Nella lotta - 11
parlare. Invece il tuo contegno ti chiude la bocca, e puoi anzi
ringraziare Lucilla e i suoi genitori se ti permettono ancora di
bazzicar in casa loro.
La vigilia della rappresentazione, la signora Federica, reduce
dall'ultima prova, fece a suo figlio uno sproloquio più lungo.--Gli
Osnaldi ti aspettano senza fallo domani sera, e io mi sono impegnata
formalmente per te. Mancando, useresti uno sfregio a loro e a
Lucilla.... Vedrai, vedrai come Lucilla sta bene abbigliata da
_Margherita_.... E anche il marchesino Moschi è un bel _Faust_.... Non
nego però ch'è un poco svenevole.... Non ha quel _chic_.... so io ciò
che voglio dire.... quel _chic_ che avevi tu una volta, prima di
andarti a seppellire, povero grullo che sei, fra quei montanari di
Valduria... Gli altri quadri sono mediocri.... Bisogna confessare che
le belle persone son rare. La cugina degli Osnaldi, per esempio, che
fa da Giuditta nel momento in cui ammazza Oloferne, ha due occhi che
non son brutti, ma è tozza e le si legge in viso la provinciale a un
miglio di distanza.... È di Vimercate, come gli Osnaldi, che si
stabilirono qui dal 1860 e non hanno mai acquistato l'aria cittadina.
Adesso poi, dopo una nuova eredità che han fatta, paiono ancora più
_parvenus_ d'una volta.... Spendono e spandono per farsi metter nelle
gazzette.... tutta vanità.... Leggeremo i panegirici della festa e
dell'appartamento, e sì che ci sarebbe molto da ridire.... Ma a noi
poco monta.... Se diverremo ricchi, sapremo far le cose con assai
miglior garbo....
--Cara mamma, noi non diverremo mai ricchi, e di queste cose non ne
faremo nè bene nè male--interruppe Roberto.
--Aspetta a parlare domani sera--ripigliò la signora Federica in tuono
solenne.--Quando avrai visto Lucilla sotto le spoglie di Margherita
capirai che il vero Faust di quella Margherita devi esser tu....
Intanto preparati a ballare, che già come tutti i salmi finiscono in
gloria, così tutte le feste dove c'è gioventù finiscon col ballo....
Io dovrò raffazzonare alla meglio una vecchia _toilette_.... Pur
troppo son ridotta a tal punto.... io che mi facevo ogni mese un
vestito nuovo!
XVIII.
La sera della rappresentazione, l'ampio salotto di casa Osnaldi era
pieno di gente.
Dalla parte delle finestre s'era improvvisato un piccolo palco
scenico; il resto della stanza era occupato dal pubblico; le signore
sedute sul davanti, gli uomini ritti e pigiati dietro le sedie. Quelle
si facevano fresco col ventaglio, questi col cappello, quando però
riuscivano a mover le braccia. In generale, si diceva che non eran
trattenimenti da darsi in giugno. Ma lo si diceva a bassa voce, perchè
la signora Osnaldi, sottile, instancabile, era onnipresente come
domeneddio. Ora si cacciava nell'interstizio di due sedie, ora fendeva
l'angusta corsia che divideva le sedie dalle pareti e lungo la quale
s'eran disposti dei panchettini pei bimbi, ora faceva capolino dietro
il sipario del palcoscenico, ora compariva nell'anticamera, ora
riusciva a insinuarsi nella folla degli uomini scambiando sorrisi,
complimenti e strette di mano. La signora Osnaldi non era nè bella nè
giovine, ma la sua bassa statura, la sua magrezza, la rapidità de'
suoi movimenti le davano una certa aria infantile, sopratutto se la si
paragonava al marito, ch'era grande e grosso come una balena ed era
altrettanto tenero della quiete quant'ella era appassionata del moto.
Infatti il signor Amilcare Osnaldi, con la scusa d'essere il primo a
ricevere gl'invitati, aveva quella sera preso domicilio
nell'anticamera e si dondolava in un seggiolone di canna d'India. Ogni
momento sua moglie, la signora Elvira, sbucando fuori d'improvviso da
destra o da sinistra, gli si avvicinava, e gli susurrava qualche
parola all'orecchio.
Fu in uno di questi momenti che l'ingegnere Arconti giunse insieme a
sua madre, e potè così presentar i suoi omaggi contemporaneamente ai
due padroni di casa.
--Entri, entri in salotto--disse la signora Elvira--e veda di trovarsi
un buon posto.... C'è folla, proprio folla.... Davvero non avrei
creduto.... E lei, signora Federica, venga con me. Già m'immagino che
vorrà assistere alla _toilette_ della nostra _Margherita_... Cara
ragazza! Non s'è fatta aspettare. È qui con sua madre dalle otto...
Venga, venga, signora Arconti.... Ah scusi, son subito con lei....
E la minuscola signora andò incontro con molta effusione ad un
giovinetto di primo pelo che s'avanzava con incesso maestoso.--Bravo,
signor Dalla Noce, ha tenuta la sua parola.... Osnaldi, saluta il
signor Dalla Noce.... Ci sarà un posticino apposta per lei, un
posticino da cui potrà veder tutto e prendersi i suoi appunti....
Adesso la condurrò io.... Sappiamo che per lor signori giornalisti ci
vogliono speciali riguardi.
Il signor Dalla Noce si levò l'occhialino che aveva inforcato al naso
e s'inchinò con molta gravità.
Allora la padrona di casa si ricordò che doveva prima condurre la
signora Federica nella camera ove c'erano le signore Dal Bono, e
chiese un istante di sofferenza al sacerdote della libera stampa. Ma
la Arconti, che non era donna da confondersi pei troppi riguardi e
conosceva benissimo la disposizione della casa Osnaldi, se n'era già
andata senza bisogno di guida, onde la signora Elvira potè insediar
subito il grave pubblicista nel posto distinto ch'ella gli aveva
serbato. Colà giunto, il signor Dalla Noce si rimise l'occhialino e
girò uno sguardo dominatore sull'adunanza. Indi si levò i guanti, li
voltò e piegò con grandissima cura e li ripose in tasca del soprabito.
Quei guanti, che gli avevano già servito in un pajo di solennità,
dovevano servirgli ancora per assistere ad un banchetto che stava
preparandosi in onore d'un celebre uomo politico straniero, di
passaggio per Milano, banchetto a cui la stampa cittadina si sarebbe
fatta rappresentare da' suoi direttori o da' suoi cronisti. E il
signor Dalla Noce era appunto un cronista, com'era facile indovinare
da quella sua aria di uomo che ha bisogno di persuadersi della propria
importanza per giustificare a sè stesso il suo intervento gratuito
dappertutto.
Intanto l'ingegnere Arconti era penetrato nella sala e s'era confuso
cogli altri invitati. Perchè era venuto dagli Osnaldi? Non lo sapeva
nemmen lui; sapeva soltanto che soffriva immensamente a trovarsi colà,
e che avrebbe sofferto anche di più a veder Lucilla esposta agli
sguardi d'un pubblico indiscreto e curioso, insieme ad un uomo ch'egli
abborriva e sprezzava. Pure una forza maggiore di lui lo teneva
inchiodato al suo posto.
--Arconti,--gli disse un antico conoscente che gli era vicino--non
saluti nemmeno gli amici?
--Oh--rispose Roberto,--scusa, non ti avevo visto.
--Resti ancora a Milano un pezzo?
--Oh no.... pochissimo.
--E torni laggiù alla tua miniera?
--Sì....
