Nozze d'oro: romanzo - 05

Quella sera stessa, dopo cena, davanti alla tavola che la Lisa
sparecchiava lentamente, Luciano, Girolamo e Cesare Torralba sedevano
fumando un sigaro e sorseggiando il cognac. Giulio Frassini, inquieto,
ora passeggiava per la stanza sbirciando la Lisa, ora usciva in giardino
a godersi il fresco Il resto della comitiva era passato nel salotto
attiguo di dove venivano degli accordi di pianoforte.
I tre fratelli Torralba tacevano o scambiavano qualche frase
insignificante. Finchè s'era trattato di evocar insieme le rimembranze
comuni, la loro conversazione era stata calda e animata; esaurito questo
tema, essi avevano scoperto che il tempo, la lontananza, le diverse
abitudini avevano in modo straordinario allentati i vincoli della
parentela, cresciute le differenze originali che c'eran fra loro. Erano
come i congegni d'una macchina smontata da un pezzo e che non si riesce
più a combinare. E ora Luciano pensava alla sua Banca e a un sindacato
per la emissione di certi titoli e Girolamo si doleva seco medesimo
della coincidenza tra le nozze d'oro de' suoi genitori e la Mostra
bovina del suo collegio elettorale, onde a lui era stato impossibile
d'intervenire all'inaugurazione di quella Mostra e di pronunziarvi il
discorso d'apertura; Cesare in fine, il poeta della famiglia, concretava
nella sua mente il disegno di una grande istituzione da lui immaginata a
favore degli emigranti italiani agli Stati Uniti. Così era in tutti e
tre i fratelli, dissimulata forse, forse avvertita con un senso intimo
d'amarezza, la segreta impazienza di andarsene da Villarosa, di
rientrare ciascuno nella sua sfera d'attività, in un ambiente favorevole
alle proprie idee, ai propri interessi, alle proprie ambizioni.
Luciano fu il primo ad alzarsi in piedi e ad accostarsi all'uscio del
salotto.
— Chi è che suona? — chiese Girolamo reprimendo uno sbadiglio.
— L'Antonietta — rispose Luciano.
— È carina nostra nipote — disse Cesare. — Quando poi la paragono a
quelle due marionette dei figliuoli di nostra sorella Letizia.
Quì non c'erano dissidi possibili. Max e Fritz parevano a tutti due
caricature ridicole.
Girolamo gettò via il sigaro.
— E che muso avevano stasera! Sarà pel bagno involontario d'oggi che
sciupò loro un vestito e li costrinse a indossare lo _smoking_.
— Li costrinse? — esclamò Cesare. — Nemmen per sogno. Hanno portato con
sè un intero guardaroba... Ma la sera vestono sempre di nero, all'uso
inglese.
— Ebbene — propose Girolamo, — vogliamo assistere al concerto?
— _Faute de mieux_ — sospirò Luciano. — A Parigi ove della musica se ne
può sentire oltre il bisogno, io mi guardo bene dall'accompagnare mia
moglie, che, lei, si dà delle arie di artista.
— In quanto a me — confessò Cesare — di musica non capisco niente. Non
posso sentire una sonata senza correre involontariamente col pensiero a
quella scena del _Bourgeois gentilhomme_ di Molière, ove il professore
di filosofia combina, non so in quanti modi diversi, per istruzione di
M.r Jourdain, la frase _Belle marquise, vos beaux yeux me font mourir
d'amour_. Così, quando un maestro ha trovato un'idea musicale, ve la
ripete all'infinito condita in tutte le salse: _Belle marquise, vos
beaux yeux me font mourir d'amour... D'amour mourir me font, belle
marquise, vos beaux yeux... Vos yeux beaux d'amour me font, belle
marquise, mourir..._ E via di questo passo per una mezz'ora.
