o s'inclinarono
perchè cedette il terreno? V'è chi crede la prima e chi la seconda cosa;
ma i più le credon tutte e due, il che mi pare più ragionevole. Ed anche
in quei labirinti, dove formicola una plebe pallida e trista per la
quale un raggio di sole è una benedizione di Dio, si vedono vasi di
fiori, specchietti e tendinette alle finestre, che rivelano una povertà
non scompagnata dal gentile amor della casa.
* * * * *
La parte più pittoresca della città è quella compresa nella curva
dell'Amstel, intorno alla grande piazza del Nuovo Mercato. Là si vedono
crocicchi di strade tenebrose e di canali deserti, piazzette solitarie
circondate da muri che sgocciolano acqua, case filigginose, muffose,
screpolate, decrepite, bagnate da acque morte ed immonde; vasti
magazzini, con tutte le porte e le finestre chiuse; barche e barconi
abbandonati in fondo a canali senza uscita, che hanno l'aria di
aspettare dei congiurati o delle streghe; mucchi di materiali da
costruzione, che presentan l'aspetto di avanzi d'incendio o di rovina;
bacini coperti d'erba e chiassuoli fangosi; muri, acqua, ponti, tutto
nero e tetro, da destare in chi passi di là per la prima volta, un
sentimento di inquietudine, come se ci spirasse la minaccia di qualche
sventura.
* * * * *
Chi ama i contrasti, non ha che da recarsi da questa parte della città
nella piazza chiamata il _dam_, dove convergono le strade principali, e
si trova il Palazzo Reale, la Borsa, la Nuova Chiesa e il monumento
detto la Croce di Metallo, innalzato in commemorazione della guerra del
1830. Là v'è un movimento fittissimo e continuo di gente e di carrozze,
che rammenta lo _square_ di Trafalgar di Londra, la Porta del Sole di
Madrid e la piazza della Maddalena di Parigi. Stando là un'ora si gode
il più svariato spettacolo che si possa vedere in Olanda. Passano
faccioni rossi e petulanti dell'alto patriziato mercantile, volti
abbronzati delle colonie, stranieri di tutte le gradazioni di biondo,
ciceroni, suonatori d'organetti, ambasciatori della morte col lungo velo
nero, cuffiette bianche di fantesche, panciotti variopinti di pescatori
del Zuiderzee, orecchini a paraocchi delle donne della Nord-Olanda,
diademi d'argento della Frisia, caschetti dorati della Groninga, camicie
gialle dei lavoratori delle torbiere, gonnelle metà nere e metà rosse
delle orfane degli ospizi, vestiti bizzarri degli abitanti delle isole,
_cignons_ spropositati, cappelli da carnovale; grandi spalle, grandi
fianchi, grandi ventri, e tutta questa processione avvolta dal fumo dei
sigari e delle pipe, e accompagnata da un suono di parole tedesche,
olandesi, inglesi, francesi, fiamminghe, danesi, da credere d'essere
capitati nella valle di Giosafat o ai piedi della torre di Babele.
* * * * *
Dalla piazza del Dam si arriva in pochi minuti al porto, che offre
anch'esso uno spettacolo grandioso e strano oltre ogni dire. A primo
aspetto, non ci si capisce nulla. Si vedono da ogni parte dighe, ponti,
cateratte, palizzate, bacini, che presentano l'immagine d'un'immensa
fortezza costrutta così astutamente, perchè nessuno riesca a
raccapezzarne la forma; e non ci si riesce infatti che per mezzo della
carta e dopo una passeggiata di parecchie ore. Dal mezzo della città,
alla distanza di mille metri l'una dall'altra, partono in direzione
opposta due gran dighe arcate che abbracciano e difendono dal mare le
due estremità di Amsterdam sporgenti oltre il semicircolo delle sue case
come le punte d'una mezza luna. Queste due dighe che hanno ciascuna una
gran porta munita d'una cateratta gigantesca, racchiudono due bacini
capaci di mille bastimenti d'alto bordo e parecchie isolette sulle quali
son magazzini, arsenali, opificii, dove lavorano migliaia d'operai. Fra
le due grandi dighe s'avanzano parecchie dighe minori, formate di
robuste palizzate, che servono di stazione d'imbarco per i battelli a
vapore. In tutte queste dighe s'innalzano case, tettoie, baracche, fra
le quali formicola una folla di marinai, di passeggieri, di facchini, di
donne, di ragazzi, di carrozze, di carri, chiamati là dalle partenze e
dagli arrivi che si succedono rapidamente dal far del giorno alla sera.