Questo breve dialogo ricordò all'ingegnere Arconti che il suo congedo
di quindici giorni non era lontano dal termine e che egli non aveva
ancor preso un partito definitivo. I Dal Bono e sua madre non
dubitavano di finire coll'indurlo a fare a modo loro, e il suo
silenzio contribuiva a mantenerli nella loro illusione. No, non era
possibile di durar più a lungo così. Domani, quella sera stessa forse,
egli avrebbe fatto un ultimo tentativo con Lucilla, e se anche questo
gli fosse fallito, ebbene, a costo di morire poi di dolore, egli
avrebbe, senz'altri inutili indugi, ripreso la via di Valduria, e
spezzato un vincolo che gli imponeva il sacrifizio della sua dignità.
Nella sala s'era fatto quel profondo silenzio che precorre i grandi
avvenimenti. La padrona di casa, allontanandosi dal signor Dalla Noce
a cui aveva dato alcune spiegazioni da lui richieste pel suo
_entrefilet_ di cronaca, salì sopra uno sgabello, per rendersi
visibile ai servi, e battè le mani palma a palma. Le fiamme della
lumiera a gas, che rischiarava la stanza, si abbassarono d'improvviso
in mezzo a un _oh_ sommesso e prolungato degli spettatori adulti e a
un _uh_ clamoroso e festante dei bimbi. In pari tempo si alzò la
tenda, e nel palcoscenico, illuminato dalla luce elettrica, apparve
Caino in atto di uccidere Abele. La luce elettrica in questo primo
quadro ne fece delle sue, brillò a sprazzi, ora fulgida come un sole,
ora tremula e fioca come un lumicino da notte. Poi, sul più bello,
l'apparato si mosse, e il fascio di raggi invece di cadere su Caino ed
Abele, li lasciò perfettamente al bujo, e venne ad abbagliare gli
spettatori, obbligandoli a ripararsi gli occhi con le mani, o coi
fazzoletti, o coi ventagli o coi cappelli. Il successo di questo primo
quadro fu mediocre. Il secondo ci trasportava in Egitto ai tempi della
grandezza romana. Era la morte di Cleopatra. La superba regina,
sdrajata sopra un letto, stendeva la mano verso un canestro di frutta,
che le era presentato da una schiava, e nel quale si trovava l'aspide
che doveva por fine ai suoi giorni. Il personaggio di Cleopatra era
rappresentato da una signora assai grassa e matura, e più di
qualcheduno osservava sommessamente che Antonio aveva avuto un gran
torto ad innamorarsene. Nondimeno, al calar del sipario, gli applausi
scoppiarono unanimi, e la signora Osnaldi colse l'occasione favorevole
per insinuarsi tra le sedie e venir a raccogliere le congratulazioni
del pubblico.--Pare la biscia di Cleopatra--disse un bell'umore al suo
vicino.
Per la terza volta la sala rimase nell'ombra, e il sipario, alzandosi,
scoprì il triste caso di Oloferne. L'esito di questo quadro fu
compromesso da un'inezia. L'Oloferne di quella sera era un pacifico
cittadino ammogliato con prole, e i teneri figlioletti si trovavano
appunto fra gli spettatori. Vedendo Giuditta che stringeva in una mano
i capelli del genitore, e con l'altra gli teneva sospesa una spada
sulla testa, essi si misero a battere i piedi e gridare.--No, ferma,
ferma!--Dal canto suo, Oloferne, nell'udir le grida strazianti delle
sue creaturine, non potè a meno di sollevare il capo, e di chiedere a
Giuditta che cosa fosse accaduto. La tela calò in fretta, per
nascondere un incidente non rammentato dai libri sacri.
La signora Elvira, un po' turbata dall'inatteso contrattempo, affrettò
la riscossa, facendo anticipare il quadro su cui ella contava di più;
il primo incontro di Fausto con Margherita. Margherita, con gli occhi
chini al suolo, con le treccie bionde che le scendevano giù per le
spalle, col suo libriccino di preghiere in mano, era in atto di
schermirsi da Fausto che le offriva il braccio per accompagnarla. Un
pianoforte invisibile intuonava sommessamente il famoso _Permetteresti
a me_, ecc., dell'opera di Gounod. Un applauso immenso e spontaneo
scoppiò nella stanza, e si chiese e si ottenne il _bis_ una prima e
una seconda volta. Fu davvero un grande successo. Margherita non
poteva esser più bella, la sua parrucca bionda dava maggior risalto
allo splendore delle sue pupille nere, le linee scultorie della sua
persona si disegnavano mirabilmente sotto il semplice e succinto
vestito azzurro ch'ella indossava. Anche Fausto faceva una discreta
figura, ma, come si può immaginarsi, non era su lui che s'appuntavano
tutti gli sguardi.--Chi non darebbe l'anima al diavolo per quella
Margherita?--susurravano gli uomini fra di loro.
E Roberto non l'aveva ammirata meno degli altri, ma la sua ammirazione
era mista di tanto dolore! Gli faceva male vederla lì sopra una specie
di palcoscenico insieme ad un damerino sciocco e ridicolo, al quale
egli avrebbe voluto somministrare una buona lezione. Egli capiva
benissimo che, dato il carattere di Lucilla, gli applausi ond'ell'era
l'oggetto non potevano a meno d'inebbriarla, di alienarla maggiormente
dall'ideale casalingo e modesto a cui le era dato aspirare unendosi a
lui.
Seguirono ancora alcuni quadri, ma non ebbero che un successo di
stima, e, a spettacolo terminato, il nome della seducentissima
Margherita continuava ad essere su tutte le labbra. I personaggi della
rappresentazione si mescolarono al pubblico nei loro rispettivi
abbigliamenti. Abele riconciliato con Caino, Oloferne scampato al
ferro di Giuditta, Giuditta dimentica de' suoi feroci propositi, e
Cleopatra guarita dalla puntura dell'aspide, passeggiavano per la
sala, ricevendo congratulazioni e strette di mano dai parenti e dagli
amici. La padrona di casa conduceva in giro l'astro più fulgido della
serata, Lucilla, al fianco della quale ella faceva una ben meschina
figura. E Lucilla sentiva d'esser la regina della festa; ella passava
sotto quel fuoco di sguardi infiammati, in mezzo a quel bisbiglio
lusinghiero che non giunge mai impunemente all'orecchio d'una donna.
Tutti volevano esserle presentati, tutti le dirigevano parole piene di
sincero entusiasmo. La signora Elvira stimò suo dovere di farle
conoscere anche il signor Dalla Noce, il grave cronista, il quale, con
un sorrisetto a fior di labbro, le lasciò intendere che l'indomani la
stampa si sarebbe occupata di lei. E Lucilla, orgogliosetta con gli
altri, fu affabilissima con l'insigne scrittore. Ella stava già
leggendo con la fantasia la prosa fiorita del signor Dalla Noce quando
le si avvicinò Roberto.
--Oh!--diss'ella.--Finalmente si fa vedere, signor Arconti.--Poi
soggiunse, rivolta alla signora Elvira.--Questo è l'uomo selvaggio,
l'orso bianco della Norvegia. Vive gran parte dell'anno sotto terra,
fugge la luce e il consorzio civile.
Il giovine ingegnere rimase alquanto sconcertato dal tuono burlesco
della fanciulla, e specialmente dal _Lei_ cerimonioso ch'ella, del
resto con ragione, aveva usato parlandogli. Tuttavia egli riprese:--La
bella Margherita consentirebbe a fare un giro con me?
--Volentieri--rispose Lucilla--se la signora Elvira lo permette.
La signora Elvira lo permise.--Vado--ella disse--a dar le disposizioni
perchè sbarazzino questa sala. Intanto passeremo tutti di là.
L'appartamento degli Osnaldi era vasto e la folla si disperse nelle
altre stanze.
--Come sei bella!--susurrò l'Arconti all'orecchio di Lucilla, mentre
premeva sotto il suo braccio il braccio di lei.