Luciano e Girolamo sorrisero per compiacenza. Era strano; questo loro
fratello che non aveva terminato i suoi studi, che dal Liceo, ove
scaldava le panche, era passato all'Istituto tecnico, e nemmeno
all'Istituto tecnico era riuscito a conseguire la sua licenza, pareva
conoscere a menadito una quantità di autori ch'essi, usciti entrambi
dall'Università con la loro brava laurea, conoscevano appena di nome...
Bah! Fors'era appunto per questo ch'egli non aveva fatto fortuna. Non è
l'erudizione letteraria quella che spinge avanti nel mondo.
Venne dal salotto un rumore d'applausi.
— Entriamo! — disse Girolamo. — Il concerto è finito.
— Entriamo pure — soggiunse Cesare. — Ma per vostra regola i concerti
non finiscono mai.
In fatti, prima che i tre fratelli avessero richiuso l'uscio dietro di
sè, l'Antonietta aveva attaccato un altro pezzo.
— Tss! — fece la signora Laura portandosi il dito alla bocca con una
vivacità inconsueta. E dalla fisonomia di lei come da quella dell'Angela
che le sedeva vicino traspariva un godimento intimo e schietto.
Non tutto però l'uditorio si trovava nelle stesse disposizioni d'animo.
Se il dottor Vignoni era in estasi e ritto accanto al pianoforte voltava
le pagine alla suonatrice, se la signora Cesira, la maestra comunale di
San Vito, affetta da uno strabismo che si esacerbava per ogni emozione
inconsueta pareva guardar fuori del mondo conosciuto, se il signor
Domenico Sarni, il farmacista, si leccava i baffi come per un buon
boccone mangiato, se Tullio nel suo entusiasmo per la cugina prorompeva
in continue esclamazioni ammirative, il commendatore Ercole, col
berretto calato sul naso, sonnecchiava sulla poltrona, l'Adele,
accostata la sedia alla tavola, sfogliava la _Tribuna_, la Letizia e i
figliuoli avevano un risolino sarcastico sul labbro, e la Marialì, poco
o punto curandosi dei successi pianistici della sua ragazza, mostrava
l'inquietudine della civetta la quale non sa persuadersi che nessuno si
occupi di lei.
— Cara, cara, cara!... Vieni quì che ti dia un bacio — gridò la signora
Laura dopo che l'Antonietta si fu fermata sulle ultime note del coro
d'introduzione della _Norma_.
— E un bacio anche a me! — soggiunse l'Angela. — Non foss'altro, pel
piacere che dài alla nonna.
— Torna al pianoforte — riprese la vecchia signora, che,
nell'eccitazione di quella sera, scordava i suoi reumatismi e si moveva
e gestiva come non s'era mossa e non aveva gestito da un pezzo. — C'è
tanta musica lì in quello scaffale.
— L'Antonietta legge a prima vista con grande facilità — sentenziò la
Letizia rivolgendosi a sua sorella Marialì, — ma spero che a casa la
farai studiare sul serio.
— A Firenze ha preso sei lezioni da Buonamici e poi non ha più voluto
saperne.
— Sfido! — protestò l'Antonietta. — Mi rimetteva agli esercizi.
— Naturale, i fondamenti ci vogliono.
— Lasciali discorrere e va al pianoforte — tornò a dire la signora
Laura.
Ma la Letizia non si diede per vinta.
— A Firenze almeno suonerà dell'altra roba. Quì a Villarosa avete ancora
le riduzioni d'opere teatrali ch'erano in voga quand'eravamo bambine
noi, e che son fatte per sciupar la mano di chi eseguisce e l'orecchio
di chi ascolta. Non lo rinnovate mai il vostro repertorio?
La Letizia poteva anche aver ragione, ma i suoi modi sprezzanti
riuscivano a irritar perfino la pazientissima Angela.