Dai punti avanzati di codeste dighe si abbraccia con uno sguardo
l'intero porto: le due foreste di navigli dalle bandiere di mille
colori, racchiusi nei due grandi bacini; i bastimenti che arrivano dal
gran canale del Nord, e che entrano a vele spiegate nel mare di
Zuiderzee; i barconi e le barche che s'incrociano da tutte le parti del
golfo; la costa verde della Nord-Olanda; i cento mulini di Zandam: la
lunghissima schiera delle prime case di Amsterdam che disegnano sul
cielo le loro mille punte nere; le innumerevoli colonne di fumo
filigginoso, che s'alzano dalla città sull'orizzonte grigio; e quando le
nuvole sono in moto, una continua, rapidissima, meravigliosa variazione
di colori e d'aspetti, per la quale ora sembra di essere nel più gaio,
ora nel più tristo paese del mondo.
* * * * *
Ritornando in città, per osservare particolarmente gli edifizii, i primi
a chiamar l'attenzione sono i campanili. In Amsterdam ci sono templi di
tutte le religioni: sinagoghe, chiese per i riformati calvinisti, chiese
pei luterani della confessione Ausburgo strettamente osservata, chiese
per i luterani della confessione d'Ausburgo osservata largamente, chiese
per i rimostranti, per i mennoniti, per i valloni, per gl'inglesi
episcopali, per gl'inglesi presbiteriani, per i cattolici, per i greci
scismatici; e ognuno di questi templi innalza al cielo un campanile che
par stato fatto per vincere tutti gli altri di originalità e di
bizzarria. Quello che dice Vittor Hugo degli architetti fiamminghi, i
quali fabbricarono dei campanili ponendo un'insalatiera rovesciata sopra
un berretto da giudice, una zuccheriera sopra l'insalatiera, una
bottiglia sulla zuccheriera, e un ostensorio sulla bottiglia, si può
riferire in parte anche ai campanili d'Amsterdam. Alcuni son formati di
chioschi o di tempietti sovrapposti, altri di tante torricine che paiono
tirate fuori l'una dall'altra, in modo che a dare un colpo sulla più
alta, tutto il campanile si debba accorciare come un cannocchiale; altri
son sottili come minareti, quasi interamente costrutti di ferro, ornati,
dorati, traforati, trasparenti; altri coronati dal mezzo in su di
terrazzini, di balaustrate, di archi, di colonne; quasi tutti poi
sormontati da un globo o da una corona di ferro della forma d'un bulbo,
sulla quale posa un'altra corona, che regge alla sua volta una palla, la
quale sostiene un'asta, in cui è confitto ancora qualche altro oggetto,
che forse non è l'ultimo neanch'esso; tal quale come le torricciuole che
fanno i ragazzi, sovrapponendo tutti i ninnoli che cascan loro nelle
mani.
