Olanda - 08

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essergli ceduto sotto il terreno. In una cella di questo campanile fu
rinchiuso il Gerard la notte che seguì l'assassinio.
* * * * *
A Rotterdam m'avevan dato una lettera per un cittadino di Delft, colla
quale lo pregavano di farmi vedere la sua casa. «Egli desidera» diceva
la lettera «di penetrare i misteri d'una vecchia casa olandese:
sollevategli per un momento la cortina del santuario.» Non mi fu
difficile di trovar la casa, e appena la vidi, dissi tra me:--È il fatto
mio!
Era una casetta all'estremità d'una strada che finiva nella campagna,
d'un sol piano, rossa, colla facciata a collo, posta quasi sull'orlo
d'un canale, e un po' inclinata innanzi come per specchiarsi nell'acqua,
con un bel tiglio davanti che si allargava sulle finestre come un grande
ventaglio; e un ponte levatoio in dirittura della porta. V'eran le
tendine bianche, la porta verde, i fiori, gli specchietti; era un
modellino di casa olandese.
La strada era deserta; prima di picchiare alla porta, stetti un po' a
guardare e a pensare. Quella casa mi faceva capire l'Olanda meglio di
tutti i libri che avevo letti. Era insieme l'espressione e la ragione
dell'amor della famiglia, dei desiderii modesti, dell'indole
indipendente del popolo olandese. Nei nostri paesi non c'è la vera casa;
non ci sono che scompartimenti di caserme, abitazioni astratte, che non
han nulla di nostro, nelle quali viviamo nascosti, ma non soli, udendo
mille rumori di gente estranea, che turba i nostri dolori coll'eco
delle sue gioie, o le nostre gioie coll'eco dei suoi dolori. La vera
casa è in Olanda, la casa personale, distinta dalle altre, pudica,
circospetta, e appunto perchè distinta dalle altre, nemica dei misteri e
degl'intrighi; tutta lieta, quando è lieta la famiglia che l'abita, e
quando questa è trista, tutta trista. In quelle case, con quei canali e
quei ponti levatoi, ogni modesto cittadino sente un po' della dignità
solitaria d'un castellano, o di un comandante di fortezza, o di un
capitano di bastimento; e vede infatti dalle sue finestre, come da
quelle di un bastimento immobile, una pianura uniforme e sconfinata, che
gl'ispira gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti liberi e gravi che
ispira il mare. Gli alberi che circondano la sua casa quasi d'un
vestimento di verzura, non ci lasciano penetrare che una luce rotta e
discreta; la barca carica di mercanzie scivola mollemente davanti alla
sua porta; non ode scalpitío di cavalli, non chiocchi di frusta, non
canti, non grida; intorno a lui tutti i movimenti della vita son
silenziosi e lenti; tutto spira pace e dolcezza; e il campanile della
chiesa vicina gli annunzia l'ora con un'onda d'armonia riposata e
costante come i suoi affetti e il suo lavoro.
Picchiai alla porta, mi aprì il padron di casa, gli porsi la lettera,
lesse, mi diede uno sguardo scrutatore e mi fece entrare. Segue così
quasi sempre. Gli Olandesi, di primo abbordo, son diffidenti. Noi, al
primo venuto che ci porta una lettera di raccomandazione, apriamo le
braccia come se fosse il nostro più intimo amico; e spesso poi non
facciamo per lui il bellissimo nulla. Gli Olandesi, invece, accolgono
freddamente, qualche volta anzi in un modo che fa rimaner lì quasi
mortificati; ma poi vi prestano mille servigi, colla migliore volontà
del mondo, e senz'aver mai l'aria di fare una cortesia.
Il di dentro della casa corrispondeva perfettamente al di fuori: pareva
l'interno d'un bastimento. Una scala a chiocciola, di legno, lucente
come l'ebano, conduceva alle stanze alte. Sulla scala, dinanzi alle
porte, sugli impiantiti, v'erano stuoie e tappeti. Le stanze eran
piccine come celle; i mobili nitidissimi; le lastre, le maniglie, i
chiodi, le borchie, tutti gli ornamenti di metallo, luccicanti come se
fossero usciti allora dalle mani del brunitore; e da ogni parte v'era un
ripieno di vasi di porcellana, di tazze, di lumi, di specchi, di
quadretti, di stipi, di cantoniere, di ninnoli, di oggettini d'ogni
forma e d'ogni uso, meravigliosamente puliti, che attestavano i mille
piccoli bisogni che crea l'amore della vita sedentaria, l'attività
previdente, la cura continua, il gusto del piccino, il culto
dell'ordine, l'economia industriosa dello spazio, il soggiorno, in fine,
d'una donna casalinga e tranquilla.
