Novelle - 10
— Niente! Non vi dico niente! Voglio raccontarvi le cose per filo e per
segno, mi voglio sfogare, voglio che sappiate il fatto a poco a poco
come l'ho visto io.
— Ma son le feste dei Romani?
— È il plebiscito?
— L'arrivo del Re?
— Ma no! ma no! È ben altra cosa!
— Ma parla!
— Ma sedete!
— O come non s'è saputo nulla qui?
— Ma che volete ch'io sappia? Quello ch'io so è che portarvi pel primo
questa notizia è il più gran piacere che abbia provato in vita mia....
Sono arrivato stamani a Firenze, si sapeva tutto, son partito subito; —
chi sa, — pensavo, — forse la nuova non sarà ancora arrivata a casa;...
mi manca quasi il fiato!
— Di' dunque tutto, subito — esclamarono la madre e le ragazze
mettendosi a sedere intorno a lui. Il padre era rimasto in disparte.
— Sentirai, mamma! — cominciò il giovane. — Cose da fare impazzire.
Venite più in qua, così. Della mattina del ventuno sapete ogni cosa,
non è vero? Entrarono gli altri reggimenti; folla, grida, musiche, come
il giorno prima, fino alle dodici. Alle dodici, come per accordo preso,
lo strepito cessò, prima nel Corso, poi nell'altre strade grandi, e a
poco a poco per tutto. I drappelli dei cittadini si fermavano, facevano
crocchio e parlavano sotto voce; poi si sparpagliavano in tutti i
versi, salutandosi l'un l'altro, col fare di chi deve rivedersi poco
dopo. Pareva che fosse corsa la voce di prepararsi a qualche gran cosa.
La gente, incontrandosi, si parlava in fretta, e poi via, ciascuno
per conto suo. Da un capo all'altro del Corso era un affaccendarsi
generale; chi entrava nelle case, chi usciva, chi chiamava dalla
strada, chi rispondeva dalle finestre; i soldati scappavano di qua e di
là come se avessero sentito una chiamata; passavano ufficiali a cavallo
di trotto; passavano uomini e ragazzi con fasci di bandiere sulle
spalle e tra le braccia; tutti frettolosi e affannati, che parevano
inseguiti. Io, che non sapevo nulla, e non conoscevo nessuno, guardavo
in viso ora l'uno ora l'altro, tanto per veder d'indovinare qualcosa.
Tutti parevano allegri, ma non dimostravano più l'allegrezza viva e
sfrenata di prima; tutti lasciavano trasparir un pensiero, un dubbio,
quasi un'ansietà; si capiva ch'era gente che macchinava qualcosa.
Infilai una delle strade secondarie, andai oltre, mi fermai su due o
tre crocicchi: in ogni parte lo stesso spettacolo; gran gente, gran
moto, gran fretta, e un non so che nel modo di parlare e nei gesti,
che avevo già notato nel Corso, come se tutto quell'armeggìo si volesse
fare di nascosto a qualcuno, benchè fosse visibile a tutti. Passavano
gruppi, drappelli, centinaia di uomini e di donne insieme, e non si
sentiva un grido; andavan tutti dalla stessa parte, come a un luogo
convenuto....
— Dove andavano? — domandarono il padre e la madre.
— Aspettate. Ritornai verso il Corso. Quanto più andavo innanzi,
sentivo crescere un rumor sordo e continuo, come d'una gran folla.
Arrivai: il Corso era pieno di gente, tutti fermi e rivolti verso
il Campidoglio, come se aspettassero qualche cosa di là. Da piazza
del Popolo a piazza di Venezia era tutt'una calca da non potervisi
muovere. Si bisbigliava qua e là: — Or ora vengono. — Vengono di
laggiù. — Chi viene di laggiù? — La colonna principale. — Viene la
colonna principale. — Eccola. — No. — Sì. — A un tratto la folla si
agitò con grande impeto, si gridò da tutte le parti: — Son là, — e in
men che non si dica la via rimase sgombra nel mezzo come al passare
di una processione. Tutte le teste si scoprirono. Io, che ero rimasto
indietro, mi feci strada a furia di gomiti, e guardai.... Mi par di
sentire il fremito che mi corse da capo a piedi in quel punto. Venivano
innanzi generali in grande uniforme, signori in abito nero con ciarpe
tricolori; in mezzo ai signori e ai generali, ragazzi, donne e uomini
laceri e scamiciati; dietro operai, contadini, donne coi bimbi in
collo, soldati di tutte le armi, signore eleganti, studenti, famiglie
intere strette in piccoli gruppi tenendosi per mano per non perdersi;
tutti affollati, pigiati in modo da poter appena camminare; e pure non
si sentiva che un bisbiglio monotono come un ronzìo; silenzio dalle due
parti della strada, silenzio alle finestre: era uno spettacolo solenne;
faceva tra meraviglia e spavento; io ero estatico.
— Ma dove andavano? — domandarono con più viva insistenza il padre, la
madre e le figliuole.
— Lasciatemi finire! — riprese il giovane. — Mi cacciai in mezzo. E
con me vi si cacciarono man mano tutti quelli che stavano addossati al
muro a destra e a sinistra. Figuratevi che serra serra! La folla pareva
proprio un torrente, occupava tutti gli spazii; e ondeggiando sbalzava
gente, come onde, nelle botteghe, nei portoni, da ogni parte dove vi
fosse un po' di posto. Man mano che si andava, altre turbe di popolo
si versavano nel Corso dalle vie laterali, affollate anche quelle da un
capo all'altro; e la processione continuava a scendere dal Campidoglio,
e correva voce che nel Campo Vaccino vi fossero ancora migliaia di
persone. Gran gente arrivava da piazza di Spagna, gente da via del
Babbuino, gente da piazza del Popolo. Avevano tutti qualcosa in mano,
chi ghirlande di fiori, chi rami d'ulivo e d'alloro, chi bandiere, chi
cenci legati in cima a bastoni; qualcuno portava persino immagini sacre
spiegate con due mani al di sopra della testa; iscrizioni, emblemi,
ritratti del Papa, del Re, dei Principi, di Garibadi; una varietà, una
mescolanza, una confusione di persone e di cose, come credo non si sia
mai vista sotto il sole; e sempre e per tutto quel bisbiglio sommesso,
quell'andar lento, quella serenità, quella dignità, così strana e
maravigliosa in tanta moltitudine, che mi pareva di sognare. —
Tutta la famiglia si strinse intorno al giovane senza far parola.
— .... A un certo punto mi accorgo che la folla ha svoltato a sinistra:
tutti dietro. Adagio adagio con gran fatica, pigiati, oppressi, urtati
da tutte lo parti, senza poter muovere le braccia, respirando a stento,
si arriva, di strada in strada, sulla piazzetta dinanzi al ponte
Sant'Angelo. Il ponte era stipato di gente; la folla si perdeva di là
dal fiume verso San Pietro; tutta la sponda destra era un formicolaio.
Il passaggio del ponte fu un affar serio; ci si mise più d'un quarto
d'ora; i disgraziati che erano ai lati, spinti dalla gente del mezzo,
dalla paura d'esser buttati giù, si attaccavano disperatamente alle
spallette, e mandavano grida di spavento; si dice che siano seguite
delle disgrazie. A poco a poco si arrivò di là. Tutte le strade che
menano alla piazza rigurgitavano. Quando si fu all'imboccatura d'una
delle due strade che vanno diritte alla Basilica, s'udì a un tratto
un gran fragore sordo, cupo, come quello d'un mare in burrasca, che
ora pareva lontano, ora vicino, e veniva verso di noi a ondate. Era
la moltitudine accalcata in piazza di San Pietro. La folla si spinse
innanzi con più impeto; gli uni sugli altri, portati, travolti, su su,
fin che s'arrivò sulla piazza.... Dio eterno! se aveste veduto! Uno
spettacolo da sbalordire. Tutta quell'immensa piazza piena zeppa, tutta
nera, tutta brulicante, non c'era più piazza, era un mare. Tutt'intorno
fra le quattro file delle colonne, sulla gradinata della chiesa, sotto
il portico, sul gran terrazzo della facciata, sulle gallerie della
cupola, sui capitelli, sui pilastri; e dietro, alle finestre delle
case, sui balconi, sui tetti, sopra, sotto, a destra, a sinistra, da
per tutto dove una creatura umana poteva posare il piede, o attaccarsi,
o sospendersi, da per tutto teste, braccia e gambe spenzoloni,
bandiere, gesti, voci. Tutta Roma era là.
