Olanda - 13

fino ai più umili villaggi, abbracciando tutte le sètte religiose, tutte
le età, tutte le professioni e tutte le sventure; una beneficenza,
insomma, in virtù della quale non rimane in Olanda un povero senza tetto
e un braccio senza lavoro. Tutti gli scrittori, che studiarono l'Olanda,
convennero nel dire che non c'è forse altro Stato d'Europa, nel quale
scenda, proporzionatamente alla popolazione, una maggior copia di
elemosina dalle classi agiate alle classi bisognose.
Non è a dirsi con questo che il popolo olandese non abbia difetti,
perchè ne ha, se gli si deve recare a difetto la mancanza di quelle
qualità che dovrebbero essere come lo splendore e la gentilezza delle
sue virtù. Si potrebbe trovare nella sua fermezza qualcosa di cocciuto,
nella sua probità qualcosa di gretto, nella sua freddezza l'assenza di
quella spontaneità di sentimento senza la quale pare che non possa
esservi affetto, generosità, grandezza d'animo vera. Ma quanto meglio
s'impara a conoscerlo, più si esita a pronunziare quei giudizii, e più
si sente crescere per esso il sentimento del rispetto e della simpatia.
Il Voltaire ha potuto dire, partendo dall'Olanda, quel motto
famoso:--_Adieu canaux, canards, canaille;_--ma quando dovette giudicar
l'Olanda sul serio, si ricordò di non aver trovato nella sua città
capitale «nè un ozioso, nè un povero, nè un dissipato, nè un insolente»
e di aver visto per tutto «il lavoro e la modestia.» Luigi Napoleone
proclamava che in nessun popolo d'Europa era innato come nell'olandese
il buon senso e il sentimento della giustizia e della ragione; il
Descartes gli faceva il più grande elogio che possa fare un filosofo ad
un popolo, dicendo che in nessun paese si gode d'una più grande libertà
che in mezzo agli Olandesi; Carlo V, la più bella lode che possa dare ad
un popolo un Sovrano, dicendo che sono «ottimi sudditi; ma pessimi
schiavi.» Un inglese scrisse che gli Olandesi ispirano una stima che
non può giungere fino all'affetto. Forse egli non li stimava abbastanza.
* * * * *
Non nascondo che fra le cagioni della mia simpatia v'è quella d'aver
trovato che l'Italia è assai più conosciuta in Olanda ch'io non osassi
sperare. Non solamente la rivoluzione d'Italia vi ebbe un eco
favorevole, com'è di ragione che accadesse presso un popolo
indipendente, libero e ostile al Papato; ma gli uomini e gli avvenimenti
italiani degli ultimi tempi, non vi son meno conosciuti che quei di
Francia e di Germania. Le principali gazzette, che hanno un
corrispondente fra noi, ragguagliano minutamente il paese intorno alle
cose nostre. Si vedono in molti luoghi ritratti dei nostri più illustri
concittadini. Nè è minore della conoscenza politica la letteraria.
Lasciando stare che la lingua italiana si cantava nelle Corti degli
antichi conti d'Olanda, che nel bel secolo della letteratura olandese
era in grande onore presso i letterati, e che parecchi dei più illustri
poeti di quel tempo scrissero lettere e versi italiani o imitarono la
nostra poesia pastorale; la lingua italiana si studia ancora da molti
oggigiorno, e non è raro il trovare chi la parla, e men raro ancora il
veder libri nostri sul tavolino delle signore. La _Divina Commedia_, che
venne in voga particolarmente dopo il 1830, ha due traduzioni, tutt'e
due in terzine rimate, una delle quali è opera d'un Hacke van Mijnden,
che consacrò a Dante tutta la vita. La _Gerusalemme Liberata_ ha una
traduzione in ottave d'un pastore protestante Ten Kate, e n'ebbe
un'altra inedita e perduta, di Maria Tesseeschave, la grande poetessa
del secolo XVII e amica intima del primo poeta olandese, Vondel, dal
quale fu consigliata e aiutata a tradurre. Del _Pastor fido_ vi sono
almeno cinque traduzioni di autori diversi; parecchie dell'_Aminta_; e
facendo un salto, almeno quattro delle _Mie Prigioni_, e una bellissima
dei _Promessi Sposi_; romanzo che pochi Olandesi non lessero o nella
propria lingua, o nella francese o nella nostra. E per citare ancora una
cosa che ci riguarda, v'è un poema intitolato _Firenze_, scritto per
l'ultimo centenario di Dante, da uno dei più eletti poeti olandesi dei
nostri giorni.
