Nella lotta - 17
Per quanto egli tendesse l'orecchio, nessun rumore gli veniva dal di
fuori, nemmeno quello dell'acqua, che forse aveva ormai riempito senza
contrasto tutta la galleria e che principiava già a penetrare in
sottilissimi rigagnoli nella sua carcere.
Misurati solo dall'angoscia, i minuti gli parevano eterni; c'erano
momenti in cui avrebbe creduto d'esser chiuso lì dentro da più giorni,
se il veder che la lampada ardeva ancora non lo avesse persuaso del
contrario. Essa ardeva ancora, e gli consentiva di mirar la sua ombra
profilarsi sulle tetre pareti del suo sepolcro, e di contar le
venature del sasso, e di penetrar con lo sguardo nei solchi profondi
che il martello dei minatori vi aveva scavato in altri tempi. Ma a
poco a poco la fiamma cominciò ad oscillare; s'illanguidì
gradatamente, ora più debole si rianimò a un tratto, e si spense. Per
qualche secondo lo stoppino continuò a mandare una luce rossastra, ora
più intensa, simile a quella d'un carbone acceso che si avvivi col
fiato; poi anche quella luce finì in uno scoppiettìo di scintille, e
le tenebre avvolsero il povero prigioniero. Gli venne un dubbio; era
proprio il lume che s'era spento, o erano i suoi occhi che non
vedevano più? Aveva in tasca una scatola di fiammiferi; tentò di
accenderne uno, poi un altro, poi un terzo, ma non vi riuscì in causa
dell'umidità che s'era infiltrata ne' suoi vestiti. Però, a ognuno di
quei tentativi, il fosforo lasciava sul dorso della scatola una
striscia azzurrognola, che rompeva l'oscurità.
Roberto ristette dalle inutili prove. E invero, che gl'importava
persuadersi che i suoi occhi ci vedevano ancora, se il sole non doveva
venir più a visitarli? Gli astri brillano invano pel cieco, ma per chi
è circondato d'ombre profonde non vale l'esser veggente.
Si accosciò in un angolo cercando di non pensare, di assopirsi, di
uccidere in sè, prima che la vita, il sentimento della vita. Gravi
sofferenze fisiche non ne aveva; aveva un peso alla testa, aveva un
languore allo stomaco, ma nulla d'acuto, nulla d'intollerabile; segno
che non si trovava da un pezzo laggiù. Oh se avesse potuto dormire, se
avesse potuto passar da un sonno ad un altro!
Dicono che agli orientali non sia difficile conseguire questa
immobilità rassegnata, questo annichilamento dell'essere. Ma gli
sforzi che Roberto faceva per sopprimere le sue facoltà parevano
invece aguzzarle. Non distratto ormai da nessun oggetto esteriore, si
ripiegava con una sensibilità più squisita su sè medesimo, numerava le
pulsazioni del suo cuore, scendeva nella sua anima. Gli alti e solenni
pensieri della morte gli si affacciavano alla mente. Il _to be or not
to be_ di Amleto gli risonava all'orecchio. Era giunto dunque a quel
limitare tremendo che nessuno ha mai varcato due volte? Stava per
trovare l'incognita di quel problema che affatica gl'intelletti più
poderosi e che, col chiudersi della vita, si risolve da sè anche al
povero ilota? Poche ore ancora, e tutto sarebbe finito... o tutto
ricomincierebbe da capo.
Roberto Arconti era figlio del suo secolo e del suo paese. La
questione religiosa non aveva mai assorbito il suo spirito; però la
sua anima era troppo elevata da appagarsi d'un indifferentismo
volgare. Aveva avuto nella sua giovinezza i suoi periodi di lotte,
d'ansietà cupe e profonde; se non s'era acquetato nella fede, era
perchè non aveva potuto credere. Gli pareva che le varie teologie
avessero rimpicciolito il concetto grandioso della potenza regolatrice
dell'universo; non sapeva piegar le ginocchia davanti a questo Dio che
gli uomini hanno creato a immagine loro, prestandogli i loro odi e le
loro passioni, facendone lo strumento delle loro vendette e della loro
libidine di dominio. Alle affermazioni dogmatiche di tutte le chiese
gli piaceva contrapporre il procedimento cauto ed onesto della scienza
che muove alla ricerca del vero, non d'altro, sollecita che
d'accrescere il patrimonio dello spirito umano. Eppure.... eppure la
scienza stessa lasciava in lui un vuoto, che non poteva colmarsi; essa
non gli spiegava ogni cosa. Era costretto a riconoscere ch'essa non
bastava nè sempre, nè a tutti; che pei deboli, che pegli umili essa
non chiudeva in sè la virtù redentrice d'una speranza immortale, che
per nessuno essa offriva sufficiente compenso alle ingiustizie del
mondo. Ciò non lo aveva indotto ad accettare dottrine che gli
ripugnavano, ma lo aveva reso nemico d'ogni specie d'intolleranza, e
aveva fatto del suo scetticismo pensoso una cosa ben dissimile dalla
negazione provocante e sguajata. Nè adesso, all'avvicinarsi dell'ora
suprema, mutava tenore. Era stato sincero e non voleva per viltà
mentire a sè medesimo. Se un tribunale incomprensibile, misterioso,
aspetta al varco gli estinti, egli poteva affrontarlo impavido, certo
della rettitudine de' suoi atti e delle sue intenzioni. Il male, gli
era lecito dirlo senza jattanza, egli non lo aveva fatto mai, forse
aveva fatto del bene, aveva ubbidito a quella legge di simpatia che ci
affratella con gli altri uomini e ch'è certo la prima fra tutte le
religioni, la più vera e divina. Così da queste escursioni oltretomba
il suo spirito si ritraeva piuttosto rinfrancato che sbigottito.
Sentiva che non avrebbe temuto la morte se non avesse amato la vita.
Sì; aveva creduto d'odiare la vita, ma s'era ingannato. L'amava
perch'era giovine, perchè il sangue gli correva rapido nelle vene,
perchè aveva intatte le forze del corpo e dell'intelletto, perchè
malgrado dei recenti disinganni, il futuro aveva pur sempre qualche
attrattiva per lui.
Ebbe un altro accesso di disperazione. Gridò ancora, tese ancora
l'orecchio. Nulla, nulla.
Non aveva più nozione del tempo; sapeva che la lampada poteva aver
durato due o tre ore: ma quante n'eran passate dopo ch'essa era
spenta? Possibile che nessuno si curasse di lui, che non si tentasse
nemmeno di soccorrerlo? Oh se ci fosse stato Odoardo Selmi! Ma Odoardo
Selmi non c'era; egli si trovava in mezzo a gente poco meno
ch'estranea.
Pensò a quelli che gli erano più cari; pensò a sua madre, a cui la
natural leggerezza dell'indole non avrebbe in questo caso bastato a
temperare un'angoscia mortale; a sua madre, ch'egli lasciava, non
povera affatto, ma priva di quegli agi che erano per lei una
necessità, e, ciò ch'era peggio, priva di quei consigli che le erano
indispensabili per regolarsi nella vita. Sventuratissima donna! Poche
settimane addietro, egli l'aveva vista ancora giovine, ancora
vigorosa, ancora piena d'illusioni. Che crollo darebbero adesso le sue
illusioni, la sua gioventù, il suo vigore!
E Lucilla? Egli non era più il suo amante, il suo promesso sposo, ma
si poteva per questo distruggere il passato? Nel sentirsi dire:
Roberto è morto! quante memorie dovevano svegliarsi nell'anima della
leggiadra fanciulla!... Oh! Ella aveva appena diciotto anni; era bella
e felice, era corteggiata, avrebbe presto dimenticato!