— Oh Dio!... E il Vaticano? — domandarono le donne con grande
trepidazione.
— Era chiuso. Sapete che un braccio del Vaticano dà sulla piazza,
e lì c'è l'appartamento del Papa. Tutte le finestre eran chiuse,
pareva un palazzo abbandonato; pareva, in quel momento, che avesse
l'espressione d'una persona, fredda, rigida, impassibile, che guardasse
giù con l'occhio spalancato ed immobile. La moltitudine guardava in su
rumoreggiando. Si vedeva da una parte, verso la gradinata, un grande
armeggìo di ufficiali e di signori, che pareva dessero degli ordini,
ripetuti poi di bocca in bocca. L'agitazione andava crescendo. Eran
tutti a capo scoperto: teste bianche di vecchi, teste brune di soldati,
teste bionde di bambini; splendeva un bel sole; mille cose, mille
suoni, mille colori ondeggiavano e si confondevano su quella immensa
folla; le bandiere, i ramoscelli, i cenci sventolati, erano sbattuti
qua e là, come se galleggiassero sull'acqua; il rimescolamento era
tale, che pareva ardesse il foco sotto terra. Tutt'a un tratto s'udì e
si propagò un grido da tutte le parti: — I ragazzi! I bambini! Avanti
i bambini! — Pareva una cosa convenuta. In un punto solo, da ogni
Iato della piazza, si videro sollevare i bambini al di sopra della
teste, e le donne e gli uomini che li tenevan su, fendere la calca;
tutti diretti verso il Vaticano; i ragazzi più grandi farsi strada
da sè, scivolare fra le gambe della gente, a dieci, a venti insieme,
stretti per mano; in pochi minuti, parte colle proprie gambe, parte
spinti, parte portati, centinaia di bimbi, tutto un popolo di creature
sino allora nascoste, si trovò affollato in un angolo della piazza;
e intanto un gridìo assordante di donne: — Badate! — Largo! — Il mio
bimbo! — Di lì a poco un altro grido, più forte, più imperioso: — Le
donne! Le donne! — Un altro rimescolìo, un altro rompersi della folla
in tutti i versi. Poi un terzo grido più formidabile: — L'esercito!
I soldati! Avanti! — E di nuovo un sottosopra indicibile; ma in ogni
parte ad un tempo, risoluto, rapido; nessuna delle difficoltà e delle
lungaggini che si vedono in casi simili; tutti s'affaccendavano e
servivano allo scopo; era una foga, un impeto, e pure un accordo
meraviglioso; pareva che quella folla innumerevole fosse ordinata
e ammaestrata. A poco a poco si rallentò il movimento, il chiasso
si quetò, le braccia si abbassarono, tutti si guardarono intorno, e
si vide ch'erano spariti, come per incanto, i bambini, le donne, i
soldati. Stavan tutti da una parte della piazza, a destra, divisi
in tre grandi schiere, dalla porta di San Pietro fino a mezzo
il colonnato, rivolti verso il Vaticano, stretti ed immobili. La
moltitudine proruppe in un fragorissimo applauso.
— Ma il Vaticano! — domandò per la terza volta la famiglia, tutta a una
voce.
— Sempre chiuso e quieto come un convento; ma aspettate. All'improvviso
l'applauso cessò, e si videro tutte le teste voltarsi indietro, e
bisbigliare: — Silenzio! Silenzio! — La parola corse fino in fondo
alle due strade che sboccan nella piazza. Il bisbiglio, di lì a poco,
cessò affatto, e si fece una quiete, un silenzio, come io non avrei mai
creduto che fosse possibile fra tanta gente: era qualcosa di sovrumano.
In mezzo a quel silenzio, parve improvvisamente di sentire un vocìo
leggiero, che non si capiva cosa fosse; un suono vago, diffuso, come
se venisse dall'alto; a mano a mano, insensibilmente, crebbe; prima un
alzarsi di voci qui, poi là, poi più lontano, incerte, discordanti; di
lì a poco più unite, più risolute; infine, come per incanto, confuse; e
un solo canto tremolo, argentino, soave, si levò al cielo, echeggiando,
come la voce d'una legione d'angeli. Erano migliaia di fanciulli che
cantavano l'Inno a Pio IX del 1847.
— Oh! Dio buono! — esclamarono la madre e le figliole, giungendo le
mani.
— Quel canto si ripercosse nel cuore di tutti, scese proprio a toccare
in fondo all'anima quello che v'è di più tenero; si sentì correre un
fremito per la folla; si vedeva un gran moto di braccia e di mani,
come di chi vuol parlare e non può; non si udiva che un mormorìo
confuso. — Santo Padre, — pareva che si volesse dire da tutti, —
guardate, sentite, sono i nostri bambini, sono i vostri figliuoli,
che vi cercano, che v'invocano, che implorano la vostra benedizione;
sono anime innocenti; arrendetevi alla loro voce; benediteli; fate
che la patria e la fede siano un sentimento solo nei loro cuori; una
vostra parola, Santo Padre, un vostro cenno, un vostro sguardo solo
che annunzi il perdono e la pace, e saremo con voi, per voi, tutti,
ora, sempre, per sempre! Sono i nostri bambini, i vostri figliuoli!
— Migliaia di bandiere s'agitavano in aria, il canto tacque, seguì un
profondo silenzio....
— Ebbene? — domandarono tutti affannosi.
— Sempre chiuso, — continuò il giovane. — S'alzò il canto delle donne.
Si sentiva un tremito profondo in quella immensa voce; vi si sentiva
un qualche cosa che prorompe soltanto dal seno delle madri; pareva
piuttosto un grido che un canto; era soave e solenne. La gente, alle
prime note, rimase immobile; subito dopo cominciò ad agitarsi, come
mossa da un ardore irresistibile; le grida coprivano quasi il canto.
— Sono le nostre madri, — si diceva, — le nostre spose, le nostre
sorelle. Santo Padre, ascoltatele; esse non hanno mai avuto odio nè ira
nel cuore; esse hanno sempre amato e sperato; esse credono e pregano;
esse vi domandano di poter insegnare ai loro figliuoli il nome vostro
insieme con quella d'Italia. Santo Padre, una vostra parola risparmierà
loro molti dubbi dolorosi e molte lagrime amare; benedite le nostre
famiglie, Santo Padre! —
Gli ascoltatori interrogarono collo sguardo e col gesto.
— Chiuso, — rispose il giovane — sempre chiuso. Ma allora proruppe
un canto fragoroso e accelerato, a cui seguì un nuovo e più violento
rimescolìo; erano i soldati. — Sono i nostri soldati, — dicevano
tutti tra se, — saranno i vostri; sono i figliuoli delle campagne e
delle officine; essi, Santo Padre, veglieranno alle vostre porte e
scorteranno i vostri passi; essi, nati nella vostra terra, essi che
udirono da fanciulli il vostro grido sublime di libertà, e combatterono
contro lo straniero col vostro nome e con quello del loro Re sulle
labbra e nel cuore; benediteli; voi li troverete stretti intorno al
vostro trono nell'ora del pericolo, pronti a morire; una parola, Santo
Padre, e queste spade, questi petti, questo sangue, son vostri! Essi
vi domandano la benedizione della patria! Ricordatevi, Santo Padre,
il vostro grido sublime!... — Una finestra del Vaticano s'aperse.