Fra gli edifizii monumentali, che non sono molti, v'è il palazzo reale,
il primo dei palazzi d'Olanda, costrutto tra il 1648 e il 1655, sopra
tredicimilaseicentocinquantanove palafitte; grandioso, pesante e nero;
del quale il più bell'ornamento è una sala da ballo che si dice la più
vasta d'Europa, e il maggiore difetto, quello di non avere portone, per
il che vien chiamato comunemente la casa senza porta. Per contrapposto,
l'edifizio della Borsa che gli sorge dirimpetto, fondato su
trentaquattromila palafitte, perchè non ha di notevole che un peristilio
di diciassette colonne, si chiama la porta senza casa; bisticcio che
ogni olandese si fa un dovere di ripetere agli stranieri, sorridendo
impercettibilmente coll'estremità delle labbra. Chi capita ad Amsterdam
nella prima settimana della Kermesse, ch'è il carnevale dell'Olanda, può
vedere in questo edifizio uno spettacolo curiosissimo. Per sette giorni,
nelle ore in cui non si fanno affari, la Borsa è aperta a tutta la
ragazzaglia della città, che v'irrompe, facendo uno strepito infernale
di pifferi, di tamburi e di grida; licenza che, se è vera la tradizione,
sarebbe stata concessa dal Municipio in onore di alcuni ragazzi, i
quali, al tempo della guerra d'indipendenza, giocherellando presso
l'antica Borsa, scopersero gli Spagnuoli che si preparavano a far
saltare in aria l'edifizio con un naviglio pieno di polvere, corsero a
darne avviso ai cittadini, e mandarono così a vuoto il tentativo dei
nemici. Oltre il palazzo reale e la Borsa, sono un bell'ornamento di
Amsterdam il palazzo dell'industria, fatto di cristallo e di ferro, e
sormontato da una cupola leggerissima, che da lontano, quando vi batte
il sole, gli dà l'aspetto d'una grande moschea; e come monumenti
storici, le vecchie torri che s'alzano sulla riva del porto.
* * * * *
Fra queste torri ve n'è una che si chiama _Torre dell'angolo dei
piangenti_ o _Torre delle lagrime_, perchè là s'imbarcavano altre volte
i marinai olandesi per lunghissimi viaggi, e le loro famiglie andavano
presso quella torre per salutarli e vederli partire, e piangevano. Sopra
la porta v'è un rozzo bassorilievo segnato della data 1569, il quale
rappresenta il porto, una nave che parte, e una donna che piange; e fu
posto in commemorazione della moglie d'un marinaio, che morì di dolore
per la partenza di suo marito.
È stato osservato che quasi tutti gli stranieri che vanno a veder quella
torre, dopo aver dato un'occhiata al bassorilievo e alla _Guida_ che ne
spiega il significato, si voltano verso il mare come per cercare il
bastimento che parte, e rimangono qualche tempo pensierosi. A che cosa
pensano? Forse a quello che pensai io stesso. Seguono quel bastimento
nei mari artici, alla pesca delle balene o alla ricerca d'una nuova via
per le Indie, e alla loro mente si spiega come una visione l'epopea
tremenda della marina olandese in mezzo agli orrori del polo: i mari
ingombri di ghiaccio, il freddo che fa cadere a brani la pelle delle
mani e del viso, gli orsi bianchi che s'avventano sui marinai, e spezzan
le armi coi denti; i cavalli marini che accorrono a stormi furiosi per
rovesciare le scialuppe; le rocce di ghiaccio mulinate dalle onde e dal
vento, e le vaste pianure ghiacciate e mobili che s'incontrano,
imprigionano e stritolano le flotte; le isole deserte sparse di cadaveri
di marinai, di carcasse di navi, di cinture di cuoio rosicchiate nella
disperazione dell'agonia dagl'infelici che morirono di fame; poi le
frotte di balene che volteggiano intorno ai navigli, le formidabili
contorsioni del mostro ferito nelle acque insanguinate, le barche
rovesciate dai colpi di coda, i pescatori che cascan nel mare, e vi
rimangono irrigiditi, i naufraghi erranti seminudi nella nebbia e nelle
tenebre, le fosse scavate nel ghiaccio e ricoperte col ghiaccio per
ripararsi dalle fiere, i sonni che finiscono colla morte. Poi ancora
sconfinate solitudini bianche e brumose, dove non si sente altro rumore
che quello dei remi delle scialuppe ripercosso dalle caverne e i gridi
lamentevoli delle foche; poi altri deserti dove non è più traccia di
vita, le montagne di ghiaccio incommensurate, gl'immensi spazi ignoti,
le nevi secolari, l'inverno eterno, la tristezza solenne delle notti del
polo, il silenzio infinito in cui l'anima si spaura, i marinai consunti,
trasfiguriti, moribondi, che s'inginocchiano sul ponte, e giungono le
mani verso l'orizzonte infocato dall'aurora boreale, chiedendo a Dio di
rivedere il sole e la patria. Scienziati, mercatanti, poeti, tutti
s'inchinano a quelle umili avanguardie che hanno tracciato coi loro
scheletri sulle nevi immaculate del polo il primo sentiero della vita.
