Olanda - 03

isolette, lasciando ritta, in mezzo a tante rovine, una sola torre,
chiamata _casa Merwede_ della quale si vedono ancora gli avanzi. Così
Dordrecht fu separata dal continente, e fece la sua comparsa sulla terra
l'arcipelago di Biesbosch, il quale tanto per mostrare che ha una
ragione qualunque di esistere, offre del fieno, delle canne e dei
giunchi a un piccolo villaggio che si formò come un nido di rondini sur
una delle dighe circostanti. Ma non è tutta qui la singolarità della
storia di Dordrecht. La tradizione racconta, molti credono e qualcheduno
sostiene che Dordrecht, tutta la città di Dordrecht, si noti bene, colle
sue case, coi suoi mulini, coi suoi canali, abbia fatto, al tempo di
quella memorabile inondazione, una breve passeggiata, si sia cioè
trasportata di sana pianta da un luogo all'altro come l'accampamento
d'un esercito; e che per conseguenza gli abitanti dei paesi vicini che
si recarono dopo la catastrofe alla loro città, non ce l'abbiano più
trovata, e sian rimasti, figuriamoci come! E questo prodigio si spiega
col fatto che Dordrecht è fondata sur uno strato d'argilla, e che
questo strato d'argilla sarebbe scivolato sulla massa di torba che forma
la base del suolo. E io la scrivo qui come l'ho udita e come l'ho letta.
Prima che il bastimento uscisse dal canale de Noord, la mia speranza di
vedere il primo tramonto di sole in Olanda, fu delusa da un altro
improvviso cangiamento di tempo. Il cielo si oscurò, le acque si fecero
livide e l'orizzonte scomparve dietro un velo denso di vapori.
Il bastimento sboccò nella Mosa e voltò, per la decima volta, a
sinistra.
In quel punto la Mosa, che travolge con sè prigioniere le acque del
principal braccio del Reno, il Vaal, e riceve quelle del Leck e
dell'Yssel, è larghissima e le sue sponde son fiancheggiate da lunghe
file di alberi e sparse di case, di officine, di opifici, di arsenali,
che spesseggiano via via che ci s'avvicina a Rotterdam. Per poco che si
conosca la storia fisica d'Olanda, la prima volta che si vede la Mosa, e
che si pensa agli straripamenti memorabili, alle devastazioni, alle
trasformazioni, alle mille calamità e alle vittime infinite di quel
fiume capriccioso e terribile, si guarda con una sorta di curiosità
inquieta, come si guarda un brigante famoso, e si giran gli occhi sulle
dighe con un sentimento quasi di soddisfazione e di gratitudine, come,
al veder passare un brigante ammanettato, si giran gli occhi sui
carabinieri. Mentre io cominciavo a cercar cogli occhi Rotterdam, un
passeggiere olandese raccontava che quando la Mosa è gelata, la
corrente che sopraggiunge dai paesi men freddi, investe lo strato di
ghiaccio che copre il fiume, lo spezza, ne solleva con un terribile
fracasso dei massi enormi, li scaglia contro le dighe, li ammonta in
mucchi smisurati che arrestano e fanno straripare le acque. Allora segue
una battaglia strana. Alle minaccie della Mosa gli Olandesi rispondono
col fuoco. Accorre l'artiglieria, e a scariche di mitraglia risolve in
una tempesta di scheggie e in una pioggia di brina le torri e le
barricate di ghiaccio che si oppongono alla corrente. "Noia" concluse il
passeggiere "che abbiamo noialtri Olandesi soltanto, questa di dover
pigliare i fiumi a cannonate."
Quando si arrivò in vista di Rotterdam, imbruniva e piovigginava; quindi
vidi appena come a traverso un velo una confusione immensa di
bastimenti, di case, di mulini a vento, di torri, d'alberi, di gente in
moto sui ponti e sulle dighe; lumi da ogni parte; una gran città d'un
aspetto non mai visto prima d'allora; e che la nebbia e l'oscurità mi
nascosero ben presto. Quando mi fui accomiatato dai miei compagni di
viaggio, ed ebbi messo in ordine il mio bagaglio, era notte. "Tanto
meglio;" dissi salendo in una carrozza "vedrò per la prima volta una
città olandese di notte, che dev'essere uno spettacolo nuovo." E in
fatti il Bismark, quando fu a Rotterdam, scrisse a sua moglie che di
notte vedeva dei fantasmi sui tetti.