— Allora il canto cessò, tacquero le grida, silenzio. Alla finestra
non v'era anima viva. Vi fu qualche istante, in cui il respiro della
moltitudine pareva sospeso. Si vide come un'ombra muoversi alla
finestra, ma dentro, in fondo, e sparire. Parve di veder passare della
gente, di sentir dallo strepito. Tutte le faccie, tutti gli occhi erano
fissi, immobili là. A un tratto tutta la moltitudine, come ispirata,
stese tutta insieme le braccia verso il palazzo, migliaia di donne
levarono in alto i bambini, i soldati alzarono i cappelli sulla punta
delle baionette, tutte le bandiere sventolarono, centomila voci si
sprigionarono in un solo tremendo grido: — Viva! Viva! Viva! — Alla
finestra del Vaticano si vide spuntare qualcosa, muoversi, luccicare,
sollevarsi in aria di colpo.... Dio eterno! — gridò il giovane
lanciandosi al collo di sua madre — era la bandiera italiana! —
Dire l'allegrezza, la gioia, l'entusiasmo di quella buona gente, è
impossibile. Il giovane aveva parlato con tanto calore, s'era tanto
innamorato del suo medesimo inganno che a poco a poco era arrivato
fino a non accorgersi più che inventava; e veramente gli si erano
inumiditi gli occhi e gli tremava la voce. Perciò nemmeno un'ombra
di sospetto passò per la mente ai suoi genitori e alle sue sorelle.
Si abbracciavano, ridevano, piangevano. Da quanti dubbi, da quanti
scrupoli, da quante battaglie dolorose fra il cuore d'Italiani e la
coscienza di Cattolici, si trovavano liberati! La conciliazione tra la
Chiesa e lo Stato! Il sogno di tanti anni! Che tranquillità d'animo a
allora in poi! Che bella vita d'amore e di accordo! Che respiro libero
e sicuro! — Sia benedetto il cielo! — esclamò la madre, lasciandosi
cader sur una seggiola, stanca dalla commozione. E poi daccapo tutti
insieme intorno al giovane, chi pigliandogli una mano, chi tirandolo
pei panni.
— È proprio vero?
— Non è un sogno?
— Continua, racconta tutto, il Papa, la gente, che cosa è stato....
— .... Quel che seguì allora, — riprese il giovane con voce stanca, —
a dirvela schietta io non lo so, non me ne ricordo; fu un tale scoppio
di grida, un sottosopra, una frenesia, un delirio tale, che solamente
a pensarci, anche adesso, mi si confonde la testa. Io non mi vidi più
altro intorno che braccia e bandiere alzate, che mi nascosero ogni
cosa. Una gomitata che ricevei nel petto in uno di quei terribili
rimescolamenti della folla, mi tolse quasi il respiro. Dopo qualche
momento mi parve di essere un po' più al largo e mi gettai in una delle
strade che menano al ponte, per uscir fuori da quella confusione. Da
tutte le strade di Borgo Pio il popolo si precipitava con altissime
grida sulla piazza. Si disse poi che la folla s'era slanciata alle
porte del Vaticano per irrompere dentro; i soldati l'avevan dovuta
contenere prima col petto, poi a forza di braccia, infine coll'armi;
si parlava di gente rimasta soffocata nel serra serra. Dentro, nel
Vaticano, che cosa sia seguìto per ora non si sa; si diceva che il Papa
aveva dato la benedizione dalla finestra. Io non lo vidi. Affranto,
sfinito, arrivai sul ponte e lo passai. Sempre accorreva gente da
ogni parte, chiamati dalla notizia del grande avvenimento, che s'era
propagata colla rapidità del lampo. Grossi drappelli di cavalleria
accorrevano di trotto serrato. Guide e aiutanti di campo, mandati a
portar ordini di qua e di là, correvano le strade gridando. La gente
rispondeva dalle finestre. Vecchi decrepiti, malati, donne coi bimbi
fra le braccia, s'affacciavano a' terrazzini, scendevan nella strada,
interrogavano, si meravigliavano, si baciavano.... Io arrivai al Corso.
All'improvviso s'udì un rimbombo terribile dalla parte del Pincio,
poi un altro dalla parte di Porta Pia, poi un terzo dalla parte Porta
San Pancrazio; erano tutte le batterie d'artiglieria dell'esercito
italiano che salutavano il Pontefice con una salva precipitosa. Dopo
poco s'udirono i rintocchi della campana del Campidoglio, poi man mano
le campane di cento chiese, che si confusero in un concerto grandioso.
La folla da Borgo Pio si riversò con impeto sfrenato sulla sinistra del
Tevere, invase in pochi momenti le strade, le piazze, le case; scoprì
gli stemmi papali ch'erano stati coperti; portò in trionfo busti di
Pio IX, ritratti, bandiere; migliaia di persone si fermarono davanti
ai palazzi dei patrizi romani più noti per devozione al Pontefice e
proruppero in applausi, e quelli si presentarono sui balconi e misero
fuori le bandiere nazionali.... Un momento, lasciatemi riprendar
fiato. —
Ripreso ch'ebbe fiato, subito l'incalzarono con nuove domande: — E poi?
E il Vaticano? E il Papa?
— .... Non so.... Non vi dico quello che era di bello, di grande,
di meraviglioso Roma la sera. La notte era serenissima, e ci fu una
illuminazione quale non s'è vista mai, credo, da che mondo è mondo:
il Corso pareva tutto di foco; le chiese piene di gente con preti
che predicavano; nelle strade musiche, canti, balli; cittadini che
parlavano al popolo nei caffè e nei teatri. Volli vedere un'altra
volta la piazza di San Pietro. S'era sparsa la voce che Sua Santità
aveva bisogno di riposare; Borgo Pio era quieto come in una delle
notti più quiete; la piazza era rischiarata dalla luna; una folla
silenziosa stava raccolta intorno alle due fontane e sulle gradinate;
molti seduti in terra, molti coricati; una gran parte, i più rifiniti
dalle fatiche e dalle commozioni della giornata, dormivano; donne,
soldati, bambini, alla rinfusa; centinaia di persone inginocchiate, e
qua e là sentinelle di tutti i Corpi, con bandierine e croci piantate
nella canna del fucile. Il terreno era sparso di bandiere, di foglie,
di fiori, di cappelli perduti nel trambusto; le finestre del Vaticano
erano illuminate; non si sentiva una voce; pareva che tutta quella
gente trattenesse il respiro. Partii di là commosso, esaltato, pensando
a tutto quello che avevo visto, all'effetto che avrebbe prodotto la
notizia in Italia, nel mondo, in voi altri, in te, specialmente, babbo;
mi trovai alla stazione quasi senza avvedermene, c'era una confusione,
un gridìo assordante; salii sul treno, si partì, ed eccomi qua. La
notizia è arrivata ieri sera a Firenze; mi dissero che fu un delirio;
il Re è partito per Roma; la notizia s'è già sparsa per tutta la
terra. —
A questo punto si lasciò cader sulla seggiola e tacque in atto di
chi non ha più fiato in corpo. Poi s'alzò improvvisamente e scappò a
intercettare i giornali che dovevano arrivare alla villa alle undici,
sicchè la famiglia serbò la sua cara illusione fino a sera. Il desinare
fu allegrissimo, il giovane continuò ad affastellare particolari su
particolari, e la madre e gli altri, contentezze su contentezze,
benedizioni su benedizioni. Quando tutto a un tratto si sentì un
passo accelerato su per le scale, e poi una rumorosa scampanellata.