La Dea di quel tempietto, che non parlava o non osava parlare il
francese, era nascosta in non so qual penetrale che non mi riuscì
d'indovinare.
Scendemmo a veder la cucina: era uno splendore. Quando tornai a casa, ne
feci la descrizione in presenza di mia madre, alla fantesca, che si
picca di pulizia, e rimase annichilita. Le pareti erano bianche come la
neve intatta; le casseruole riflettevano gli oggetti come specchi; la
cappa del cammino era ornata d'una specie di tendinetta di mussolina
come il cielo d'un letto, senza la menoma traccia di fumo; il muro,
sotto la cappa, era rivestito di lastrine quadrate di maiolica, pulite
come se non ci avessero mai acceso il fuoco; gli alari, la paletta, le
molle, le asticciuole della catena, parevan d'acciaio brunito. Una
signora vestita da ballo avrebbe potuto girar per quella stanza,
ficcarsi in tutti gli angoli e toccare ogni cosa, senza contaminare d'un
punto nero la sua bianchezza.
In quel mentre la fantesca faceva la pulizia, e il mio ospite la
commentava: "Per avere un'idea di cos'è la pulizia da noi," diceva
"bisognerebbe tener dietro per un'ora al lavoro di queste donne. Qui
s'insapona, si lava e si spazzola una casa tal e quale come una persona.
Non è una pulitura, è una toeletta. Si soffia nella commessura dei
mattoni, si fruga negli angoli colle unghie e cogli spilli, si fa una
pulizia minuta al segno da stancare la vista non meno delle braccia. È
una vera passione nazionale. Queste ragazze, che sono ordinariamente
flemmatiche, il giorno stabilito per la pulizia, escono dal loro
carattere, diventan frenetiche. Allora noi non siamo più padroni della
casa. C'invadono le stanze, ci scacciano, ci spruzzano, mettono ogni
cosa sottosopra; per loro è un tripudio; sono come le baccanti della
pulizia; si esaltano lavando."
Gli domandai da che credeva che derivasse questa sorta di manía per cui
è famosa l'Olanda. Mi disse le ragioni che mi dissero poi mille altri:
l'atmosfera del loro paese che intacca straordinariamente il legno e i
metalli; l'umidità, la ristrettezza delle case e la moltiplicità degli
oggetti, che favoriscono il sudiciume; la sovrabbondanza dell'acqua che
agevola il lavoro; un certo bisogno dell'occhio, a cui la pulizia
finisce col parere bellezza; e infine, l'emulazione che spinge tutte le
cose all'eccesso. "Ma non è questa" soggiunse "la parte più pulita
dell'Olanda: l'eccesso, il delirio della pulizia lo vedrà nelle
provincie settentrionali."
Uscimmo a passeggiare per la città. Non era ancora mezzogiorno: si
vedevano serve da tutte le parti, vestite tale e quale come quelle di
Rotterdam. Cosa singolare, tutte le donne di servizio, in Olanda, da
Rotterdam a Groninga, da Haarlem a Nimega, sono vestite dello stesso
colore: un vestito lilla chiaro, tempestato di fioretti, di stelle o di
crocine; e per far la pulizia, portan tutte una cuffietta da malate e un
paio di enormi zoccoli bianchi. Da principio credetti che formassero
tutte insieme una qualche corporazione nazionale che avesse fra i suoi
statuti l'uniformità del vestiario. Son per lo più giovanissime, perchè
donne attempate non reggerebbero alle fatiche che devon durare, bionde,
tonde, con le curve posteriori (osservazione del Diderot) spropositate;
pochissime belle, nel senso stretto della parola; ma d'un bianco e d'un
roseo meraviglioso, che par che schiattino dalla salute, e ci si debba
sentir riavere a premerci la guancia contro la guancia. Le loro forme
pienotte e i loro bei colori ricevon poi una grazia particolare dal loro
vestire casalingo; sopratutto la mattina che han le maniche rimboccate e
il collo scoperto, e lascian vedere dei candori da cherubino. I
giovanotti chiamano quella toeletta, con vocabolo olandese, voluttuosa,
e a me pare che non abbiano tutti i torti.
