O tutto o nulla: romanzo - 01


O TUTTO O NULLA

ROMANZO
DI
ANTON GIULIO BARRILI

SECONDA EDIZIONE

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1883.


PROPRIETÀ LETTERARIA.
Tip. Fratelli Treves.


I.

Senza fiori nascosti nella sottoveste, ma con un volumetto tra mani
e liberamente in mostra per ogni genìa di curiosi, Aldo De Rossi era
andato, verso le tre del pomeriggio, a far visita alla signora.
Non istate a credere che io voglia entrare così leggermente in materia,
defraudandovi del nome di lei. Non mi avviene sempre di sapere quel che
si deve a Cesare; ma ho sempre saputo quel che si deve ai lettori, e
sopra tutto alle lettrici. Vi dirò dunque che la signora si chiamava
Elena Vezzosi, e meritava così il suo nome di battesimo come quello
della famiglia in cui era entrata da otto a nove anni; di guisa che
si soleva dire, senza aver l’aria di farle un complimento, che l’uno
e l’altro dovevano essere stati inventati a bella posta per lei. La
signora Elena era bellissima dalla punta dei capegli a quella dei
piedi, ed io lascio pensare a voi che sorte d’elettricità dovesse
sprigionarsi da quelle due punte. A farvela breve, ella possedeva tutte
le attrattive, della bellezza e dello spirito. Eppure, non si conosceva
che avesse un amante; la qual cosa parrà strana, con la facilità che
hanno le donne di trovarsene sempre uno tra’ piedi, e con quell’altra,
anche maggiore, di vedersene imprestare una mezza dozzina. Ma, strano
o no, il fatto era questo, e si vedeva chiaro che la signora Elena
non amava nessuno. Di certo, non l’aveva detto, o lasciato sperare ad
anima viva; tanto che le male lingue avevano finito col dire che ella
amava solamente sè stessa. Già, tutte così, quando sono troppo belle,
e quando lo specchio è li per farne testimonianza, tanto più credibile
quanto meno interessata.
Comunque fosse, molti cavalieri si affollavano intorno a lei, per
dirle in prosa sdolcinata quello che le diceva in forma più recisa lo
specchio. Ed ella non respingeva nessuno; era cortese in egual modo
con tutti; faceva ad ognuno quelle accoglienze onestamente liete e
svogliate, in cui dobbiamo vedere il _non plus ultra_ della buona
compagnia. Perchè, si sa, la consegna è di godere la vita, con aria
di averla a noia. Il fare altrimenti non è di buon gusto. La gente,
uscendo dal salotto della bella svogliata, deve poter dire: «Quella
signora Iccase! Che donna! Con che garbo riceve!»
Del resto, non mormoriamo. Succede questo fenomeno quando si va per
consuetudine a teatro e si conosce da lunga mano l’opera, o il dramma.
Arie e scene non hanno allettamento di novità, e le commozioni non
vengono; si aspetta il gran duetto, o la scena capitale, che vi faccia
provare, magari un po’ diminuite, le sensazioni della prima volta;
intanto si sta esposte alle ammirazioni degli uomini e si fanno crepar
d’invidia le amiche. Ora la signora Elena Vezzosi sapeva da un pezzo
tutto ciò che avevano a dirle, con periodica regolarità, i suoi cento
divoti. Era la sua voluttà e in pari tempo la sua condanna, come il
«_toujours perdrix_» del gastronomo. E a quelle sedute di galanteria
ella dava allegramente il nome di lavori forzati. Lavori forzati a
tempo, pur troppo! Vien sempre il tristo giorno della liberazione, mie
belle signore, e qualche volta il sovrano della falce e della clessidra
vi fa precocemente la grazia.