Un'altra immagine si presentava allo spirito di Roberto, e gli empiva
l'animo di commozione e gli occhi di lagrime. Nella dolce sembianza di
donna evocata dalla sua fantasia era dipinto un dolore diverso, ma non
meno profondo di quello ch'egli si raffigurava in sua madre, uno di
quei dolori che non cercano e non ammettono conforti, ma inaridiscono
le fonti stesse dell'esistenza. Nessuno, nessuno lo aveva amato come
Maria! E dover morire senza lasciarle un addio, senza stringerle la
mano, senza dirle che se non l'aveva ricambiata di pari amore, le
aveva pur voluto tanto bene, tanto bene da non saper più in che
differisse dall'amore una tenerezza sì grande!... Oh se fosse uscito
di là!
Si alzò ancora una volta, e si mise a brancolare nel buio. Ma
camminava con fatica, sia perchè l'acqua infiltratasi da varie parti
aveva reso il terreno fradicio e molle, sia perchè le gambe stentavano
a reggerlo. Aveva un gelo nell'ossa; solo la testa gli ardeva come se
fosse tra le vampe d'una fornace. Era già tormentato dalla fame, ma
più che la fame, lo divorava la sete. Nè poteva estinguerla, nè poteva
raccogliere nessuna delle goccie che, a lunghi intervalli, cadevano
dalla vôlta e andavano a mescolarsi alla densa e ributtante poltiglia
che gli stava ai piedi. Ormai ogni minuto gli aggiungeva uno spasimo
nuovo; erano contrazioni violente, erano impeti subitanei che gli
mettevano addosso un bisogno irresistibile di franger qualcosa coi
denti. Nel maciullare il fazzoletto, si morse per inavvertenza la
mano, e la ritrasse inorridito, parendogli, che, se ne fosse spillata
una sola goccia di sangue, una selvaggia voluttà d'antropofago si
sarebbe impadronita di lui. Ormai anche nel suo cervello c'era una
confusione orribile; la sua ragione si smarriva; urli disperati gli
prorompevano dal petto, simili piuttosto a ruggito di belva che a voce
umana. Ma in quel caos della mente, in quel naufragio della coscienza
sornuotava un pensiero, il pensiero cioè ch'egli poteva, volendo,
accorciare i suoi patimenti... Ebbene? Non aveva già sofferto
abbastanza?
Afferrò il revolver e lo avvicinò alle tempie. Il freddo dell'acciaio
brunito gli recò un leggero sollievo, ed egli appoggiò per qualche
secondo la fronte sulla canna a cui stava per chiedere un riposo più
lungo.
Era però sul punto di troncare gl'indugi e premere il grilletto,
quando gli ferì l'orecchio un mormorio vago, lontano. Forse era
un'illusione dei sensi, una delle tante allucinazioni che precedono
l'agonia. Forse era una nuova frana, forse era il romore dell'acqua
che s'era aperta un'altra strada. Si mise in ascolto cercando di
calmarsi, di raccoglier le poche forze che gli rimanevano, di
raccapezzar le sue idee. E quel romore continuava, nè Roberto sapeva
spiegarsi che fosse; pur non pareva strepito d'acqua che irrompe o di
terra che si scoscende; era, per dir così, un romore fatto di romori
diversi. Il povero sepolto vivo, che ormai non poteva più reggersi in
piedi, si trascinò carponi dalla parte ond'esso veniva, e, appoggiato
l'orecchio al suolo, stette lì immobile, trattenendo il respiro,
comprimendo con una mano il cuore che minacciava di scoppiargli nel
petto. In questa posizione, le onde sonore gli arrivavano più
distinte, avvicinandosi e allontanandosi con alterna vicenda, facendo
con le loro vibrazioni traballare il terreno. Non riusciva ancora ad
afferrare bene quei suoni, non avrebbe ancora saputo dar loro un nome;
aveva acquistato però la certezza che qualche cosa si moveva al di là
della sua prigione, e gli era lecito indurne che non era abbandonato,
dimenticato del tutto. Col rinascere della speranza riebbe un po' di
vigore, si rizzò con mezza la persona puntellandosi ai gomiti, e con
quanto fiato gli restava invocò ripetutamente soccorso. Poi ricadde
esausto. Vi furono alcuni istanti di silenzio profondo, spaventoso,
durante i quali Roberto credette di aver sognato; ma il silenzio non
tardò ad esser rotto da un romore nuovo, che somigliava a quello di
più voci confuse in una voce sola. Si era dunque sentito il suo grido,
si era dunque risposto al suo appello? Si sapeva dunque non di andar
alla ricerca d'un cadavere, ma alla liberazione d'un vivo? Vivo? Non
c'era una amara ironia in questa parola e in questo pensiero? Era ben
sicuro di esser vivo al giungere de' suoi salvatori? Era sicuro che la
morte non li avrebbe preceduti?
Alla gioia della prima impressione succedette in lui un accasciamento
profondo. Che giova al naufrago di veder la spiaggia se non ha lena
per arrivarvi? Lo sforzo fatto in un momento di esaltazione l'aveva
lasciato sfinito. Le sue pene, per poco sospese, s'erano rinnovate con
maggiore intensità, la sua intelligenza, rischiarata da un raggio
improvviso, era di nuovo ravvolta d'ombre. Egli giaceva inerte al
suolo con la testa e col corpo nel fango, inzuppato d'una melma
infetta e nauseabonda. Non riusciva più a connettere due idee; le cose
anche più vicine gli facevano l'effetto di pallide reminiscenze. Il
suo stato era un sopore doloroso, in cui egli smarriva a tratti ogni
consapevolezza di sè. C'era lì una persona che soffriva fuor di
misura, ma egli non avrebbe potuto dire chi fosse quella persona; un
respiro affannoso e grave gli suonava all'orecchio, ma egli non capiva
di chi fosse quel respiro. Si ricordava d'aver assistito a un tremendo
disastro. Una galleria era crollata e _qualcheduno_ era rimasto
dietro, le rovine.... Un lume aveva illuminato per breve tempo
l'oscura prigione, e s'era spento; _qualcheduno_ aveva patito la
fame.... Si ricordava d'un'arma ch'era stata afferrata, poi gettata in
un canto, si ricordava di rumori esterni, di voci lontane che avevano
rotto il silenzio di quella tomba, che vi avevano portato il conforto
d'una speranza ineffabile... Dopo d'allora, che cos'era avvenuto?
Perchè quella speranza non mandava più la sua luce? Eppure quei rumori
non erano svaniti, anzi lo scuotevano di quando in quando dal suo
dormiveglia, gli eccheggiavano nel capo com'entro le pareti di una
camera vuota, ma il significato gliene sfuggiva. Solo una voce interna
gli ripeteva: troppo tardi! troppo tardi!
I lavori di salvamento continuavano da due giorni con un'attività
febbrile. Principiati un po' alla cieca prima dell'arrivo di Odoardo
Selmi, erano stati ripresi con maggior vigore dacchè egli ne aveva
assunto la direzione. L'idea di sottrarre il suo amico a una morte
crudele s'egli viveva ancora, o di render gli estremi uffici al suo
corpo s'egli era già stato sepolto sotto le macerie, affinava il suo
ingegno, centuplicava le sue forze e il suo coraggio. Maria non aveva
voluto staccarsi da lui. Confusa coi minatori, con le sottane
rimboccate, immersa nell'acqua fin sopra il ginocchio, dimentica di
tutto fuor che del suo amore e di ciò ch'ella giudicava il suo dovere,
l'esile fanciulla partecipava alle fatiche e ai pericoli dell'impresa.
Ella sentiva che non sarebbe sopravvissuta ad un insuccesso. Ma non si
lamentava, ma non spendeva vane parole a stimolar l'energia degli
altri. La sua presenza colà ed il suo esempio valevano più d'ogni
eccitamento. Chi si sarebbe stancato finchè non si stancava lei, chi
avrebbe disperato finch'ella non disperava? Del resto era in tutti un
ardore uguale. Bisogna dirlo ad onore di questa povera natura umana;
ci sono momenti nei quali in ogni anima, anche nella più pigra, si
sprigiona la scintilla del bene, scatta la molla del sacrifizio e
dell'abnegazione.
