Nella lotta - 04

più; era stato dato da tre mesi a uno dei sessant'otto postulanti che
s'erano presentati. E da ogni parte gli si rispondeva che bisognava
aver pazienza, che il paese attraversava un periodo di crisi, che
tutte le aziende pubbliche e private rigurgitavano di personale, che
in ogni modo si sarebbe veduto, si sarebbe cercato; era giovine tanto,
l'avvenire era per lui. Parole, sempre parole, nulla più che
parole--egli osservava malinconicamente.
Una mattina, reduce da alcune faccende, egli trovò nel suo studio uno
de' più servizievoli amici suoi, il giovane ingegnere Giorgio Leoni,
il quale stava scrivendo gli indirizzi su alcune buste che contenevano
delle carte da visita. Oh--disse Roberto--guardando uno di quegli
indirizzi.--Selmi aveva mandato il biglietto?
--Sì, eccolo qua.
Roberto lesse: _Odoardo Selmi, miniera di Valduria in Romagna_. Indi
soggiunse, rivolgendosi al suo amico.
--Lo sapevi che egli aveva quest'impiego?
--Io no. Da quando ha finito il Politecnico, e lo ha finito un anno
prima di noi, io non ne avevo più saputo novella.
--A ogni modo, fu una cortesia il ricordarsi di me in questa
circostanza. Gli si era mandata la partecipazione?
--No....
--Avrà letto qualche necrologia sui giornali.
--Povero Selmi--soggiunse Leoni--era un ottimo diavolaccio, leale,
affettuoso, ma non era un'aquila, nè aveva una grande istruzione.
--Era paziente, attivo.... Non so se avesse famiglia....
--I genitori eran morti.... Deve aver avuto una sorella minore. Forse
si sarà maritata.... La nominava spesso.
--Ebbene, intanto egli ha un impiego.
--Sì, in una miniera. Bel gusto! C'è da morire di malinconia.
--Chi sa?
Roberto si allontanò dall'amico e andò verso la sua scrivania, ove
s'immerse nell'esame di alcune carte. Ormai egli possedeva tutti gli
elementi necessari per farsi un'idea esatta della situazione economica
della famiglia. I conti non s'eran fatti aspettare; appena morto il
cavalier Mariano, i vari creditori s'erano affrettati a mandar le loro
polizze; dal canto loro, i nuovi preposti all'_Unione_, non avevano
perduto troppo tempo. Avevano trasmesso a Roberto una copia della
partita del defunto Direttore, partita che, per i prelevamenti fatti
nell'anno, si saldava con un piccolo _deficit_, anche accettando il
bilancio quale era stato presentato all'Assemblea generale e tenendo
conto del dividendo sulle dieci azioni del cav. Mariano. Tuttavia la
Società dichiarava non solo di rinunciare al ricupero del suo credito,
ma altresì di assegnare alla vedova del benemerito Direttore per una
volta tanto la somma di dieci mila lire. Quantunque fosse una
soluzione men disastrosa di quello che si poteva attendere con gli
umori che spiravano nella Società, la signora Federica montò sulle
furie, disse che diecimila lire erano un insulto, che dovevano essere
almeno quarantamila, e che bisognava assolutamente far lite, nè si
lasciò convincere del contrario dalle ragioni di Roberto. Bensì le
venne in soccorso anche questa volta la sua insanabile leggerezza, che
di lì a brevissimo tempo le fece volger ad altro il pensiero.
--Insomma--ella chiese un giorno a suo figlio--si può saper
positivamente quello che ci resta, pagati tutti i debiti?
Roberto l'aveva detto altre volte, ma non ebbe nessuna difficoltà di
ripeterlo.