Aldo De Rossi conosceva la signora Vezzosi da un anno. Le era stato
presentato in una fiera di beneficenza, dove ella non aveva sdegnato
di vender cravatte, e di mettergliene una al collo per la tenue moneta
di cinquecento lire. Il favore era stato disputato fieramente da
cinque o sei cavalieri. Dal prezzo di due lire si era saliti a venti,
a cinquanta, a cento, a centocinquanta. Aldo De Rossi, entrato allora
in lizza, aveva messo fuori un biglietto da cinquecento, e lo aveva
deposto sul banco, dicendo modestamente: «signori, non ne ho altri», e
in quel momento di trepidazione che segue tutti i grandi avvenimenti,
la bella venditrice aveva girata intorno al collo di Aldo De Rossi la
sua cravatta nera, da mezza lira, a prezzo di fabbrica. Il sorriso
della dama c’entrava per quattrocento novantanove lire e cinquanta
centesimi. Una presentazione era venuta lì per lì; Aldo De Rossi aveva
fatta la corsa di prammatica e lasciati nell’anticamera di casa Vezzosi
i due biglietti di visita che l’etichetta comanda; il commendatore
Vezzosi, uomo grave, che sapeva stare sulle cerimonie, aveva mandato
il suo in ricambio, e il giovinotto era stato formalmente ammesso a
fare le sue devozioni. Ma, cosa strana (badate, lettori, qui tutto è
strano, poichè la scena è del secolo presente), Aldo De Rossi non aveva
approfittato dell’occasione e non era più andato in casa Vezzosi. Il
nostro giovinotto non era uno di que’ frustini, i quali s’appiccicano
facilmente alle persone e si fanno avere in uggia da tutti. Faceva
riverenza alla dama, quando la incontrava per via, e ciò bastava a
dimostrare com’egli gradisse la sua conoscenza. Poi, venuto l’inverno,
e avendola trovata in una festa da ballo, le aveva chiesto l’onore
di un giro di _waltzer_ o di _polka_, che non rammento più bene. La
signora, quella notte, ballava mal volentieri, ma stette volentieri
a chiacchiera con lui, rimandando col suo solito garbo gli altri
cavalieri, che impetravano la medesima grazia. Del resto, padronissimi
tutti di restare accanto al divano della signora, come ci restava
Aldo De Rossi. Ma perchè in simili feste i signori uomini non istanno
mai fermi, anzi amano andare attorno _tamquam leo rugiens quaerens
quem devoret_, le fermate non furono lunghe e Aldo De Rossi rimase
più spesso solo che accompagnato, al fianco della signora Vezzosi.
S’era dato il caso che parlassero di poeti e di romanzieri. Aldo non
era un letterato, Dio guardi, ma aveva letto molto e parlava con un
certo calore de’ suoi autori prediletti. La signora non conosceva il
Pushkine, ed egli, di parola in parola, era stato tirato ad offrirle il
volume. In imprestito, si capisce. E il giorno seguente, a quell’ora
tarda che volevano le buone creanze, le aveva portate le opere del
poeta russo, tradotte nella lingua universale di Francia. Così era
entrato, senza avvedersene, in casa della signora Vezzosi, e diventato
a mano a mano il suo provveditore di libri.
Quando egli andava dalla signora per alcuna di quelle faccende
librarie, si poteva esser certi che la conversazione, dopo le solite
frasi di cerimonia, girava subito su questo tono: — Come le è piaciuto
il carattere di Enrico? E la scena del bosco? Le raccomando di leggere
attentamente il capitolo della pioggia. Che pittura! E quel raggio
di sole che viene d’improvviso a illuminare la fronte di Dorotea!
Che vivezza di tocco! Ecco un verismo che ha ottant’anni di data.