Le difficoltà da superare erano di due specie. Conveniva prima liberar
la galleria dall'acqua che l'aveva resa impraticabile affatto;
conveniva poscia aprirsi un passaggio attraverso una frana dello
spessore di parecchi metri. A più riprese parve d'esser giunti a buon
porto, a più riprese tutto fu rimesso in questione. L'acqua scacciata
da una parte tornava dall'altra parte, e quando alla fine essa fu
ridotta a un livello abbastanza basso da permetter d'avanzarsi e di
cominciare ad adoperar le vanghe, si corse per ben due volte il
pericolo di rimaner sepolti sotto un nuovo avvallamento di terra. Onde
la necessità di batter ritirata e di rimettersi all'opera.
Allorchè la voce di Roberto riuscì a farsi sentire al di là della
barriera che lo separava dai vivi, nell'animo dei più era, non già
scemata la risoluzione di combattere, ma scossa la fede di vincere.
Quel grido, a cui si rispose con un urrà strepitoso, trionfò d'ogni
stanchezza e d'ogni dubbio.--Lo sapevo che lo avremmo salvato--disse
Maria, padroneggiando a fatica la violenta emozione che le toglieva il
respiro.
Si guadagnava terreno a oncia a oncia lavorando con lena raddoppiata,
in quegli atteggiamenti disagiati ch'erano concessi dall'angustia
dello spazio, in mezzo a un'aria densa, che rendeva debole e incerta
la luce delle lampade.
Ma già la meta era vicina. Potevano restar da scavarsi due o tre metri
al più, e Odoardo Selmi moderava l'ardore dei minatori per non mettere
a repentaglio con una soverchia precipitazione i risultati ottenuti.
Quella galleria improvvisata gli pareva un miracolo; gli pareva che un
nonnulla dovesse farla crollare. A ogni modo, non era da illudersi;
essa non avrebbe durato che pochi giorni, poche ore forse. Non
importa; pur che durasse finchè Roberto era salvo.
Una nuova preoccupazione s'era impadronita degli animi ed era dipinta
sui volti. Perchè Roberto non aveva ripetuto il suo grido di soccorso?
Perchè, chiamato a nome, non aveva risposto?... Se quel grido fosse
stato il suo ultimo grido?
Maria leggeva negli occhi di tutti quel sentimento di terrore che le
labbra non osavano esprimere. Ma non voleva dubitare della
Provvidenza. Diceva fra sè:--Sarà forse spossato, come sono spossata
io.
Infatti la stanchezza la soverchiava. Già due volte, seduta sopra una
motta di terra, aveva suo malgrado abbassate le palpebre e lasciata
cader la testa sul petto.
Ora però era ben desta. Il momento decisivo era giunto; ancora pochi
colpi di zappa, e poi ogni dubbio sarebbe stato rimosso. L'ansietà
rallentava i palpiti di tutti i cuori.
Odoardo tentò di allontanar sua sorella. Ma ella gli si strinse
addosso e gli susurrò:--Se mi movessi di qui, sento che non
soppravviverei un minuto.
La sua voce era un soffio. Lo notò ella stessa, soggiungendo:--Anche
la voce di lui sarà così... È per questo che non risponde.
Aveva le pupille fisse ad un punto; tremava da capo a piedi.
--Ecco--gridarono i due minatori che smovevano la terra, mentre gli
altri erano occupati a puntellare la vôlta.
S'era aperto un breve spiraglio, non tale però che una persona potesse
passarvi.
L'ingegnere Selmi si cacciò avanti chiamando--Roberto, Roberto!
Nessuna risposta, nessun gemito, nessun movimento.
Si ricominciò a lavorare in silenzio con l'animo pieno di tristi
presentimenti.
Quando il foro fu abbastanza largo, Odoardo vi avvicinò la lampada e
tentò di perlustrar con lo sguardo la buja caverna. Ma non se ne
vedeva che una piccolissima parte, ed egli non riuscì a discerner
nulla.
La breccia fu ampliata di nuovo e il Selmi entrò seguìto da alcuni
minatori.
Roberto giaceva supino, bruttato di fango, con le guancie livide e
smunte, coi capelli arruffati, più simile a un cadavere che ad un
corpo in cui s'agiti ancora la vita.
Inginocchiato accanto all'amico, Odoardo Selmi cercava invano di
sorprendergli in viso un moto, una contrazione.
Una mano gli si posò lieve lieve sulla spalla. Era Maria, penetrata lì
dentro senza che alcuno osasse di opporsele.
--Lascia che provi io--ella disse con dolcezza.
Si chinò su Roberto, e gli accostò l'orecchio al cuore. I minatori le
si stringevano intorno; le loro lampade illuminavano in modo
fantastico la scena pietosa.
Qualcheduno bisbigliò:--È morto!
Ella alzò fieramente la testa--Non è morto; il suo cuore batte; lo
salveremo.
XXX.
Poche ore dopo, Roberto Arconti era già fuori di pericolo, ajutato
dalla sua tempra vigorosa e da quella segreta virtù rinnovatrice che
c'è nella giovinezza. Maria, seduta accanto al suo letto, il pallido
viso raggiante d'una gioia ineffabile, gli misurava con savia
parsimonia il cibo e la bevanda, temendo a ragione che ogni abuso
potesse nuocere al suo stomaco indebolito da un digiuno di quasi tre
giorni. E come il cibo e la bevanda, così ella misurava al suo
convalescente la luce, la quale non entrava nella cameretta che da uno
spiraglio dell'imposte socchiuse.
Per un certo tempo lo spirito di Roberto non seguì che lentamente il
ridestarsi delle forze fisiche. Quando si rivolgeva indietro col
pensiero, c'era un punto in cui si smarriva. Ricordava benissimo
l'orrore provato vedendosi chiuso in una specie di sepoltura,
ricordava la prima parte del suo supplizio, i primi patimenti
sofferti; poi non aveva più che la reminiscenza confusa d'un infinito
malessere. Come fosse stato salvato, chi lo avesse collocato in quel
letto egli non lo sapeva, nè sapeva perchè Maria fosse lì al suo
fianco, perchè Odoardo Selmi facesse ogni tanto una fuggevole
apparizione sulla soglia. Maria non aveva voluto rispondere alle sue
domande; s'era accontentata di dirgli che non c'era fretta, che
avrebbe appagato più tardi la sua curiosità, che pel momento era
necessario ch'egli stesse in riposo senza parlare e senza far parlare
gli altri.
A poco a poco però gli accadeva quel che accade a chi, dal piano, vede
sorger il sole sulla cima d'un monte avvolto di nebbia. Prima c'era un
fitto velo che non lasciava discerner nulla, che non lasciava nemmeno
sospettare la presenza della montagna, poi quel velo si squarcia in un
punto, poi in un altro; qua appare una macchia d'alberi, là una
casetta bianca, più in su una striscia di neve, finchè alla lunga la
nebbia si dissolve tutta, e i contorni del monte si disegnano netti
sull'azzurro del cielo.
Così quel che c'era di sconnesso, d'oscuro nelle idee di Roberto
andava via via riordinandosi e prendendo forma e colore per effetto
della memoria che si risvegliava, o per le induzioni d'un facile
raziocinio. Egli capiva ormai perchè Odoardo e Maria gli fossero
vicini, e il cuore gli diceva ch'era debitore a loro della sua
salvezza.