A un tratto, mi ricordai d'un appunto preso sul mio quaderno prima di
partire per l'Olanda, mi fermai, e feci al mio compagno questa domanda:
"Le serve son anche in Olanda il tormento eterno delle signore?"
Qui mi tocca fare un po' di parentesi. È noto e arcinoto che le signore
non tanto altolocate da non aver che fare direttamente colle loro donne
di servizio, le signore, voglio dire, che hanno una donna sola, che fa
da cuoca e da cameriera, discorrono, nelle loro visite, per una buona
parte del tempo, della loro serva. Son sempre gli stessi discorsi di
difetti insopportabili, d'insolenze sopportate, di tu per tu, di ruberie
sulla spesa, di sperperi, di menzogne, di pretensioni sfrontate, di
congedi e di ricerche e d'altre calamità consimili, che finiscon sempre
nel ritornello doloroso: che serve oneste e fidate, come quelle d'una
volta che s'affezionavano alle famiglie e invecchiavano nelle case, non
ci son più; che bisogna cambiare di continuo; che non c'è più modo di
tirare innanzi. È vero? non è vero? è una conseguenza della libertà e
dell'eguaglianza delle classi, che ha reso più duro il servire e più
esigente chi serve? è un effetto del rilassamento dei costumi e della
disciplina pubblica, che si fa sentire anche in cucina? Comunque sia, il
fatto è che io pure in casa mia sento battere eternamente quel chiodo,
tanto che un giorno, prima di partire per la Spagna, dissi a mia madre:
"Guarda, se qualche cosa, a Madrid, potrà consolarmi della lontananza
della famiglia, sarà il non sentir più toccare quest'odioso argomento."
Arrivo a Madrid, entro in una _Casa de Huespedes_, la prima cosa che mi
dice la padrona è che ha cambiato tre serve in un mese, che è una
disperazione, che non si sa più a che santo voltarsi; e così ogni
giorno, per tutto il tempo che stetti là, una lamentazione infinita.
Tornai a casa, raccontai la cosa, si rise, e mia madre concludette che
quella doveva essere una piaga di tutti i paesi. "No," io dissi, "nei
paesi del Nord non dev'essere così."--"Vedrai e me ne darai notizie," mi
rispose mia madre. Vado a Parigi, e alla prima signora che conosco,
domando: "Le serve sono anche qui come in Italia e in Spagna l'eterno
tormento delle signore?" "_Ah! mon cher monsieur_" mi risponde giungendo
le mani e alzando gli occhi al cielo; "_ne me parlez pas de ça!_" E lì
una lunga storia di lotte, di espulsioni, di guai. Scrivo la cosa a mia
madre, ed essa mi risponde: "Vedremo Londra." Vado a Londra, entro in
conversazione con una signora inglese a bordo del bastimento che mi
conduce ad Anversa, e dopo poche parole, spiegatale prima la ragione
della mia curiosità, le faccio la solita domanda. Essa volta la testa da
un'altra parte mettendosi una mano sulla fronte e poi risponde
spiccicando le parole: "Sono il fla-gel-lum De-i!" Scrivo a casa dandomi
per vinto, soggiungendo però che mi resta una buona speranza per
l'Olanda, paese quieto, dove le case sono tanto ordinate e pulite, e la
vita casalinga così dolce; e mia madre mi risponde che essa pure
propende a fare un'eccezione onorevole per l'Olanda. Ma il dubbio
rimaneva sempre a lei ed a me, io ero curioso ed essa aspettava le
notizie; ecco perchè feci quella domanda al mio cortese Cicerone di
Delft. Ora ognuno si può immaginare con che ansietà io stessi aspettando
la risposta.
"Signore" mi rispose l'olandese dopo un momento di riflessione, "le
risponderò una cosa sola, ed è che in Olanda abbiamo un proverbio, il
quale dice che le serve sono le croci della vita."
Mi cascarono le braccia.
"Prima di tutto," continuò, "c'è il guaio che, per poco che s'abbia una
casa grande, bisogna tenerne due, una per la cucina e una per la
pulizia, essendo quasi impossibile, con quella manía che hanno di lavare
fin l'aria, che una sola faccia le due cose. Poi son tutte assetate
rabbiose di libertà; vogliono star fuori la sera fino alle dieci; avere
di tratto in tratto una giornata completamente libera. Poi bisogna
tollerare che il loro fidanzato o altro le venga a pigliare in casa;
tollerare che ballino per la strada; tollerare che facciano il diavolo
nelle feste delle Kermess. Di più, quando si congedano, aspettare che se
ne vadano quando piace a loro, e qualche volta si fanno aspettare dei
mesi. Oltre a questo, una paga di novanta, di cento fiorini all'anno.