Ella si finse sorpresa di sentir questo complimento da Roberto, e
osservò con l'aria scherzosa di prima:--Anche l'uomo selvaggio si
occupa di queste cose?
--L'uomo selvaggio, Lucilla, tu lo sai benissimo, non ha mai trovato
bella altra donna che te. Ed egli vorrebbe dar tutta la sua vita per
questa donna, vorrebbe che questa donna fosse sua, unicamente sua.
--Sulla cima d'una montagna?
--Tu ridi sempre!
--Parla adagio, non farti sentire a darmi del _tu_.
I due giovani entrarono in un gabinetto ove in quel momento non
c'erano altre persone, e si appoggiarono al davanzale d'una finestra
aperta, respiciente un giardino, da cui esalava un soave odore di
caprifoglio.
--Ti ricordi--disse Roberto abbassando la voce--del tempo in cui,
fanciulli, giocavamo insieme? Noi si stava allora verso Porta Venezia,
avevamo un bel giardino più grande di questo, e tu ti divertivi tanto
a correre pe' suoi sentieri tortuosi. Mi par di sentire la ghiaja
scricchiolare sotto i tuoi piedini.... Io t'inseguivo, ti raggiungevo,
ti tenevo prigioniera.... E allora ci giuravamo di restar sempre
uniti, _fino alla morte_. Te ne ricordi?.... Adesso io sto per
ripartire.... sì, la mia licenza finisce lunedì, e se ci separeremo
così sarà lo stesso ch'esserci detto addio per sempre.
--Di chi la colpa?
--Lascia ch'io ti parli ancora una volta, Lucilla....
--Non in questo momento.... Bisogna tornar nella sala....
--Non in questo momento; ma stasera stessa... più tardi. Abbandona
presto la festa.... Persuadi tua madre a ritornar a piedi.... Io vi
accompagnerò.... È una notte d'incanto....
--Abbandonar presto la festa? Ma è impossibile....
--Chi te lo vieta?
--Sono impegnata per quasi tutti i balli....
--Trova una scusa.... Di' che non ti senti bene....
--No, no, non mi crederebbero, farei una cattiva figura.... Ah, che
cosa suonano adesso?
--Non so, una polka, un valzer, che mi importa?
--È una polka. Il marchesino Moschi mi cercherà.
--È il tuo cavaliere?
--Sì, per la prima polka e per il _cotillon_.
--Lucilla, balla pure la polka, ma se mi vuoi ancora un po' di bene,
sciogli l'impegno pel _cotillon_.
--Perchè? Per darti il gusto di farmi un nuovo sermone questa notte
istessa?.... Non puoi venire domani a casa? Già se non hai mutato
idea, mi dispiace, sprecherai il fiato.
--Lucilla--ripetè il giovine con passione.--Ha ben ragione chi dice
che l'amore è cieco. Non dovrei amarti, e t'amo tanto.
--È una sgarberia, o è un complimento?
--È la verità, crudele che sei.... Non lo vedi che fai di tutto per
tormentarmi?
--Insomma, adesso non posso più darti retta.... Riconducimi in sala, o
ci vado da me.
E si mosse dalla finestra.
--Ti riconduco subito--disse Roberto trattenendola.--Ma promettimi di
lasciar la festa prima del _cotillon_.
--La lascerei volentieri se non fossi impegnata.
--È appunto per questo che ti supplico di lasciarla:
--Per questo?
--Sì, perchè quel tuo Moschi m'è antipatico, m'è odioso, e non voglio
che tu balli con lui.
--Non vuoi? Con che diritto?
--Col diritto di un uomo che t'ha amata fin da bambino....
--Sì, e che rifiuta l'unico mezzo possibile per farmi sua moglie.
--Non l'unico, non l'unico....
--L'unico possibile, ripeto....
--Ascoltami, Lucilla....
--Riparleremo domani.... Andiamo adesso....
--Un'ultima parola.... Se, dopo questa polka, tu balli ancora col
marchesino, ti giuro ch'io provoco quello stupido bellimbusto.
--Uno scandalo?
--E sia pure.
--Fa quello che ti piace.... Io non ricevo intimazioni....
Il tuono freddo con cui furono proferite queste parole fece
impallidire Roberto. Lucilla parve un momento pentirsene, e col piglio
carezzevole ch'era una tra le sue maggiori seduzioni, soggiunse:--Sei
un fanciullo.
Egli non le rispose, ma le porse il braccio in silenzio, e
l'accompagnò nella sala, ove la padrona di casa l'accolse con un _oh_
prolungato, e ove il marchesino Moschi s'affrettò a venire a reclamare
il suo giro di _polka_.
La giovinetta ebbe un istante di esitazione, guardò Roberto, ch'era
serio, impassibile; poi si lasciò condur via dal suo ballerino.
--Ecco Fausto e Margherita--dicevano gli spettatori ammirando la
elegantissima coppia.
Lucilla fu più volte sul punto di annunziare al suo cavaliere che non
avrebbe potuto ballare con lui il _cotillon_ perchè si sarebbe
assentata prima da casa Osnaldi. Ma le si affacciavano difficoltà
insuperabili; le avrebbero chiesto il motivo di questa sua partenza,
la signora Elvira avrebbe giudicato in lei una scortesia il privar la
festa del _suo più bell'ornamento_, sua madre stessa, quantunque
sempre disposta a far a modo suo, non si sarebbe mossa senza
infastidirla con una infinità di domande. La verità si era che i
trionfi di quella sera l'inebbriavano, e ch'ella non aveva voglia di
rinunciarvi così presto.
Inoltre, perchè non doveva avere anche ella _la sua dignità_, come
Roberto, che ne discorreva a ogni piè sospinto? Che figura avrebbe
fatto cedendo? Ma s'egli avesse avuto davvero l'intenzione di
provocare il marchesino? Lucilla si sforzava di persuadersi che gli
umori di Roberto sarebbero sbolliti naturalmente, che sarebbero stati
lampi senza tuoni. E poi, chi può dire che nel suo cervellino leggero
ella non si sentisse lusingata dall'idea di far nascere un duello per
cagion sua? Già ella vedeva dalle cronache dei giornali che i duelli
si risolvono in graffiature.
XIX.
Ad onta della stagione poco propizia, il ballo di casa Osnaldi
continuava abbastanza animato. Lucilla era quasi sempre in movimento.
Ne' suoi brevi riposi ella veniva a sedere vicino a sua madre, o alla
signora Federica, o alla signora Elvira, seguita da un nugolo di
ammiratori. La signora Federica non riusciva ad intendere il contegno
di suo figlio, che stava ritto in fondo alla sala, addossato allo
stipite di un uscio, vicino a tre o quattro uomini seri, con cui
probabilmente discorreva della sua miniera. Ella lo aveva visto prima
insieme a Lucilla, ma non sapeva ciò che i due giovani s'erano detto,
e non aveva potuto chiederlo nè a lui, nè alla ragazza. Intanto ella
pativa nel suo amor proprio di madre. Perchè Roberto si teneva in
disparte? Perchè non ballava? È vero, egli non era mai stato un
ballerino appassionato, nemmeno a' suoi tempi brillanti; ma chi non sa
ballare una quadriglia o una polka? Perchè non aveva mai invitato
Lucilla a fare un giro con lui? E se era geloso, perchè non suscitava
alla sua volta la gelosia della fanciulla corteggiando qualche altra
donna? Aveva dunque disimparato i primi rudimenti del viver sociale,
egli che prometteva d'essere uno fra i giovani più vivaci, più
eleganti, più graditi d'una città come Milano? Un anno in mezzo allo
zolfo l'aveva ridotto a tal punto? E pensare che s'era incaponito di
tornar laggiù, anzi di fissarvi stabile dimora, e di condurvi Lucilla,
se ella avesse avuto l'ingenuità di andarci! La signora Federica non
poteva a meno di osservare, in seguito a tutte queste riflessioni,
come siano avventati i giudizi del mondo. Roberto era reputato
generalmente un uomo d'ingegno; ella invece godeva d'una mediocrissima
considerazione; eppure a lei non pareva dubbio di avere il cervello a
segno assai più di suo figlio.