Quando questo concetto fu ben chiaro nella sua mente, egli afferrò con
impeto la mano di Maria, e la portò alle labbra. E poich'ella,
agitata, sorpresa, voleva ritirarla:--Ebbene--egli le disse con un
filo di voce--se non mi lascia la mano, trasgredirò i suoi ordini e
parlerò.
Ella non opponeva più resistenza. In quella stretta c'era tanta
dolcezza da compensarla di ciò ch'ell'aveva sofferto in passato, di
ciò ch'ella avrebbe sofferto in avvenire. Non per lui solo; anche per
lei era meglio che Roberto tacesse. Le sue parole, per quanto piene
d'affetto, non potevano che richiamarla alla realtà delle cose. Invece
ella sognava e voleva continuar a sognare.
Pur se le fosse stato concesso di vedere ciò che si passava in quel
momento nell'animo di Roberto, la realtà non l'avrebbe atterrita, ma
le sarebbe anzi parsa più bella dei sogni. Non era, no, una sterile
pietà, non era una volgare riconoscenza; era un'ammirazione profonda
per la donna che univa a modi così semplici e schietti tanta copia di
virtù e d'eroismo, era un acuto rimorso di non averle reso giustizia,
era una brama impaziente di riparare ai torti che le aveva fatti. Non
sapeva intendere come avesse potuto preferirle Lucilla, come a questa
frivola giovinetta avesse potuto dare un impero tale sopra di lui che,
anche dopo averle scritta la lettera di congedo, non gli riusciva di
evocarne l'immagine senza un turbamento indescrivibile. Cessando di
regnare, ella aveva però conservato abbastanza potere da impedir che
altri regnasse in sua vece. Ma ora l'idolo era infranto, ora la sua
catena era finalmente spezzata. La stessa avvenenza di Lucilla gli
pareva fredda e scolorita: era una bellezza di statua, e la statua non
aveva più un'anima dacchè egli non le prestava la propria. Noi non
sapremo mai per quanta parte l'aspetto delle cose vedute dipenda dagli
occhi con cui le vediamo.
Roberto Arconti si riaffacciava libero alla vita, e la libertà gli era
tanto più cara quanto migliore era l'uso che poteva farne. A chi
offrirla se non alla vereconda fanciulla, il cui amore intenso e
discreto aveva vegliato su lui sin dal primo giorno ch'egli era giunto
a Valduria? Ed egli aveva creduto di non amarla perchè il suo affetto
per essa non era una fiamma divoratrice, non era una febbre dei sensi
come la passione che l'aveva acceso per Lucilla? Ma s'ingannava.
L'amore veste forme diverse, e il più violento non è sempre il più
vero. Così i mari più tempestosi non sono i più profondi.
E l'amore in ciò che ha di più gentile e soave si rivelava a Roberto
mentr'egli teneva stretta la mano di Maria e figgeva lo sguardo nel
viso di lei, che non osava alzar gli occhi per tema di veder fuggire
la sua felicità.
Un raggio di sole entrò nella stanza e andò a posarsi, tremolando, sul
soffitto. Maria si scosse e fece atto d'alzarsi.
--Dove va?--chiese Roberto.
--Vado a chiuder meglio le imposte, ella rispose.
--No--ripigliò il giovine, sollevandosi alquanto sui gomiti--non ce
n'è bisogno.... Ormai non sono più tanto debole... Posso guardare il
sole... e, se ne persuada, posso anche parlare. Rimanga qui. Devo
dirle una cosa.
--Una cosa a me?--susurrò Maria con voce strozzata dalla commozione.
In quel punto si aperse l'uscio. Era Odoardo.
--Oh bravo!--egli esclamò, vedendo Roberto a sedere sul letto.--Così
mi piace.
E soggiunse ridendo:--Il medico te l'ha permesso?
Maria gli diede sulla voce.--Zitto! Che strepito fai!
--Eccola, la dottoressa. In questi paesi dove i dottori veri non si
possono avere quando si vuole, le donne fanno il mestiere di
contrabbando. Mia sorella poi...
--Odoardo--disse l'Arconti, troncandogli a mezzo la frase--tua sorella
non mi ha ancora spiegato come siate qui voialtri e che parte abbiate
preso alla mia salvezza. Ma già me l'immagino senza che nessuno me lo
spieghi... Fàtti più vicino, Odoardo, ch'io ti dia un bacio.....
Così... Questo bacio val più di tutti i ringraziamenti... E
adesso--egli continuò--dobbiamo discorrere d'un'altra faccenda.
--Un momento--replicò Odoardo.--Il procaccino ha portato or ora due
lettere per te.
Roberto le prese, e ne guardò la soprascritta. La prima che gli cadde
sott'occhio era di sua madre.
--Povera mamma!--egli disse.--Credo che domani sarò in grado di
scriverle. Speriamo ch'ella non abbia saputo nulla... A spedirle un
telegramma si farebbe peggio...
Mise da parte quella lettera e fermò la sua attenzione sull'altra. Ma
appena n'ebbe vista la calligrafia, gli sfuggì un piccolo grido.
--Cosa c'è?--gridarono spaventati Odoardo e Maria.
--Nulla--disse Roberto ricomponendosi subito.--O piuttosto è
passato.--Indi ripigliò coi tono serio che s'addice ad un argomento
grave:--Prima ch'io apra quella lettera, Odoardo e Maria, amici miei,
rispondete a una mia domanda. Tu, Odoardo, mi accordi la mano di tua
sorella, e lei, Maria, consente ad esser mia moglie?
--Se ti accordo la mano di mia sorella?--proruppe Odoardo fuor di sè
dalla gioja.--E puoi chiederlo? E puoi chiedere a Maria se consente ad
esser tua moglie? Ma non sai come ti ama?
--Io so unicamente--osservò con tristezza Roberto--ch'ella non ha
ancora risposto alla mia interrogazione.
Infatti Maria si nascondeva con le mani la faccia e piangeva in
silenzio.
--Maria, Maria--esclamò Odoardo stupito.
--Perchè taci? Lo amavi tanto! Non lo ami più?
--Se lo amo?--ella disse giungendo le palme e scoprendo il viso
inondato di lagrime.--Se lo amo? Chi può amarlo al pari di me? Esser
sua sposa sarebbe più che la felicità, sarebbe un paradiso in terra.
--E quand'è così?--interruppe Roberto che pendeva dal labbro della
giovinetta.
--Ma egli non mi prenderebbe che per compassione--proseguì Maria
rivolgendosi a suo fratello.--Egli ha un'altra donna nel cuore.
--Come puoi dir questo?--gridò Roberto.--Tu sai pure, Maria (vedi, ti
do già del _tu_), tu sai che fra me e l'_altra donna_ è finita ogni
cosa.
Maria si alzò e gettò le braccia al collo di Odoardo.--Sì, egli le ha
scritto restituendole la sua libertà e riprendendo la propria, ma una
lettera di lei può cambiar tutto. E quella lettera è là, è arrivata or
ora, ed egli vuol essersi impegnato prima di aprirla, perchè dopo
potrebbe non sentirsi più la forza di disporre di sè.
--È questa la cagione della tua esitanza?--esclamò Roberto afferrando
la lettera, mentre Odoardo doveva confessare a sè stesso che il
discorso di Maria gli riusciva piuttosto oscuro, e brontolava fra
sè:--Questo è voler tormentarsi apposta. Ma come mai mia sorella ha
capito di chi sia quella lettera?
--È vero--continuò l'Arconti.--Questo foglio viene da Lucilla.... Ed è
la prima volta ch'essa mi scrive dacchè son qui... Tutt'al più s'era
contentata di mandarmi finora qualche riga sotto le lettere di mia
madre. Io non so ciò ch'essa mi dirà, e, facendo la mia proposta prima
di saperlo, io non credevo che tu interpretassi così male il mio
pensiero, o Maria. Non era, no, per tagliarmi la ritirata, per
mettermi al coperto da ogni possibile debolezza; era anzi per
fuori, nemmeno quello dell'acqua, che forse aveva ormai riempito senza
contrasto tutta la galleria e che principiava già a penetrare in
sottilissimi rigagnoli nella sua carcere.