— Oh — ella rispose. — Lo sai che nessuna di noi tre e nessuno dei
nostri fratelli aveva disposizioni speciali per la musica... Da ragazze
strimpellavamo il pianoforte, ecco tutto... E quando son rimasta sola in
casa ho seguitato a strimpellarlo ripetendo le vecchie sonate che la
mamma riudiva volentieri... Ma ormai da anni e anni lo stromento non si
apriva più... La mamma non ci trovava più gusto... Ci voleva
l'Antonietta per fare il miracolo.
— Vuoi mettere il tocco dell'Antonietta col tuo? — saltò su la signora
Laura con la crudeltà con cui si parla alle persone che sacrificano la
loro vita per noi. — Sicuro, l'Antonietta ha fatto il miracolo... Ha
sentimento, ha espressione... Per merito suo ho risentito della musica
che va al cuore... Torna al pianoforte, Antonietta, e non badare agli
sproloqui di tua zia Letizia... Cerca le riduzioni della _Sonnambula_,
della _Lucrezia Borgia_, dei _Lombardi_, del _Trovatore_, del
_Rigoletto_, della _Traviata_, dell'_Aida_, del _Faust_.
La ragazza si mise a ridere.
— Ci sarebbe da tirare innanzi fino a domattina.
— Tira innanzi fin che puoi... Mi ringiovanisci di trent'anni.
— Vede, signora Laura — notò il dottor Vignoni — vede se non ho ragione
io quando sostengo che i suoi mali sono per una buona metà fatti
d'immaginazione, e che s'ella si sforzasse...
Ma le parole del medico richiamarono la valetudinaria ai consueti
piagnistei.
— Voi dite delle sciocchezze, Vignoni... Li aveste voi per un'ora i mali
che ho io, ve ne accorgereste... Ma ha ragione mio marito... Voi altri
medici non capite nulla.
Il commendatore Ercole si scosse, cacciò indietro il berretto che gli
copriva gli occhi, stirò le braccia e si guardò intorno.
— Oh, oh... qualcuno sonava, mi sembra.
— Era l'Antonietta — rispose la moglie. — Suona come un angelo.
— In fatti — ripigliò l'ex Prefetto — ho dormito meglio del solito... E
perchè non suona più?
Benchè a malincuore, l'Antonietta sedette di nuovo al pianoforte.
Ell'avrebbe voluto chiacchierare un poco con Tullio, avrebbe voluto
chiedergli se avesse finito il sonetto così ben iniziato durante la loro
passeggiata in giardino. E la infastidiva altresì che quella sera la sua
mamma lo avesse accaparrato per sè e ch'egli non sapesse liberarsene e
lasciasse al dottor Vignoni l'ufficio di voltarle le carte della musica,
ufficio che ragionevolmente spettava a lui, il cugino.
Era stata la Marialì che aveva fatto segno a Tullio di avvicinarsele, ed
egli s'era affrettato a ubbidirle, con quel segreto compiacimento che
gli uomini provano alla minima preferenza di una bella donna. E poi,
pensava Tullio, non era ella la mamma dell'Antonietta? Non doveva egli,
per questo solo, usare particolari riguardi?
Allorchè il docile nipote aveva accostato la sua seggiola a quella di
lei ella non gli aveva detto niente, s'era contentata di ringraziarlo
con un cenno amichevole e con uno di que' suoi sorrisi radiosi che
mettevano in mostra, fra due labbra rosee, una doppia fila di denti
candidi, uguali, perfetti. Indi s'era tirata alquanto nell'ombra, dietro
la poltrona della madre, e su quella poltrona posava la mano
scintillante d'anelli. La svelta, elegante persona si disegnava
mirabilmente nell'attillato vestito di seta grigia, a risvolti di
velluto nero, che un po' aperto sul davanti lasciava a nudo il collo
bianchissimo e il principio del seno; i capelli abbondanti, fini,
ricciuti, l'avvolgevano come d'un nimbo, e tutto intorno a lei si
spandeva un sottile profumo di viola. Tullio non poteva a meno di
paragonarla all'altre sue zie che si trovavano nella stanza; la
giunonica Letizia a cui non restava quasi più traccia dell'antica
avvenenza, l'esile Angela alla quale la vita d'infermiera aveva dato
quella tinta scialba, e quell'andatura dimessa che le suore acquistano
negli ospedali, la magra ed ossuta Adele, moglie dello zio Girolamo,
verde e fegatosa, quasi si fosse guastata irrimediabilmente lo stomaco a
sentire e a legger discorsi parlamentari. E poichè la nonna non entrava
nel conto, e la signora Cesira, quantunque giovine d'età, ci entrava
anche meno, Tullio era tratto a concludere che quella sera, nel salotto
di Villarosa non c'erano che due donne degne d'esser guardate,
l'Antonietta e la Marialì. E, sotto il rispetto puramente fisico, egli
non avrebbe saputo davvero a quale delle due, fra la madre e la
figliuola, spettasse la palma.