ROTTERDAM.

È difficile raccapezzare qualcosa della città di Rotterdam entrandoci di
notte. La carrozza, appena mossa, passò sopra un ponte che risonò
cupamente, e mentre credevo d'essere, ed ero infatti, dentro la città,
vidi con stupore a destra e a sinistra due file di bastimenti che si
perdevano nel buio. Passato il ponte, percorremmo una strada illuminata
e piena di gente, e riuscimmo a un altro ponte, in mezzo ad altre file
di bastimenti. E così innanzi per un pezzo, da un ponte in una strada,
da una strada sur un ponte, e per accrescere la confusione, una
luminaria non mai veduta di lampioni agli angoli delle case, di lanterne
sui bastimenti, di fanali sui ponti, di lumi alle finestre, di lumicini
sotto le case, di riflessi di tutta questa luce sull'acqua. A un tratto
la carrozza si fermò, si affollò gente, misi la testa fuori e vidi un
ponte in aria. Domandai che c'era, uno sconosciuto mi rispose che
passava un bastimento. Di lì a un minuto, andammo innanzi, vidi di
sfuggita un crocicchio di canali e di ponti che formavano come una gran
piazza tutta irta di alberi di bastimento e tempestata di punti
luminosi, e infine s'infilò una strada e s'arrivò all'albergo.
La prima cosa che feci, entrando nella mia camera, fu di vedere se
rispondeva alla gran fama della pulizia olandese. Rispondeva, ed è tanto
più da ammirarsi in una camera d'albergo, quasi sempre occupata da gente
profana a quello che presso gli Olandesi si potrebbe chiamare il culto
della pulizia. La biancheria era candida come la neve, i vetri
trasparenti come l'aria, i mobili lucidi come il cristallo, le pareti
nitide da non trovarci un punto nero colla lente. Oltre a questo, una
paniera per i fogliacci, una tavoletta per accendere i fiammiferi, una
lastrina per smorzare i sigari, una scatola per i mozziconi, un vasetto
per la cenere, una cassetta per gli sputi, un'assicella per le scarpe;
insomma, non un pretesto al mondo per insudiciare checchessia.
Visitata la camera, stesi sul tavolino la pianta di Rotterdam e feci i
miei studi preparatorii per il domani.
È una cosa singolare che le grandi città dell'Olanda, benchè sian state
fabbricate in un suolo malfermo, e vincendo difficoltà d'ogni specie,
hanno tutte una forma straordinariamente regolare. Amsterdam è un
semicircolo, l'Aja è un quadrato, Rotterdam è un triangolo equilatero.
La base del triangolo è una immensa diga, che difende la città dalla
Mosa, chiamata Boompjes, che significa in olandese alberetti, da una
fila di piccoli olmi, ora altissimi, che vi furon piantati quando fu
costruita. Un'altra gran diga forma un secondo baluardo contro le
inondazioni del fiume, che divide in due parti quasi uguali la città,
dal mezzo del lato sinistro fino all'angolo opposto. La parte di
Rotterdam compresa fra le due dighe è tutta grandi canali, isolette e
ponti, ed è la città nuova; quella che si stende di là dalla seconda
diga è la città antica. Due grandi canali si stendono lungo gli altri
due lati della città fino al vertice, dove si congiungono, e ricevono un
fiume che si chiama Rotte, il quale, colla parola _dam_ che significa
diga, forma il nome di Rotterdam.
Compiuto così il mio dovere di viaggiatore coscienzioso, usando mille
cautele per non offendere nemmeno col fiato la pulizia purissima di quel
gioiello di camera, mi abbandonai con una sorta di timidità contadinesca
al mio primo letto olandese.
I letti olandesi, parlo di quei degli alberghi, sono ordinariamente
corti, larghi, e occupati in buona parte da un grandissimo guanciale
pieno di piuma, nel quale s'affonderebbe la testa d'un ciclope; e
aggiungo, per dir tutto, che il lume ordinario è una bugia di rame
grande come un piatto che potrebbe sostenere una torcia a vento, e regge
invece, una candelina corta e sottile come il dito mignolo di una
spagnuola.
La mattina, appena levato, scesi le scale a precipizio.
Che strade, che case, che città, che confusione di cose nuove per uno
straniero: che spettacolo diverso da tutto quel che si vede in tutti gli
altri paesi d'Europa!