Gli scrittori moderni non se li sognano neanche, questi ardimenti
dell’arte. E l’incontro col barone dopo la caccia! Che movimento
d’affetti! Ha poi notata quella digressione sui toni musicali? Come si
trova a posto, e come prepara bene alla scena del concerto! —
Poi, la scena del concerto, od altra consimile, porgeva appiglio ad
una disputa sentimentale. Era sempre la signora che girava al tenero;
Aldo ci entrava, dirò meglio, ci faceva capolino, senza escire dal
grave, come un riguardoso carabiniere che si provi a sorridere, senza
dimenticare la maestà dell’uniforme. Ed erano dispute così delicate,
così aeree, che un marito avrebbe potuto sentirle, dietro una cortina,
senza che la mano gli corresse al pugnale.... Scusate, siamo nel secolo
decimonono, e bisognerà dire al bastone. È un’arma più prosaica, ma più
alla mano.
E tutto ciò durava da un anno? Mio Dio, sì, durava da un anno. Sono le
cose monotone che durano di più. Altrimenti, non sarebbero monotone.
La signora Elena discorreva volentieri, come tutte le persone che
discorrono bene. E per lui, e con lui, la sua svogliatezza consueta
assumeva un leggerissimo tono, come una sfumatura, di malinconia. Aldo
De Rossi si era avvezzo a quel gentile chiacchiericcio, e vedeva nella
signora Elena Vezzosi un’amica; anzi meglio, un amico, e della specie
migliore. Perchè, quando un tal legame può stringersi tra persone di
un sesso diverso, l’amicizia si rinfranca, direi quasi che si soppanna,
di tutte le grazie, di tutte le capestrerie, di tutte le eleganze, che
non è dato combinare tra uomini, uno dei quali è così facile a escire
di riga, e l’altro a seguitarne l’esempio. Questa amicizia tra uomo e
donna, quando il cuore non parli in nessuno dei due, è veramente una
delizia, poichè è una specie d’affetto, senza le ansie, i sopraccapi,
le gelosie, gli struggimenti feroci di quell’altra passione, da cui Dio
misericordioso dovrebbe scampare ogni fedel cristiano.
O come? Non la sentiva egli dunque, l’altra passione? Avremo qui un
personaggio tutto testa, come certe qualità di pesci, buoni a mala pena
per farne la zuppa? Lettori e lettrici, aspettate un pochino e vedrete.
Quel giorno, che v’ho accennato in principio, Aldo De Rossi era entrato
nel salotto, e aveva presentato alla signora Elena il suo volume;
credo le _Confessions d’un enfant du siècle_ del Musset. La signora
Elena aveva ringraziato il gentil provveditore e deposto il libro sul
tavolincino di lacca giapponese, che serviva d’aiuto ai gomiti e di
nesso alla conversazione. Il cielo, quel giorno, aveva messa la cappa
di piombo, e un caldo afoso pesava maledettamente sui nervi. La signora
Elena non era di buon umore. Per un altro visitatore sarebbe parsa più
svogliata del solito; per Aldo De Rossi non era che più malinconica.
Sapete pure, quel leggiadrissimo tocco, quella sfumatura di cui sopra!
Si ragionò, secondo l’uso, di libri e d’autori, ma più particolarmente
del Musset. Voi non lo ignorate, il Musset, che sofferse tanto per una
donna e ne fece soffrire tante altre (almeno, se si ha da riconoscerlo
in tutti i suoi personaggi, così fittamente impregnati del suo _io_), è
l’evangelista del sesso gentile e generalmente di tutti gl’innamorati
moderni. Egli ha la nota fondamentale del dolore elegante. I suoi
campioni portano i guanti perlati, la sottoveste bianca insaldata e
tutto l’altro come noi, perfino la gardenia, all’occhiello; ma celano
sotto quella gardenia, sotto quella sottoveste, un picciolo dramma,
una tempesta in ristretto, un vulcano in miniatura, come noi, proprio
come noi. Ci ravvisiamo nel Rolla, in Don Paez, nell’_Enfant du
siècle_, come tutte le donne si ravvisano nella marchesa di Amaeguì,
in Marianna, e ad ore rubate perfino in Mimì Pinson. Aggiungete che
non dice mai villania al bel sesso, come fanno certi genii screanzati.