--Le diecimila lire dell'indennità--egli rispose--possiamo ritenerle
assorbite dalle vecchie passività e dalle spese straordinarie di
questi mesi; ci restano ancora le tue ventimila lire di dote investite
in rendita, le dieci azioni dell'_Unione_ che appartenevano al babbo,
cioè altre diecimila lire, le cinque azioni mie, le cinque tue,
diecimila lire anche queste. Sono quarantamila lire da potersi
realizzare a nostro piacere. Poi c'è l'impianto della casa, poi ci
sono le tue gioie, che importeranno anch'esse qualche migliaio di
lire....
--Non curiamoci delle gioie--interruppe la signora Federica.--Hai
detto che c'è una quarantina di mila lire realizzabili quando si
voglia?
--Sì. Ebbene?
--Ebbene--continuò la signora Federica--quarantamila lire sono un
discreto capitale.
Roberto, che sapeva come in casa sua si fossero spese fino alla morte
di suo padre circa trentamila lire all'anno, non potè a meno di
sorridere.--Ti pare?--egli disse.
--Sicuro, non già per viverci sopra senza far nulla....
--In nome del cielo!--esclamò il giovine, cui non pareva vero di
sentir dalla bocca di sua madre una cosa ragionevole.
--Un discreto capitale--proseguì la signora Federica--per farlo
girare, per metterlo in commercio.
--In commercio? E chi dovrebbe metterlo in commercio?
--Oh bella! Tu stesso!... Vedi, Roberto, tu hai poca fede nel tuo
ingegno.... E sì che l'ingegno non ti manca.... Ti manca
l'iniziativa.... Capisco le tue obbiezioni alla proposta di far affari
di Borsa.... Quelli lì han rovinato molta gente.... Ma il commercio è
tutt'altra cosa.... E adesso anche i giornali dicono che ci sarà da
guadagnare un bel gruzzolo di moneta nei grani.... Guarda piuttosto,
guarda co' tuoi occhi.
Si tolse di tasca un numero d'un giornale, e segnò a suo figlio un
articolo che cominciava con queste parole: «Tutto sorride quest'anno
ai negozianti di cereali. La corrente dell'aumento è pronunziatissima,
e non si fermerà così presto.»
--Cara mammina--disse Roberto, restituendo il giornale piegato alla
signora Federica--quando ti persuaderai che di queste faccende me
n'intendo un pochino più di te.... e che nemmeno i tuoi grani fanno al
caso nostro?
--Il presuntuoso? Se ne intende?... Con quella pratica di mondo che
ha! Non sa che criticar tutto, e non suggerisce nulla, e così si
lascerà venir l'acqua alla gola.
Era uno strano modo d'invertire le parti, e Roberto si lasciò scappare
un punto ammirativo, che la signora Federica rilevò alquanto stizzita.
--Già; e tu, che ridi sempre delle mie idee, potresti farmi sapere un
po' quali sono le tue?
--Oh mi spiccio in due parole. Col primo del mese si cambia casa, si
smette la carrozza, si licenzia la servitù, ad eccezione d'una
persona....
--Questo vuoi fare?--proruppe scandalizzata la signora Federica.
--Sì, cara mamma--egli soggiunse, prendendole le mani nelle sue--e tu
mi aiuterai, perchè sei buona, e non puoi volere che il tuo Roberto
finisca coll'andare in prigione per debiti....
Ma la signora Federica non volle sentir altro. Si svincolò da suo
figlio, e uscì dalla stanza gridando ch'era vittima della peggiore di
tutte le tirannie.
Nondimeno, la sua resistenza si spuntava contro la volontà calma, ma
inflessibile, di Roberto. Prima che si compisse il termine stabilito,
egli aveva già posto ad effetto la massima parte dei suo programma. Lo
splendido appartamento in via Monte Napoleone era stato mutato in un
quartierino modestissimo in una delle nuove strade della città, la
servitù s'era ridotta ad una persona, la carrozza era scomparsa,
quantunque la signora Federica avesse dichiarato eroicamente che,
piuttosto d'uscire a piedi, ella sarebbe rimasta in casa tutta la
vita. Inoltre Roberto aveva provveduto in modo che sua madre non
potesse disporre senza il suo consentimento della modesta sostanza che
l'era rimasta. Ch'ella vivesse con la sola rendita non era possibile;
però il capitale non doveva essere toccato che a poco per volta.