Vidi prima l'Hoog-Straat, una strada lunghissima e diritta, che corre
sulla diga interna della città.
Le case senza intonaco, color di mattone di tutte le sfumature, dal
rosso cupo quasi nero, al rosso quasi roseo, la maggior parte non più
larghe di due finestre e non più alte di due piani, hanno il muro della
facciata che sorpassa e nasconde il tetto, stringendosi in forma di
triangolo mozzo, sormontato da un frontone. Di queste facciate a punta,
altre s'alzano con due curve, come un lungo collo senza testa; altre son
tagliate a scalini, come le case che fanno i bambini coi legnetti;
alcune presentano il prospetto d'un padiglione conico, altre di
chiesuole di campagna, altre di baracche da palcoscenico. I frontoni
sono generalmente contornati di righe bianche, di ornati di cattivo
gusto, di grossolani rabeschi in rilievo intonacati; le finestre e le
porte, con larghi contorni bianchi; altre righe bianche fra piano e
piano; gli spazii tra porta e porta di bottega, rivestiti di legno
bianchiccio; così che per tutta la lunghezza delle strade non si vedon
che due colori: bianco e rosso scuro, e in lontananza tutte le case
paion nere, listate di tela, e presentano un aspetto tra funebre e
carnevalesco, che lascia in dubbio se s'abbia da dire che rattrista o
che rallegra. Al primo aspetto mi venne da ridere, non parendomi
possibile che quelle case fossero state fatte sul serio, e che ci
potesse star dentro della gente posata. Avrei detto che passata
l'occasione di non so che festa dovessero sparire, come certi edifizi di
cartone dopo che si son fatti i fuochi d'artifizio.
Mentre guardavo così vagamente la strada, vidi una casa che mi fece fare
un atto di stupore. Credetti d'aver preso abbaglio, la guardai meglio,
guardai le case vicine, le raffrontai colla prima e fra di loro, e
temetti ancora di aver le traveggole. Svoltai in fretta in una strada
laterale e mi parve di vedere la stessa cosa. Infine mi persuasi che
veramente non m'ingannavo, e che tutta la città era in quel modo.
Tutta la città di Rotterdam è tal quale sarebbe una città rimasta
immobile nel punto che, scossa da un terremoto, stava per cadere in
rovina.
Tutte le case--si possono, in una strada, contar le eccezioni sulle
dita--pendono, quale più quale meno; ma la maggior parte tanto che,
all'altezza del tetto, sporgono innanzi un buon braccio dalla casa
vicina, che sia ritta o inclinata appena visibilmente. Ma lo strano è
questo, che le case che si toccano le une con le altre, sono inclinate
da diverse parti; una pende innanzi, che pare voglia precipitare;
l'altra pende indietro; una s'inclina a sinistra, l'altra s'inclina a
destra. In alcuni punti sei o sette case contigue pendono tutte innanzi,
quelle in mezzo di più, quelle all'estremità di meno, formando così una
gran pancia come uno stecconato che s'incurvi sospinto da una folla. In
altri punti due case un po' discoste s'inclinano l'una verso l'altra
come si sorreggessero a vicenda. In certe strade, per un lungo tratto,
tutte le case pendono dalla stessa parte di fianco, come alberi
abbattuti l'un sull'altro dal vento; e poi, per un altro lungo tratto,
pendono tutte nella direzione opposta, come un'altra fila d'alberi
incurvati da un vento contrario. In alcuni punti vi è una certa
regolarità d'inclinazione, che quasi non si avverte; in altri, su certi
crocicchi, in certe stradette è uno scompiglio da non poter descrivere,
una vera baldoria architettonica, una danza di case, un disordine che
sembra animato. Vi son le case che par che caschin innanzi dal sonno,
quelle che si rovesciano indietro spaventate, quelle che s'inclinano
l'una verso l'altra, quasi fino a toccarsi coi tetti, come per
confidarsi di segreti; quelle che si cascano addosso le une alle altre
come ubriache; alcune che pendono indietro, in mezzo a due che pendono
innanzi, come malfattori strascinati da due guardie; schiere di case che
fanno una riverenza a un campanile; gruppi di casette tutte inclinate
verso una nel mezzo, che par che congiurino contro qualche palazzo. E
dirò poi il segreto della cosa.