L'ingegnere Arconti continuava a discorrere di soggetti scientifici,
senza mai perder di vista Lucilla. Ella se n'era accorta, ed evitava
di rivolgere l'occhio dalla sua parte, ma sentiva ugualmente sopra di
sè quello sguardo indagatore, e non sapeva sottrarsi a una vaga
inquietudine. C'era qualche cosa di sforzato, di eccessivo nel suo
brio, nella sua gajezza; parlava per istordirsi, non badando più che
tanto a ciò che le veniva sul labbro. Però lo spirito d'una donna
giovane e bellissima passa sempre per spirito di buona lega; l'editore
fa accettar l'edizione.
Erano quasi le due dopo mezzanotte, e il momento critico si
avvicinava, perchè gli Osnaldi non desideravano che la loro
festicciuola durasse fino a un'ora troppo avanzata del mattino.
Non si tardò a dare il segnale del _cotillon_, e i giovinotti di
maggiore iniziativa si affrettarono a disporre convenientemente le
sedie intorno alla sala.
Il crocchio degli uomini seri, che discorrevano con Roberto, s'era
sciolto appena la parola _cotillon_ aveva risuonato nell'aria; il
giovine ingegnere era invece rimasto immobile al suo posto insieme con
un suo vecchio amico, di alcuni anni maggiore di lui, già ufficiale
d'artiglieria e ora direttore tecnico in un'officina.
Però alla prima battuta della musica anche costui fu preso dalla
voglia di andarsene pe' fatti suoi, e porse la mano all'Arconti per
congedarsi.
--Se ti pregassi di restare?--disse Roberto.
--Perchè? Io non ballo e non ho voglia di stare alzato tutta la notte.
Inoltre mi pare che la nostra conversazione muoja per mancanza di
alimento. Tu sei occupatissimo a guardar laggiù.
--È vero. Potrei aver bisogno di te.
L'altro si fece serio.--Allora la cosa è diversa. Ma che c'è mai? Un
duello in aria?
--Forse.
I cavalieri andavano alla ricerca delle loro dame: alcune coppie
passeggiavano a braccetto su e giù per la sala. Il marchesino Moschi
si avvicinò a Lucilla, che si alzò in piedi, consegnò a sua madre il
ventaglio, e prese il braccio che le era offerto.
L'ingegnere Arconti divenne pallidissimo, si arricciò i baffi con un
movimento convulso, e respingendo una sedia che gli impediva il passo,
si diresse verso la parte onde venivano Fausto e Margherita.
Ma s'era mosso appena quando sentì dietro di sè una voce che
chiamava--Signor Arconti, signor Arconti.
Era la signora Osnaldi in persona, la quale lo avvertiva esserci in
vestibolo un fattorino del telegrafo che chiedeva di lui. Roberto
dovette subito andar a vedere di che si trattasse. C'era infatti un
telegrafista, che, non avendolo trovato a casa, gli portava presso gli
Osnaldi un dispaccio.
Il nostro giovine ne ruppe la busta con viva curiosità, e corse tosto
con l'occhio alla firma. Non c'era che un nome: _Selmi_.
Quel telegramma veniva da Valduria e diceva così:
_Ammutinamento e sciopero di minatori. Tua presenza indispensabile.
Scongiuroti affrettare ritorno._
Roberto rientrò nella sala da ballo. L'amico ch'egli aveva poc'anzi
pregato di rimanere a sua disposizione era sulla soglia ad aspettarlo
e lo interrogava con lo sguardo.
--Senti--gli disse l'Arconti--credi che ci voglia più coraggio a
battersi in duello o ad affrontare una massa d'operai ammutinati?
--Ad affrontare gli operai, non c'è dubbio.
--E quale delle due imprese stimi più utile, più degna d'un uomo?
--E puoi chiederlo? La seconda.... Badiamo però.... La sfida non è
ancora successa?
--No, vi rinuncio e parto per la mia miniera, ove mi chiamano per
telegrafo. Qual'è la prima corsa per la via di Piacenza e Bologna?
--Ma.... quella delle 6.10, credo.
--Ebbene, prenderò quella.
A Lucilla non era sfuggito alcuno dei movimenti di Roberto. Allorchè
l'aveva visto in atto di dirigersi dalla sua parte, tutta la sua
baldanzosa spensieratezza non aveva potuto difenderla da un certo
sgomento; ella aveva, suo malgrado, dovuto confessare a sè stessa che
non era senza responsabilità in ciò che stava per accadere. Quando
invece Roberto era uscito dalla sala, la giovinetta, ignorandone la
ragione, s'era stretta nelle spalle e aveva detto in cor suo:--Lo
sapevo ch'erano fuochi di paglia.--E nella tranquillità succeduta alla
sua inquietudine entrava forse una piccola dose di dispetto.
Comunque sia, al ricomparire dell'Arconti, Lucilla, già _in figura_
col suo cavaliere, provò per un istante le apprensioni di prima. Però,
con sua immensa sorpresa e con una mortificazione pari allo stupore,
Roberto questa volta si curò appena di lei. Cogliendo il momento
propizio, egli traversò la sala, e andò difilato da sua madre, la
quale s'era fatta un piccolo uditorio di signore mature, e le
intratteneva col racconto delle sue passate grandezze.
Ella parve sbalordita di ciò che Roberto le sussurrò in un orecchio,
e, dopo aver detto alle sue vicine:--Scusino, torno subito--si
ritrasse con suo figlio in un angolo della sala.
--Ma è una pazzia--ella disse.--Partire questa mattina stessa,
senz'aver nulla concluso....
--Non ho più nulla da concludere--rispose Roberto--e non posso mancare
al mio dovere.
--Che dovere? La tua licenza finisce soltanto di qui a tre giorni.
--Non importa, hanno bisogno di me, e io non ho il diritto d'esitare
un minuto.
Roberto guardò l'orologio e soggiunse:
--Sono le due passate. È meglio andar via subito, alla sordina,
senz'accommiatarsi dai padroni di casa.
--No, no, è impossibile.... sarebbe una increanza.... E poi voglio
prevenire la Giulia Dal Bono.... Dio mio. Dio mio, che uomo sei! Non
puoi aspettare almeno fino a posdomani, fino a domani sera, fino a una
corsa più tardi?
--Non lo posso, mamma. È meglio che tu non insista.
Roberto aveva un piglio così risoluto che la signora Federica s'era a
poco a poco andata persuadendo ch'era inutile cozzar con lui.
Pur fece un ultimo tentativo.--E puoi lasciar Lucilla in questo modo?
Senza una parola? Senza un saluto?
--Le scriverò una riga prima di partire--rispose il giovine.--È meglio
ch'io non le parli. Ella è occupatissima.... Non disturbiamola.
Oramai la signora Federica avvertiva tutta la gravità della
situazione. Il matrimonio sul quale ella fondava lo splendido edifizio
delle sue speranze si rendeva sempre più improbabile; Roberto pareva
deciso a condannar sè, a condannar lei a un'ignobile mediocrità.
--Mio figlio ebbe una chiamata per telegrafo dalla sua miniera, e vuol
partire con la prima corsa per Piacenza--ella disse alla signora
Osnaldi, scusandosi di lasciar la festa. Indi, facendo segno alla
Giulia Dal Bono di avvicinarsi, la ragguagliò in due parole
dell'accaduto, e le soggiunse a bassa voce:--Se tu potessi
trattenerlo....
ringraziare Lucilla e i suoi genitori se ti permettono ancora di
bazzicar in casa loro.