Di lì a un minuto la porta s'aperse, e un prete lungo, asciutto, col
viso pallido e la bocca torta, comparì sulla soglia. Era un prete
arrabbiato, che la famiglia conosceva di fresco, e pel quale non aveva
gran simpatia; ma che pure rispettava ed accoglieva in casa, più per
ossequio all'abito che alla persona. Tutti, tranne il giovane, gli
corsero intorno, gridando: — Ebbene! Ha sentito la gran notizia! Tutto
è finito, grazie al cielo! È stata la mano di Dio! Che cosa ne pensa?
Parli, racconti!
— Ma che notizia? — dimandò il prete, guardandoli in viso uno per uno
con un par d'occhi stralunati.
Gli dissero tutti insieme, in fretta e in furia, delle feste, del
perdono, della conciliazione.
Il prete guardò tutti con l'aria di chi temesse d'esser capitato in
mezzo a un crocchio di matti; poi fulminò con un'occhiata il giovane,
ed esclamò con un sorriso maligno di trionfo:
— Non c'è ombra di vero, per fortuna!
— Non c'è ombra di vero! — gridarono tutti, voltandosi verso il
figliuolo.
Questi, senza scomporsi, fissò il prete, e con un accento misto
di tristezza e di sdegno gli disse: — Ma, reverendo, non dica: per
fortuna! Lei è italiano; dica: Peccato che non sia. —
Tutti gli altri rimasero per qualche momento come sbalorditi; ma poi,
voltandosi di nuovo verso il prete, e piccati, come sempre segue,
più contro chi aveva tolto che contro chi aveva dato l'illusione,
ripeterono quasi involontariamente: — Sicuro! dica piuttosto: Peccato!
— Io? — rispose il prete, torcendo verso il suo petto un lungo dito
nodoso; e poi con voce acre e vibrata: — Io non lo dirò mai!
A quelle parole il vecchio, ferito bruscamente nel dolce sentimento che
lo esaltava, perdette, com'era solito, i lumi, e stendendo il braccio
verso il prete, si lasciò sfuggire dalla bocca un: — Via! — che risonò
in tutta la casa come una pistolettata.
Il prete disparve chiudendo la porta con impeto. Il giovane gettò le
braccia al collo del padre; e questi, mettendo le due mani sulla testa
del figliuolo, esclamò con un accento triste e affettuoso: — .... Ti
perdono.
ALBERTO.
[Illustrazione]
I.
Era bello vedere il giardino della piazza d'Azeglio la sera d'una
giornata di primavera, due anni fa, quando Firenze era ancora
Capitale. Vi convenivano centinaia di fanciulli, molti di famiglie
fiorentine, la più parte di famiglie d'impiegati d'ogni provincia; era
il ritrovo delle Italiane e degl'Italiani più piccini e più belli che
avevano condotti in quella città il Parlamento, i Ministeri e l'altre
istituzioni dello Stato, il fiore dell'innocenza e della gaiezza
della Capitale. Le madri, le governanti, le bambinaie stavan sedute
sulle panche a destra e a sinistra dei viali; i bambini correvano in
mezzo; nel centro del giardino sonava la banda. Fino all'imbrunire era
un moto e un gridare continuo. Frotte di ragazzi uscivano di dietro
ai cespugli, si sparpagliavano ridendo, s'inseguivano e ridevano,
correvano a giri e rigiri come le rondini, e ridevano sempre, cadevano,
sempre ridendo, e si rialzavano, e ricominciavano a darsi dietro. Qua
una bimba perdeva il pettine, là un'altra la pezzuola, qualcuna si
fermava per farsi riabbottonare lo stivaletto. Da un lato all'altro dei
viali si chiamavano ad alta voce, e in un momento si sentivano cento
nomi di santi, di guerrieri, d'imperatori, di poeti: — Maria! Ettore!
Pompeo! — Non si capivan tutti fra loro. — Che hai detto? — domandava
una toscana, chinandosi verso una lombarda che le aveva diretto la
parola passando. Formavan dei cerchi a dieci insieme tenendosi per
mano, e si mettevano a girare, e andavano tutti a gambe levate, e alle
bambine più grandi si scioglievano i lunghi capelli, e le piccine
piangevano. Tratto tratto, due che s'erano bisticciati andavano a
chieder giustizia, seguiti da un piccolo drappello di curiosi, al
tribunale di qualche mamma seduta in disparte. Altri, spossati dalla
corsa, col viso infiammato, ansanti, riposavano sull'erba fin che
avessero ripreso nuova lena per ritornare ai giuochi. E lontano, tra le
siepi e gli alberi, si vedevano altre frotte di bambini biancheggiare
un momento, poi sparire, poi riapparire; e da ogni parte si alzavano
voci di gioia, di rimprovero, di meraviglia, di comando, e ad ogni
passo si udivano accenti diversi che, richiamando alla memoria le
diverse provincie, facevano passar dinanzi agli occhi una sequela
rapidissima di visioni: il Canal grande, il Vesuvio, San Pietro,
Superga. Il giardino Massimo d'Azeglio faceva esclamare, quasi con un
senso nuovo di maraviglia e di piacere: — Oh qui si vede che l'Italia è
fatta davvero! —
Una sera d'aprile del 1870, in una parte del giardino, dove il
formicolìo dei fanciulli era più fitto, stava seduto sur una panca,
solo, colle braccia incrociate sul petto, un giovane sui vent'anni,
decentemente vestito, d'aspetto malaticcio, che pareva che dormisse.
Stava appoggiato col capo all'indietro, come se guardasse il cielo. A
un tratto, essendosi mosso leggermente per prendere un atteggiamento
più comodo, gli cadde il cappello dietro la panca, e dal cappello saltò
fuori un non so che di forma quadrata e di color rosso, simile a quelle
buste, in cui si mettono le carte geografiche. Egli non se ne accorse
e continuò a dormire. Alcuni ragazzi, passando, urtarono coi piedi in
quell'oggetto e lo spinsero cinque o sei passi più in là.
Dopo alcuni minuti il giovane si svegliò, e accortosi di avere il capo
scoperto balzò in piedi e guardò intorno. Vide il cappello, lo prese,
vi guardò dentro, si turbò, e cominciò a cercare attentamente intorno
alla panca.
Poi si fermò, e voltando gli occhi in giro, dimandò con voce inquieta:
— C'è nessuno che abbia visto qui, accanto alla panca, un oggetto
rosso, grande così, di cartone? —
Due o tre donne si voltarono.
— Vorrebbero farmi la gentilezza, — soggiunse il giovane, — di
domandare ai loro bambini? —
Le donne rivolsero qualche domanda a mezza voce ai bambini che avevano
intorno, e poi fecero cenno di no.
— Perdonino, — ripigliò il giovane con voce commossa, avvicinandosi
alle donne, — è impossibile, l'oggetto m'è caduto di dosso un momento
fa; mi facciano il piacere, domandino ancora, cerchino....
— O che s'ha a cercare? — usci a dire in tono dispettoso una donna; —
quando s'è detto no, è no; è bell'e finita.
— Ma lei, — esclamò allora il giovane con accento più di dolore che
di stizza; — lei non sa che cosa io abbia perduto! Potrebb'essere un
oggetto prezioso! Potrebbe.... No, si fermino, — soggiunse con tono
supplichevole verso due altre donne che se n'andavano, — si fermino un
momento, le prego, mi aiutino,... non dimando che un momento! —
Si cominciava a radunar gente, le donne chiamarono i bambini e
s'allontanarono.
Il giovane gridò ancora una volta: — Un momento! Mi facciano questo
favore! — Poi riprese a cercare qua e là, quasi correndo, e parlando
tra sè a mezza voce.
— Ha perso dei denari? — gli domandò un tale.
— No! — rispose, continuando a girare sempre più in fretta.