Ma nè la forma, nè l'inclinazione son quello che mi parve più curioso in
quelle case.
Bisogna osservarle attentamente, una per una, dall'alto al basso, e c'è
da divertirsi come dinanzi a un quadro.
Sulla sommità della facciata, nel mezzo del frontone, sporge, in alcune
case, un tronco di trave inclinato, con una carrucola e una corda per
calare e tirar su secchiolini e corbelli. In altre, sporge pure, da un
finestrino tondo, una testa di cervo, di montone o di capra. Sotto la
testa, v'è un cordone di pietre imbiancate, o una traversa di legno che
taglia tutta la facciata. Sotto la traversa, vi son due larghe finestre,
sulle quali sporgono due tende in forma di baldacchino ricascanti dai
lati. Sotto queste tende, sui vetri più alti, una piccola cortina verde.
Sotto la cortina verde, due tendine bianche ed aperte, in mezzo alle
quali è sospesa una gabbietta d'uccelli o un canestro pieno di fiori che
spenzolano. Sotto questo canestro, appoggiata ai vetri, una rete di
sottilissimi fili di ferro incorniciata, che impedisce di veder dentro
la stanza. Dietro la rete, negli intervalli fra la rete stessa e i muri
della finestra, un tavolinetto con su porcellane, cristallame, fiori,
ninnoli, figurine. Sulla pietra del davanzale, dalla parte della strada,
una fila di piccoli vasi di fiori. Nel mezzo della pietra o da un lato,
un ferro sporgente sulla strada, curvo, rivolto in su, che sostiene due
specchi uniti in forma d'un libro, mobili, e sormontati da un terzo
specchietto, pure mobile; in modo che dall'interno della casa si può
vedere, senz'essere visti, tutto quello che segue nella strada. In
alcune case, tra finestra e finestra sporge un lampione. Sotto le
finestre, la porta di casa o d'una bottega. Se è una bottega, v'è sopra
la porta o una testa di moro colla bocca spalancata, o una testa di
turco che fa la smorfia: ora un elefante, ora un'oca: dove una testa di
cavallo, dove una testa di toro, dove un serpente, dove una mezza luna,
dove un mulino a vento, dove un braccio disteso che tiene in mano un
oggetto diverso secondo il genere della bottega. Se è la porta di
casa,--sempre chiusa,--v'è una lastra di ottone con su scritto il nome
dell'inquilino, un'altra lastra con una buca per le lettere, una terza
lastra sul muro col pomo del campanello; lastre, chiodi, serrature,
tutto luccicante come l'oro. Dinanzi alla porta un ponticino di
legno--perchè in molte case il piano terreno è assai più basso della
strada;--e dinanzi al ponticino, due colonnette di pietra sormontate da
due palle; altre colonnette sul davanti unite con catene di ferro, fatto
di grossi anelli in forma di croci, di stelle, di poligoni; nel vuoto
tra la strada e la casa, vasi di fiori; sulle finestre del pian terreno,
nascoste in quel fosso, altri vasi e tendine. Nelle stradette appartate,
poi, gabbie d'uccelli a destra e a sinistra delle finestre, cassette
piene di verdura, panni appesi, biancheria distesa, mille colori, mille
oggetti che sporgono e che dondolano, da parere una fiera universale.
Ma senza uscire dalla vecchia città, basta allontanarsi dal centro, per
vedere a ogni passo qualcosa di nuovo.
Andando per certe strade strette e diritte, si vedono tutt'a un tratto
chiuse in fondo come da una tenda che nasconde la campagna, e che appena
comparsa, sparisce, ed è la vela d'un bastimento che passa per un
canale. In altre strade, si vede in fondo una rete di cordami che par
tesa fra le due ultime case per impedire il passaggio, e sono cordami di
bastimenti fermi in un bacino. In fondo ad altre strade si vede la porta
d'un ponte levatoio, sormontata da due lunghe travi parallele che
presentano un aspetto bizzarro, come d'una gigantesca altalena destinata
a divertimento della gente leggiera, che sta in quelle case stravaganti.
In altre strade, si vede in fondo un mulino a vento, alto come un
campanile, e nero come una torre antica, che gira le braccia a modo
d'una enorme girandola sopra i comignoli delle case vicine. Da tutte le
parti infine, fra le case, sopra i tetti, in mezzo agli alberi lontani,
si vedono spuntare alberi di bastimenti, bandierine, vele, qualcosa che
ricorda che s'è circondati dall'acqua, e che fa immaginare che la città
sia fabbricata nel bel mezzo d'un porto.