Si sente bensì, attraverso l’asprezza di certi periodi, che egli
considera le donne come una varietà della razza felina; ma la donna
non isgradisce d’essere creduta una tigre, visto e considerato che
la tigre ha un bellissimo mantello ed atti e movimenti di leggiadria
insuperabile. Lasciategli supporre che la credete tale, senza dirglielo
troppo aperto, ed ella avrà qualche volta la bontà di farvi ammirare le
unghie. Adorabili unghie!
La signora Vezzosi si era fermata con una certa compiacenza a stillare
una sentenza del poeta di Marianna, e Aldo De Rossi, forse a cagione
dell’afa che gl’intorpidiva i nervi, durava fatica ad intenderla.
Già, quel benedetto ragazzo, con la sua serietà, aveva sempre l’aria
d’essere un po’ straniero al dialogo, in cui si trovava impegnato.
Quel giorno, poi, mentre la signora Elena, sempre per effetto dell’afa
che la rendeva più malinconica, era sdrucciolata più che mai, anzi
sprofondata nel tenero, egli stava più fermo, più impettito d’un
carabiniere dell’antica maniera. Diciamo le cose alla libera; la
signora Vezzosi accennava coppe ed egli rispondeva bastoni. Si poteva
dare peggior distrazione di quella?
Ad un certo punto, con aria d’impazienza e dispetto, la signora gli
disse:
— Signor Aldo, voi non capite dunque nulla? —
Il giovinotto rimase un po’ sconcertato. Non era orgoglioso; ma
sentirsi dire lì per lì che non capiva nulla, converrete con me che
non dovesse piacergli. Il sangue non è acqua, ed anche il dio Proteo,
quando fu messo tra l’uscio e il muro... Infine, Aldo rizzò la testa,
spalancò gli occhi e replicò:
— Perchè, signora?
— Perchè... perchè non capite. —
E così dicendo la signora Elena si lasciò sfuggire un mezzo sospiro.
Aldo De Rossi ebbe come un barlume di ciò che la signora pensava.
— E... — balbettò egli allora — se io capissi?...
— Oh, sarà difficile; — ribattè la signora Vezzosi.
Il giovanotto si trovò messo al punto; fece un mezzo inchino e ripigliò:
— Orbene, signora, mi proverò a dimostrarvi il contrario. Resta sempre
che, se io mi sarò ingannato, voi avrete buono in mano per ridere dei
fatti miei.
— Avete tanta paura?
— No, signora, poichè m’arrischio a parlare. E soggiungo che, se non mi
sarò ingannato, dovrò piangere a calde lagrime.
— Ah, questo è più grave; — esclamò la signora. — Sentiamo.
— Sì, o signora, è più grave; — riprese Aldo De Rossi, facendo una cera
da funerale. — Voi siete bella... bellissima.... —
La signora Elena diede in uno scoppio di risa.
— Avete dimenticato il comparativo; — soggiunse poscia. — In grammatica
si usa dire: bella, più bella, bellissima.
— Da molto tempo non vado più a scuola, perdonate; — rispose Aldo
De Rossi. — Del resto, che importa il comparativo, quando c’è il
superlativo?
— Sì, vi perdono, in grazia del superlativo; — disse la signora
Vezzosi. — Continuate. Sebbene, dopo questo, sia abbastanza facile
capire ciò che avete a dirmi. —
E prese, così dicendo, un atteggiamento di languore, che le andava a
meraviglia.
— Ecco; — rispose Aldo De Rossi; — non è facile veramente a capire, e
vi assicuro che non è facile a dire. Io ci provo uno stringimento alla
gola.