La vigilia della rappresentazione, la signora Federica, reduce
dall'ultima prova, fece a suo figlio uno sproloquio più lungo.--Gli
Osnaldi ti aspettano senza fallo domani sera, e io mi sono impegnata
formalmente per te. Mancando, useresti uno sfregio a loro e a
Lucilla.... Vedrai, vedrai come Lucilla sta bene abbigliata da
_Margherita_.... E anche il marchesino Moschi è un bel _Faust_.... Non
nego però ch'è un poco svenevole.... Non ha quel _chic_.... so io ciò
che voglio dire.... quel _chic_ che avevi tu una volta, prima di
andarti a seppellire, povero grullo che sei, fra quei montanari di
Valduria... Gli altri quadri sono mediocri.... Bisogna confessare che
le belle persone son rare. La cugina degli Osnaldi, per esempio, che
fa da Giuditta nel momento in cui ammazza Oloferne, ha due occhi che
non son brutti, ma è tozza e le si legge in viso la provinciale a un
miglio di distanza.... È di Vimercate, come gli Osnaldi, che si
stabilirono qui dal 1860 e non hanno mai acquistato l'aria cittadina.
Adesso poi, dopo una nuova eredità che han fatta, paiono ancora più
_parvenus_ d'una volta.... Spendono e spandono per farsi metter nelle
gazzette.... tutta vanità.... Leggeremo i panegirici della festa e
dell'appartamento, e sì che ci sarebbe molto da ridire.... Ma a noi
poco monta.... Se diverremo ricchi, sapremo far le cose con assai
miglior garbo....
--Cara mamma, noi non diverremo mai ricchi, e di queste cose non ne
faremo nè bene nè male--interruppe Roberto.
--Aspetta a parlare domani sera--ripigliò la signora Federica in tuono
solenne.--Quando avrai visto Lucilla sotto le spoglie di Margherita
capirai che il vero Faust di quella Margherita devi esser tu....
Intanto preparati a ballare, che già come tutti i salmi finiscono in
gloria, così tutte le feste dove c'è gioventù finiscon col ballo....
Io dovrò raffazzonare alla meglio una vecchia _toilette_.... Pur
troppo son ridotta a tal punto.... io che mi facevo ogni mese un
vestito nuovo!
XVIII.
La sera della rappresentazione, l'ampio salotto di casa Osnaldi era
pieno di gente.
Dalla parte delle finestre s'era improvvisato un piccolo palco
scenico; il resto della stanza era occupato dal pubblico; le signore
sedute sul davanti, gli uomini ritti e pigiati dietro le sedie. Quelle
si facevano fresco col ventaglio, questi col cappello, quando però
riuscivano a mover le braccia. In generale, si diceva che non eran
trattenimenti da darsi in giugno. Ma lo si diceva a bassa voce, perchè
la signora Osnaldi, sottile, instancabile, era onnipresente come
domeneddio. Ora si cacciava nell'interstizio di due sedie, ora fendeva
l'angusta corsia che divideva le sedie dalle pareti e lungo la quale
s'eran disposti dei panchettini pei bimbi, ora faceva capolino dietro
il sipario del palcoscenico, ora compariva nell'anticamera, ora
riusciva a insinuarsi nella folla degli uomini scambiando sorrisi,
complimenti e strette di mano. La signora Osnaldi non era nè bella nè
giovine, ma la sua bassa statura, la sua magrezza, la rapidità de'
suoi movimenti le davano una certa aria infantile, sopratutto se la si
paragonava al marito, ch'era grande e grosso come una balena ed era
altrettanto tenero della quiete quant'ella era appassionata del moto.
Infatti il signor Amilcare Osnaldi, con la scusa d'essere il primo a
ricevere gl'invitati, aveva quella sera preso domicilio
nell'anticamera e si dondolava in un seggiolone di canna d'India. Ogni
momento sua moglie, la signora Elvira, sbucando fuori d'improvviso da
destra o da sinistra, gli si avvicinava, e gli susurrava qualche
parola all'orecchio.
Fu in uno di questi momenti che l'ingegnere Arconti giunse insieme a
sua madre, e potè così presentar i suoi omaggi contemporaneamente ai
due padroni di casa.
--Entri, entri in salotto--disse la signora Elvira--e veda di trovarsi
un buon posto.... C'è folla, proprio folla.... Davvero non avrei
creduto.... E lei, signora Federica, venga con me. Già m'immagino che
vorrà assistere alla _toilette_ della nostra _Margherita_... Cara
ragazza! Non s'è fatta aspettare. È qui con sua madre dalle otto...
Venga, venga, signora Arconti.... Ah scusi, son subito con lei....
E la minuscola signora andò incontro con molta effusione ad un
giovinetto di primo pelo che s'avanzava con incesso maestoso.--Bravo,
signor Dalla Noce, ha tenuta la sua parola.... Osnaldi, saluta il
signor Dalla Noce.... Ci sarà un posticino apposta per lei, un
posticino da cui potrà veder tutto e prendersi i suoi appunti....
Adesso la condurrò io.... Sappiamo che per lor signori giornalisti ci
vogliono speciali riguardi.
Il signor Dalla Noce si levò l'occhialino che aveva inforcato al naso
e s'inchinò con molta gravità.
Allora la padrona di casa si ricordò che doveva prima condurre la
signora Federica nella camera ove c'erano le signore Dal Bono, e
chiese un istante di sofferenza al sacerdote della libera stampa. Ma
la Arconti, che non era donna da confondersi pei troppi riguardi e
conosceva benissimo la disposizione della casa Osnaldi, se n'era già
andata senza bisogno di guida, onde la signora Elvira potè insediar
subito il grave pubblicista nel posto distinto ch'ella gli aveva
serbato. Colà giunto, il signor Dalla Noce si rimise l'occhialino e
girò uno sguardo dominatore sull'adunanza. Indi si levò i guanti, li
voltò e piegò con grandissima cura e li ripose in tasca del soprabito.
Quei guanti, che gli avevano già servito in un pajo di solennità,
dovevano servirgli ancora per assistere ad un banchetto che stava
preparandosi in onore d'un celebre uomo politico straniero, di
passaggio per Milano, banchetto a cui la stampa cittadina si sarebbe
fatta rappresentare da' suoi direttori o da' suoi cronisti. E il
signor Dalla Noce era appunto un cronista, com'era facile indovinare
da quella sua aria di uomo che ha bisogno di persuadersi della propria
importanza per giustificare a sè stesso il suo intervento gratuito
dappertutto.
Intanto l'ingegnere Arconti era penetrato nella sala e s'era confuso
cogli altri invitati. Perchè era venuto dagli Osnaldi? Non lo sapeva
nemmen lui; sapeva soltanto che soffriva immensamente a trovarsi colà,
e che avrebbe sofferto anche di più a veder Lucilla esposta agli
sguardi d'un pubblico indiscreto e curioso, insieme ad un uomo ch'egli
abborriva e sprezzava. Pure una forza maggiore di lui lo teneva
inchiodato al suo posto.
--Arconti,--gli disse un antico conoscente che gli era vicino--non
saluti nemmeno gli amici?
--Oh--rispose Roberto,--scusa, non ti avevo visto.
--Resti ancora a Milano un pezzo?
--Oh no.... pochissimo.
--E torni laggiù alla tua miniera?
--Sì....