In questo tempo s'erano aperte le botteghe e popolate le strade.
V'era gran movimento di gente, ma gente affaccendata senza fretta, la
qual cosa distingue il movimento delle strade di Rotterdam da quello di
certe strade di Londra, che a parecchi viaggiatori parvero
somigliantissime fra loro, in specie per il colore delle case e
l'aspetto grave degli abitanti. Visi bianchi, visi pallidi, visi color
di cacio parmigiano, capelli biondi, biondissimi, rossicci, giallastri,
larghi visi sbarbati, barbe intorno al collo, occhi azzurri, chiari
tanto da doverci cercar le pupille; donne tarchiate, grasse, rosee,
lente, con cuffiette bianche, e orecchini in forma di cavaturaccioli:
son le prime cose che osservai nella folla.
Ma la gente non era quello che per il momento stimolasse di più la mia
curiosità. Attraversai l'Hoog-Straat, e mi trovai nella città nuova.
Qui non si sa più dire se è una città o un porto, se c'è più terra o più
acqua, se c'è più bastimenti o più case.
Sono lunghi e larghi canali che dividono la città in tante isole, unite
per mezzo di ponti levatoi, di ponti giranti e di ponti di pietra. Dalle
due parti di ogni canale si stendono due strade, fiancheggiate ciascuna
da una fila d'alberi dalla parte dell'acqua e da una schiera di case
dalla parte opposta. Tutti questi canali formano altrettanti porti
abbastanza profondi da ricevere i più grandi bastimenti, e ogni canale
n'è pieno da un capo all'altro, fuor che in un ristretto spazio nel
mezzo che serve per l'entrata e per l'uscita. Par di vedere un'immensa
flotta imprigionata in una città.
Quando vi giunsi era l'ora del maggior movimento; e io m'andai a
piantare sul ponte più alto del crocicchio principale.
Si vedevano quattro canali, quattro foreste di bastimenti, fiancheggiate
da otto file d'alberi; le strade ingombre di mercanzie e di gente;
branchi di bestiame che passavan sui ponti; ponti che s'alzavano o si
spezzavano per lasciar passare i bastimenti, ed erano appena riabbassati
o ricomposti, che v'irrompeva su un'onda di gente, di carrozze e di
carretti; bastimenti che entravano o uscivano dai canali, lucenti come
modelli da museo, colle donne e i bambini dei marinai sul ponte;
barchette che guizzavano fra bastimento e bastimento; un via vai
d'avventori nelle botteghe; un gran lavorío di serve che lavavano muri e
vetrate; e tutto questo movimento rallegrato dal riflesso dell'acqua,
dal verde degli alberi, dal rosso delle case, dai mulini altissimi che
disegnavano lontano la loro cima nera e le loro ali bianche sul cielo
azzurro; e più ancora, da un'aria non vista mai in alcun'altra città
settentrionale, di semplicità e di quiete.
Osservai attentamente un bastimento olandese.
Quasi tutti i bastimenti affollati nei canali di Rotterdam non fanno
altri viaggi che sul Reno e in Olanda; hanno un albero solo, e son
larghi, robusti, e variopinti come barchette da giocattolo. Il fasciame
della carcassa è per lo più color verde d'erba montanina, ornato intorno
all'orlo d'una striscia rossissima o bianca, o di parecchie striscie,
che paiono una gran fascia di nastri di vario colore. La poppa, per lo
più, è dorata. Il tavolato del ponte e l'albero sono inverniciati e
lucidi, come il più pulito pavimento di sala. Il rovescio dei coperchi
delle botole, le secchie, i barili, le antenne, le assicelle, tutto è
tinto di rosso, strisciato di bianco o di azzurro. Il casotto dove stan
le famiglie dei marinai è anch'esso colorito come un chiosco chinese, e
ha i suoi vetri limpidissimi e le sue tendine bianche ricamate e legate
con nastri color di rosa. In tutti i ritagli di tempo, marinai, donne e
fanciulli sono occupati a lavare, a spazzare, a strofinare da tutte le
parti con una cura infinita; e quando poi il loro bastimentino fa la sua
uscita dal porto tutto fresco e pomposo come un cocchio di gala, essi
ritti sulla poppa cercano con alterezza un muto complimento negli occhi
della gente accalcata lungo i canali.