Presto o tardi, Roberto sarebbe stato in grado di colmare il disavanzo
co' suoi guadagni.
Del matrimonio non si parlava più che come di cosa remota. Il giovine
Arconti sapeva che, prima d'acquistar il diritto di favellarne, egli
doveva vincere ben altre battaglie che quelle combattute sinora. Ma
egli vedeva spesso Lucilla, perchè le Dal Bono venivano sovente dalla
signora Federica, e perch'egli si recava qualche volta a casa loro.
Queste visite infastidivano il signor Benedetto, che ne rimproverava
le sue donne; ma non osava proibirle direttamente a Roberto. Il
temperamento focoso degli Arconti sbigottiva il valorosissimo uomo, il
quale, durante la malattia del signor Mariano, s'era fitto in capo di
avere anche lui un'affezione al cuore, e temeva che tutto potesse
esacerbarla.
La signora Federica andava pazza per Lucilla, che le dava ragione in
molte delle sue lagnanze contro il suo figliuolo, e specialmente in
quella relativa alla carrozza.
--Roberto è un esagerato--diceva la ragazza con la sua frase
preferita.--La carrozza non è una cosa di lusso. Chi c'è in Milano che
stia senza carrozza?--Indi rivolgendosi a Gipsy, che l'accompagnava
quasi sempre, soggiungeva sentenziosamente:--Ah Gipsy, questi uomini
son proprio tutti d'uno stampo.... Su, bella, ritta, sulle due zampe
di dietro.... così.... Brava, Gipsy, brava!
E la spensierata fanciulla batteva le mani alle prodezze ammirabili
della sua cagnetta.
Roberto vedeva tutto con gli occhi di innamorato, e si sforzava di
persuadersi che il tempo avrebbe dato a Lucilla la serietà che le
mancava. Ch'ella gli volesse bene era certo, ed egli gliene voleva
tanto!
Qualche volta egli riusciva ad aver un colloquio a quattr'occhi con lei,
e usava della sua eloquenza, che non era poca, per convincerla ch'egli
non poteva agir diversamente da quello che agiva.--Credilo--egli le
diceva--è anche nell'interesse del nostro matrimonio che tengo questa
via. Vedendomi assestato, economo, previdente, tuo padre avrà minor
difficoltà a consentire alle nostre nozze, quando, ottenuta una buona
posizione, io gli farò la domanda formale della tua mano.
--Sì, sì--rispondeva Lucilla, tentennando il capo--sarà verissimo che
tutte le strade conducono a Roma, ma quella che hai scelta è la più
lunga.... Con un po' di audacia....
--Oh! le ubbie della mamma....
--Ubbie fin che vuoi, ma intanto la famosa posizione che stai sempre
aspettando non si vede....
--Si vedrà.
--Ci sposeremo a ottant'anni. Nella cronaca dei giornali cittadini del
secolo venturo si leggerà: _Oggi si è celebrato davanti al Sindaco il
matrimonio di due venerabili...._
--Zitto--interruppe Roberto, e le mise la mano sulla bocca.--Dimmi
piuttosto, se in questo frattempo....
--In quale frattempo? Da oggi al 1920? Al 1930 forse?
--Bambina! Se nei tre o quattro anni ch'io impiegherò a conquistare il
mio posto nel mondo, ti si presenterà qualche gran signore...
--E mi chiederà in moglie?
--Sì.
--Risponderò: signore, scusi tanto, ma sono impegnata. Come a una
festa quando vi domandano una polka che si deve ballare con un altro.
--Non far queste similitudini....
--Oh l'uomo grave! Non permette scherzi....
--Se verrà qualche marchese, qualche conte con le sue nove palle sul
biglietto da visita?...