Misurati solo dall'angoscia, i minuti gli parevano eterni; c'erano
momenti in cui avrebbe creduto d'esser chiuso lì dentro da più giorni,
se il veder che la lampada ardeva ancora non lo avesse persuaso del
contrario. Essa ardeva ancora, e gli consentiva di mirar la sua ombra
profilarsi sulle tetre pareti del suo sepolcro, e di contar le
venature del sasso, e di penetrar con lo sguardo nei solchi profondi
che il martello dei minatori vi aveva scavato in altri tempi. Ma a
poco a poco la fiamma cominciò ad oscillare; s'illanguidì
gradatamente, ora più debole si rianimò a un tratto, e si spense. Per
qualche secondo lo stoppino continuò a mandare una luce rossastra, ora
più intensa, simile a quella d'un carbone acceso che si avvivi col
fiato; poi anche quella luce finì in uno scoppiettìo di scintille, e
le tenebre avvolsero il povero prigioniero. Gli venne un dubbio; era
proprio il lume che s'era spento, o erano i suoi occhi che non
vedevano più? Aveva in tasca una scatola di fiammiferi; tentò di
accenderne uno, poi un altro, poi un terzo, ma non vi riuscì in causa
dell'umidità che s'era infiltrata ne' suoi vestiti. Però, a ognuno di
quei tentativi, il fosforo lasciava sul dorso della scatola una
striscia azzurrognola, che rompeva l'oscurità.
Roberto ristette dalle inutili prove. E invero, che gl'importava
persuadersi che i suoi occhi ci vedevano ancora, se il sole non doveva
venir più a visitarli? Gli astri brillano invano pel cieco, ma per chi
è circondato d'ombre profonde non vale l'esser veggente.
Si accosciò in un angolo cercando di non pensare, di assopirsi, di
uccidere in sè, prima che la vita, il sentimento della vita. Gravi
sofferenze fisiche non ne aveva; aveva un peso alla testa, aveva un
languore allo stomaco, ma nulla d'acuto, nulla d'intollerabile; segno
che non si trovava da un pezzo laggiù. Oh se avesse potuto dormire, se
avesse potuto passar da un sonno ad un altro!
Dicono che agli orientali non sia difficile conseguire questa
immobilità rassegnata, questo annichilamento dell'essere. Ma gli
sforzi che Roberto faceva per sopprimere le sue facoltà parevano
invece aguzzarle. Non distratto ormai da nessun oggetto esteriore, si
ripiegava con una sensibilità più squisita su sè medesimo, numerava le
pulsazioni del suo cuore, scendeva nella sua anima. Gli alti e solenni
pensieri della morte gli si affacciavano alla mente. Il _to be or not
to be_ di Amleto gli risonava all'orecchio. Era giunto dunque a quel
limitare tremendo che nessuno ha mai varcato due volte? Stava per
trovare l'incognita di quel problema che affatica gl'intelletti più
poderosi e che, col chiudersi della vita, si risolve da sè anche al
povero ilota? Poche ore ancora, e tutto sarebbe finito... o tutto
ricomincierebbe da capo.
Roberto Arconti era figlio del suo secolo e del suo paese. La
questione religiosa non aveva mai assorbito il suo spirito; però la
sua anima era troppo elevata da appagarsi d'un indifferentismo
volgare. Aveva avuto nella sua giovinezza i suoi periodi di lotte,
d'ansietà cupe e profonde; se non s'era acquetato nella fede, era
perchè non aveva potuto credere. Gli pareva che le varie teologie
avessero rimpicciolito il concetto grandioso della potenza regolatrice
dell'universo; non sapeva piegar le ginocchia davanti a questo Dio che
gli uomini hanno creato a immagine loro, prestandogli i loro odi e le
loro passioni, facendone lo strumento delle loro vendette e della loro
libidine di dominio. Alle affermazioni dogmatiche di tutte le chiese
gli piaceva contrapporre il procedimento cauto ed onesto della scienza
che muove alla ricerca del vero, non d'altro, sollecita che
d'accrescere il patrimonio dello spirito umano. Eppure.... eppure la
scienza stessa lasciava in lui un vuoto, che non poteva colmarsi; essa
non gli spiegava ogni cosa. Era costretto a riconoscere ch'essa non
bastava nè sempre, nè a tutti; che pei deboli, che pegli umili essa
non chiudeva in sè la virtù redentrice d'una speranza immortale, che
per nessuno essa offriva sufficiente compenso alle ingiustizie del
mondo. Ciò non lo aveva indotto ad accettare dottrine che gli
ripugnavano, ma lo aveva reso nemico d'ogni specie d'intolleranza, e
aveva fatto del suo scetticismo pensoso una cosa ben dissimile dalla
negazione provocante e sguajata. Nè adesso, all'avvicinarsi dell'ora
suprema, mutava tenore. Era stato sincero e non voleva per viltà
mentire a sè medesimo. Se un tribunale incomprensibile, misterioso,
aspetta al varco gli estinti, egli poteva affrontarlo impavido, certo
della rettitudine de' suoi atti e delle sue intenzioni. Il male, gli
era lecito dirlo senza jattanza, egli non lo aveva fatto mai, forse
aveva fatto del bene, aveva ubbidito a quella legge di simpatia che ci
affratella con gli altri uomini e ch'è certo la prima fra tutte le
religioni, la più vera e divina. Così da queste escursioni oltretomba
il suo spirito si ritraeva piuttosto rinfrancato che sbigottito.
Sentiva che non avrebbe temuto la morte se non avesse amato la vita.
Sì; aveva creduto d'odiare la vita, ma s'era ingannato. L'amava
perch'era giovine, perchè il sangue gli correva rapido nelle vene,
perchè aveva intatte le forze del corpo e dell'intelletto, perchè
malgrado dei recenti disinganni, il futuro aveva pur sempre qualche
attrattiva per lui.
Ebbe un altro accesso di disperazione. Gridò ancora, tese ancora
l'orecchio. Nulla, nulla.
Non aveva più nozione del tempo; sapeva che la lampada poteva aver
durato due o tre ore: ma quante n'eran passate dopo ch'essa era
spenta? Possibile che nessuno si curasse di lui, che non si tentasse
nemmeno di soccorrerlo? Oh se ci fosse stato Odoardo Selmi! Ma Odoardo
Selmi non c'era; egli si trovava in mezzo a gente poco meno
ch'estranea.
Pensò a quelli che gli erano più cari; pensò a sua madre, a cui la
natural leggerezza dell'indole non avrebbe in questo caso bastato a
temperare un'angoscia mortale; a sua madre, ch'egli lasciava, non
povera affatto, ma priva di quegli agi che erano per lei una
necessità, e, ciò ch'era peggio, priva di quei consigli che le erano
indispensabili per regolarsi nella vita. Sventuratissima donna! Poche
settimane addietro, egli l'aveva vista ancora giovine, ancora
vigorosa, ancora piena d'illusioni. Che crollo darebbero adesso le sue
illusioni, la sua gioventù, il suo vigore!
E Lucilla? Egli non era più il suo amante, il suo promesso sposo, ma
si poteva per questo distruggere il passato? Nel sentirsi dire:
Roberto è morto! quante memorie dovevano svegliarsi nell'anima della
leggiadra fanciulla!... Oh! Ella aveva appena diciotto anni; era bella
e felice, era corteggiata, avrebbe presto dimenticato!