Oltre la paga, un tanto per cento su tutti i pagamenti che fa il
padrone; mancie, di stretto rigore, da tutti gli amici invitati; regali
straordinarii di denaro e di robe; e soprattutto e sempre, pazienza,
pazienza, pazienza."
Ne sapevo abbastanza per parlarne in cattedra con mia madre, e rivolsi
la conversazione sopra un argomento meno sconsolante.
Passando per una stradetta appartata, vidi una signora che s'avvicinò a
una porta, lesse in un pezzetto di carta che v'era attaccato su, fece un
atto di dolore e se n'andò. Dopo un momento, un'altra donna che passava,
si fermò, lesse e tirò via. Domandai una spiegazione al mio compagno, il
quale mi fece conoscere un uso assai curioso degli Olandesi. Su quel
pezzetto di carta v'era scritto che il malato tale dei tali stava
peggio. In molte città di Olanda, quando uno s'ammala, la famiglia
affigge ogni giorno alla porta il bullettino sanitario, perchè gli amici
e i conoscenti non abbian da entrare in casa a domandar notizie. Questa
sorta d'annunzi si usano anche in altre occasioni. In certe città si
annunzia la nascita d'un bambino appendendo alla porta una palla
fasciata di seta rossa e di trina, il cui nome in olandese significa:
prova di nascita. Se è una bambina, v'è su un pezzetto di carta bianca;
se son gemelli, la trina è doppia; e per alcuni giorni dopo la nascita,
si affigge pure un avviso che dice: «Il bimbo e la puerpera stanno
bene, hanno passato una buona notte» o il contrario, secondo il caso.
Una volta, quando sopra una porta c'era un annunzio di nascita, per nove
giorni i creditori della famiglia non potevano picchiare alla porta; ma
credo che quest'uso sia caduto, benchè dovesse avere la benefica virtù
di promuovere l'accrescimento della popolazione.
In quella breve passeggiata per le strade di Delft, incontrai pure certe
figure funebri che avevo già viste a Rotterdam, senza capire se fossero
preti o magistrati o becchini, perchè il loro vestiario e il loro
aspetto avevan un po' delle tre cose. Portavano un cappello a tre punte,
con un gran velo nero che scendeva sui fianchi, un vestito nero a coda
di rondine, calzoni corti e neri, calze nere, mantello nero, scarpe con
fibbie, cravatta e guanti bianchi; e un foglio listato di nero fra le
mani. Il mio compagno mi spiegò che si chiamavano con un vocabolo
olandese intraducibile _aansprekers_, e che il loro ufficio era di
portar l'annunzio delle morti ai parenti ed amici dei defunti e di
annunziarle per le strade. Il loro vestiario cangia in qualche
particolare da paese a paese, e secondo che son cattolici o protestanti.
In certe città hanno un enorme cappello alla don Basilio. Son per lo più
pulitissimi e qualche volta vestiti e pettinati con una ricercatezza
che contrasta irreverentemente col loro carattere d'impiegati della
morte o, come li definì un viaggiatore, di lettere mortuarie viventi.
Ne vedemmo uno fermo dinanzi a una casa. Il mio compagno mi fece
osservare che le finestre di quella casa avevano le imposte socchiuse, e
mi disse che ci doveva esser morto qualcuno. Domandai chi. "Non lo so,"
mi rispose "ma a giudicar dalle imposte non dev'essere un parente molto
prossimo del padrone di casa." Quest'argomentazione parendomi un po'
strana, egli mi spiegò che in Olanda, quando muore qualcuno in una
famiglia, si chiudono le finestre con uno due o tre dei battenti mobili
delle imposte, secondo che il parente è più o meno stretto. Ogni
battente dinota un grado di parentela. Per il padre o la madre si
chiudon tutti meno uno, per un cugino se ne chiude un solo, per un
fratello due; e via discorrendo. Uso, c'è da credere, molto antico, e
che dura ancora perchè in quel paese nessun uso si smette per capriccio,
e si cangia soltanto quello che importa seriamente di cangiare, e dopo
essersi arcipersuasi che si cangia in meglio.