Dei confronti mentali che il suo vicino andava facendo la Marialì non si
curava nè punto nè poco: sentiva che in quel suo nipote aveva un
ammiratore di più, e ciò bastava a lusingare la sua vanità. Ella non
supponeva nemmeno che in quel momento l'Antonietta la considerava come
una rivale e che nel cuore, pur buono, della fanciulla s'andava
accumulando un astio segreto contro di lei che le insidiava le prime
dolcezze dell'amore; a' suoi occhi l'Antonietta era sempre una bimba e
non poteva fermar l'attenzione degli uomini... Il suo tempo sarebbe
venuto... molto più tardi.
Il commendatore Ercole s'era finito di svegliare e seguiva con un certo
interesse, sebbene con minore entusiasmo di sua moglie, le esercitazioni
musicali dell'Antonietta.
— Quindic'anni che non vado ad un'opera — egli borbottava.
— Son quasi venti — rettificò la signora Laura. — Da quando ci siam
seppelliti quì.
L'ex Prefetto, ch'era sdrajato sulla poltrona, si puntellò con le due
mani ai bracciuoli, e su su si levò a sedere con una particolare
espressione di maraviglia sul viso. Già nel dormiveglia di prima lo
aveva stupito la parlantina della consorte, ora lo stupiva in grado
molto maggiore l'udirla manifestare un'opinione contraria alla sua, lei
che delle opinioni non soleva avere che quelle degli altri, e che, sopra
tutto, non osava mai contraddire nè censurare il marito.
Comunque sia, prima che il vecchio autocrata aprisse la bocca per
reprimere questo tentativo d'emancipazione coniugale, la Letizia slanciò
una delle sue frecciatine.
— Avreste proprio bisogno di tornarci a teatro per riformare i vostri
gusti antidiluviani... Se verrete nell'inverno a Napoli, vi accompagnerò
io a sentir della musica che non sia una strimpellatura buona al più per
grattar gli orecchi.
— Lo so, lo so — ribattè il commendatore; — oggi la musica l'andate a
prendere di là dall'Alpi... Non c'è che Wagner al mondo. Tutti i maestri
italiani passati e presenti sono asini... E c'è da giurare che di cento
che vanno in solluchero per queste nenie tedesche novantanove non
capiscono niente.
Frattanto una singolare nervosità s'era impadronita dell'Antonietta che
non giungeva più al termine di nessuna sonata, ma dopo poche battute,
senza curarsi delle proteste dell'uditorio, ordinava a Vignoni di
spiegarle sul leggìo un nuovo quaderno.
Max e Fritz, inorriditi, s'erano tirati in un angolo e svolgevano un
album di fotografie, borbottando: — Par d'esser in una fiera di
villaggio.
Ora le agili dita della ragazza richiamarono sul pianoforte il patetico
lamento della «_Traviata_».
Addio del passato bei sogni ridenti.
— Oh — dichiarò Ercole Torralba — questo vogliamo sentirlo tutto.
— Mi ricordo quando lo cantava la Spezia — disse la signora Laura.
— E la Boccabadati?... L'abbiamo intesa a Livorno.