Questo breve dialogo ricordò all'ingegnere Arconti che il suo congedo
di quindici giorni non era lontano dal termine e che egli non aveva
ancor preso un partito definitivo. I Dal Bono e sua madre non
dubitavano di finire coll'indurlo a fare a modo loro, e il suo
silenzio contribuiva a mantenerli nella loro illusione. No, non era
possibile di durar più a lungo così. Domani, quella sera stessa forse,
egli avrebbe fatto un ultimo tentativo con Lucilla, e se anche questo
gli fosse fallito, ebbene, a costo di morire poi di dolore, egli
avrebbe, senz'altri inutili indugi, ripreso la via di Valduria, e
spezzato un vincolo che gli imponeva il sacrifizio della sua dignità.
Nella sala s'era fatto quel profondo silenzio che precorre i grandi
avvenimenti. La padrona di casa, allontanandosi dal signor Dalla Noce
a cui aveva dato alcune spiegazioni da lui richieste pel suo
_entrefilet_ di cronaca, salì sopra uno sgabello, per rendersi
visibile ai servi, e battè le mani palma a palma. Le fiamme della
lumiera a gas, che rischiarava la stanza, si abbassarono d'improvviso
in mezzo a un _oh_ sommesso e prolungato degli spettatori adulti e a
un _uh_ clamoroso e festante dei bimbi. In pari tempo si alzò la
tenda, e nel palcoscenico, illuminato dalla luce elettrica, apparve
Caino in atto di uccidere Abele. La luce elettrica in questo primo
quadro ne fece delle sue, brillò a sprazzi, ora fulgida come un sole,
ora tremula e fioca come un lumicino da notte. Poi, sul più bello,
l'apparato si mosse, e il fascio di raggi invece di cadere su Caino ed
Abele, li lasciò perfettamente al bujo, e venne ad abbagliare gli
spettatori, obbligandoli a ripararsi gli occhi con le mani, o coi
fazzoletti, o coi ventagli o coi cappelli. Il successo di questo primo
quadro fu mediocre. Il secondo ci trasportava in Egitto ai tempi della
grandezza romana. Era la morte di Cleopatra. La superba regina,
sdrajata sopra un letto, stendeva la mano verso un canestro di frutta,
che le era presentato da una schiava, e nel quale si trovava l'aspide
che doveva por fine ai suoi giorni. Il personaggio di Cleopatra era
rappresentato da una signora assai grassa e matura, e più di
qualcheduno osservava sommessamente che Antonio aveva avuto un gran
torto ad innamorarsene. Nondimeno, al calar del sipario, gli applausi
scoppiarono unanimi, e la signora Osnaldi colse l'occasione favorevole
per insinuarsi tra le sedie e venir a raccogliere le congratulazioni
del pubblico.--Pare la biscia di Cleopatra--disse un bell'umore al suo
vicino.
Per la terza volta la sala rimase nell'ombra, e il sipario, alzandosi,
scoprì il triste caso di Oloferne. L'esito di questo quadro fu
compromesso da un'inezia. L'Oloferne di quella sera era un pacifico
cittadino ammogliato con prole, e i teneri figlioletti si trovavano
appunto fra gli spettatori. Vedendo Giuditta che stringeva in una mano
i capelli del genitore, e con l'altra gli teneva sospesa una spada
sulla testa, essi si misero a battere i piedi e gridare.--No, ferma,
ferma!--Dal canto suo, Oloferne, nell'udir le grida strazianti delle
sue creaturine, non potè a meno di sollevare il capo, e di chiedere a
Giuditta che cosa fosse accaduto. La tela calò in fretta, per
nascondere un incidente non rammentato dai libri sacri.
La signora Elvira, un po' turbata dall'inatteso contrattempo, affrettò
la riscossa, facendo anticipare il quadro su cui ella contava di più;
il primo incontro di Fausto con Margherita. Margherita, con gli occhi
chini al suolo, con le treccie bionde che le scendevano giù per le
spalle, col suo libriccino di preghiere in mano, era in atto di
schermirsi da Fausto che le offriva il braccio per accompagnarla. Un
pianoforte invisibile intuonava sommessamente il famoso _Permetteresti
a me_, ecc., dell'opera di Gounod. Un applauso immenso e spontaneo
scoppiò nella stanza, e si chiese e si ottenne il _bis_ una prima e
una seconda volta. Fu davvero un grande successo. Margherita non
poteva esser più bella, la sua parrucca bionda dava maggior risalto
allo splendore delle sue pupille nere, le linee scultorie della sua
persona si disegnavano mirabilmente sotto il semplice e succinto
vestito azzurro ch'ella indossava. Anche Fausto faceva una discreta
figura, ma, come si può immaginarsi, non era su lui che s'appuntavano
tutti gli sguardi.--Chi non darebbe l'anima al diavolo per quella
Margherita?--susurravano gli uomini fra di loro.
E Roberto non l'aveva ammirata meno degli altri, ma la sua ammirazione
era mista di tanto dolore! Gli faceva male vederla lì sopra una specie
di palcoscenico insieme ad un damerino sciocco e ridicolo, al quale
egli avrebbe voluto somministrare una buona lezione. Egli capiva
benissimo che, dato il carattere di Lucilla, gli applausi ond'ell'era
l'oggetto non potevano a meno d'inebbriarla, di alienarla maggiormente
dall'ideale casalingo e modesto a cui le era dato aspirare unendosi a
lui.
Seguirono ancora alcuni quadri, ma non ebbero che un successo di
stima, e, a spettacolo terminato, il nome della seducentissima
Margherita continuava ad essere su tutte le labbra. I personaggi della
rappresentazione si mescolarono al pubblico nei loro rispettivi
abbigliamenti. Abele riconciliato con Caino, Oloferne scampato al
ferro di Giuditta, Giuditta dimentica de' suoi feroci propositi, e
Cleopatra guarita dalla puntura dell'aspide, passeggiavano per la
sala, ricevendo congratulazioni e strette di mano dai parenti e dagli
amici. La padrona di casa conduceva in giro l'astro più fulgido della
serata, Lucilla, al fianco della quale ella faceva una ben meschina
figura. E Lucilla sentiva d'esser la regina della festa; ella passava
sotto quel fuoco di sguardi infiammati, in mezzo a quel bisbiglio
lusinghiero che non giunge mai impunemente all'orecchio d'una donna.
Tutti volevano esserle presentati, tutti le dirigevano parole piene di
sincero entusiasmo. La signora Elvira stimò suo dovere di farle
conoscere anche il signor Dalla Noce, il grave cronista, il quale, con
un sorrisetto a fior di labbro, le lasciò intendere che l'indomani la
stampa si sarebbe occupata di lei. E Lucilla, orgogliosetta con gli
altri, fu affabilissima con l'insigne scrittore. Ella stava già
leggendo con la fantasia la prosa fiorita del signor Dalla Noce quando
le si avvicinò Roberto.
--Oh!--diss'ella.--Finalmente si fa vedere, signor Arconti.--Poi
soggiunse, rivolta alla signora Elvira.--Questo è l'uomo selvaggio,
l'orso bianco della Norvegia. Vive gran parte dell'anno sotto terra,
fugge la luce e il consorzio civile.
Il giovine ingegnere rimase alquanto sconcertato dal tuono burlesco
della fanciulla, e specialmente dal _Lei_ cerimonioso ch'ella, del
resto con ragione, aveva usato parlandogli. Tuttavia egli riprese:--La
bella Margherita consentirebbe a fare un giro con me?
--Volentieri--rispose Lucilla--se la signora Elvira lo permette.
La signora Elvira lo permise.--Vado--ella disse--a dar le disposizioni
perchè sbarazzino questa sala. Intanto passeremo tutti di là.
L'appartamento degli Osnaldi era vasto e la folla si disperse nelle
altre stanze.
--Come sei bella!--susurrò l'Arconti all'orecchio di Lucilla, mentre
premeva sotto il suo braccio il braccio di lei.