* * * * *
Qui cade a proposito di dir qualcosa della letteratura olandese.
L'Olanda presenta una singolare sproporzione tra la forza espansiva
della sua vita politica, scientifica, commerciale, e quella della sua
vita letteraria. Mentre sotto tutte le altre forme l'opera degli
Olandesi traboccò fuori dei confini del paese, sotto la forma
letteraria, rimase circoscritta in quei confini. Con una letteratura
fecondissima, il che rende il fatto più strano, l'Olanda non ha
prodotto, come pur fecero altri piccoli paesi, un sol libro che sia
divenuto europeo; quando non si voglia porre fra le opere letterarie
quelle dello Spinoza, il solo grande filosofo della sua patria; o
considerare come letteratura olandese le dimenticate opere latine di
Erasmo di Rotterdam. Eppure se v'è un paese a cui la natura e gli
avvenimenti abbiano offerto soggetti atti ad ispirare agl'ingegni
qualcuna di quelle opere poetiche che colpiscono l'immaginazione di
tutti i popoli, quel paese è l'Olanda. Le meravigliose trasformazioni
del suolo, le inondazioni immense, le favolose spedizioni marittime,
dovevano generare una poesia originale e potente anche se spogliata
delle sue forme native. Perchè ciò non avvenne? Si possono addurre come
ragioni l'indole dell'ingegno olandese, che mirando in ogni cosa
all'utile, volle troppo spesso piegare anche la letteratura a uno scopo
pratico; una tendenza opposta a questa, e forse derivata da questa, a
sorvolare troppo al di sopra della natura umana, per non rasentare la
terra coi più; una certa naturale circospezione d'ingegno, che diede
alla ragione una soverchia prevalenza sulla fantasia; l'amore innato
dell'esatto e del finito, che produsse una prolissità in cui si
stemprarono le grandi idee; lo spirito di sètta religiosa, il quale
vincolò in un cerchio angusto ingegni che eran nati a spaziare sur un
vasto orizzonte. Ma nè queste nè altre ragioni fanno sì che non rechi
meraviglia il non esserci in tutta la letteratura olandese uno scrittore
il quale rappresenti degnamente al cospetto del mondo la grandezza della
sua patria; un nome da porre in mezzo a quelli del Rembrandt e dello
Spinoza.
Sarebbe un peccato, però, il non tratteggiare almeno le tre principali
figure di questa letteratura, due del secolo decimosettimo e una del
decimonono, tre poeti originali e differentissimi fra loro, che
compendiano in sè tutta la poesia olandese:--il Vondel--il Catz--il
Bilderdijk.
* * * * *
Il Vondel è il più grande poeta dell'Olanda. Nacque nel 1587 a Colonia,
dove s'era rifugiato suo padre, cappellaio, fuggito da Anversa per
sottrarsi alle persecuzioni degli Spagnuoli. Ancora bambino, il futuro
poeta ritornò in patria sopra un carretto, insieme con suo padre e sua
madre, che lo seguivano a piedi pregando e recitando versetti della
Bibbia. Fece i suoi primi studi in Amsterdam. A quindici anni godeva già
d'una bella fama di poeta; ma le sue opere illustri non datano che dal
1620. Fino all'età di trent'anni, non sapeva che la propria lingua;
imparò più tardi il francese e il latino e si diede con ardore agli
studi classici; a cinquant'anni si dedicò al greco. La sua prima
tragedia (poichè fu principalmente poeta tragico) intitolata _La
distruzione di Gerusalemme_, non ebbe molta fortuna. La seconda,
intitolata _Palamede_, nella quale era adombrata la storia pietosa e
terribile di Olden Barneveld vittima di Maurizio d'Orange, gli attirò un
processo criminale; per cui fuggì e rimase nascosto fin che uscì la
sentenza inaspettatamente mite che lo condannava a trecento fiorini di
multa. Nel 1627 fece un viaggio in Danimarca e in Svezia, dove fu
accolto con onore da Gustavo Adolfo. Undici anni dopo inaugurò il teatro
d'Amsterdam con un dramma d'argomento nazionale _Gilberto d'Amstel_, che
si rappresenta ancora una volta all'anno in omaggio alla sua memoria.