— E la Piccolomini?
— E la Patti?
— La Patti aveva più voce e più arte, ma la passione della Spezia non
l'aveva nessuna...
— Nessuna in quest'opera valeva la Boccabadati — replicò in tuono reciso
l'ex Prefetto.
— Per me la Spezia.
— Ma che? Ma che?
Era strano. In quella rievocazione di fatti che risalivano a oltre una
quarantina d'anni, i due vecchi, pur bisticciandosi, si sentivano più
vicini che abitualmente non fossero, sentivano che ognuno dei due
sarebbe stato più triste, più solo il giorno che l'altro fosse venuto a
mancare, sentivano ch'è una gran cosa l'esser vissuti insieme in un
tempo lontano del quale coloro che vi attorniano hanno appena una
confusa notizia.
«Addio del passato bei sogni ridenti.»
Per la decima volta la melodia diluita nella mediocre riduzione correva
sui tasti del pianoforte quando l'Antonietta cessò di sonare ad un
tratto e ruppe in un pianto dirotto.
— Cosa c'è? Cos'è stato?
La giovinetta balzò dalla seggiola, respinse sua madre e Tullio e il
dottor Vignoni e gli altri ch'erano accorsi, e singhiozzando buttò le
braccia al collo della zia Angela.
— Ma cos'hai, bimba? Spiegati.
— Non lo so — ella susurrò in modo da non essere intesa che dall'Angela.
— Vorrei morire anch'io come Violetta...
— Insomma che dice? Che ha?
— Niente, niente — ripeteva l'Angela. — Non agitarti, babbo, non ti
agitare, mamma... E non vi movete.
La Marialì sorrise.
— Nervi, nervi... Ci va soggetta... Passa subito...
— Antonietta, Antonietta! — supplicava Tullio, côlto da una vaga
inquietudine, fatta di rimorso e di vanità. Se il suo contegno di quella
sera non fosse stato estraneo al turbamento della cugina?
— Lasciala in pace — intimò la zia Angela. — La conduco io a respirare
una boccata d'aria.
— Sì, zia, mi conduci all'aperto... E dov'è il babbo?
— Già, dov'è Frassini?
— Ma! — disse Girolamo. — Prima era di là con noi, poi è uscito in
giardino.
— Meglio. Lo troveremo noi — ripigliò l'Angela cingendo col braccio la
vita dell'Antonietta e trascinandola seco. — No, no, è inutile che
nessuno ci accompagni.
Le due donne avevano appena rinchiuso dietro di sè la portiera a vetri,
quando un'ombra passò davanti a loro correndo, e gridando, rivolta a
qualcheduno che la inseguiva: — Smetta! Basta!...
In pari tempo un'altra ombra sbucò d'improvviso fuori d'una macchia
d'alberi, s'arrestò di botto, scomparve nuovamente nel folto delle
piante.
Pallidissime, la zia e la nipote s'erano fermate senz'articolar parola.
La prima a rompere il silenzio fu l'Antonietta.
— Rientriamo — ella disse con una calma che contrastava con
l'eccitazione di poco fa. — È inutile cercare il babbo ora.
— Perchè? — balbettò l'Angela.
— Oh! Credi che non l'abbia riconosciuto? Credi che non abbia
riconosciuta la Lisa?
E soggiunse, in uno scoppio di pianto: — Hai visto? La mamma è espansiva
con tutti gli uomini tranne col babbo... Lui, si perde dietro alle
serve!... Non ho ragione dì voler morire?


XIII.