Avrei voluto vedere, a Delft, la casa dov'era la birreria del pittore
Steen, e dove egli prese probabilmente quelle sbornie famose, che furono
oggetto di tante questioni fra i suoi biografi. Ma il mio ospite mi
disse che non ce n'era memoria. Però, a proposito di pittori, mi diede
la gradita notizia che io mi trovavo in quella parte dell'Olanda
compresa fra Delft, l'Aja, il mare, la città d'Alkmar, il golfo
d'Amsterdam e l'antico lago d'Haarlem, la quale si potrebbe chiamare
propriamente la patria della pittura olandese, e perchè i più grandi
pittori vi nacquero, e perchè, presentando degli aspetti singolarmente
pittoreschi, l'amarono e la studiarono con predilezione. Ero dunque
proprio nel seno dell'Olanda e partendo da Delft mi sarei sprofondato
nel suo cuore.
Prima di partire, vidi ancora di sfuggita l'arsenale militare che occupa
un grande edifizio, il quale serviva prima di magazzino alla Compagnia
delle Indie orientali, e comunica con un'officina d'artiglieria e una
gran polveriera posta fuori della città. V'è ancora, a Delft, la grande
scuola politecnica degl'ingegneri, la vera scuola di guerra dell'Olanda,
dalla quale escono gli ufficiali dell'esercito di difesa contro il mare,
e son questi giovani guerrieri delle dighe e delle cateratte, trecento
circa, che danno vita alla tranquilla città di Grozio. Mentre mettevo il
piede nella barca che mi doveva condurre all'Aja, il mio olandese mi
descriveva l'ultima festa quinquennale celebrata a Delft dagli studenti;
una di quelle feste particolari dell'Olanda, specie di mascherate
storiche, che sono come un riflesso della sua grandezza passata, e
servono a mantener viva nel popolo la tradizione dei personaggi e degli
avvenimenti illustri d'altri tempi. Una grande cavalcata rappresentava
l'entrata in Arnhem nel 1492 di Carlo d'Egmont, duca di Gheldria, conte
di Zuften; di quella famiglia d'Egmont, che diede col nobile e
sventurato conte Lamoral la prima grande vittima della libertà olandese
alla scure del duca d'Alba. Duecento studenti a cavallo, con bardature
principesche, con armature, con cotte d'armi dorate e stemmate, agitando
alteramente i grandi pennacchi e le grandi spade, formavano il corteggio
del duca di Gheldria. Seguivano gli alabardieri, gli arcieri, i
lanzichenecchi vestiti delle foggie pompose del decimoquinto secolo;
suonavan le bande musicali; la città brillava tutta di lumi; e per le
sue strade formicolava una folla immensa accorsa da ogni parte d'Olanda
a godere quella splendida visione d'un'età lontana.


L'AJA.

La barca era vicina a un ponte, in un piccolo bacino formato dal canale
che va da Delft all'Aja, e ombreggiato dagli alberi della sponda come un
laghetto di giardino.
Le barche che portan passeggieri da una città all'altra si chiamano in
olandese _trekschuiten_.
Il _trekschuit_ è la barca tradizionale, emblematica dell'Olanda, com'è
per Venezia la gondola. L'Esquiroz la definì: il genio della vecchia
Olanda galleggiante sulle acque. E infatti, chi non ha viaggiato in
_trekschuit_, non conosce l'aspetto più originale e più poetico della
vita olandese.
È una grande barca occupata quasi tutta da un casotto, della forma d'una
diligenza, diviso in due scompartimenti: quello a prora per la seconda
classe e quello a poppa per la prima. Sulla prora è piantata un'asta di
ferro con un anello per il quale passa una lunga corda che da una parte
si va ad annodare vicino al timone, e dall'altra a un cavallo di
rimorchio montato da un barcaiolo. Le finestrine del casotto hanno le
loro tendine bianche; le pareti e le porte sono dipinte; dentro lo
scompartimento di prima classe vi son dei sedili con cuscinetti, un
piccolo tavolino con qualche libro, un armadio, uno specchietto; ogni
cosa lucidissimo. Posando la valigia, lasciai cadere un po' di cenere di
sigaro sotto il tavolino; dopo un minuto rientrai e non ce la vidi più.
Ero solo; non ebbi da aspettare molto tempo; il timoniere fece un cenno,
il rimorchiatore montò a cavallo, e il _trekschuit_ cominciò a scorrere
mollemente sul canale.