Gli ultimi anni della sua vita furono infelicissimi. Le dissipazioni di
suo figlio avendolo ridotto in strettezze, il povero vecchio stanco
dagli studi e affranto dai dolori, fu ridotto a mendicare un meschino
impiego nel Monte di Pietà. Pochi anni prima di morire abbracciò la fede
cattolica, e acceso da una nuova ispirazione scrisse la tragedia _Le
Vergini_, e un poema, che è una delle migliori sue opere, intitolato i
_Misteri dell'altare_. Morì vecchissimo e fu seppellito in una chiesa
d'Amsterdam, dove un secolo dopo gli fu eretto un monumento. Oltre le
tragedie, scrisse canti guerreschi alla patria, agli illustri marinai
olandesi, al principe Federico Enrico. Ma la sua principal gloria è il
teatro. Ammiratore della tragedia greca, conservò nelle sue l'unità, i
cori, il soprannaturale, sostituendo al destino la Provvidenza, agli Dei
vendicatori e propizi, i demoni e gli angeli, i buoni e i cattivi geni
del Cristianesimo. Quasi tutti i soggetti tolse dalla Bibbia. Il suo
capolavoro è la tragedia _Lucifero_, rappresentata due volte, malgrado
le quasi insuperabili difficoltà della rappresentazione, nel teatro
d'Amsterdam, e poi fatta interdire dal clero protestante; tragedia che
ha per soggetto la ribellione di Lucifero, e personaggi i buoni e i
cattivi angeli. Come in questa, nelle altre, vi son descrizioni
fantastiche piene d'immagini splendide, squarci di eloquenza potente,
bei cori, pensiero vigoroso, frase solenne, verso ricco e sonante, e qua
e là barlumi e lampi di genio. Per contro, un misticismo qualche volta
oscuro e freddo; il disaccordo dell'idea cristiana colla forma pagana;
il lirico che soverchia il drammatico; il buon gusto sovente offeso; e
più di tutto, un pensare e un sentire, che per mirare al sublime,
elevandosi troppo alto dalla terra, sfugge all'intelletto ed al cuore
umano. Malgrado ciò, la precedenza istorica, l'originalità, il
patriottismo ardente, la vita travagliata e nobile, fecero il Vondel
grande e venerato nella sua patria, che lo considera come la più
eminente personificazione del genio nazionale, e lo mette con amoroso
ardimento accanto ai primi poeti delle altre letterature.
* * * * *
Il Vondel è la più grande, Jacob Catz è la più schietta personificazione
del genio olandese; e non è solo il più popolare dei poeti del suo
popolo, ma tale è la di lui popolarità, che si può affermare non esservi
in nessun altro paese, non escluso il Cervantes in Spagna e il Manzoni
in Italia, uno scrittore più generalmente noto e più costantemente letto
di lui; e si può aggiungere, che non v'è forse un altro poeta al mondo,
la cui popolarità sia più necessariamente ristretta nei confini della
propria patria. Jacob Catz nacque nel 1577, di famiglia patrizia, a
Brouwershaven, città della Zelanda. Studiò legge, divenne pensionario di
Middlebourg, andò ambasciatore in Inghilterra, fu gran pensionario di
Olanda, ed esercitando con zelo e rettitudine esemplare quest'alti
uffici coltivò amorosamente la poesia. La sera, dopo aver trattato degli
affari dello Stato coi deputati delle provincie, si raccoglieva in casa
a far versi. A settantacinque anni, chiese di essere esonerato dalle
cariche, e quando lo Statoldero gli annunziò con parole onorevoli che la
sua domanda era stata esaudita, egli cadde in ginocchio al cospetto
dell'Assemblea degli Stati e ringraziò Iddio che l'avea sempre protetto
nel corso della sua lunga e faticosa vita politica. Pochi giorni dopo si
raccolse in una sua villa, dove godette una vecchiezza tranquilla e
onorata, studiando e poetando fino al 1660, anno in cui morì, più che
ottuagenario, pianto da tutta Olanda. Le sue poesie formano parecchi
grossi volumi. Sono favole, madrigali, racconti, misti di storia e di
mitologia, sparsi di descrizioni, di citazioni, di sentenze, di
precetti; pieni di bontà, d'onestà e di dolcezza, e scritti con
semplicità ingenua e delicata arguzia. Il suo volume è il libro della