Di canale in canale, di ponte in ponte, arrivai sino alla diga dei
Boompjes, dinanzi alla Mosa, dove ferve tutta la vita della grande città
commerciale. A sinistra si stende una lunga fila di piccoli piroscafi
variopinti, che partono ogni ora del giorno per Dordrecht, per Arnhem,
per Gouda, per Schiedam, per Brilla, per la Zelanda, e riempiono
continuamente l'aria del suono allegro delle loro campanelle e di
nuvoletti bianchi di fumo. A destra ci sono i grandi bastimenti che
fanno il viaggio ai vari porti d'Europa, frammisti ai bellissimi navigli
a tre alberi che vanno alle Indie orientali, coi nomi scritti a
caratteri d'oro: Java, Sumatra, Borneo, Samarang, che ravvicinano alla
fantasia quelle terre e quei popoli selvaggi, come un eco di voci
lontane. Dinanzi, la Mosa percorsa da un gran numero di barchette e di
barconi, e la riva lontana sulla quale s'inalza una foresta di faggi,
di mulini a vento, di torri d'officine; e sopra questo spettacolo, un
cielo inquieto, pieno di bagliori e di oscurità sinistre, che si agita e
si trasforma, come per imitare il movimento operoso della terra.
* * * * *
Rotterdam--cade qui a proposito il dirlo--è, per importanza commerciale
la prima città dell'Olanda, dopo Amsterdam. Era già una fiorente città
di commercio nel tredicesimo secolo. Ludovico Guicciardini, nella sua
opera sui Paesi-Bassi, già rammentata, adduce una prova della ricchezza
di quella città nel decimosesto secolo, dicendo che in men d'un anno
riedificò novecento case ch'erano state distrutte da un incendio. Il
Bentivoglio, nella sua storia della guerra di Fiandra, la chiama _terra
delle più grosse e più mercantili che abbia l'Olanda_. Ma la sua maggior
prosperità non comincia che dopo il 1830, ossia dopo la separazione
dell'Olanda e del Belgio, che parve fruttare a lei tutto quello che fece
perdere alla sua rivale Anversa. La sua situazione è vantaggiosissima.
Comunica col mare per la Mosa, che conduce nel suo porto, in poche ore,
i più grandi bastimenti mercantili, e per lo stesso fiume comunica col
Reno, che le porta dalle montagne della Svizzera e della Baviera una
immensa quantità di legname, foreste intere che vanno in Olanda a
trasformarsi in navi, in dighe e in villaggi. Più di ottanta bellissimi
bastimenti vanno e vengono, nello spazio di nove mesi, tra Rotterdam e
le Indie. Le merci vi affluiscono da ogni parte in così grande
abbondanza, che debbono essere portate in parte nelle città vicine.
Intanto Rotterdam si allarga; vi si stanno costruendo dei vasti
magazzini e si lavora intorno a un ponte smisurato che attraverserà la
Mosa e tutta la città, stendendo così la strada ferrata che ora
s'arresta nella riva sinistra del fiume, sino alla porta di Delft, dove
si congiungerà colla strada dell'Aja.
Rotterdam, in somma, ha un avvenire più splendido che Amsterdam, ed è da
molto tempo una rivale temuta della sorella maggiore. Non possiede le
grandi ricchezze della capitale; ma è più industriosa nel valersi delle
sue; intraprende, ardisce, rischia, da città giovane e avventurosa.
Amsterdam, come un negoziante divenuto cauto dopo essersi fatto ricco
con imprese ardite, comincia a sonnecchiare sui suoi tesori. A
Rotterdam, per definire in un tratto le tre grandi città dell'Olanda, si
fa fortuna; in Amsterdam, si consolida; all'Aja, si spende.
Si capisce da questo come Rotterdam debba essere guardata un po'
dall'alto in basso dalle altre due città; un po' considerata come una
_parvenue_, anche per un'altra ragione: che è mercantessa pretta non
occupata d'altro che dai suoi affari, e che ha poca aristocrazia, e
quella poca non ricchissima e modesta. Amsterdam invece racchiude il
fiore dell'alto patriziato mercantile; Amsterdam ha grandi musei di
pittura, protegge le arti, è letterata; unisce, in somma, il titolo al
sacchetto. Malgrado però la sua superiorità, essa è gelosa della sua
sorella cadetta, e questa di lei; gareggiano e si dispettano; quello che
fa l'una fa l'altra; quello che il Governo accorda all'una, l'altra lo
vuole; in questo stesso momento, aprono tutt'e due un canale verso il
mare; due canali dei quali non è ancora ben certo se si potranno
servire; ma non monta; i bambini fanno così:--Pietro ha un
cavallo;--voglio un cavallo anch'io; e il Governo, babbo condiscendente,
deve contentare il grande e il piccino.