Era un'ora dopo mezzogiorno e splendeva un bellissimo sole, ma la barca
passava nell'ombra. Il canale era fiancheggiato da due file di tigli, di
olmi, di salici, e da siepi alte, che nascondevano la campagna. Pareva
di navigare a traverso un bosco. A ogni svoltata si vedeva una
lontananza profonda, tutto verde e chiuso, e qualche mulino a vento
sulla sponda. L'acqua era coperta di un tappeto di lemna, e in alcuni
punti tempestata di fiorellini bianchi, d'iridi, di ninfee, di lenti
palustri. L'alta spalliera di verzura che fiancheggiava il canale,
s'apriva qua e là in brevi tratti, e allora si vedeva come da una
finestra l'orizzonte lontano della campagna, che subito era rinascosto.
Ogni tanto s'incontrava un ponte. Era bello vedere la rapidità, con cui
l'uomo a cavallo, e un altro, fisso là di guardia, facevan la manovra
delle corde per far passare il _trekschuit_; e come i due conduttori,
quando i _trekschuiten_ s'incontravano, si cedevano il passo, l'uno
facendo scorrer la corda sotto quella dell'altro, senza dire una parola,
senza salutarsi neanco con un sorriso, come se la serietà e il silenzio
fossero obbligatorii. Per tutta la strada non si sentiva altro rumore
che il frullo delle ali dei mulini.
S'incontravano dei barconi carichi di legumi, di torba, di pietre, di
botti, rimorchiati con una lunghissima corda da un uomo aiutato qualche
volta da un grosso cane con una cordicella al collo. Alcuni erano
rimorchiati da un uomo, una donna e un ragazzo, l'uno dietro l'altro,
colla fune legata a una specie di sottopancia di cuoio o di tela; tutti
e tre tanto inclinati innanzi da non capire come malgrado il ritegno
della fune potessero tenersi in piedi. Altri barconi eran rimorchiati da
una vecchia sola. Su parecchi, c'era al timone una donna con un bambino
al seno; altri bambini intorno; un gatto sur un sacco, un cane, una
gallina, dei vasi di fiori, delle gabbie d'uccelli. Su altri la donna
faceva la calza dondolando una culla col piede; su altri faceva da
mangiare; in alcuni, tutta la famiglia, meno uno che rimorchiava, stava
mangiando in crocchio. E non si può dire la pace che spirava nei visi di
quella gente, nell'aspetto di quelle case acquatiche, di quegli animali
divenuti, in certo modo, anfibii; la placidità di quella vita
galleggiante, l'aria sicura e libera di quelle famiglie erranti e
solitarie. E così vivono in Olanda migliaia di famiglie che non hanno
altra casa che la barca. Un uomo piglia moglie, fra tutti e due comprano
un battello, ci s'installano e portan le derrate da un mercato
all'altro. I bambini nascon sui canali, sono allevati e crescon
sull'acqua; la barca porta le masserizie, il piccolo peculio, le memorie
domestiche, gli affetti, il passato, tutto il bene presente e tutte le
speranze dell'avvenire. Si lavora, si risparmia, e dopo molti anni si
compra un battello più grande, vendendo la vecchia casa a una famiglia
più povera, o lasciandola al figlio maggiore che vi condurrà una sposa
cresciuta sur un altro battello, e adocchiata per la prima volta in un
incontro sul canale. E così di barca in barca, di canale in canale, la
vita scorre soave e tranquilla, come la casa vagabonda che la ricetta e
l'acqua silenziosa che l'accompagna.
Per un pezzo non vidi sulle due sponde che piccole case di contadini;
poi cominciai a vedere villette, chioschi e capanni, mezzo nascosti fra
gli alberi; e negli angoli più ombrosi, qualche signora bionda, vestita
di bianco, seduta, con un libro in mano; o qualche grosso signore
avvolto in un nuvolo di fumo, coll'aria soddisfatta del negoziante
arricchito. Tutte queste villette son dipinte d'un color roseo o
azzurrino, hanno i coppi del tetto inverniciati, terrazzi sostenuti da
colonnine, e giardinetti davanti o intorno, con aiuole e sentieri da
presepio; miniature di giardini, puliti, lisciati, leccati. Alcune case
son poste sull'orlo del canale, col piede nell'acqua; e lascian vedere i
fiori, i vasi e i mille ninnoli luccicanti dell'interno delle stanze.