saggezza nazionale, la seconda Bibbia del popolo olandese, un manuale
che insegna a vivere onesti ed in pace. Egli dà consigli a tutti; al
ragazzo come al vecchio, al mercante come al principe, alla padrona di
casa come alla serva, al ricco come al mendico. Insegna a spendere, a
risparmiare, a far le faccende di casa, a governar la famiglia, ad
educare i figliuoli. È nello stesso tempo amico, padre, direttore
spirituale, maestro, economo, medico, avvocato. Ama la natura modesta, i
giardini, i prati, adora sua moglie, lavora, è soddisfatto di sè e degli
uomini, e vuole che tutti sian contenti come lui. Le sue poesie si
trovano in tutte le case olandesi, accanto alla Bibbia. Non c'è capanna
di contadino nella quale il capo della famiglia non ne legga qualche
verso ogni sera. Nei giorni di dubbio e di tristezza tutti cercano e
trovano un conforto nel loro vecchio poeta. Egli è l'amico intimo del
focolare, il compagno assiduo dell'infermo; il suo è il primo libro sul
quale si avvicinano i volti dei fidanzati; i suoi versi sono i primi che
legge il bambino e gli ultimi che pronunzia il nonno. Nessun poeta fu
più amato di lui. Ogni olandese sorride a udir rammentare quel nome, e
non v'è straniero che sia stato in Olanda, il quale non lo pronunzi con
un sentimento di simpatia e di rispetto.
* * * * *
Il terzo, Bilderdijk, nato nel 1756, morto nel 1831, fu uno dei più
meravigliosi intelletti che siano mai apparsi nel mondo. Poeta, storico,
filologo, critico, astronomo, chimico, medico, teologo, antiquario,
giureconsulto, disegnatore, incisore, uomo inquieto, vagabondo,
capriccioso, violento, la sua vita non fu che un'investigazione, una
trasformazione, una battaglia perpetua del suo vastissimo ingegno.
Giovanetto, e già poeta famoso, lascia la poesia, si getta nella
politica, emigra collo Statoldero in Inghilterra e fa il maestro a
Londra per vivere. Stanco dell'Inghilterra, va in Germania; seccato del
romanticismo tedesco, torna in Olanda, dove Luigi Napoleone lo colma di
favori. Ma Luigi lascia il trono, Napoleone il Grande toglie al
Bilderdijk la pensione, ed egli è ridotto nella miseria. Domanda una
cattedra all'Università di Leida, glie la rifiutano. Infine ottiene dal
Governo un piccolo sussidio e continua a studiare, a scrivere, a
combattere fino all'ultimo giorno della vita. Le sue opere si compongono
di più di trenta volumi di scienza, di arte, di letteratura. Trattò
tutti i generi e riuscì in tutti, fuor che nel drammatico. Allargò la
critica storica, scrivendo una delle più belle storie nazionali che
possegga il suo paese. Fece un poema, _Il mondo primitivo_, composizione
grandiosa ed oscura, ammiratissima in Olanda. Trattò ogni maniera di
quistioni mescolando paradossi stranissimi e verità luminose. Rialzò
infine la letteratura nazionale ch'era caduta ai suoi tempi e lasciò una
falange di discepoli eletti che seguirono le sue traccie in politica, in
arte, in filosofia. Vi fu per lui in Olanda, più che entusiasmo,
fanatismo; e non si può mettere in dubbio ch'ei sia stato, dopo Vondel,
il più grande poeta del suo paese. Ma gli fece danno la passione
religiosa, l'odio cieco contro le nuove idee, la poesia fatta strumento
di sètta, la teologia intromessa in ogni cosa; per il che non s'elevò in
quella regione serena e libera fuor della quale il genio non consegue
vittorie durevoli e grido universale.
Intorno a questi tre poeti, che hanno in sè i tre vizi principali della
letteratura olandese: di perdersi nelle nuvole, o di volare terra terra,
o d'impigliarsi nella rete del misticismo, si raggruppano altri infiniti
poeti epici, comici, satirici, lirici, i più del secolo decimosettimo,
pochissimi del decimottavo; molti dei quali godono d'una grande fama in
Olanda; ma di cui nessuno esce abbastanza di schiera, da richiamare
l'attenzione dello straniero che passa.
* * * * *
Meritano piuttosto un rapido sguardo i tempi presenti.