Un'altra immagine si presentava allo spirito di Roberto, e gli empiva
l'animo di commozione e gli occhi di lagrime. Nella dolce sembianza di
donna evocata dalla sua fantasia era dipinto un dolore diverso, ma non
meno profondo di quello ch'egli si raffigurava in sua madre, uno di
quei dolori che non cercano e non ammettono conforti, ma inaridiscono
le fonti stesse dell'esistenza. Nessuno, nessuno lo aveva amato come
Maria! E dover morire senza lasciarle un addio, senza stringerle la
mano, senza dirle che se non l'aveva ricambiata di pari amore, le
aveva pur voluto tanto bene, tanto bene da non saper più in che
differisse dall'amore una tenerezza sì grande!... Oh se fosse uscito
di là!
Si alzò ancora una volta, e si mise a brancolare nel buio. Ma
camminava con fatica, sia perchè l'acqua infiltratasi da varie parti
aveva reso il terreno fradicio e molle, sia perchè le gambe stentavano
a reggerlo. Aveva un gelo nell'ossa; solo la testa gli ardeva come se
fosse tra le vampe d'una fornace. Era già tormentato dalla fame, ma
più che la fame, lo divorava la sete. Nè poteva estinguerla, nè poteva
raccogliere nessuna delle goccie che, a lunghi intervalli, cadevano
dalla vôlta e andavano a mescolarsi alla densa e ributtante poltiglia
che gli stava ai piedi. Ormai ogni minuto gli aggiungeva uno spasimo
nuovo; erano contrazioni violente, erano impeti subitanei che gli
mettevano addosso un bisogno irresistibile di franger qualcosa coi
denti. Nel maciullare il fazzoletto, si morse per inavvertenza la
mano, e la ritrasse inorridito, parendogli, che, se ne fosse spillata
una sola goccia di sangue, una selvaggia voluttà d'antropofago si
sarebbe impadronita di lui. Ormai anche nel suo cervello c'era una
confusione orribile; la sua ragione si smarriva; urli disperati gli
prorompevano dal petto, simili piuttosto a ruggito di belva che a voce
umana. Ma in quel caos della mente, in quel naufragio della coscienza
sornuotava un pensiero, il pensiero cioè ch'egli poteva, volendo,
accorciare i suoi patimenti... Ebbene? Non aveva già sofferto
abbastanza?
Afferrò il revolver e lo avvicinò alle tempie. Il freddo dell'acciaio
brunito gli recò un leggero sollievo, ed egli appoggiò per qualche
secondo la fronte sulla canna a cui stava per chiedere un riposo più
lungo.
Era però sul punto di troncare gl'indugi e premere il grilletto,
quando gli ferì l'orecchio un mormorio vago, lontano. Forse era
un'illusione dei sensi, una delle tante allucinazioni che precedono
l'agonia. Forse era una nuova frana, forse era il romore dell'acqua
che s'era aperta un'altra strada. Si mise in ascolto cercando di
calmarsi, di raccoglier le poche forze che gli rimanevano, di
raccapezzar le sue idee. E quel romore continuava, nè Roberto sapeva
spiegarsi che fosse; pur non pareva strepito d'acqua che irrompe o di
terra che si scoscende; era, per dir così, un romore fatto di romori
diversi. Il povero sepolto vivo, che ormai non poteva più reggersi in
piedi, si trascinò carponi dalla parte ond'esso veniva, e, appoggiato
l'orecchio al suolo, stette lì immobile, trattenendo il respiro,
comprimendo con una mano il cuore che minacciava di scoppiargli nel
petto. In questa posizione, le onde sonore gli arrivavano più
distinte, avvicinandosi e allontanandosi con alterna vicenda, facendo
con le loro vibrazioni traballare il terreno. Non riusciva ancora ad
afferrare bene quei suoni, non avrebbe ancora saputo dar loro un nome;
aveva acquistato però la certezza che qualche cosa si moveva al di là
della sua prigione, e gli era lecito indurne che non era abbandonato,
dimenticato del tutto. Col rinascere della speranza riebbe un po' di
vigore, si rizzò con mezza la persona puntellandosi ai gomiti, e con
quanto fiato gli restava invocò ripetutamente soccorso. Poi ricadde
esausto. Vi furono alcuni istanti di silenzio profondo, spaventoso,
durante i quali Roberto credette di aver sognato; ma il silenzio non
tardò ad esser rotto da un romore nuovo, che somigliava a quello di
più voci confuse in una voce sola. Si era dunque sentito il suo grido,
si era dunque risposto al suo appello? Si sapeva dunque non di andar
alla ricerca d'un cadavere, ma alla liberazione d'un vivo? Vivo? Non
c'era una amara ironia in questa parola e in questo pensiero? Era ben
sicuro di esser vivo al giungere de' suoi salvatori? Era sicuro che la
morte non li avrebbe preceduti?
Alla gioia della prima impressione succedette in lui un accasciamento
profondo. Che giova al naufrago di veder la spiaggia se non ha lena
per arrivarvi? Lo sforzo fatto in un momento di esaltazione l'aveva
lasciato sfinito. Le sue pene, per poco sospese, s'erano rinnovate con
maggiore intensità, la sua intelligenza, rischiarata da un raggio
improvviso, era di nuovo ravvolta d'ombre. Egli giaceva inerte al
suolo con la testa e col corpo nel fango, inzuppato d'una melma
infetta e nauseabonda. Non riusciva più a connettere due idee; le cose
anche più vicine gli facevano l'effetto di pallide reminiscenze. Il
suo stato era un sopore doloroso, in cui egli smarriva a tratti ogni
consapevolezza di sè. C'era lì una persona che soffriva fuor di
misura, ma egli non avrebbe potuto dire chi fosse quella persona; un
respiro affannoso e grave gli suonava all'orecchio, ma egli non capiva
di chi fosse quel respiro. Si ricordava d'aver assistito a un tremendo
disastro. Una galleria era crollata e _qualcheduno_ era rimasto
dietro, le rovine.... Un lume aveva illuminato per breve tempo
l'oscura prigione, e s'era spento; _qualcheduno_ aveva patito la
fame.... Si ricordava d'un'arma ch'era stata afferrata, poi gettata in
un canto, si ricordava di rumori esterni, di voci lontane che avevano
rotto il silenzio di quella tomba, che vi avevano portato il conforto
d'una speranza ineffabile... Dopo d'allora, che cos'era avvenuto?
Perchè quella speranza non mandava più la sua luce? Eppure quei rumori
non erano svaniti, anzi lo scuotevano di quando in quando dal suo
dormiveglia, gli eccheggiavano nel capo com'entro le pareti di una
camera vuota, ma il significato gliene sfuggiva. Solo una voce interna
gli ripeteva: troppo tardi! troppo tardi!
I lavori di salvamento continuavano da due giorni con un'attività
febbrile. Principiati un po' alla cieca prima dell'arrivo di Odoardo
Selmi, erano stati ripresi con maggior vigore dacchè egli ne aveva
assunto la direzione. L'idea di sottrarre il suo amico a una morte
crudele s'egli viveva ancora, o di render gli estremi uffici al suo
corpo s'egli era già stato sepolto sotto le macerie, affinava il suo
ingegno, centuplicava le sue forze e il suo coraggio. Maria non aveva
voluto staccarsi da lui. Confusa coi minatori, con le sottane
rimboccate, immersa nell'acqua fin sopra il ginocchio, dimentica di
tutto fuor che del suo amore e di ciò ch'ella giudicava il suo dovere,
l'esile fanciulla partecipava alle fatiche e ai pericoli dell'impresa.
Ella sentiva che non sarebbe sopravvissuta ad un insuccesso. Ma non si
lamentava, ma non spendeva vane parole a stimolar l'energia degli
altri. La sua presenza colà ed il suo esempio valevano più d'ogni
eccitamento. Chi si sarebbe stancato finchè non si stancava lei, chi
avrebbe disperato finch'ella non disperava? Del resto era in tutti un
ardore uguale. Bisogna dirlo ad onore di questa povera natura umana;
ci sono momenti nei quali in ogni anima, anche nella più pigra, si
sprigiona la scintilla del bene, scatta la molla del sacrifizio e
dell'abnegazione.