— Ha perso un anello? — domandò un altro.
segno, mi voglio sfogare, voglio che sappiate il fatto a poco a poco
come l'ho visto io.
— Ma son le feste dei Romani?
— È il plebiscito?
— L'arrivo del Re?
— Ma no! ma no! È ben altra cosa!
— Ma parla!
— Ma sedete!
— O come non s'è saputo nulla qui?
— Ma che volete ch'io sappia? Quello ch'io so è che portarvi pel primo
questa notizia è il più gran piacere che abbia provato in vita mia....
Sono arrivato stamani a Firenze, si sapeva tutto, son partito subito; —
chi sa, — pensavo, — forse la nuova non sarà ancora arrivata a casa;...
mi manca quasi il fiato!
— Di' dunque tutto, subito — esclamarono la madre e le ragazze
mettendosi a sedere intorno a lui. Il padre era rimasto in disparte.
— Sentirai, mamma! — cominciò il giovane. — Cose da fare impazzire.
Venite più in qua, così. Della mattina del ventuno sapete ogni cosa,
non è vero? Entrarono gli altri reggimenti; folla, grida, musiche, come
il giorno prima, fino alle dodici. Alle dodici, come per accordo preso,
lo strepito cessò, prima nel Corso, poi nell'altre strade grandi, e a
poco a poco per tutto. I drappelli dei cittadini si fermavano, facevano
crocchio e parlavano sotto voce; poi si sparpagliavano in tutti i
versi, salutandosi l'un l'altro, col fare di chi deve rivedersi poco
dopo. Pareva che fosse corsa la voce di prepararsi a qualche gran cosa.
La gente, incontrandosi, si parlava in fretta, e poi via, ciascuno
per conto suo. Da un capo all'altro del Corso era un affaccendarsi
generale; chi entrava nelle case, chi usciva, chi chiamava dalla
strada, chi rispondeva dalle finestre; i soldati scappavano di qua e di
là come se avessero sentito una chiamata; passavano ufficiali a cavallo
di trotto; passavano uomini e ragazzi con fasci di bandiere sulle
spalle e tra le braccia; tutti frettolosi e affannati, che parevano
inseguiti. Io, che non sapevo nulla, e non conoscevo nessuno, guardavo
in viso ora l'uno ora l'altro, tanto per veder d'indovinare qualcosa.
Tutti parevano allegri, ma non dimostravano più l'allegrezza viva e
sfrenata di prima; tutti lasciavano trasparir un pensiero, un dubbio,
quasi un'ansietà; si capiva ch'era gente che macchinava qualcosa.
Infilai una delle strade secondarie, andai oltre, mi fermai su due o
tre crocicchi: in ogni parte lo stesso spettacolo; gran gente, gran
moto, gran fretta, e un non so che nel modo di parlare e nei gesti,
che avevo già notato nel Corso, come se tutto quell'armeggìo si volesse
fare di nascosto a qualcuno, benchè fosse visibile a tutti. Passavano
gruppi, drappelli, centinaia di uomini e di donne insieme, e non si
sentiva un grido; andavan tutti dalla stessa parte, come a un luogo
convenuto....
— Dove andavano? — domandarono il padre e la madre.
— Aspettate. Ritornai verso il Corso. Quanto più andavo innanzi,
sentivo crescere un rumor sordo e continuo, come d'una gran folla.
Arrivai: il Corso era pieno di gente, tutti fermi e rivolti verso
il Campidoglio, come se aspettassero qualche cosa di là. Da piazza
del Popolo a piazza di Venezia era tutt'una calca da non potervisi
muovere. Si bisbigliava qua e là: — Or ora vengono. — Vengono di
laggiù. — Chi viene di laggiù? — La colonna principale. — Viene la
colonna principale. — Eccola. — No. — Sì. — A un tratto la folla si
agitò con grande impeto, si gridò da tutte le parti: — Son là, — e in
men che non si dica la via rimase sgombra nel mezzo come al passare
di una processione. Tutte le teste si scoprirono. Io, che ero rimasto
indietro, mi feci strada a furia di gomiti, e guardai.... Mi par di
sentire il fremito che mi corse da capo a piedi in quel punto. Venivano
innanzi generali in grande uniforme, signori in abito nero con ciarpe
tricolori; in mezzo ai signori e ai generali, ragazzi, donne e uomini
laceri e scamiciati; dietro operai, contadini, donne coi bimbi in
collo, soldati di tutte le armi, signore eleganti, studenti, famiglie
intere strette in piccoli gruppi tenendosi per mano per non perdersi;
tutti affollati, pigiati in modo da poter appena camminare; e pure non
si sentiva che un bisbiglio monotono come un ronzìo; silenzio dalle due
parti della strada, silenzio alle finestre: era uno spettacolo solenne;
faceva tra meraviglia e spavento; io ero estatico.
— Ma dove andavano? — domandarono con più viva insistenza il padre, la
madre e le figliuole.
— Lasciatemi finire! — riprese il giovane. — Mi cacciai in mezzo. E
con me vi si cacciarono man mano tutti quelli che stavano addossati al
muro a destra e a sinistra. Figuratevi che serra serra! La folla pareva
proprio un torrente, occupava tutti gli spazii; e ondeggiando sbalzava
gente, come onde, nelle botteghe, nei portoni, da ogni parte dove vi
fosse un po' di posto. Man mano che si andava, altre turbe di popolo
si versavano nel Corso dalle vie laterali, affollate anche quelle da un
capo all'altro; e la processione continuava a scendere dal Campidoglio,
e correva voce che nel Campo Vaccino vi fossero ancora migliaia di
persone. Gran gente arrivava da piazza di Spagna, gente da via del
Babbuino, gente da piazza del Popolo. Avevano tutti qualcosa in mano,
chi ghirlande di fiori, chi rami d'ulivo e d'alloro, chi bandiere, chi
cenci legati in cima a bastoni; qualcuno portava persino immagini sacre
spiegate con due mani al di sopra della testa; iscrizioni, emblemi,
ritratti del Papa, del Re, dei Principi, di Garibadi; una varietà, una
mescolanza, una confusione di persone e di cose, come credo non si sia
mai vista sotto il sole; e sempre e per tutto quel bisbiglio sommesso,
quell'andar lento, quella serenità, quella dignità, così strana e
maravigliosa in tanta moltitudine, che mi pareva di sognare. —
Tutta la famiglia si strinse intorno al giovane senza far parola.
— .... A un certo punto mi accorgo che la folla ha svoltato a sinistra:
tutti dietro. Adagio adagio con gran fatica, pigiati, oppressi, urtati
da tutte lo parti, senza poter muovere le braccia, respirando a stento,
si arriva, di strada in strada, sulla piazzetta dinanzi al ponte
Sant'Angelo. Il ponte era stipato di gente; la folla si perdeva di là
dal fiume verso San Pietro; tutta la sponda destra era un formicolaio.
Il passaggio del ponte fu un affar serio; ci si mise più d'un quarto
d'ora; i disgraziati che erano ai lati, spinti dalla gente del mezzo,
dalla paura d'esser buttati giù, si attaccavano disperatamente alle
spallette, e mandavano grida di spavento; si dice che siano seguite
delle disgrazie. A poco a poco si arrivò di là. Tutte le strade che
menano alla piazza rigurgitavano. Quando si fu all'imboccatura d'una
delle due strade che vanno diritte alla Basilica, s'udì a un tratto
un gran fragore sordo, cupo, come quello d'un mare in burrasca, che
ora pareva lontano, ora vicino, e veniva verso di noi a ondate. Era
la moltitudine accalcata in piazza di San Pietro. La folla si spinse
innanzi con più impeto; gli uni sugli altri, portati, travolti, su su,
fin che s'arrivò sulla piazza.... Dio eterno! se aveste veduto! Uno
spettacolo da sbalordire. Tutta quell'immensa piazza piena zeppa, tutta
nera, tutta brulicante, non c'era più piazza, era un mare. Tutt'intorno
fra le quattro file delle colonne, sulla gradinata della chiesa, sotto
il portico, sul gran terrazzo della facciata, sulle gallerie della
cupola, sui capitelli, sui pilastri; e dietro, alle finestre delle
case, sui balconi, sui tetti, sopra, sotto, a destra, a sinistra, da
per tutto dove una creatura umana poteva posare il piede, o attaccarsi,
o sospendersi, da per tutto teste, braccia e gambe spenzoloni,
bandiere, gesti, voci. Tutta Roma era là.