Che la critica, spogliando la storia olandese del velo di poesia di cui
l'aveva vestita il patriottismo degli scrittori, l'abbia condotta sulla
via più larga e più feconda della giustizia; che gli studi filologici
siano in altissimo onore e che quasi tutte le scienze abbiano in Olanda
dei cultori di fama europea, è cosa che nessun studioso, in Italia,
ignora, e che agli altri basta accennare.
Della letteratura propriamente detta, il genere più fiorente è il
Romanzo. L'Olanda ha avuto il suo romanziere nazionale, il suo Walter
Scott, in Van Lennep, morto pochi anni sono; scrittore di romanzi
storici che furono accolti con entusiasmo da tutte le classi della
società; pittore efficacissimo di costumi, dotto, arguto, maestro di
descrizioni e dialogista ammirabile; ma che sovente è prolisso, si serve
di vecchi artifici, adopera scioglimenti forzati e non nasconde sempre
abbastanza sè medesimo. L'ultimo suo romanzo, intitolato _Le avventure
di Nicoletta Zevenster_, nel quale, rappresentando magistralmente la
società olandese del principio di questo secolo, ebbe l'inaudito
ardimento di descrivere una casa innominabile dell'Aja, mise sossopra
l'Olanda intera, fu commentato, discusso, vilipeso, levato a cielo; e la
battaglia dura ancora. Altri romanzi storici, scrissero uno Schimmel,
emulo degno del Van Lennep; e una signora Rosboon Toussaint, scrittrice
coltissima, ricca di studi virili e d'ingegno profondo. Malgrado questo,
il romanzo storico, anche in Olanda, si può considerar come morto.
Miglior fortuna hanno il romanzo di costumi e la novella, nei quali
primeggiano un Beets, ministro protestante e poeta, autore d'un libro
celebre intitolato la _Camera oscura_, un Koetsveld, e alcuni giovani di
bell'ingegno, a cui contende di levarsi in alto il demonio persecutore
della letteratura del giorno: la fretta.
L'Olanda ha ancora un genere di romanzo suo proprio, che si potrebbe
chiamare romanzo indiano, il quale ritrae i costumi e la vita dei popoli
delle colonie; e di questo genere ne uscirono negli ultimi anni
parecchi, che furono accolti con molto plauso nel paese, e tradotti in
varie lingue; fra gli altri, il _Bel mondo di Batavia_, del professore
Ten Brink, giovane, dotto e brillante scrittore, del quale vorrei poter
parlare diffusamente per attestargli in qualche modo la mia gratitudine
e la mia ammirazione. Ma a proposito di romanzi indiani, è bello il
notare come in Olanda si veda e si senta a ogni passo qualcosa che
rammenta le sue colonie; come un raggio del sole delle Indie penetri a
traverso la sua bruma e colori la sua vita. Oltre i bastimenti che
portano un soffio di quei paesi nei porti delle sue città, oltre gli
uccelli, i fiori, i mille oggetti, che come suoni sparsi d'una musica
lontana, fanno balenare alla mente l'immagine d'un'altra natura e
d'un'altra razza; non è raro incontrare nelle città d'Olanda, in mezzo
ai mille visi bianchi, faccie abbronzate dal sole, di gente nata o
vissuta per molti anni nelle colonie; negozianti che parlano con
vivacità insolita delle donne brune, dei banani, dei boschi di palme, e
dei laghi ombreggiati dalle liane; giovani arditi che si rischiarono in
mezzo ai selvaggi dell'isola di Borneo e di Sumatra; scienziati,
letterati, ufficiali che parlano degli adoratori dei pesci, degli
ambasciatori che portan le teste dei vinti appesi alla cintura, dei
combattimenti dei tori e delle tigri, delle furie dei bevitori d'oppio,
delle moltitudini battezzate colle pompe; di mille cose strane e
mirabili, che fanno un effetto singolare dette da quella gente fredda in
quel paese tranquillissimo.
La poesia dopo aver perduto il Da Costa, discepolo del Bilderdijk, poeta
religioso ed entusiasta, e il Genestet, poeta satirico, morto
giovanissimo, non ha più che pochi campioni della generazione passata, i
quali tacciono, o cantano con voce affievolita. In peggiori condizioni è
il teatro. Gli artisti olandesi incolti e declamatori, non recitano per
lo più che drammi o commedie tedesche o francesi, male tradotte, che
l'alta società non va a sentire. Scrittori olandesi di molto ingegno,
come l'Hofdijk, lo Schimmel, lo stesso Van Lennep, scrissero commedie
per molti lati pregevoli; ma che non piacquero abbastanza per rimaner
vive sulle scene. La tragedia non è in migliori condizioni della
commedia o del dramma.