Se l'Angela Torralba aveva dormito poco nelle notti precedenti, quella
notte ella dormì ancora meno. Gl'incidenti della sera, riaprendo nel suo
cuore piaghe ch'ella credeva rimarginate, sconcertando disegni che
sorridevano alla sua fantasia, avevano avvelenato per lei la gioia di
quella festa di famiglia. Ella non sapeva che cosa più l'avesse ferita:
o la civetteria incorreggibile della Marialì, o il libertinaggio volgare
di Giulio Frassini, o la leggerezza di Tullio, che, pur volendo bene
all'Antonietta (bisognava esser ciechi per non accorgersene) non si
vergognava di far lo smorfioso con la madre di lei. E come le suonavano
all'orecchio le parole della nipote: _la mamma è espansiva con tutti gli
uomini tranne col babbo... Lui si perde dietro le serve!_ Che luce
gettavano sulla vita coniugale di sua sorella e di suo cognato!
Passavano gli anni e la Marialì era sempre la stessa, sempre giovine,
sempre bella, sempre affascinante... e sempre viziosa... Ma egli, oh
quanto s'era mutato! L'artista si rodeva ormai nella sua impotenza,
l'uomo era abbrutito... Ah forse con un'altra donna non sarebbe stato
così!
Pur l'Angela capiva che non c'era più modo di salvar nè l'uomo nè
l'artista; e in ogni caso che mezzi aveva ella per tentare quest'opera?
Ma l'Antonietta, quella sì doveva esser ancora possibile di salvarla, di
toglierla dall'ambiente corrotto ov'ella viveva. Bastava trovarle un
marito degno di lei... Tullio? Sicuro, Tullio, quest'era il compagno che
fino a iersera l'Angela destinava in cuor suo alla nipote, pregustando
la gioia delle prossime nozze, accarezzando con voluttà l'idea della
famigliola che, per riconoscenza, sarebbe venuta spesso a Villarosa, vi
avrebbe portato un soffio d'amore e di giovinezza... Ora però la sua
fede era scossa... Chi le diceva che Tullio fosse disposto a sposarsi?
Chi le diceva ch'egli non fosse uno dei tanti damerini che scherzano
volentieri con una ragazza, che la lusingano e poi la piantano lì?... E
l'Antonietta? O che c'erano prove positive ch'ella fosse innamorata sul
serio di Tullio?... Degl'indizi, sì, in quantità, ma delle prove?...
Iersera, in giardino, l'Angela si proponeva di strapparle una
confessione esplicita, ma l'episodio grottesco della Lisa e di Frassini
aveva mandato ogni cosa all'aria... Dunque?... Dunque il bel castello di
carte non si reggeva, e le balde speranze concepite dall'Angela Torralba
impallidivano al punto di non esser che un pio desiderio.
Se nonchè, ostinato, indomabile, il desiderio rianimava a poco a poco le
speranze, rianimava la volontà, persuadeva l'Angela della necessità di
moversi, di agire, di conoscere a fondo i sentimenti dei due cugini.
Perchè se quelli si amavano davvero, sarebbe stato facile di togliere i
malintesi fra loro, di superar gli altri ostacoli che certo si sarebbero
incontrati per via.
Ed ecco che quì le si affacciavano nuove difficoltà. Il colloquio con
ciascuno dei due nipoti, che sarebbe stato in condizioni normali la più
agevol cosa del mondo, come, quando averlo, oggi, con la casa piena
d'ospiti, con la giornata densa di occupazioni? Avrebbe l'Angela avuto
un ritaglio di tempo per sè?
All'alba forse, quando tutti ancora posavano. Ed ella, rivoltandosi fra
le coltri, aspettava l'alba con impazienza. Al primo raggio di luce che
penetrasse attraverso le imposte sarebbe balzata dal letto, avrebbe
ordinato alla Maddalena di vigilar sui padroni, sarebbe salita da
Tullio. Sì, ell'avrebbe parlato a Tullio pel primo, tanto più che
dall'Antonietta ella non poteva andare; l'Antonietta dormiva con la
Marialì la quale non aveva voluto saperne d'intimità coniugali. La
camera che la zia aveva allestita per la nipotina, la camera
ov'ell'aveva fatto portare le più belle rose del giardino, era occupata
invece da Giulio Frassini. Ironie della sorte!