* * * * *
Visto il porto, percorsi tutta la diga dei Boompjes, sulla quale si
stende una schiera non interrotta di grandi case nuove, costrutte
all'uso di Parigi e di Londra,--case che, come da per tutto, gli
abitanti ammirano e lo straniero non guarda, o guarda con dispetto;--poi
tornai indietro, rientrai in città, e di canale in canale, di ponte in
ponte, riuscii nell'angolo formato dall'Hoog-Straat con uno dei due
canali lunghissimi che chiudono la città ad oriente.
Quella è la parte più povera della città.
Entrai nella prima strada che vidi e feci parecchi giri in quel
quartiere, per veder da vicino come sta la gente bassa nelle città
olandesi. Le strade sono strettissime e le case più piccine e più
sbilenche che in ogni altra parte; di molte si può toccare il tetto
colle mani; le finestre sono a poco più d'un palmo da terra; le porte
basse da doversi chinare per entrarci. Malgrado ciò, non v'è la menoma
apparenza di miseria. Anche là le finestre hanno i loro specchietti--le
spie, come si dicono in olandese,--i loro vasi di fiori sul davanzale,
difesi da cancellatine verdi; le loro tendine bianche; gli usci tinti di
verde o di azzurro; tutto spalancato, in modo che si vedon le camere da
letto, le cucine, tutti i recessi della casa, stanzette che paiono
scatole, dove la roba è ammontata come in botteghe da rigattieri; ma
rami, stoviglie, mobili, tutto pulito e luccicante come in case di
signori. Passando per quelle strade non si trova ombra di sudiciume da
nessuna parte, non si sente un cattivo odore, non si vede nè un cencio
nè una mano tesa per chiedere: si respira la pulizia e il benessere, e
si pensa con vergogna ai luridi quartieri dove formicola il basso popolo
in molte delle nostre città, ed anco non nostre, non esclusa Parigi, che
ha pure la sua strada Mouffetard.
* * * * *
Tornando verso l'albergo, passai per la piazza del gran mercato, posta
nel bel mezzo della città, e non meno strana di tutto quello che la
circonda.
È una piazza sospesa sull'acqua; nello stesso punto piazza e ponte; un
ponte larghissimo che congiunge la diga principale,--l'Hoog-Straat,--con
un quartiere della città, circondato da canali. Questa piazza aerea è
cinta di vecchi edifizi su tre dei suoi lati, sull'uno dei quali s'apre
una strada lunga, stretta ed oscura, occupata tutt'intera da un canale
che pare una strada di Venezia; ed è aperta dal quarto lato sur una
specie di bacino formato dal canale più largo della città, che comunica
direttamente colla Mosa. Su questa piazza s'innalza, circondata da
baracche e da carretti, in mezzo a mucchi di legumi, d'aranci, di
tegami, fra una folla di rivendugliole e di merciaiuoli, dentro una
cancellata coperta di stuoie e di cenci, la statua di Desiderius
Erasmus, la prima gloria letteraria di Rotterdam; quel Gerrit
Gerritz,--poichè il nome latino, a somiglianza di tutti gli altri grandi
scrittori del suo tempo, se l'era posto egli medesimo;--quel Gerrit
Gerritz appartenente, per la sua educazione, il suo stile e le sue idee,
alla famiglia degli umanisti e degli eruditi d'Italia, scrittore fine,
profondo e infaticabile di lettere e di scienze, che riempì del suo nome
l'Europa fra il decimoquinto e il decimosesto secolo, che fu colmato di
favori dai papi, cercato, festeggiato dai principi; e delle cui
innumerevoli opere, scritte tutte in latino, si legge ancora l'_Elogio
della pazzia_, dedicato a Tommaso Moro. Quella statua di bronzo,
innalzata nel 1622, rappresenta Erasmo vestito d'una pelliccia, con un