--Lo manderò pei fatti suoi....
--Non ti lusinga dunque una gran ricchezza, un bello stemma di
nobiltà?...
--E torni sempre a battere lo stesso chiodo. T'ho detto di no.... Mi
basta esser _madama_....
--Perchè _madama_?
--Via, _signora_, la _signora_ Arconti. Va bene?
--Oh va tanto bene.
E il colloquio finiva con un bacio scoccato da Roberto sulle floride
guancie della sua fanciulla.
Pure l'Arconti aveva i suoi momenti di scoraggiamento. Promesse
d'impieghi futuri ne aveva in gran quantità, ma le promesse non si
cambiavano in fatti, ed egli, assestate ormai alla meglio le cose
domestiche, sentiva di non poter restare in ozio. Avrebbe avuto i suoi
libri, i suoi studi; ma era inutile. Guai a lui se cedeva alle
lusinghe d'una vita puramente intellettuale!
Un giorno, mentre rovistava alcune carte, il suo sguardo tornò a
cadere sopra un biglietto da visita che aveva già attirato la sua
attenzione--_Odoardo Selmi, miniera di Valduria, in Romagna._--Aveva
scritto a tanta gente; perchè non poteva scrivere anche a questo
vecchio condiscepolo che s'era ricordato di lui? Se ci fosse
un'occupazione alla miniera?
Non potè a meno di riflettere che sarebbe stata un'occupazione poco
allegra, per lui sopratutto, avvezzo alla vita di Milano, ma scacciò
subito da sè questa pensiero. O che aveva il diritto di cercare
un'occupazione allegra? Qualunque fosse, pur che onesta, doveva esser
la benvenuta. Non esitò più e scrisse la nuova lettera. Il suo amico
Leoni era insieme a lui quand'egli la gettò in una cassetta
postale.--Sai che numero ha questa lettera, a contar dalla prima che
ho spedita per raccomandarmi?
--Che numero?
--Centoventitrè. E sai a chi è diretta?
--Come vuoi che lo sappia?
--A Odoardo Selmi.
--Oh diavolo?.... E speri ch'egli possa....
--Trovare un posto per me nella sua miniera.... Sia un posto
d'ingegnere, sia un posto nell'amministrazione, fa lo stesso....
--Andresti a seppellirti a Valduria?
--Perchè no?
--E tua madre?
--Resterà qui. Ella non lascerebbe certo Milano....
--Ma dev'essere una gran vita di privazioni la vita di miniera....
--Ho meno bisogni che tu non creda.
Leoni non seppe trattenersi dal guardarlo con una certa maraviglia.
--Oh!--disse Roberto--tu non puoi capacitarti.... Guardi alla mia
_toilette_ accurata, alla mia aria da zerbinotto.... È vero, nei primi
giorni del mio dolore non pensai a mutar sarto pel mio abbigliamento
di lutto; è vero, ho ancora l'apparenza elegante.... Non si può
cambiar natura in ventiquattr'ore.... Aspetta un poco, e vedrai....
Intanto non ti sei accorto che non fumo più d'un sigaro al giorno?
--Pazzie!
--Non sono pazzie.... Ne fumavo sei o sette.... È un risparmio da non
disprezzarsi.... Se poi fossi nelle miniere, capisci che, per amore o
per forza, bisognerebbe romperla con le vecchie abitudini.... È per
questo, vedi, che quasi quasi m'innamoro d'un impiego che mi strappi
per qualche anno alla vita cittadina.
Leoni chinò il capo in silenzio.
--Del resto--soggiunse Roberto--val proprio la spesa di discorrere
della mia partenza per la miniera.... Vedrai che è un'altra lettera
sprecata.... C'è una iettatura per me.


VII.