— Oh Dio!... E il Vaticano? — domandarono le donne con grande
trepidazione.
— Era chiuso. Sapete che un braccio del Vaticano dà sulla piazza,
e lì c'è l'appartamento del Papa. Tutte le finestre eran chiuse,
pareva un palazzo abbandonato; pareva, in quel momento, che avesse
l'espressione d'una persona, fredda, rigida, impassibile, che guardasse
giù con l'occhio spalancato ed immobile. La moltitudine guardava in su
rumoreggiando. Si vedeva da una parte, verso la gradinata, un grande
armeggìo di ufficiali e di signori, che pareva dessero degli ordini,
ripetuti poi di bocca in bocca. L'agitazione andava crescendo. Eran
tutti a capo scoperto: teste bianche di vecchi, teste brune di soldati,
teste bionde di bambini; splendeva un bel sole; mille cose, mille
suoni, mille colori ondeggiavano e si confondevano su quella immensa
folla; le bandiere, i ramoscelli, i cenci sventolati, erano sbattuti
qua e là, come se galleggiassero sull'acqua; il rimescolamento era
tale, che pareva ardesse il foco sotto terra. Tutt'a un tratto s'udì e
si propagò un grido da tutte le parti: — I ragazzi! I bambini! Avanti
i bambini! — Pareva una cosa convenuta. In un punto solo, da ogni
Iato della piazza, si videro sollevare i bambini al di sopra della
teste, e le donne e gli uomini che li tenevan su, fendere la calca;
tutti diretti verso il Vaticano; i ragazzi più grandi farsi strada
da sè, scivolare fra le gambe della gente, a dieci, a venti insieme,
stretti per mano; in pochi minuti, parte colle proprie gambe, parte
spinti, parte portati, centinaia di bimbi, tutto un popolo di creature
sino allora nascoste, si trovò affollato in un angolo della piazza;
e intanto un gridìo assordante di donne: — Badate! — Largo! — Il mio
bimbo! — Di lì a poco un altro grido, più forte, più imperioso: — Le
donne! Le donne! — Un altro rimescolìo, un altro rompersi della folla
in tutti i versi. Poi un terzo grido più formidabile: — L'esercito!
I soldati! Avanti! — E di nuovo un sottosopra indicibile; ma in ogni
parte ad un tempo, risoluto, rapido; nessuna delle difficoltà e delle
lungaggini che si vedono in casi simili; tutti s'affaccendavano e
servivano allo scopo; era una foga, un impeto, e pure un accordo
meraviglioso; pareva che quella folla innumerevole fosse ordinata
e ammaestrata. A poco a poco si rallentò il movimento, il chiasso
si quetò, le braccia si abbassarono, tutti si guardarono intorno, e
si vide ch'erano spariti, come per incanto, i bambini, le donne, i
soldati. Stavan tutti da una parte della piazza, a destra, divisi
in tre grandi schiere, dalla porta di San Pietro fino a mezzo
il colonnato, rivolti verso il Vaticano, stretti ed immobili. La
moltitudine proruppe in un fragorissimo applauso.
— Ma il Vaticano! — domandò per la terza volta la famiglia, tutta a una
voce.
— Sempre chiuso e quieto come un convento; ma aspettate. All'improvviso
l'applauso cessò, e si videro tutte le teste voltarsi indietro, e
bisbigliare: — Silenzio! Silenzio! — La parola corse fino in fondo
alle due strade che sboccan nella piazza. Il bisbiglio, di lì a poco,
cessò affatto, e si fece una quiete, un silenzio, come io non avrei mai
creduto che fosse possibile fra tanta gente: era qualcosa di sovrumano.
In mezzo a quel silenzio, parve improvvisamente di sentire un vocìo
leggiero, che non si capiva cosa fosse; un suono vago, diffuso, come
se venisse dall'alto; a mano a mano, insensibilmente, crebbe; prima un
alzarsi di voci qui, poi là, poi più lontano, incerte, discordanti; di
lì a poco più unite, più risolute; infine, come per incanto, confuse; e
un solo canto tremolo, argentino, soave, si levò al cielo, echeggiando,
come la voce d'una legione d'angeli. Erano migliaia di fanciulli che
cantavano l'Inno a Pio IX del 1847.
— Oh! Dio buono! — esclamarono la madre e le figliole, giungendo le
mani.
— Quel canto si ripercosse nel cuore di tutti, scese proprio a toccare
in fondo all'anima quello che v'è di più tenero; si sentì correre un
fremito per la folla; si vedeva un gran moto di braccia e di mani,
come di chi vuol parlare e non può; non si udiva che un mormorìo
confuso. — Santo Padre, — pareva che si volesse dire da tutti, —
guardate, sentite, sono i nostri bambini, sono i vostri figliuoli,
che vi cercano, che v'invocano, che implorano la vostra benedizione;
sono anime innocenti; arrendetevi alla loro voce; benediteli; fate
che la patria e la fede siano un sentimento solo nei loro cuori; una
vostra parola, Santo Padre, un vostro cenno, un vostro sguardo solo
che annunzi il perdono e la pace, e saremo con voi, per voi, tutti,
ora, sempre, per sempre! Sono i nostri bambini, i vostri figliuoli!
— Migliaia di bandiere s'agitavano in aria, il canto tacque, seguì un
profondo silenzio....
— Ebbene? — domandarono tutti affannosi.
— Sempre chiuso, — continuò il giovane. — S'alzò il canto delle donne.
Si sentiva un tremito profondo in quella immensa voce; vi si sentiva
un qualche cosa che prorompe soltanto dal seno delle madri; pareva
piuttosto un grido che un canto; era soave e solenne. La gente, alle
prime note, rimase immobile; subito dopo cominciò ad agitarsi, come
mossa da un ardore irresistibile; le grida coprivano quasi il canto.
— Sono le nostre madri, — si diceva, — le nostre spose, le nostre
sorelle. Santo Padre, ascoltatele; esse non hanno mai avuto odio nè ira
nel cuore; esse hanno sempre amato e sperato; esse credono e pregano;
esse vi domandano di poter insegnare ai loro figliuoli il nome vostro
insieme con quella d'Italia. Santo Padre, una vostra parola risparmierà
loro molti dubbi dolorosi e molte lagrime amare; benedite le nostre
famiglie, Santo Padre! —
Gli ascoltatori interrogarono collo sguardo e col gesto.
— Chiuso, — rispose il giovane — sempre chiuso. Ma allora proruppe
un canto fragoroso e accelerato, a cui seguì un nuovo e più violento
rimescolìo; erano i soldati. — Sono i nostri soldati, — dicevano
tutti tra se, — saranno i vostri; sono i figliuoli delle campagne e
delle officine; essi, Santo Padre, veglieranno alle vostre porte e
scorteranno i vostri passi; essi, nati nella vostra terra, essi che
udirono da fanciulli il vostro grido sublime di libertà, e combatterono
contro lo straniero col vostro nome e con quello del loro Re sulle
labbra e nel cuore; benediteli; voi li troverete stretti intorno al
vostro trono nell'ora del pericolo, pronti a morire; una parola, Santo
Padre, e queste spade, questi petti, questo sangue, son vostri! Essi
vi domandano la benedizione della patria! Ricordatevi, Santo Padre,
il vostro grido sublime!... — Una finestra del Vaticano s'aperse.