Quando le parve giunto il momento, l'Angela si alzò, a tastoni,
senz'accender il lume, senza far rumore. Ma i suoi genitori avevano il
sonno leggero e si destarono tutti e due. Da destra e da sinistra ella
sentì chiamarsi:
— Angela! Angela!
Ella dovette recarsi nell'una e nell'altra camera, dar una ragione
qualunque del perchè fosse mezzo vestita, persuadere i due vecchi a
starsene tranquilli nel loro letto e non pensar neanche di muoversi fin
che non fosse tornata lei.
Così ella perdette un'ora buona, e allorchè finalmente uscì nella sala
era giorno fatto.
— Tu sta attenta al babbo e alla mamma — ella disse alla Maddalena
ch'era in piedi da un pezzo. — Io devo parlare a mio nipote Tullio. Non
l'hai mica visto scendere?
— No; ma ho sentito uno scalpiccìo per le scale... Non so se fosse il
signor Tullio; però qualcheduno in giardino c'è sicuramente...
Dalla cucina sbucò Giacomo, il servo.
— Il signor Tullio?... Saranno dieci minuti ch'è sceso... E non è stato
il primo...
— Tutti così mattinieri?
— Tutti no... Ma la signora Letizia e il signor Girolamo passeggiavano
insieme davanti alla casa poco dopo le sei e mezzo... E ora che ci
penso, il primo dev'esser stato il signor Giulio... Non è però uscito
con loro... Credo sia in salotto... Se vuole che lo avverta.
— No — disse bruscamente l'Angela. E soggiunse: — Nessuno ha preso il
caffè e latte?
— Dalle sette mezzo in poi la prima colazione sarà pronta per chi la
desidera — replicò Giacomo. — Non si poteva immaginarsi che quei signori
si alzassero al canto del gallo... Del resto, per lei il caffè ci
sarebbe...
— Lo prenderò più tardi.
E imbacuccandosi nello sciallo fece per aprir la portiera che dava in
giardino.
Una voce maschile chiamò: — Angela!
Era Giulio Frassini.
Ella, che pur era stata avvertita della presenza del cognato, trasalì e
s'imporporò in viso.
— Addio, Giulio... Scusa se ti lascio... Devo dar qualche ordine al
giardiniere.
— Non posso accompagnarti? — egli chiese umile, quasi supplichevole. —
Non posso dirti una parola?
Come respingerlo? Ella fece uno sforzo e rispose:
— Vieni pure... Ma capisci bene che son piena di faccende.
— Non ti tratterrò a lungo — ribattè Giulio, mentre, a fianco
dell'Angela, scendeva la scalinata.
— Che cosa penserai di me? — egli disse a bassa voce, col tuono di chi
si sente già condannato e accetta la propria condanna.
Ella tentò di schermirsi.
— Perchè mi rivolgi questa domanda?
— Dopo quello che hai visto iersera...
Sempre più inquieta e nervosa, l'Angela lo pregò di desistere. — Non
t'intendo... Non ho visto niente.
— Oh non lo dire... Che lo dica l'Antonietta è naturale... per non far
arrossire suo padre.
— E tu hai parlato di questo con la tua figliuola?
— No... questa volta no.
L'Angela lo guardò con un'espressione tra severa e dolente.
— _Questa volta?_ — ella ripetè.
Egli taceva seguendola a capo chino.
Passarono dinanzi all'oratorio che sorgeva, semplice e bianco, accanto
alla casa. Proprio allora ne usciva un lavorante reggendo una scala a
piuoli; dietro di lui Bortolo, il giardiniere, che si levò
rispettosamente il berretto.
— Com'è mattiniera, padroncina!
— Oh, appunto di te cercavo — ella disse avvicinandosi a lui nella sua
impazienza di troncare il colloquio con Frassini. — Hai visto mio nipote
Tullio?
— Sissignora. Credo sia andato di là.
E accompagnò la parola con un gesto della mano.