Da quanto ho detto, parrebbe che in Olanda non ci dovess'essere un
grande movimento letterario; e c'è invece grandissimo. È incredibile la
quantità di libri che si pubblicano ed è meravigliosa l'avidità con cui
sono letti. Ogni città, ogni sètta religiosa, ogni consorteria ha la sua
rivista o la sua gazzetta. Oltre a questo, una colluvie di libri
stranieri; i romanzi inglesi, in mano di tutti; opere francesi di otto,
dieci, venti volumi, tradotti nella lingua nazionale, cosa mirabile in
un paese dove tutte le persone colte le possono leggere nell'originale,
e che prova quanto vi sia l'uso, non solo di leggere, ma di comprare,
nonostante che i libri siano assai più cari in Olanda che in altri
paesi. Ma è appunto questa sovrabbondanza di pubblicazioni e questa
furia di leggere che nuoce alla letteratura. Gli scrittori, per
soddisfare l'impaziente curiosità del pubblico, tiran via, e la manía
delle letture straniere soffoca e corrompe il genio nazionale. Malgrado
ciò, la letteratura olandese ha ancora un grande titolo alla benemerenza
della patria: è caduta, ma non s'è pervertita; ha conservato la sua
innocenza e la sua freschezza; quello che le manca di fantasia,
d'originalità, di splendore, è compensato dalla saggezza, dal rispetto
severo del buon costume e del buon gusto, dalla sua amorosa
sollecitudine per le classi povere, dall'opera efficacissima colla quale
promuove la beneficenza e l'educazione civile. Altre letterature sono
grandi piante vestite di fiori odorosi; la letteratura olandese è un
piccolo albero carico di frutti.
* * * * *
La mattina che partii dall'Aja, la seconda volta che vi fui, alcuni dei
miei più cari amici m'accompagnarono alla stazione della strada ferrata.
Il tempo era piovoso. Quando fummo nella sala dei viaggiatori, pochi
momenti prima che partisse il treno, ringraziai i miei buoni ospiti
delle gentili accoglienze che m'avevan fatte, e poichè sapevo che forse
non li avrei mai più riveduti, non potei a meno di esprimere la mia
gratitudine con parole affettuose e melanconiche, ch'essi ascoltarono in
silenzio. Uno solo m'interruppe per raccomandarmi che mi guardassi
dall'umidità. "Venga qualcuno di loro in Italia," io continuai; "non
foss'altro che per darmi l'occasione di mostrargli la mia riconoscenza.
Mi facciano questa promessa perchè io possa partire col cuore un po'
consolato. Non parto se qualcuno non mi dice che verrà in Italia." Si
guardarono in viso, e uno rispose a fior di labbra: "Forse." Un altro mi
diede il consiglio di non far mai cambiare l'oro francese nelle
botteghe. In quel momento suonò il campanello della partenza. "Dunque
addio," dissi colla voce un po' commossa, stringendo le mani a tutti "a
rivederci; non dimenticherò mai i bei giorni passati all'Aja, riterrò
sempre i loro nomi come la più cara memoria del mio viaggio, si
ricordino qualche volta di me."--"Addio," risposero tutti collo stesso
tuono di voce, come se ci fossimo dovuti rivedere il giorno dopo. Salii
nel vagone col cuore stretto, m'affacciai al finestrino nel punto che
partiva il treno, e li vidi tutti là immobili, muti, col viso
impassibile, cogli occhi fissi nei miei. Feci un ultimo saluto, a cui
risposero con un leggero cenno del capo, e disparvero ai miei occhi per
sempre. Ogni volta che penso a loro, li rivedo, come se li avessi
lasciati poc'anzi, in quello stesso atteggiamento, con quei volti gravi
e quegli occhi fissi, e l'affetto che sento per essi ha qualche cosa di
austero e di triste, come il cielo sotto cui li vidi per l'ultima
volta.


LEIDA.