Ella si finse sorpresa di sentir questo complimento da Roberto, e
osservò con l'aria scherzosa di prima:--Anche l'uomo selvaggio si
occupa di queste cose?
--L'uomo selvaggio, Lucilla, tu lo sai benissimo, non ha mai trovato
bella altra donna che te. Ed egli vorrebbe dar tutta la sua vita per
questa donna, vorrebbe che questa donna fosse sua, unicamente sua.
--Sulla cima d'una montagna?
--Tu ridi sempre!
--Parla adagio, non farti sentire a darmi del _tu_.
I due giovani entrarono in un gabinetto ove in quel momento non
c'erano altre persone, e si appoggiarono al davanzale d'una finestra
aperta, respiciente un giardino, da cui esalava un soave odore di
caprifoglio.
--Ti ricordi--disse Roberto abbassando la voce--del tempo in cui,
fanciulli, giocavamo insieme? Noi si stava allora verso Porta Venezia,
avevamo un bel giardino più grande di questo, e tu ti divertivi tanto
a correre pe' suoi sentieri tortuosi. Mi par di sentire la ghiaja
scricchiolare sotto i tuoi piedini.... Io t'inseguivo, ti raggiungevo,
ti tenevo prigioniera.... E allora ci giuravamo di restar sempre
uniti, _fino alla morte_. Te ne ricordi?.... Adesso io sto per
ripartire.... sì, la mia licenza finisce lunedì, e se ci separeremo
così sarà lo stesso ch'esserci detto addio per sempre.
--Di chi la colpa?
--Lascia ch'io ti parli ancora una volta, Lucilla....
--Non in questo momento.... Bisogna tornar nella sala....
--Non in questo momento; ma stasera stessa... più tardi. Abbandona
presto la festa.... Persuadi tua madre a ritornar a piedi.... Io vi
accompagnerò.... È una notte d'incanto....
--Abbandonar presto la festa? Ma è impossibile....
--Chi te lo vieta?
--Sono impegnata per quasi tutti i balli....
--Trova una scusa.... Di' che non ti senti bene....
--No, no, non mi crederebbero, farei una cattiva figura.... Ah, che
cosa suonano adesso?
--Non so, una polka, un valzer, che mi importa?
--È una polka. Il marchesino Moschi mi cercherà.
--È il tuo cavaliere?
--Sì, per la prima polka e per il _cotillon_.
--Lucilla, balla pure la polka, ma se mi vuoi ancora un po' di bene,
sciogli l'impegno pel _cotillon_.
--Perchè? Per darti il gusto di farmi un nuovo sermone questa notte
istessa?.... Non puoi venire domani a casa? Già se non hai mutato
idea, mi dispiace, sprecherai il fiato.
--Lucilla--ripetè il giovine con passione.--Ha ben ragione chi dice
che l'amore è cieco. Non dovrei amarti, e t'amo tanto.
--È una sgarberia, o è un complimento?
--È la verità, crudele che sei.... Non lo vedi che fai di tutto per
tormentarmi?
--Insomma, adesso non posso più darti retta.... Riconducimi in sala, o
ci vado da me.
E si mosse dalla finestra.
--Ti riconduco subito--disse Roberto trattenendola.--Ma promettimi di
lasciar la festa prima del _cotillon_.
--La lascerei volentieri se non fossi impegnata.
--È appunto per questo che ti supplico di lasciarla:
--Per questo?
--Sì, perchè quel tuo Moschi m'è antipatico, m'è odioso, e non voglio
che tu balli con lui.
--Non vuoi? Con che diritto?
--Col diritto di un uomo che t'ha amata fin da bambino....
--Sì, e che rifiuta l'unico mezzo possibile per farmi sua moglie.
--Non l'unico, non l'unico....
--L'unico possibile, ripeto....
--Ascoltami, Lucilla....
--Riparleremo domani.... Andiamo adesso....
--Un'ultima parola.... Se, dopo questa polka, tu balli ancora col
marchesino, ti giuro ch'io provoco quello stupido bellimbusto.
--Uno scandalo?
--E sia pure.
--Fa quello che ti piace.... Io non ricevo intimazioni....
Il tuono freddo con cui furono proferite queste parole fece
impallidire Roberto. Lucilla parve un momento pentirsene, e col piglio
carezzevole ch'era una tra le sue maggiori seduzioni, soggiunse:--Sei
un fanciullo.
Egli non le rispose, ma le porse il braccio in silenzio, e
l'accompagnò nella sala, ove la padrona di casa l'accolse con un _oh_
prolungato, e ove il marchesino Moschi s'affrettò a venire a reclamare
il suo giro di _polka_.
La giovinetta ebbe un istante di esitazione, guardò Roberto, ch'era
serio, impassibile; poi si lasciò condur via dal suo ballerino.
--Ecco Fausto e Margherita--dicevano gli spettatori ammirando la
elegantissima coppia.
Lucilla fu più volte sul punto di annunziare al suo cavaliere che non
avrebbe potuto ballare con lui il _cotillon_ perchè si sarebbe
assentata prima da casa Osnaldi. Ma le si affacciavano difficoltà
insuperabili; le avrebbero chiesto il motivo di questa sua partenza,
la signora Elvira avrebbe giudicato in lei una scortesia il privar la
festa del _suo più bell'ornamento_, sua madre stessa, quantunque
sempre disposta a far a modo suo, non si sarebbe mossa senza
infastidirla con una infinità di domande. La verità si era che i
trionfi di quella sera l'inebbriavano, e ch'ella non aveva voglia di
rinunciarvi così presto.
Inoltre, perchè non doveva avere anche ella _la sua dignità_, come
Roberto, che ne discorreva a ogni piè sospinto? Che figura avrebbe
fatto cedendo? Ma s'egli avesse avuto davvero l'intenzione di
provocare il marchesino? Lucilla si sforzava di persuadersi che gli
umori di Roberto sarebbero sbolliti naturalmente, che sarebbero stati
lampi senza tuoni. E poi, chi può dire che nel suo cervellino leggero
ella non si sentisse lusingata dall'idea di far nascere un duello per
cagion sua? Già ella vedeva dalle cronache dei giornali che i duelli
si risolvono in graffiature.
XIX.
Ad onta della stagione poco propizia, il ballo di casa Osnaldi
continuava abbastanza animato. Lucilla era quasi sempre in movimento.
Ne' suoi brevi riposi ella veniva a sedere vicino a sua madre, o alla
signora Federica, o alla signora Elvira, seguita da un nugolo di
ammiratori. La signora Federica non riusciva ad intendere il contegno
di suo figlio, che stava ritto in fondo alla sala, addossato allo
stipite di un uscio, vicino a tre o quattro uomini seri, con cui
probabilmente discorreva della sua miniera. Ella lo aveva visto prima
insieme a Lucilla, ma non sapeva ciò che i due giovani s'erano detto,
e non aveva potuto chiederlo nè a lui, nè alla ragazza. Intanto ella
pativa nel suo amor proprio di madre. Perchè Roberto si teneva in
disparte? Perchè non ballava? È vero, egli non era mai stato un
ballerino appassionato, nemmeno a' suoi tempi brillanti; ma chi non sa
ballare una quadriglia o una polka? Perchè non aveva mai invitato
Lucilla a fare un giro con lui? E se era geloso, perchè non suscitava
alla sua volta la gelosia della fanciulla corteggiando qualche altra
donna? Aveva dunque disimparato i primi rudimenti del viver sociale,
egli che prometteva d'essere uno fra i giovani più vivaci, più
eleganti, più graditi d'una città come Milano? Un anno in mezzo allo
zolfo l'aveva ridotto a tal punto? E pensare che s'era incaponito di
tornar laggiù, anzi di fissarvi stabile dimora, e di condurvi Lucilla,
se ella avesse avuto l'ingenuità di andarci! La signora Federica non
poteva a meno di osservare, in seguito a tutte queste riflessioni,
come siano avventati i giudizi del mondo. Roberto era reputato
generalmente un uomo d'ingegno; ella invece godeva d'una mediocrissima
considerazione; eppure a lei non pareva dubbio di avere il cervello a
segno assai più di suo figlio.