— Verso il lago?
— Appunto.
— Lo raggiungerò.
— Non vuole dar prima una capatina in chiesa?... Sentirà come odora...
Ho spogliato tutte l'ajole per infiorarne l'altare.
— Ma... mi dispiacerebbe che intanto passasse Tullio.
— Non dubiti... Vado io da quella parte... per preparar l'aranciera...
chè domani o doman l'altro penso di metter le piante al sicuro... Il
barometro è abbassato.
— Durasse almeno per oggi il bel tempo!
— Speriamo che per oggi durerà... C'è appena qualche nuvola laggiù.
E mentre l'Angela s'affacciava alla porta spalancata dell'oratorio, il
giardiniere soggiunse:
— Tutto è in ordine. Veda come son lucidi i banchi, il pavimento, i
vetri delle finestre... Ieri s'è fatto un _repulisti_ generale...
Davanti ci sono le due poltrone pel commendatore e per la padrona.
L'Angela si decise ad entrare. Bortolo chiese licenza.
— Se mi permette...
— Va, va, e che Tullio m'aspetti sulla terrazza.
Tre dei Torralba dormivano l'ultimo sonno sotto le pietre di quel
tempietto domestico: il signor Luciano, padre del commendatore Ercole,
il signor Luigi, fratello di questo, e il giovine Manlio. E lì sotto,
fra non molto, l'Angela avrebbe composto i suoi parenti, e anch'ella, in
un giorno che si augurava non troppo lontano, sarebbe discesa a
raggiungerli.
Per quelli della sua famiglia che vi riposavano ormai, pegli altri che
vi avrebbero riposato fra poco, l'Angela amava il piccolo oratorio,
sebbene, tranne al Natale e alla Pasqua, non vi si celebrassero funzioni
religiose; chè il suo babbo non era punto osservante delle pratiche del
culto, e la sua mamma, debole e malaticcia, era naturalmente dispensata
da quanto potesse recarle la più lieve fatica. Ella, l'Angela, se
qualche domenica voleva ascoltar la messa, andava alla chiesa di San
Vito, e schermendosi dal prender posto nelle prime file destinate alle
persone notabili del luogo, sedeva in mezzo ai contadini che tutti la
conoscevano e l'avevano cara. Poich'ella intendeva così la religione:
piuttosto che un complesso di dogmi e di riti, un'elevazione dell'anima,
verso l'inconoscibile, un livellamento delle disuguaglianze sociali
nella scambievole simpatia che ravvicina gli uomini in nome delle gioje
e dei dolori comuni.
A ogni modo, nel cuore della donna resta sempre qualche cosa delle
credenze e delle consuetudini antiche, ed era stata lei, l'Angela, che
aveva insistito perchè in questa solenne occasione l'oratorio della
villa s'aprisse e una benedizione di sacerdote scendesse sul capo dei
suoi genitori.
Un'ombra discreta avvolgeva ancora il tempio silenzioso e raccolto; solo
in alto un pallido raggio di sole penetrava fra gl'interstizi di due
tende e lambiva la vôlta. Dall'altare ov'erano due coppe di rose si
spandeva intorno un'acuta fragranza... come al giorno delle nozze di
Marialì.
Come al giorno delle nozze!... A ciò pensava in quel momento Giulio
Frassini che l'Angela credeva fosse rimasto in giardino e che invece era
dietro di lei, ritto, immobile, appoggiato a uno degli stipiti della
porta.
Di nuovo egli la chiamò a nome: — Angela!
Ella si scosse. — Mi hai fatto paura.
— Rose, rose! — egli borbottò. — Quante ce n'erano anche la mattina del
mio matrimonio!... E sarebbe pur stato meglio che la terra mi si fosse
sprofondata sotto i piedi!
— Insomma, Giulio — interruppe l'Angela. — Che discorsi son questi?
Frassini ripigliò: — Te ne scongiuro, non mi sfuggire. Ho bisogno d'uno