* * * * *
Da questa torre, voltando a destra, e seguitando a camminare lungo il
porto, si arriva alla Plantaadije, vasto quartiere composto di due isole
congiunte da molti ponti, nel quale c'è un parco, un giardino zoologico,
un giardino botanico, un passeggio pubblico, che formano una grande oasi
verde ed allegra in mezzo alle acque livide e alle case nere. Là
concerti musicali, là feste notturne, là il fiore della bellezza
amsterdamese; fiore che, per buona fortuna dei viaggiatori di fibra
sensitiva, spande un profumo soave; ma che non dà al capo. Dal qual
pericolo, in ogni caso, non c'è miglior rifugio che il giardino
zoologico, proprietà d'una società di quindicimila soci; il più bel
giardino zoologico d'Olanda, che pure ne ha dei bellissimi, e uno dei
più ricchi d'Europa; nel quale si scorda facilmente in mezzo alle
salamandre massime del Giappone, ai serpenti boa di lava e ai _bradypi
didactyli_ di Surinam, i visetti pallidi e gli occhi azzurri delle belle
calviniste.
Dalla Plantaadije, passando su parecchi ponti, e fiancheggiando diversi
canali, si arriva sulla grande piazza del _Boter Markt_, dove c'è una
statua gigantesca del Rembrandt e l'ufficio del consolato italiano. Da
questa piazza si va al quartiere degli Ebrei che è una delle meraviglie
di Amsterdam.
* * * * *
Per andarci, domandai la strada al nostro gentilissimo console, il quale
mi rispose:--Cammini diritto fin che non si trovi in un quartiere
infinitamente più sudicio di tutti quelli ch'ella ha considerati finora
come il _non plus ultra_ del sudiciume; quello è il ghetto; non può
sbagliare.--Andai innanzi, ognuno può immaginare con che aspettazione;
passai accanto a una sinagoga; mi soffermai un momento in un crocicchio;
poi presi la strada più stretta, e in capo a pochi minuti, riconobbi il
ghetto. La mia aspettazione fu superata.
È un labirinto di strade strette, fangose e cupe, fiancheggiate da case
vecchissime, che pare debbano cadere in rovina a dare un calcio nel
muro. Dalle corde tese fra finestra e finestra, dai davanzali, dai
chiodi piantati nelle porte, spenzolano e svolazzano sui muri umidi
camicie sbrandellate, gonnelle rappezzate, vestiti unti, lenzuoli
macchiati, calzoni cenciosi. Davanti alle porte e sugli scalini rotti,
in mezzo alle cancellate cadenti, sono esposte le vecchie mercanzie.
Rottami di mobili, frammenti d'armi, oggetti di divozione, brandelli
d'uniformi, avanzi di strumenti, frantumi di giocattoli, ferramenti,
cocci, frangie, cenci, tutte le cose che non han più nome in alcuna
lingua umana, tutto quello che hanno guasto e disperso la ruggine, il
tarlo, il foco, la rovina, il disordine, la dissipazione, le malattie,
la miseria, la morte; tutto quello che i servitori spazzano, che i
rigattieri ributtano, che i mendicanti calpestano, che gli animali