Questa volta Roberto s'ingannava. Prima che passasse la settimana,
egli riceveva una lunga lettera da Odoardo Selmi. Era uno scritto in
cui si rilevava l'uomo un po' rozzo, ma franco, buono, modesto. Egli
cominciava col chiedere scusa al suo condiscepolo di non avergli
mandato una riga in occasione della morte del padre, e col lagnarsi
che Roberto avesse aspettato tanto a ricorrere a lui. Poi narrava la
sua vita da un anno a quella parte. Una fortunata combinazione l'aveva
fatto divenire ingegnere capo della miniera di zolfo di Valduria, ed
egli viveva abbastanza contento di quell'eremitaggio insieme con sua
sorella Maria, ch'era la sola persona di famiglia che gli rimanesse.
C'era da lavorar molto, e, in confidenza, egli si sentiva inferiore
all'ufficio. Adesso la Direzione che risiedeva in Londra (poichè la
miniera apparteneva alla _Sulphur Society_ residente nella metropoli
inglese) gli aveva concesso di prendersi un aiutante per le funzioni
amministrative. Però a questo nuovo impiegato non gli si permetteva di
assegnare che 200 lire al mese. Poteva convenirgli questa posizione?
In caso affermativo, era sua. Avrebbe avuto alloggio nel locale stesso
abitato dal Selmi e spettante alla miniera. Badasse bene però che il
luogo era inospite e non presentava altra attrattiva che quella di
qualche punto di vista e d'un'aria eccellente. Società, come poteva
credere, non ce n'era affatto. Il meglio che restasse da fare, finito
il lavoro, era di bere un buon bicchier di vino e di andarsene a
letto. La festa si poteva giocare alle boccie e passeggiar pei monti.
Nella miniera la vita era dura e faticosa; nell'amministrazione ci
sarebbe stata minor fatica ma più noia, appunto in ragione del maggior
numero d'ore di libertà. Per chi era avvezzo alle mille distrazioni
cittadine l'abituarsi a questa nuova esistenza era un affar serio.
Anche a lui, che pure era stato sempre un uomo selvatico ed era nato
da quelle parti, anche a lui i primi mesi di soggiorno lassù eran
parsi un supplizio. Pensava agli anni del Politecnico, alle allegre
brigate, alle belle donnine di Milano, e aveva giorni d'uno _spleen_
terribile. Ma a poco a poco s'era assuefatto e ora non si lagnava più.
Insomma Roberto pesasse il pro e il contro, e gli rispondesse quanto
prima gli era possibile. Non aveva bisogno di dirgli che lo avrebbe
accolto a braccia aperte.
Roberto non esitò un momento, non consultò nessuno, e rispose
accettando con infinita riconoscenza l'offerta, e annunciando che
sarebbe partito per Valduria anche subito, se la sua presenza era
necessaria. In caso diverso fissava il giorno del suo arrivo al primo
di maggio. S'era allora verso la metà di aprile.
Egli era dunque riuscito finalmente. Lo aveva questo impiego tanto
desiderato. A ventitrè anni, dopo esser vissuto sino a quel tempo
nella persuasione d'esser ricco, egli aveva saputo adattarsi al suo
stato e mettersi in grado di non dipender da nessuno. Duemila
quattrocento lire all'anno erano pochine assai, specialmente per chi
dovesse anche aiutar la madre, ma in ogni modo si trattava di
cominciare. L'alloggio, tenendo conto dell'offerta di Odoardo, non gli
sarebbe costato nulla; pel vestito se la sarebbe cavata a buon
mercato, chè egli non doveva già far la corte alle belle di Valduria;
tutto si riduceva quindi a mangiare, e quelli non eran paesi ove si
rischiasse di rovinarsi per le delicatezze dei banchetti luculliani.