— Allora il canto cessò, tacquero le grida, silenzio. Alla finestra
non v'era anima viva. Vi fu qualche istante, in cui il respiro della
moltitudine pareva sospeso. Si vide come un'ombra muoversi alla
finestra, ma dentro, in fondo, e sparire. Parve di veder passare della
gente, di sentir dallo strepito. Tutte le faccie, tutti gli occhi erano
fissi, immobili là. A un tratto tutta la moltitudine, come ispirata,
stese tutta insieme le braccia verso il palazzo, migliaia di donne
levarono in alto i bambini, i soldati alzarono i cappelli sulla punta
delle baionette, tutte le bandiere sventolarono, centomila voci si
sprigionarono in un solo tremendo grido: — Viva! Viva! Viva! — Alla
finestra del Vaticano si vide spuntare qualcosa, muoversi, luccicare,
sollevarsi in aria di colpo.... Dio eterno! — gridò il giovane
lanciandosi al collo di sua madre — era la bandiera italiana! —
Dire l'allegrezza, la gioia, l'entusiasmo di quella buona gente, è
impossibile. Il giovane aveva parlato con tanto calore, s'era tanto
innamorato del suo medesimo inganno che a poco a poco era arrivato
fino a non accorgersi più che inventava; e veramente gli si erano
inumiditi gli occhi e gli tremava la voce. Perciò nemmeno un'ombra
di sospetto passò per la mente ai suoi genitori e alle sue sorelle.
Si abbracciavano, ridevano, piangevano. Da quanti dubbi, da quanti
scrupoli, da quante battaglie dolorose fra il cuore d'Italiani e la
coscienza di Cattolici, si trovavano liberati! La conciliazione tra la
Chiesa e lo Stato! Il sogno di tanti anni! Che tranquillità d'animo a
allora in poi! Che bella vita d'amore e di accordo! Che respiro libero
e sicuro! — Sia benedetto il cielo! — esclamò la madre, lasciandosi
cader sur una seggiola, stanca dalla commozione. E poi daccapo tutti
insieme intorno al giovane, chi pigliandogli una mano, chi tirandolo
pei panni.
— È proprio vero?
— Non è un sogno?
— Continua, racconta tutto, il Papa, la gente, che cosa è stato....
— .... Quel che seguì allora, — riprese il giovane con voce stanca, —
a dirvela schietta io non lo so, non me ne ricordo; fu un tale scoppio
di grida, un sottosopra, una frenesia, un delirio tale, che solamente
a pensarci, anche adesso, mi si confonde la testa. Io non mi vidi più
altro intorno che braccia e bandiere alzate, che mi nascosero ogni
cosa. Una gomitata che ricevei nel petto in uno di quei terribili
rimescolamenti della folla, mi tolse quasi il respiro. Dopo qualche
momento mi parve di essere un po' più al largo e mi gettai in una delle
strade che menano al ponte, per uscir fuori da quella confusione. Da
tutte le strade di Borgo Pio il popolo si precipitava con altissime
grida sulla piazza. Si disse poi che la folla s'era slanciata alle
porte del Vaticano per irrompere dentro; i soldati l'avevan dovuta
contenere prima col petto, poi a forza di braccia, infine coll'armi;
si parlava di gente rimasta soffocata nel serra serra. Dentro, nel
Vaticano, che cosa sia seguìto per ora non si sa; si diceva che il Papa
aveva dato la benedizione dalla finestra. Io non lo vidi. Affranto,
sfinito, arrivai sul ponte e lo passai. Sempre accorreva gente da
ogni parte, chiamati dalla notizia del grande avvenimento, che s'era
propagata colla rapidità del lampo. Grossi drappelli di cavalleria
accorrevano di trotto serrato. Guide e aiutanti di campo, mandati a
portar ordini di qua e di là, correvano le strade gridando. La gente
rispondeva dalle finestre. Vecchi decrepiti, malati, donne coi bimbi
fra le braccia, s'affacciavano a' terrazzini, scendevan nella strada,
interrogavano, si meravigliavano, si baciavano.... Io arrivai al Corso.
All'improvviso s'udì un rimbombo terribile dalla parte del Pincio,
poi un altro dalla parte di Porta Pia, poi un terzo dalla parte Porta
San Pancrazio; erano tutte le batterie d'artiglieria dell'esercito
italiano che salutavano il Pontefice con una salva precipitosa. Dopo
poco s'udirono i rintocchi della campana del Campidoglio, poi man mano
le campane di cento chiese, che si confusero in un concerto grandioso.
La folla da Borgo Pio si riversò con impeto sfrenato sulla sinistra del
Tevere, invase in pochi momenti le strade, le piazze, le case; scoprì
gli stemmi papali ch'erano stati coperti; portò in trionfo busti di
Pio IX, ritratti, bandiere; migliaia di persone si fermarono davanti
ai palazzi dei patrizi romani più noti per devozione al Pontefice e
proruppero in applausi, e quelli si presentarono sui balconi e misero
fuori le bandiere nazionali.... Un momento, lasciatemi riprendar
fiato. —
Ripreso ch'ebbe fiato, subito l'incalzarono con nuove domande: — E poi?
E il Vaticano? E il Papa?
— .... Non so.... Non vi dico quello che era di bello, di grande,
di meraviglioso Roma la sera. La notte era serenissima, e ci fu una
illuminazione quale non s'è vista mai, credo, da che mondo è mondo:
il Corso pareva tutto di foco; le chiese piene di gente con preti
che predicavano; nelle strade musiche, canti, balli; cittadini che
parlavano al popolo nei caffè e nei teatri. Volli vedere un'altra
volta la piazza di San Pietro. S'era sparsa la voce che Sua Santità
aveva bisogno di riposare; Borgo Pio era quieto come in una delle
notti più quiete; la piazza era rischiarata dalla luna; una folla
silenziosa stava raccolta intorno alle due fontane e sulle gradinate;
molti seduti in terra, molti coricati; una gran parte, i più rifiniti
dalle fatiche e dalle commozioni della giornata, dormivano; donne,
soldati, bambini, alla rinfusa; centinaia di persone inginocchiate, e
qua e là sentinelle di tutti i Corpi, con bandierine e croci piantate
nella canna del fucile. Il terreno era sparso di bandiere, di foglie,
di fiori, di cappelli perduti nel trambusto; le finestre del Vaticano
erano illuminate; non si sentiva una voce; pareva che tutta quella
gente trattenesse il respiro. Partii di là commosso, esaltato, pensando
a tutto quello che avevo visto, all'effetto che avrebbe prodotto la
notizia in Italia, nel mondo, in voi altri, in te, specialmente, babbo;
mi trovai alla stazione quasi senza avvedermene, c'era una confusione,
un gridìo assordante; salii sul treno, si partì, ed eccomi qua. La
notizia è arrivata ieri sera a Firenze; mi dissero che fu un delirio;
il Re è partito per Roma; la notizia s'è già sparsa per tutta la
terra. —
A questo punto si lasciò cader sulla seggiola e tacque in atto di
chi non ha più fiato in corpo. Poi s'alzò improvvisamente e scappò a
intercettare i giornali che dovevano arrivare alla villa alle undici,
sicchè la famiglia serbò la sua cara illusione fino a sera. Il desinare
fu allegrissimo, il giovane continuò ad affastellare particolari su
particolari, e la madre e gli altri, contentezze su contentezze,
benedizioni su benedizioni. Quando tutto a un tratto si sentì un
passo accelerato su per le scale, e poi una rumorosa scampanellata.