La campagna tra l'Aja e Leida è come tra Rotterdam e l'Aja, tutta una
pianura verdissima, macchiettata dal rosso vivo dei tetti e rigata
d'azzurro dai canali, con qua e là gruppi d'alberi, mulini a vento, e
armenti sparpagliati ed immobili. Si va innanzi, e par sempre d'essere
nel medesimo punto, o di riveder luoghi già mille volte veduti. La
campagna è silenziosa, il treno scorre lentamente, quasi senza far
rumore; nel vagone nessuno parla; alle stazioni, non si sente una voce;
a poco a poco la mente cade in una sorta di assopimento, nel quale si
dimentica dove s'è e dove si va.--Eppure si dorme in questo
paese!--diceva il Diderot viaggiando in Olanda; e questa esclamazione mi
venne più volte sulle labbra in quel breve tragitto, sin che intesi
gridar:--Leyden,--e scesi in una stazione solitaria e quieta come un
convento.
Leida, l'antica Atene del Nord, la Saragozza dei Paesi Bassi, la più
vecchia e più gloriosa figliuola dell'Olanda, è una di quelle città in
cui, appena entrati, si diventa pensierosi; e non si possono rammentare,
anche molto tempo dopo esserci stati, senza ripensarci lungamente; e non
ci si può pensare senza tristezza.
* * * * *
Appena entrati, si sente il freddo della città morta. Il vecchio Reno,
che l'attraversa dividendola in molte isole congiunte da centocinquanta
ponti di pietra, forma dei grandi canali e dei bacini che coprono intere
piazze, dove non si vede nè un bastimento nè una barca, così che la
città sembra piuttosto che percorsa, allagata dalle acque. Le principali
strade sono larghissime e fiancheggiate da case, vecchie e nere, colle
solite facciate a punta e a scalini; e in quelle grandi strade, nelle
piazze, nei crocicchi, non si vede nessuno o poca gente sparpagliata sur
un vasto spazio, come i superstiti d'una città spopolata dalla moría.
Nelle piccole strade si cammina per lunghi tratti sull'erba, in mezzo a
porte e finestre chiuse, in un silenzio profondo come nelle città delle
favole, dove tutti gli abitanti sono immersi in un sonno soprannaturale.
Si passa sopra ponti erbosi, lungo canaletti coperti d'un tappeto verde,
per piazzette che paiono cortili di convento; e poi, a un tratto, si
riesce all'aperto, in una strada larga come un viale di Parigi; e da
questa daccapo nel labirinto delle strade strette. Di ponte in ponte,
di canale in canale, di isola in isola, si gira per ore ed ore cercando
sempre la vita e lo strepito dell'antica Leida, e non si trova che la
solitudine, il silenzio e l'acqua, che riflette la tetra maestà della
città decaduta.
* * * * *
Dopo un lungo giro riuscii in una vasta piazza, dove faceva gli esercizi
uno squadrone di cavalleria. Un vecchio cicerone che m'accompagnava, mi
fermò, all'ombra d'un albero, e mi disse che quella piazza, chiamata in
olandese La Rovina, ricordava una grande sventura per la città di Leida.
"Prima del 1807--brontolò in un francese stentato, e con un tuono di
maestro di scuola, tutto proprio dei ciceroni olandesi;--questo grande
spazio era tutto coperto di case, e il canale che ora attraversa la
piazza passava allora nel mezzo della strada. Il giorno 12 gennaio del
1807 un bastimento carico di polvere ch'era qui di stazione, scoppiò; e
ottocento case, con parecchie centinaia di abitanti, saltarono in aria,
e così si formò la piazza. E tra quegli abitanti c'era l'illustre
storico Giovanni Luzac che fu poi seppellito nella chiesa di san Pietro,
con una bella iscrizione; e tra le case che saltarono in aria v'era
quella della famiglia Elzevirs, la gloria della tipografia
olandese."--La casa degli Elzevirs!--dissi tra me con grata sorpresa; e
pensai a certi bibliofili che conoscevo in Italia, i quali sarebbero
stati felici di premere col piede la terra che aveva sorretto quella
casa illustre, da cui uscirono i piccoli capolavori tipografici che
essi cercano, sognano e accarezzano con tanto amore; quei libricciuoli
che paiono stampati con caratteri adamantini; quei modelli di finezza e
di precisione, nei quali un errore tipografico è un portento che ne
duplica il pregio e il valore; quelle meraviglie di politipi, di
contorni, di baffi, di fioroni, di fondi di lampada, di cui essi parlano
con voce commossa, e cogli occhi luccicanti!
* * * * *