Le difficoltà da superare erano di due specie. Conveniva prima liberar
la galleria dall'acqua che l'aveva resa impraticabile affatto;
conveniva poscia aprirsi un passaggio attraverso una frana dello
spessore di parecchi metri. A più riprese parve d'esser giunti a buon
porto, a più riprese tutto fu rimesso in questione. L'acqua scacciata
da una parte tornava dall'altra parte, e quando alla fine essa fu
ridotta a un livello abbastanza basso da permetter d'avanzarsi e di
cominciare ad adoperar le vanghe, si corse per ben due volte il
pericolo di rimaner sepolti sotto un nuovo avvallamento di terra. Onde
la necessità di batter ritirata e di rimettersi all'opera.
Allorchè la voce di Roberto riuscì a farsi sentire al di là della
barriera che lo separava dai vivi, nell'animo dei più era, non già
scemata la risoluzione di combattere, ma scossa la fede di vincere.
Quel grido, a cui si rispose con un urrà strepitoso, trionfò d'ogni
stanchezza e d'ogni dubbio.--Lo sapevo che lo avremmo salvato--disse
Maria, padroneggiando a fatica la violenta emozione che le toglieva il
respiro.
Si guadagnava terreno a oncia a oncia lavorando con lena raddoppiata,
in quegli atteggiamenti disagiati ch'erano concessi dall'angustia
dello spazio, in mezzo a un'aria densa, che rendeva debole e incerta
la luce delle lampade.
Ma già la meta era vicina. Potevano restar da scavarsi due o tre metri
al più, e Odoardo Selmi moderava l'ardore dei minatori per non mettere
a repentaglio con una soverchia precipitazione i risultati ottenuti.
Quella galleria improvvisata gli pareva un miracolo; gli pareva che un
nonnulla dovesse farla crollare. A ogni modo, non era da illudersi;
essa non avrebbe durato che pochi giorni, poche ore forse. Non
importa; pur che durasse finchè Roberto era salvo.
Una nuova preoccupazione s'era impadronita degli animi ed era dipinta
sui volti. Perchè Roberto non aveva ripetuto il suo grido di soccorso?
Perchè, chiamato a nome, non aveva risposto?... Se quel grido fosse
stato il suo ultimo grido?
Maria leggeva negli occhi di tutti quel sentimento di terrore che le
labbra non osavano esprimere. Ma non voleva dubitare della
Provvidenza. Diceva fra sè:--Sarà forse spossato, come sono spossata
io.
Infatti la stanchezza la soverchiava. Già due volte, seduta sopra una
motta di terra, aveva suo malgrado abbassate le palpebre e lasciata
cader la testa sul petto.
Ora però era ben desta. Il momento decisivo era giunto; ancora pochi
colpi di zappa, e poi ogni dubbio sarebbe stato rimosso. L'ansietà
rallentava i palpiti di tutti i cuori.
Odoardo tentò di allontanar sua sorella. Ma ella gli si strinse
addosso e gli susurrò:--Se mi movessi di qui, sento che non
soppravviverei un minuto.
La sua voce era un soffio. Lo notò ella stessa, soggiungendo:--Anche
la voce di lui sarà così... È per questo che non risponde.
Aveva le pupille fisse ad un punto; tremava da capo a piedi.
--Ecco--gridarono i due minatori che smovevano la terra, mentre gli
altri erano occupati a puntellare la vôlta.
S'era aperto un breve spiraglio, non tale però che una persona potesse
passarvi.
L'ingegnere Selmi si cacciò avanti chiamando--Roberto, Roberto!
Nessuna risposta, nessun gemito, nessun movimento.
Si ricominciò a lavorare in silenzio con l'animo pieno di tristi
presentimenti.
Quando il foro fu abbastanza largo, Odoardo vi avvicinò la lampada e
tentò di perlustrar con lo sguardo la buja caverna. Ma non se ne
vedeva che una piccolissima parte, ed egli non riuscì a discerner
nulla.
La breccia fu ampliata di nuovo e il Selmi entrò seguìto da alcuni
minatori.
Roberto giaceva supino, bruttato di fango, con le guancie livide e
smunte, coi capelli arruffati, più simile a un cadavere che ad un
corpo in cui s'agiti ancora la vita.
Inginocchiato accanto all'amico, Odoardo Selmi cercava invano di
sorprendergli in viso un moto, una contrazione.
Una mano gli si posò lieve lieve sulla spalla. Era Maria, penetrata lì
dentro senza che alcuno osasse di opporsele.
--Lascia che provi io--ella disse con dolcezza.
Si chinò su Roberto, e gli accostò l'orecchio al cuore. I minatori le
si stringevano intorno; le loro lampade illuminavano in modo
fantastico la scena pietosa.
Qualcheduno bisbigliò:--È morto!
Ella alzò fieramente la testa--Non è morto; il suo cuore batte; lo
salveremo.
XXX.
Poche ore dopo, Roberto Arconti era già fuori di pericolo, ajutato
dalla sua tempra vigorosa e da quella segreta virtù rinnovatrice che
c'è nella giovinezza. Maria, seduta accanto al suo letto, il pallido
viso raggiante d'una gioia ineffabile, gli misurava con savia
parsimonia il cibo e la bevanda, temendo a ragione che ogni abuso
potesse nuocere al suo stomaco indebolito da un digiuno di quasi tre
giorni. E come il cibo e la bevanda, così ella misurava al suo
convalescente la luce, la quale non entrava nella cameretta che da uno
spiraglio dell'imposte socchiuse.
Per un certo tempo lo spirito di Roberto non seguì che lentamente il
ridestarsi delle forze fisiche. Quando si rivolgeva indietro col
pensiero, c'era un punto in cui si smarriva. Ricordava benissimo
l'orrore provato vedendosi chiuso in una specie di sepoltura,
ricordava la prima parte del suo supplizio, i primi patimenti
sofferti; poi non aveva più che la reminiscenza confusa d'un infinito
malessere. Come fosse stato salvato, chi lo avesse collocato in quel
letto egli non lo sapeva, nè sapeva perchè Maria fosse lì al suo
fianco, perchè Odoardo Selmi facesse ogni tanto una fuggevole
apparizione sulla soglia. Maria non aveva voluto rispondere alle sue
domande; s'era accontentata di dirgli che non c'era fretta, che
avrebbe appagato più tardi la sua curiosità, che pel momento era
necessario ch'egli stesse in riposo senza parlare e senza far parlare
gli altri.
A poco a poco però gli accadeva quel che accade a chi, dal piano, vede
sorger il sole sulla cima d'un monte avvolto di nebbia. Prima c'era un
fitto velo che non lasciava discerner nulla, che non lasciava nemmeno
sospettare la presenza della montagna, poi quel velo si squarcia in un
punto, poi in un altro; qua appare una macchia d'alberi, là una
casetta bianca, più in su una striscia di neve, finchè alla lunga la
nebbia si dissolve tutta, e i contorni del monte si disegnano netti
sull'azzurro del cielo.
Così quel che c'era di sconnesso, d'oscuro nelle idee di Roberto
andava via via riordinandosi e prendendo forma e colore per effetto
della memoria che si risvegliava, o per le induzioni d'un facile
raziocinio. Egli capiva ormai perchè Odoardo e Maria gli fossero
vicini, e il cuore gli diceva ch'era debitore a loro della sua
salvezza.
Quando questo concetto fu ben chiaro nella sua mente, egli afferrò con
impeto la mano di Maria, e la portò alle labbra. E poich'ella,
agitata, sorpresa, voleva ritirarla:--Ebbene--egli le disse con un
filo di voce--se non mi lascia la mano, trasgredirò i suoi ordini e
parlerò.