— Che? Bisognerà ancora aiutarvi? Badate, signor Aldo, ciò non istà
troppo bene ad una donna. Ma via, — soggiunse la signora, chinando gli
occhi con un’aria tra la vergogna e la rassegnazione, — ci conosciamo
da tanto tempo, e voi siete un così gentil cavaliere... un amico tanto
prezioso.... —
La frase, ad onta di ciò che prometteva, si fermò lì. Si capiva che la
signora Elena, dopo aver dato animo al suo interlocutore, voleva essere
interrotta.
Ma il suo interlocutore era più impacciato che mai.
— Signora... — balbettò egli, chinando la testa, — non ci siamo. Ve
l’ho detto poc’anzi, dovrò farvi una confessione, da piangerne a calde
lagrime. —
Tutte quelle reticenze e sospensioni promettevano poco di buono alla
signora Vezzosi. Aldo De Rossi aveva chinata la testa, ed ella alzò
mezzo sdegnata la sua.
— Sentiamo dunque una volta; — diss’ella. — Non avrete già speso il
vostro superlativo, per venirmi a dire, mettiamo il caso, che siete
innamorato... d’un’altra?
— Ah, signora! — esclamò Aldo, sospirando. — Proprio così, come voi
dite. Sono... perdonatemi!... Sono innamorato di un’altra. È una
fatalità; è tutto quel che vorrete.
— Non sarà niente, allora; — replicò la signora Vezzosi indispettita; —
perchè io non voglio niente, signor De Rossi. Debbo solamente avvisarvi
che queste cose si possono pensare, ma che non è punto necessario di
dirle.
— Oh, non andate in collera, ve ne prego. È forse un male esser
sinceri, con un angiolo come voi?
— Angiolo! — ripetè la signora Vezzosi, con un accento indescrivibile.
— Angiolo! Bella parola usata male! Anche questa non si usa, debbo
avvisarvene; non si usa che quando si ama e per chi si ama. Che cosa
dite voi dunque alla donna che amate? Ma già, perchè domandare queste
cose a voi, che siete un uomo così originale?
— Originale! Io? E perchè?
— Me lo chiedete? E dovrò io incaricarmi della vostra educazione? —
replicò la signora Elena, con un certo risolino stridente. — In verità,
il caso è bizzarro! Ma accettiamo l’ufficio, in pena dei peccati che
non abbiamo commessi. Sappiate dunque, signor De Rossi, che quando un
uomo trova bella una donna, e cara la sua compagnia....
— Carissima, lo sapete; — interruppe Aldo De Rossi, felice di poter
rimediare in qualche parte alle sue malefatte.
— Ottimamente; — ripigliò la signora. — Ne avevo da qualche tempo
le prove. E solo per questo... badate, signorino, solo per questo,
m’è avvenuto di escire da quel riserbo, in cui deve tenersi una
donna. Ma già, avevo anch’io qualche cosa da imparare; — osservò
ella, tormentando con le dita il suo ventaglio cinese. — Dopo questa
lezione, non mi avverrà più, ve lo giuro. Dunque, dicevamo.... Che cosa
dicevamo, signor De Rossi? Ah, dicevamo che quando un uomo trova bella
una donna, e glielo dice al superlativo, si deve intendere.... Non vi
pare, signor De Rossi, che si debba intendere....
— Sì; — rispose Aldo, disposto per una volta tanto ad interrompere in
tempo una frase difficile; — generalmente è così. L’uomo è uno zolfino
e s’accende. Ma io, signora, sono un pochino diverso.
— Ah, bene! — esclamò la signora. — Non ci sarà pericolo che
appicchiate il fuoco alle sedie. Ma che cosa siete voi, di grazia? Una
macchina da fabbricare il ghiaccio?
— Signora!... — balbettò Aldo De Rossi, con aria contrita e
supplichevole.
— Ah, è vero; — ripigliò la signora Vezzosi. — Dimenticavo che siete
innamorato; la qual cosa lascia supporre che il freddo, l’avversione,
sia solamente per me. Non me ne lagno, badate. Scherzavo, più o meno, e
continuo lo scherzo.