La prontezza con cui Odoardo Selmi era venuto in suo soccorso lo
commoveva. Tanti amici di suo padre, tanti amici intimi suoi non
avevano saputo far nulla per lui, e questo condiscepolo dimenticato
accoglieva la sua domanda con una sollecitudine piena di fiducia e
d'affetto. Ebbene, egli avrebbe saputo mostrarsi degno di questo
affetto e di questa fiducia. Avrebbe messo al servizio di Odoardo
tutto il suo ingegno, tutte le sue cognizioni. Non sarebbe, no, alla
lunga rimasto a far lo scribacchino, avrebbe anch'egli affrontato
coraggiosamente i pericoli della vita sotterranea, e avrebbe spiegato
tanto coraggio, tanta energia che la sua opera non avrebbe potuto
essere inavvertita. E in capo a un paio d'anni, con una posizione
certo migliorata, si sarebbe presentato ai Dal Bono, dicendo:--Ormai
sono un uomo, eccomi a sposar Lucilla.... Lucilla! Qui c'era un punto
nero. Era possibile che Lucilla si adattasse a vivere accanto a una
miniera? E se vi si fosse adattata lei, era sperabile avere il
consenso della famiglia? A questo pensiero, gli entusiasmi di Roberto
si raffreddavano notevolmente, e gli era forza ammettere che l'impiego
da lui conseguito non poteva esser che provvisorio, e che se voleva
sul serio sposar Lucilla, bisognava che in un termine non troppo lungo
egli se ne trovasse un altro. Era la prima volta che il suo matrimonio
gli si affacciava sotto forma dubitativa.
Egli non s'era punto illuso sull'effetto che la sua risoluzione
produrrebbe su sua madre e sulla ragazza da lui amata. Agli occhi loro
non c'era scusa per lui, o, a meglio dire, ce n'era una sola, era
divenuto pazzo addirittura. Chi avesse un grano di sale in zucca non
consentirebbe mai a principiar la sua carriera sotto sì tristi
auspici. C'era proprio sugo ad aver studiato tanti anni, a esser stato
fra i primi della scuola per finir poi a tener i conti d'una miniera,
o, peggio ancora, a scendere in fondo ai pozzi cogli operai a
rovinarsi la salute e a rischiar la pelle! Come se gli mancasse il
pane da mettersi alla bocca, come se non potesse aspettare fintantochè
offrivano anche a lui la direzione d'una Banca, o una cattedra
d'Università. Professore d'Università, _transeat_; ma scribacchino di
miniera!
La requisitoria della signora Federica era la più severa e stringente.
Per poco ella non si persuadeva che suo figlio era un mostro di
perversità. Intanto dalle strettezze a cui l'aveva condannata si
capiva benissimo ch'egli aveva il brutto difetto d'essere avaro. Però
un avaro pieno di contraddizioni. Perchè aveva sdegnato d'insistere
presso la Società _L'Unione_, per un componimento più vantaggioso?
Perchè non cercava di propiziarsi il signor Dal Bono e non tentava di
farlo aderir subito a un matrimonio che avrebbe rimesso a galla la
barca sdrucita? Le signore Arconti e Dal Bono avevano in sociale _una
idea_. Con un contegno più modesto, più umile, Roberto avrebbe potuto
indurre il signor Benedetto a tenerlo presso di sè per la contabilità
dell'amministrazione, per la riscossione degli affitti, ecc., ecc. E
allora tutto il rimanente sarebbe venuto da sè. Ma solo a parlarne di
lontano a Roberto, la signora Federica aveva provocato una tempesta
sul suo capo. Evidentemente, Roberto, oltre che avaro, era orgoglioso.
Senonchè qui pure c'era la sua contraddizione. Era orgoglioso e
accettava il posto offertogli da quell'insignificantissimo Selmi che
la signora Federica si rammentava d'aver visto una sola volta e che
l'aveva colpita per la sua goffaggine e la sua ineleganza! Sì, Roberto
era un orgoglioso incoerente; pur troppo non aveva logica. Ma c'era di
peggio. Egli era un egoista. Fittosi in capo una cosa, la faceva senza
preoccuparsi del dispiacere recato agli altri. Lasciava sua madre,
lasciava Lucilla, non voleva pensare che a sè. Un egoista, un vero
egoista. Roberto non amava nessuno. Prometteva di mandar a casa ogni
mese quasi tutto il suo stipendio, ma col danaro non si curano le
piaghe morali. Roberto non aveva delicatezza di sentimenti. Gli pareva
di essersi sdebitato di tutto dicendo a sua madre: Provvederò io a
parte del tuo mantenimento. Roberto era cattivo, era cattivo pur
troppo, e che pensiero è più triste di questo per un cuore materno?