Di lì a un minuto la porta s'aperse, e un prete lungo, asciutto, col
viso pallido e la bocca torta, comparì sulla soglia. Era un prete
arrabbiato, che la famiglia conosceva di fresco, e pel quale non aveva
gran simpatia; ma che pure rispettava ed accoglieva in casa, più per
ossequio all'abito che alla persona. Tutti, tranne il giovane, gli
corsero intorno, gridando: — Ebbene! Ha sentito la gran notizia! Tutto
è finito, grazie al cielo! È stata la mano di Dio! Che cosa ne pensa?
Parli, racconti!
— Ma che notizia? — dimandò il prete, guardandoli in viso uno per uno
con un par d'occhi stralunati.
Gli dissero tutti insieme, in fretta e in furia, delle feste, del
perdono, della conciliazione.
Il prete guardò tutti con l'aria di chi temesse d'esser capitato in
mezzo a un crocchio di matti; poi fulminò con un'occhiata il giovane,
ed esclamò con un sorriso maligno di trionfo:
— Non c'è ombra di vero, per fortuna!
— Non c'è ombra di vero! — gridarono tutti, voltandosi verso il
figliuolo.
Questi, senza scomporsi, fissò il prete, e con un accento misto
di tristezza e di sdegno gli disse: — Ma, reverendo, non dica: per
fortuna! Lei è italiano; dica: Peccato che non sia. —
Tutti gli altri rimasero per qualche momento come sbalorditi; ma poi,
voltandosi di nuovo verso il prete, e piccati, come sempre segue,
più contro chi aveva tolto che contro chi aveva dato l'illusione,
ripeterono quasi involontariamente: — Sicuro! dica piuttosto: Peccato!
— Io? — rispose il prete, torcendo verso il suo petto un lungo dito
nodoso; e poi con voce acre e vibrata: — Io non lo dirò mai!
A quelle parole il vecchio, ferito bruscamente nel dolce sentimento che
lo esaltava, perdette, com'era solito, i lumi, e stendendo il braccio
verso il prete, si lasciò sfuggire dalla bocca un: — Via! — che risonò
in tutta la casa come una pistolettata.
Il prete disparve chiudendo la porta con impeto. Il giovane gettò le
braccia al collo del padre; e questi, mettendo le due mani sulla testa
del figliuolo, esclamò con un accento triste e affettuoso: — .... Ti
perdono.
ALBERTO.
[Illustrazione]
I.
Era bello vedere il giardino della piazza d'Azeglio la sera d'una
giornata di primavera, due anni fa, quando Firenze era ancora
Capitale. Vi convenivano centinaia di fanciulli, molti di famiglie
fiorentine, la più parte di famiglie d'impiegati d'ogni provincia; era
il ritrovo delle Italiane e degl'Italiani più piccini e più belli che
avevano condotti in quella città il Parlamento, i Ministeri e l'altre
istituzioni dello Stato, il fiore dell'innocenza e della gaiezza
della Capitale. Le madri, le governanti, le bambinaie stavan sedute
sulle panche a destra e a sinistra dei viali; i bambini correvano in
mezzo; nel centro del giardino sonava la banda. Fino all'imbrunire era
un moto e un gridare continuo. Frotte di ragazzi uscivano di dietro
ai cespugli, si sparpagliavano ridendo, s'inseguivano e ridevano,
correvano a giri e rigiri come le rondini, e ridevano sempre, cadevano,
sempre ridendo, e si rialzavano, e ricominciavano a darsi dietro. Qua
una bimba perdeva il pettine, là un'altra la pezzuola, qualcuna si
fermava per farsi riabbottonare lo stivaletto. Da un lato all'altro dei
viali si chiamavano ad alta voce, e in un momento si sentivano cento
nomi di santi, di guerrieri, d'imperatori, di poeti: — Maria! Ettore!
Pompeo! — Non si capivan tutti fra loro. — Che hai detto? — domandava
una toscana, chinandosi verso una lombarda che le aveva diretto la
parola passando. Formavan dei cerchi a dieci insieme tenendosi per
mano, e si mettevano a girare, e andavano tutti a gambe levate, e alle
bambine più grandi si scioglievano i lunghi capelli, e le piccine
piangevano. Tratto tratto, due che s'erano bisticciati andavano a
chieder giustizia, seguiti da un piccolo drappello di curiosi, al
tribunale di qualche mamma seduta in disparte. Altri, spossati dalla
corsa, col viso infiammato, ansanti, riposavano sull'erba fin che
avessero ripreso nuova lena per ritornare ai giuochi. E lontano, tra le
siepi e gli alberi, si vedevano altre frotte di bambini biancheggiare
un momento, poi sparire, poi riapparire; e da ogni parte si alzavano
voci di gioia, di rimprovero, di meraviglia, di comando, e ad ogni
passo si udivano accenti diversi che, richiamando alla memoria le
diverse provincie, facevano passar dinanzi agli occhi una sequela
rapidissima di visioni: il Canal grande, il Vesuvio, San Pietro,
Superga. Il giardino Massimo d'Azeglio faceva esclamare, quasi con un
senso nuovo di maraviglia e di piacere: — Oh qui si vede che l'Italia è
fatta davvero! —
Una sera d'aprile del 1870, in una parte del giardino, dove il
formicolìo dei fanciulli era più fitto, stava seduto sur una panca,
solo, colle braccia incrociate sul petto, un giovane sui vent'anni,
decentemente vestito, d'aspetto malaticcio, che pareva che dormisse.
Stava appoggiato col capo all'indietro, come se guardasse il cielo. A
un tratto, essendosi mosso leggermente per prendere un atteggiamento
più comodo, gli cadde il cappello dietro la panca, e dal cappello saltò
fuori un non so che di forma quadrata e di color rosso, simile a quelle
buste, in cui si mettono le carte geografiche. Egli non se ne accorse
e continuò a dormire. Alcuni ragazzi, passando, urtarono coi piedi in
quell'oggetto e lo spinsero cinque o sei passi più in là.
Dopo alcuni minuti il giovane si svegliò, e accortosi di avere il capo
scoperto balzò in piedi e guardò intorno. Vide il cappello, lo prese,
vi guardò dentro, si turbò, e cominciò a cercare attentamente intorno
alla panca.
Poi si fermò, e voltando gli occhi in giro, dimandò con voce inquieta:
— C'è nessuno che abbia visto qui, accanto alla panca, un oggetto
rosso, grande così, di cartone? —
Due o tre donne si voltarono.
— Vorrebbero farmi la gentilezza, — soggiunse il giovane, — di
domandare ai loro bambini? —
Le donne rivolsero qualche domanda a mezza voce ai bambini che avevano
intorno, e poi fecero cenno di no.
— Perdonino, — ripigliò il giovane con voce commossa, avvicinandosi
alle donne, — è impossibile, l'oggetto m'è caduto di dosso un momento
fa; mi facciano il piacere, domandino ancora, cerchino....
— O che s'ha a cercare? — usci a dire in tono dispettoso una donna; —
quando s'è detto no, è no; è bell'e finita.
— Ma lei, — esclamò allora il giovane con accento più di dolore che
di stizza; — lei non sa che cosa io abbia perduto! Potrebb'essere un
oggetto prezioso! Potrebbe.... No, si fermino, — soggiunse con tono
supplichevole verso due altre donne che se n'andavano, — si fermino un
momento, le prego, mi aiutino,... non dimando che un momento! —
Si cominciava a radunar gente, le donne chiamarono i bambini e
s'allontanarono.
Il giovane gridò ancora una volta: — Un momento! Mi facciano questo
favore! — Poi riprese a cercare qua e là, quasi correndo, e parlando
tra sè a mezza voce.
— Ha perso dei denari? — gli domandò un tale.
— No! — rispose, continuando a girare sempre più in fretta.
— Ha perso un anello? — domandò un altro.