L'ingegnere Arconti continuava a discorrere di soggetti scientifici,
senza mai perder di vista Lucilla. Ella se n'era accorta, ed evitava
di rivolgere l'occhio dalla sua parte, ma sentiva ugualmente sopra di
sè quello sguardo indagatore, e non sapeva sottrarsi a una vaga
inquietudine. C'era qualche cosa di sforzato, di eccessivo nel suo
brio, nella sua gajezza; parlava per istordirsi, non badando più che
tanto a ciò che le veniva sul labbro. Però lo spirito d'una donna
giovane e bellissima passa sempre per spirito di buona lega; l'editore
fa accettar l'edizione.
Erano quasi le due dopo mezzanotte, e il momento critico si
avvicinava, perchè gli Osnaldi non desideravano che la loro
festicciuola durasse fino a un'ora troppo avanzata del mattino.
Non si tardò a dare il segnale del _cotillon_, e i giovinotti di
maggiore iniziativa si affrettarono a disporre convenientemente le
sedie intorno alla sala.
Il crocchio degli uomini seri, che discorrevano con Roberto, s'era
sciolto appena la parola _cotillon_ aveva risuonato nell'aria; il
giovine ingegnere era invece rimasto immobile al suo posto insieme con
un suo vecchio amico, di alcuni anni maggiore di lui, già ufficiale
d'artiglieria e ora direttore tecnico in un'officina.
Però alla prima battuta della musica anche costui fu preso dalla
voglia di andarsene pe' fatti suoi, e porse la mano all'Arconti per
congedarsi.
--Se ti pregassi di restare?--disse Roberto.
--Perchè? Io non ballo e non ho voglia di stare alzato tutta la notte.
Inoltre mi pare che la nostra conversazione muoja per mancanza di
alimento. Tu sei occupatissimo a guardar laggiù.
--È vero. Potrei aver bisogno di te.
L'altro si fece serio.--Allora la cosa è diversa. Ma che c'è mai? Un
duello in aria?
--Forse.
I cavalieri andavano alla ricerca delle loro dame: alcune coppie
passeggiavano a braccetto su e giù per la sala. Il marchesino Moschi
si avvicinò a Lucilla, che si alzò in piedi, consegnò a sua madre il
ventaglio, e prese il braccio che le era offerto.
L'ingegnere Arconti divenne pallidissimo, si arricciò i baffi con un
movimento convulso, e respingendo una sedia che gli impediva il passo,
si diresse verso la parte onde venivano Fausto e Margherita.
Ma s'era mosso appena quando sentì dietro di sè una voce che
chiamava--Signor Arconti, signor Arconti.
Era la signora Osnaldi in persona, la quale lo avvertiva esserci in
vestibolo un fattorino del telegrafo che chiedeva di lui. Roberto
dovette subito andar a vedere di che si trattasse. C'era infatti un
telegrafista, che, non avendolo trovato a casa, gli portava presso gli
Osnaldi un dispaccio.
Il nostro giovine ne ruppe la busta con viva curiosità, e corse tosto
con l'occhio alla firma. Non c'era che un nome: _Selmi_.
Quel telegramma veniva da Valduria e diceva così:
_Ammutinamento e sciopero di minatori. Tua presenza indispensabile.
Scongiuroti affrettare ritorno._
Roberto rientrò nella sala da ballo. L'amico ch'egli aveva poc'anzi
pregato di rimanere a sua disposizione era sulla soglia ad aspettarlo
e lo interrogava con lo sguardo.
--Senti--gli disse l'Arconti--credi che ci voglia più coraggio a
battersi in duello o ad affrontare una massa d'operai ammutinati?
--Ad affrontare gli operai, non c'è dubbio.
--E quale delle due imprese stimi più utile, più degna d'un uomo?
--E puoi chiederlo? La seconda.... Badiamo però.... La sfida non è
ancora successa?
--No, vi rinuncio e parto per la mia miniera, ove mi chiamano per
telegrafo. Qual'è la prima corsa per la via di Piacenza e Bologna?
--Ma.... quella delle 6.10, credo.
--Ebbene, prenderò quella.
A Lucilla non era sfuggito alcuno dei movimenti di Roberto. Allorchè
l'aveva visto in atto di dirigersi dalla sua parte, tutta la sua
baldanzosa spensieratezza non aveva potuto difenderla da un certo
sgomento; ella aveva, suo malgrado, dovuto confessare a sè stessa che
non era senza responsabilità in ciò che stava per accadere. Quando
invece Roberto era uscito dalla sala, la giovinetta, ignorandone la
ragione, s'era stretta nelle spalle e aveva detto in cor suo:--Lo
sapevo ch'erano fuochi di paglia.--E nella tranquillità succeduta alla
sua inquietudine entrava forse una piccola dose di dispetto.
Comunque sia, al ricomparire dell'Arconti, Lucilla, già _in figura_
col suo cavaliere, provò per un istante le apprensioni di prima. Però,
con sua immensa sorpresa e con una mortificazione pari allo stupore,
Roberto questa volta si curò appena di lei. Cogliendo il momento
propizio, egli traversò la sala, e andò difilato da sua madre, la
quale s'era fatta un piccolo uditorio di signore mature, e le
intratteneva col racconto delle sue passate grandezze.
Ella parve sbalordita di ciò che Roberto le sussurrò in un orecchio,
e, dopo aver detto alle sue vicine:--Scusino, torno subito--si
ritrasse con suo figlio in un angolo della sala.
--Ma è una pazzia--ella disse.--Partire questa mattina stessa,
senz'aver nulla concluso....
--Non ho più nulla da concludere--rispose Roberto--e non posso mancare
al mio dovere.
--Che dovere? La tua licenza finisce soltanto di qui a tre giorni.
--Non importa, hanno bisogno di me, e io non ho il diritto d'esitare
un minuto.
Roberto guardò l'orologio e soggiunse:
--Sono le due passate. È meglio andar via subito, alla sordina,
senz'accommiatarsi dai padroni di casa.
--No, no, è impossibile.... sarebbe una increanza.... E poi voglio
prevenire la Giulia Dal Bono.... Dio mio. Dio mio, che uomo sei! Non
puoi aspettare almeno fino a posdomani, fino a domani sera, fino a una
corsa più tardi?
--Non lo posso, mamma. È meglio che tu non insista.
Roberto aveva un piglio così risoluto che la signora Federica s'era a
poco a poco andata persuadendo ch'era inutile cozzar con lui.
Pur fece un ultimo tentativo.--E puoi lasciar Lucilla in questo modo?
Senza una parola? Senza un saluto?
--Le scriverò una riga prima di partire--rispose il giovine.--È meglio
ch'io non le parli. Ella è occupatissima.... Non disturbiamola.
Oramai la signora Federica avvertiva tutta la gravità della
situazione. Il matrimonio sul quale ella fondava lo splendido edifizio
delle sue speranze si rendeva sempre più improbabile; Roberto pareva
deciso a condannar sè, a condannar lei a un'ignobile mediocrità.
--Mio figlio ebbe una chiamata per telegrafo dalla sua miniera, e vuol
partire con la prima corsa per Piacenza--ella disse alla signora
Osnaldi, scusandosi di lasciar la festa. Indi, facendo segno alla
Giulia Dal Bono di avvicinarsi, la ragguagliò in due parole
dell'accaduto, e le soggiunse a bassa voce:--Se tu potessi
trattenerlo....