Quand'era giunta a siffatta conclusione, la signora Federica pigliava
l'atteggiamento di Niobe. S'avvicinava il primo di maggio, e Roberto,
non lieto ma risoluto, faceva i suoi preparativi per la partenza.
Dalla raccolta de' suoi libri, che nella nuova casa stavano a disagio,
egli trasceglieva i più cari, i più necessari al suo spirito e li
collocava in una piccola cassa che avrebbe portato seco. Erano, per un
terzo, volumi scientifici, pegli altri due terzi opere di letteratura,
di poesia sopratutto. Oh la poesia egli l'amava tanto! Trovava in essa
tanti conforti! E come ne avrebbe avuto bisogno nelle solitudini di
Valduria, lì senza una persona con cui discorrer mai d'arte, d'ideale,
chè Odoardo Selmi era un cuor d'oro, ma non aveva forse letto due
versi in vita sua!
Un altro oggetto prezioso il giovine Arconti aveva messo insieme a'
suoi libri prediletti. Era il suo album di fotografie, quell'album ove
c'erano i ritratti de' suoi genitori, de' suoi amici, e ove c'era il
ritratto di Lucilla, Lucilla nel fiore de' suoi sedici anni, con la
testina leggermente piegata da un lato, cogli occhi scintillanti, con
un sorriso malizioso sul labbro.
Oh il giorno in cui egli s'accomiatò da lei, essa non lo aveva più il
sorriso sul labbro! Era combattuta fra il dolore e il dispetto! Pareva
anche a lei che Roberto fosse reo di una colpa ben grave.--Non dovrei
nemmeno volerti bene, non dovrei nemmeno salutarti--ella gli
disse.--Anzi, non ti voglio bene....
--Oh Lucilla, è una bugia--interruppe Roberto seguendo con lo sguardo
una lagrimetta che le colava giù per la guancia.
--Cosa c'è'?... Non è vero, non piango--ella rispose.--Anzi, sì,
piango, ma di rabbia.... Va via, sei cattivo.
E intanto altre lagrime più grosse le rigavano il viso.
--Oh Gipsy è molto più buona--continuava la ragazza, carezzando la
cagnetta che le scodinzolava vicino e si stropicciava il muso sul suo
vestito.
--Guarda--riprese Roberto afferrando la mano di Lucilla.--Tu mi dai un
dolore che non ha nome. Credi tu che non significhi nulla per me lo
staccarmi da tante cose care? Eppure tu potresti con una parola
rinfrancare il mio spirito, farmi lieto quasi....
Lucilla si strinse nelle spalle.
Egli proseguì.--Se tu mi dicessi: «Capisco che quello che fai lo fai
per il meglio, capisco che lo fai anche un poco per me, capisco che
non puoi agire diversamente,» se tu mi dicessi questo, oh sentirei nel
mio animo raddoppiarsi la lena, mi sentirei sicuro di vincere ogni
ostacolo.
--Non lo dirò, non lo dirò--proruppe Lucilla battendo i piedi con
dispetto infantile.
La signora Giulia, che assisteva al colloquio, interpose una buona
parola.--Andiamo, ragazzi, non bisticciatevi adesso. Siete ostinati
tutti e due, e già non vi persuadereste.... Per me, non so chi abbia
torto e chi abbia ragione.... Speriamo nell'avvenire.