Quasi tutte hanno un'iscrizione sulla porta, che è come l'aforismo della
felicità domestica, la formula della filosofia del padrone, come:--La
pace è denaro.--Piacere e riposo.--Amicizia e società.--I miei desiderii
sono soddisfatti.--Senza fastidi.--Tranquillo e contento.--Qui si godono
i piaceri dell'orticultura.--Qua e là c'era qualche bella vacca bianca e
nera, accovacciata sulla sponda, col muso a fior d'acqua, che sollevava
placidamente la testa verso la barca. Incontravamo degli stormi d'anitre
che si scansavano per lasciarci passare. C'erano di tratto in tratto a
destra e a sinistra dei canaletti quasi coperti da due alte siepi che
consertavano i rami formando una vôlta di verzura, sotto la quale si
vedevano allontanarsi e sparire nell'oscurità delle barchette di
contadini. Di tempo in tempo, in mezzo a tutto quel verde, saltava fuori
all'improvviso un gruppo di case, un villaggetto variopinto e lindo, coi
suoi specchietti e i suoi tulipani alle finestre; senza un'anima viva; e
quel silenzio profondo era rotto da un'arietta allegra d'un campanile
che non si vedeva. Era un paradiso pastorale, un paesaggio da idillio,
pieno di freschezza e di mistero; un'arcadia chinese, tutta piccoli
nascondigli, piccole sorprese, piccoli artifizi innocenti di bellezza,
che facevan l'effetto come di tante voci sommesse di gente invisibile
che bisbigliassero:--Siamo contenti.
A un certo punto il canale si biforca; un braccio che si nasconde fra
gli alberi va a Leida, l'altro volge a sinistra e va all'Aja. Dopo
questo punto, il _trekschuit_ cominciò a soffermarsi ora dinanzi a una
casa, ora dinanzi alla porta di un giardino per ricevere involti,
lettere e imbasciate a voce da portare all'Aja.
Un vecchio signore uscì da una villa e salì accanto a me. Parlava
francese, attaccammo discorso. Era stato in Italia, sapeva qualche
parola d'italiano, aveva letto _Les fiancés_; mi domandò dei particolari
sulla morte di Alessandro Manzoni: dopo dieci minuti, l'adoravo. Da lui
ebbi dei ragguagli sul _trekschuit_. Per capire la poesia di questa
barca nazionale, bisogna fare dei viaggi lunghi, in compagnia di gente
del popolo. Allora ognuno ci s'installa come in casa sua, le donne
lavorano, gli uomini salgono a fumare sul tetto; desinano tutti insieme;
dopo desinare, si adagiano fuori del casotto per vedere tramontare il
sole; i discorsi si fanno più intimi, la brigata diventa una famiglia.
Vien la notte; il _trekschuit_ attraversa come un'ombra dei villaggi
immersi nel silenzio, scivola sui canali inargentati dalla luna, si
nasconde nelle macchie, esce nell'aperta campagna, rasenta le case
solitarie in cui brilla la lucerna del contadino, e incontra barche di
pescatori che gli passano accanto come fantasmi. In quella pace
profonda, in quell'andar lento ed eguale, uomini e donne s'addormentano
a poco a poco gli uni accanto agli altri e la barca non lascia più
dietro di sè che il bisbiglio confuso dell'acqua e dei respiri.
Via via che s'andava innanzi, i giardini e le ville spesseggiavano. Il
mio compagno di viaggio mi accennò un campanile lontano, e mi nominò il
villaggio di Ryswijk, dove fu firmato nel 1697 il celebre trattato di
pace tra la Francia, l'Inghilterra, la Spagna, l'Alemagna e l'Olanda. Il
castello del principe d'Orange, dove convennero i firmatari, non esiste
più, e fu alzato in suo luogo un obelisco.
Tutt'a un tratto, il _trekschuit_ uscì di mezzo agli alberi, e vidi una
vasta pianura, un gran bosco e una città coronata di torri e di mulini a
vento.
Era l'Aja.
Il barcaiolo mi chiese e ricevette i denari in un sacchettino di cuoio.
Il rimorchiatore stimolò il cavallo. In pochi minuti arrivammo in città,
e dopo un quarto d'ora io mi trovavo in una stanza luccicante
dell'Albergo Turenna, chi sa! forse nella stanza medesima dove il
celebre maresciallo aveva dormito da giovanetto quando era al servizio
dell'Olanda.
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