— Ma non su questo particolare, ve ne prego — disse Aldo De Rossi.
— Perchè parlate d’avversione, ad un uomo che ha sempre avuto tanto
piacere a conversare con voi? Ve l’ho già detto una volta, signora. Se
sono sincero anche a mio danno, perchè non mi crederete anche in ciò?
Voi siete bella come....
— Ah sì, sentiamo come.
— Come la Venere di Milo, — prosegui Aldo De Rossi, — cioè a dire come
la più bella statua del mondo. —
La signora Vezzosi rispose al complimento con un lieve moto del capo:
indi alzò gli occhi ad uno specchio che pendeva inclinato dalla parete,
di rincontro a lei; un magnifico specchio ovale, con una gran cornice
intagliata a fogliami, capriccioso impasto di classico e di barocco,
e con la luce mezzo coperta da una cascata di fiori, dipinti da mano
maestra a guisa di festoncino.
— E... — diss’ella poscia — quell’altra... com’è?
— Quell’altra! Chi?
— La donna che amate. Se io sono da paragonare alla più bella statua
del mondo, che cosa vi resterà da dire per quell’altra?
— Signora, — rispose Aldo De Rossi, — non vi sdegnate con me. Sono
un disgraziato, e veramente non avrei dovuto impigliarmi in questo
discorso.
— Quell’altra! — gridò stizzita la signora Vezzosi, battendo col suo
piedino il tappeto. — Voglio quell’altra!
— Orbene, — riprese il giovinotto, armandosi di coraggio, — quell’altra
è come la statua... che non è stata mai fatta. Fidia deve averla
sognata e dev’esser morto....
— Oh, per questo, statene certo; egli è morto davvero!
— Sì, ma volevo dire che egli dev’esser morto... senza trovarne il
modello. —
La signora Vezzosi era lì lì per rispondere: — «Dio mio, che
svenevolezze!» — ma si trattenne. Voleva mandare a spasso
quell’impertinente, dall’aria così dolce e contrita; ma non seppe
risolversi, e l’una e l’altra voglia sfogò in una seconda risata. Vi
avverto, per debito di coscienza, che non si trattava d’una risata
molto schietta, quantunque fosse abbastanza sonora.
— E voi — diss’ella, dopo quel piccolo sfogo, — siete riescito dove ha
inciampato Fidia?
— Si, — rispose Aldo De Rossi, — ma non ho fatta la statua.
— Questo lo capisco da me. Non siete uno scultore. Ma almeno avrete
avvicinato il modello, ed esso si sarà infiammato per voi. Un grande
amore vuol essere corrisposto; — notò sarcasticamente la signora Elena.
— Lo ha detto Dante in un verso che voi mi avete commentato così bene:
_Amor che a nullo amato amar perdona_. —
Aldo De Rossi crollò malinconicamente la testa e represse un sospiro di
desiderio.
— Ahimè, signora! Per la prima volta, forse, Dante ha avuto torto e la
sua massima è stata sbugiardata nel mio caso.
— Eccone un’altra! — esclamò la signora. — Signor De Rossi, poc’anzi
volevo mandarvi via, con la scusa di dover ricevere la sarta; ma ho
poi cangiato pensiero. Siete un uomo tanto strano! Raccontatemi tutto,
poichè siete avviato. Quali sono le vostre speranze?
— Non ho speranze, signora.
— Almeno, le avrete detto il vostro amore?
— Quasi.
— È già abbastanza; le donne leggono sempre il resto negli occhi. E
lei, che cosa vi ha risposto?
— Nulla, o qualche cosa che val come nulla.
— Oh povero signor De Rossi, come vi compatisco!