L'ottima signora Dal Bono era una natura un po' inerte, che avrebbe
sempre voluto contentar tutti. In fondo, ella subiva il fascino di sua
figlia; con suo marito non si metteva mai in contraddizione aperta, ma
gli opponeva quella resistenza passiva ch'è l'arma più efficace dei
deboli. Per Roberto ell'era, in complesso, una fida alleata; aveva
sempre vagheggiato il matrimonio di lui con Lucilla, nè le mutate
fortune degli Arconti le avevano fatto cambiar opinione. Desiderava
sinceramente la felicità di sua figlia, e le pareva che questa
felicità potesse dargliela meglio Roberto che qualche sposo
sconosciuto di gran censo e di gran lignaggio. Però la lotta non era
il fatto suo. Chiudeva volentieri gli occhi, e, come aveva detto
poc'anzi, sperava nell'avvenire.
Nel giorno stesso in cui Roberto disse addio a Lucilla e alla signora
Giulia, egli volle prender commiato anche dal signor Benedetto, che
avrebbe fatto molto volentieri a meno di questa visita. Il signor
Benedetto era nel suo studio, ritto dietro a un banco, cogli occhi
sprofondati nelle pagine d'un grosso e polveroso registro. Aveva in
testa un berretto di velluto nero col fiocco di seta, indossava una
lunga vesta da camera di lana grigia alquanto sgualcita, teneva aperta
sul banco alla sua destra la tabacchiera da cui fiutava prese
abbondanti che ricadevano in parte sulla pagina 114 del suo libro
mastro, e precisamente sulla partita relativa alla casa via Maravigli
N. 37. Quantunque facesse abbastanza caldo, tutte le finestre della
casa erano ermeticamente chiuse, e pareva d'entrare in una serra.
Convinto che la troppa commozione fa male alla salute, il signor Dal
Bono accolse Roberto con un riserbo pieno di decoro.--Sicuro--egli
disse--benissimo fatto ad accettare un impiego fuori di Milano....
Speriamo buona fortuna.
Il signor Benedetto evitava i pronomi, perchè non voleva incoraggiar
troppo le confidenze di Roberto dandogli del _tu_ come il solito e non
sapeva d'altra parte come fare a dargli del _lei_.
Roberto faceva il possibile per essere espansivo, per tirare il
discorso sull'avvenire.--Oh lavorerò senza tregua; nessuna fatica mi
parrà troppo penosa, nessun pericolo troppo grave.
--Ventisette e sette trentaquattro e porto tre--disse il signor Dal
Bono continuando una somma. Poi alzò lentamente il capo.--Già....
anzi....
Temette di esser troppo laconico, e proseguì.
--Per fortuna la mamma non è sprovvista affatto.... e un giovine solo
fa presto ad accomodarsi.
Il circospetto signor Dal Bono aveva senza volerlo offerto all'Arconti
l'addentellato per mettere in campo un argomento scabroso.
--Oh ma io non intendo di esser sempre un giovine solo.... Intendo
farmi una famiglia.
--Male--rispose il signor Benedetto dopo qualche esitazione.--Che le
donne si maritino, sta bene, ma che gli uomini prendano moglie....
E si fermò qui, forse perchè stentava anch'egli a capire questa
singolare condizione di cose, in cui le donne prenderebbero marito
senza che gli uomini prendessero moglie.
Ma Roberto ormai era bene avviato.--Quando si ama ardentemente una
fanciulla onesta, signor Benedetto, ciò che si desidera sopra tutte le
cose al mondo è di sposarla.
--Amare, amare!--disse il Dal Bono, cacciandosi su pel naso una presa
di tabacco.--Sono riscaldi di fantasia, sono fuochi di paglia.
--Oh non creda--proruppe il giovine, che non sapeva più contenersi.--E
poi a che servono tutte queste circonlocuzioni? Lei sa benissimo chi
amo, chi ho sempre amato, chi amerò sempre.... Amo sua figlia....
Il signor Benedetto, che s'era immerso più che mai nella