Ella non opponeva più resistenza. In quella stretta c'era tanta
dolcezza da compensarla di ciò ch'ell'aveva sofferto in passato, di
ciò ch'ella avrebbe sofferto in avvenire. Non per lui solo; anche per
lei era meglio che Roberto tacesse. Le sue parole, per quanto piene
d'affetto, non potevano che richiamarla alla realtà delle cose. Invece
ella sognava e voleva continuar a sognare.
Pur se le fosse stato concesso di vedere ciò che si passava in quel
momento nell'animo di Roberto, la realtà non l'avrebbe atterrita, ma
le sarebbe anzi parsa più bella dei sogni. Non era, no, una sterile
pietà, non era una volgare riconoscenza; era un'ammirazione profonda
per la donna che univa a modi così semplici e schietti tanta copia di
virtù e d'eroismo, era un acuto rimorso di non averle reso giustizia,
era una brama impaziente di riparare ai torti che le aveva fatti. Non
sapeva intendere come avesse potuto preferirle Lucilla, come a questa
frivola giovinetta avesse potuto dare un impero tale sopra di lui che,
anche dopo averle scritta la lettera di congedo, non gli riusciva di
evocarne l'immagine senza un turbamento indescrivibile. Cessando di
regnare, ella aveva però conservato abbastanza potere da impedir che
altri regnasse in sua vece. Ma ora l'idolo era infranto, ora la sua
catena era finalmente spezzata. La stessa avvenenza di Lucilla gli
pareva fredda e scolorita: era una bellezza di statua, e la statua non
aveva più un'anima dacchè egli non le prestava la propria. Noi non
sapremo mai per quanta parte l'aspetto delle cose vedute dipenda dagli
occhi con cui le vediamo.
Roberto Arconti si riaffacciava libero alla vita, e la libertà gli era
tanto più cara quanto migliore era l'uso che poteva farne. A chi
offrirla se non alla vereconda fanciulla, il cui amore intenso e
discreto aveva vegliato su lui sin dal primo giorno ch'egli era giunto
a Valduria? Ed egli aveva creduto di non amarla perchè il suo affetto
per essa non era una fiamma divoratrice, non era una febbre dei sensi
come la passione che l'aveva acceso per Lucilla? Ma s'ingannava.
L'amore veste forme diverse, e il più violento non è sempre il più
vero. Così i mari più tempestosi non sono i più profondi.
E l'amore in ciò che ha di più gentile e soave si rivelava a Roberto
mentr'egli teneva stretta la mano di Maria e figgeva lo sguardo nel
viso di lei, che non osava alzar gli occhi per tema di veder fuggire
la sua felicità.
Un raggio di sole entrò nella stanza e andò a posarsi, tremolando, sul
soffitto. Maria si scosse e fece atto d'alzarsi.
--Dove va?--chiese Roberto.
--Vado a chiuder meglio le imposte, ella rispose.
--No--ripigliò il giovine, sollevandosi alquanto sui gomiti--non ce
n'è bisogno.... Ormai non sono più tanto debole... Posso guardare il
sole... e, se ne persuada, posso anche parlare. Rimanga qui. Devo
dirle una cosa.
--Una cosa a me?--susurrò Maria con voce strozzata dalla commozione.
In quel punto si aperse l'uscio. Era Odoardo.
--Oh bravo!--egli esclamò, vedendo Roberto a sedere sul letto.--Così
mi piace.
E soggiunse ridendo:--Il medico te l'ha permesso?
Maria gli diede sulla voce.--Zitto! Che strepito fai!
--Eccola, la dottoressa. In questi paesi dove i dottori veri non si
possono avere quando si vuole, le donne fanno il mestiere di
contrabbando. Mia sorella poi...
--Odoardo--disse l'Arconti, troncandogli a mezzo la frase--tua sorella
non mi ha ancora spiegato come siate qui voialtri e che parte abbiate
preso alla mia salvezza. Ma già me l'immagino senza che nessuno me lo
spieghi... Fàtti più vicino, Odoardo, ch'io ti dia un bacio.....
Così... Questo bacio val più di tutti i ringraziamenti... E
adesso--egli continuò--dobbiamo discorrere d'un'altra faccenda.
--Un momento--replicò Odoardo.--Il procaccino ha portato or ora due
lettere per te.
Roberto le prese, e ne guardò la soprascritta. La prima che gli cadde
sott'occhio era di sua madre.
--Povera mamma!--egli disse.--Credo che domani sarò in grado di
scriverle. Speriamo ch'ella non abbia saputo nulla... A spedirle un
telegramma si farebbe peggio...
Mise da parte quella lettera e fermò la sua attenzione sull'altra. Ma
appena n'ebbe vista la calligrafia, gli sfuggì un piccolo grido.
--Cosa c'è?--gridarono spaventati Odoardo e Maria.
--Nulla--disse Roberto ricomponendosi subito.--O piuttosto è
passato.--Indi ripigliò coi tono serio che s'addice ad un argomento
grave:--Prima ch'io apra quella lettera, Odoardo e Maria, amici miei,
rispondete a una mia domanda. Tu, Odoardo, mi accordi la mano di tua
sorella, e lei, Maria, consente ad esser mia moglie?
--Se ti accordo la mano di mia sorella?--proruppe Odoardo fuor di sè
dalla gioja.--E puoi chiederlo? E puoi chiedere a Maria se consente ad
esser tua moglie? Ma non sai come ti ama?
--Io so unicamente--osservò con tristezza Roberto--ch'ella non ha
ancora risposto alla mia interrogazione.
Infatti Maria si nascondeva con le mani la faccia e piangeva in
silenzio.
--Maria, Maria--esclamò Odoardo stupito.
--Perchè taci? Lo amavi tanto! Non lo ami più?
--Se lo amo?--ella disse giungendo le palme e scoprendo il viso
inondato di lagrime.--Se lo amo? Chi può amarlo al pari di me? Esser
sua sposa sarebbe più che la felicità, sarebbe un paradiso in terra.
--E quand'è così?--interruppe Roberto che pendeva dal labbro della
giovinetta.
--Ma egli non mi prenderebbe che per compassione--proseguì Maria
rivolgendosi a suo fratello.--Egli ha un'altra donna nel cuore.
--Come puoi dir questo?--gridò Roberto.--Tu sai pure, Maria (vedi, ti
do già del _tu_), tu sai che fra me e l'_altra donna_ è finita ogni
cosa.
Maria si alzò e gettò le braccia al collo di Odoardo.--Sì, egli le ha
scritto restituendole la sua libertà e riprendendo la propria, ma una
lettera di lei può cambiar tutto. E quella lettera è là, è arrivata or
ora, ed egli vuol essersi impegnato prima di aprirla, perchè dopo
potrebbe non sentirsi più la forza di disporre di sè.
--È questa la cagione della tua esitanza?--esclamò Roberto afferrando
la lettera, mentre Odoardo doveva confessare a sè stesso che il
discorso di Maria gli riusciva piuttosto oscuro, e brontolava fra
sè:--Questo è voler tormentarsi apposta. Ma come mai mia sorella ha
capito di chi sia quella lettera?
--È vero--continuò l'Arconti.--Questo foglio viene da Lucilla.... Ed è
la prima volta ch'essa mi scrive dacchè son qui... Tutt'al più s'era
contentata di mandarmi finora qualche riga sotto le lettere di mia
madre. Io non so ciò ch'essa mi dirà, e, facendo la mia proposta prima
di saperlo, io non credevo che tu interpretassi così male il mio
pensiero, o Maria. Non era, no, per tagliarmi la ritirata, per
mettermi al coperto da ogni possibile debolezza; era anzi per