— Si, compatitemi; è il sentimento ch’io merito; — rispose Aldo De
Rossi, fingendo di non accorgersi del senso di sottile ironia che
trapelava dalle parole della signora Vezzosi. — Ora voi vedete la
mia grandezza, o signora. Almeno, se vi parrò ridicolo, con le mie
sofferenze, non vi parrò un insolente, con le mie confessioni. Rinunzio
alla Venere di Milo, e mi perdo....
— Per la Venere che non è stata fatta; — interruppe la signora. —
Ma badate, poc’anzi mi avete ferita. Sicuramente, signor Aldo, mi
avete ferita. Le vostre lodi, le vostre ammirazioni artistiche, non
compensano la lezione che ho ricevuta, e che, mi affretto a dirvelo,
ho anche meritata con un povero scherzo. Perchè era uno scherzo, il
mio, lo sapete? Ci avevo i miei nervi, quando siete capitato, e volevo
stordirmi con quattro chiacchiere.
— Oh, l’ho capito subito; — rispose Aldo De Rossi, inchinandosi
profondamente.
L’atto fu così comico nella sua umiltà, che la signora Elena si
vergognò del sotterfugio.
— Bene! — diss’ella, col suo risolino stridente. — Ecco una bugia a due
voci, la quale non salverà nulla, neanche le apparenze. Ma non importa.
Voi mi siete sempre debitore di una riparazione. La esigo, chiedendovi
la storia del vostro amore.
— Non c’è storia; — rispose Aldo De Rossi.
— Come? Non s’ha neanche da sapere come è nato? Ogni cosa ha un
principio. Voglio il principio della vostra passione.
— Signora... vi pare? — balbettò il giovinotto. — Raccontare ad una
donna bella....
— Più bella, bellissima! — interruppe la signora Vezzosi.
— Certamente; — ripigliò Aldo De Rossi; — raccontare ad una donna
bellissima in che modo si sia innamorati di un’altra, non vi pare un
tantino... scortese?
— Ah sì, dopo quello che avete fatto, ritiratevi ancora sul monte
Sacro! — gridò la signora Elena, con accento sardonico. — Questa volta,
signor De Rossi, sento proprio la tentazione di mandarvi via, anche
senza la scusa di ricevere la sarta. Siate conseguente, nella vostra
originalità. Non sono io strana la parte mia? Non merito una confidenza
intiera? E non vi pare che sia questo il miglior modo di farvi
perdonare la prima parte?
— Sì, sì; — disse Aldo De Rossi, prendendole la mano e stringendola
tra le sue. — Ma in tutta sincerità vi dico che non c’è storia. In due
parole è tutto narrato. L’ho veduta e l’ho amata.
— Così di schianto?
— No certo; — rispose Aldo De Rossi. — L’amavo già prima.
— Ah, c’è un prima? È dunque la storia del prima che voi dovete
raccontarmi.
— Signora, anche quella si racconta con le stesse parole. L’avevo
veduta ed amata. Era un fiore nato nel mio cuore. Sapete voi come
queste cose avvengono? In mezzo al turbine della vita si hanno di
queste apparizioni gentili, come in un viaggio triste e faticoso si
vede un tratto di campagna, di cui vi resta un’immagine poetica e
dolce. Si va innanzi, dove chiama il piacere, o l’ombra del piacere,
una follia, un destino; ma di tanto in tanto si ripensa a quell’oasi
benedetta, e un’aria d’idillio vi spira soavemente alle tempie. Viene
il giorno che vi fermate a cercare il perchè di quella sensazione, e vi
duole, e vi date del fanciullo, e scuotete la testa, come per cacciare
un’idea importuna. Ma quell’immagine è là, sempre là; gli stordimenti
del viaggio ve l’hanno offuscata nell’animo, per un anno, per due; poi
viene il giorno che essa ritorna, netta, spiccata, ai vostri occhi; e
vi prende allora un desiderio pazzo di rivedere quel luogo, e là, dove
avete sentito così profondamente le bellezze della natura, là, proprio
là, vorreste ridurvi a morire. Così di certi amori. Erano immagini del
passato, a cui l’anima credeva di resistere; sentimenti graziosi, a cui
il cuore si faceva forte di aver rinunziato. Ma ad un tratto l’immagine
offuscata s’illumina; il sentimento doloroso e caro si rinnova. Pensate
a quella donna intravveduta un giorno, e vi assale una gran tenerezza.
Come è avvenuto ciò? Per quali vie quell’amore è tornato, e vi s’è
fatto gigante nel cuore? Come mai è diventato un incendio, da così
breve favilla che vi era parso in principio?
— Misericordia! — gridò la signora Elena. — Sarà il caso di chiamare le
guardie del fuoco.
— Ah sì, davvero! — rispose Aldo De Rossi, ricondotto a terra da quella
bizzarra osservazione. — Ma è così dolce il bruciare!
— E perder la lite, non è vero?
— Ve l’ho detto, signora. Rinunzio da un lato e perdo dall’altro. Non
sono dunque da compiangere, come un matto o come uno sventurato? —
Il dilemma pareva saldo e non era. Infatti, vedete, la signora
Vezzosi pensò che Aldo De Rossi avrebbe servito meglio alla verità,
gabellandosi per sciocco. Ma, dopo averlo pensato, ne ebbe come
un rimorso, parendole quasi di essersi lasciata sfuggire la parola
di bocca, e rimase a lungo silenziosa, mentre il giovinotto stava
contemplando i fiori bizzarri, disegnati in sottili filettature
d’oro sul tavolincino di lacca giapponese che lo separava dalla bella
signora.
Anch’egli sentiva un po’ di rimorso d’aver parlato con tanta
schiettezza. La signora Elena aveva ragione; certe cose si possono
pensare, ma non è punto necessario di dirle. Ed egli, pentito d’averle
dette, vedeva già la conseguenza della sua sincerità; vedeva, ad
esempio, che, dopo quella conversazione, egli non aveva più nulla
a fare in casa Vezzosi e che il meglio sarebbe stato di ridurre a
trimestrali, magari anche a semestrali, le troppo frequenti sue visite.
Ma le donne hanno tesori inesauribili di bontà, oppure, se vi piace
meglio, raffinatezze di crudeltà, che sventano tutti i calcoli più
sapienti di un uomo. Dopo essere rimasta un tratto in silenzio, la
signora Elena levò la fronte e disse di schianto al De Rossi:
— Mi promettete una cosa?
— Non so di che si tratta, — rispose egli, felice d’interrompere i suoi
studi sulla flora giapponese, — ma vi prometto anticipatamente tutto
quel che vorrete.
— Voi mi prenderete per confidente delle vostre pene; — ripigliò la
signora. — Mi chiederete consiglio nei momenti difficili. —
Addio diradamento di visite, come al signor Aldo degnissimo pareva
necessario di fare. La Vezzosi cangiava di punto in bianco il suo
sistema di attacco, oppure in atto era da vedersi una trasformazione
di tenerezza? Aldo De Rossi non ci pensò più che tanto; rispose un
«grazie!» ardentissimo e baciò la mano della signora.
— Che fuoco! — esclamò ella, ridendo. — Siamo noi sempre in pericolo
d’incendio? Dite, signor Aldo; vi sareste per caso immaginato di
baciare un’altra mano, in cambio della mia? —
Aldo De Rossi non ebbe cuore di rispondere a quella domanda, appoggiata
da uno sguardo che pareva volergli leggere nell’anima. Pose in quella
vece un ginocchio a terra e ripigliò la mano della signora Vezzosi.
— Perdonate; — soggiunse. — Questa volta è proprio per voi che
m’inginocchio. —
E depose, ciò detto, un bacio rispettoso su quella bianca mano, che
sentì tremare al contatto delle sue labbra, quantunque non fossero per
allora di fuoco.


II.