Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. II - 06

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e intorno a quei nomi nacquero superstizioni, leggende e fantasie.
Sant'Antonio incontrava nel deserto un centauro, e San Gerolamo non
sa risolvere se fosse apparizione diabolica, o mostro naturale[108].
Incontrava anche un satiro che parlava e lodava Dio, ma per eccezione
certamente, giacchè quella del satiro fu una delle forme che più di
spesso si diedero al diavolo[109]. Ai tempi di Gervasio da Tilbury
(XII e XIII sec.) si parlava ancora di fauni, di satiri, di silvani,
di Pani, e molti affermavano averli veduti[110]: i fauni s'invocavano
ancora nella diocesi di Lione ai tempi di Stefano di Borbone (m. verso
il 1262)[111].
Mercurio diventa un diavolo nella leggenda di Giuliano l'Apostata;
Venere un diavolo in parecchie leggende, di cui la più famosa è
quella del cavaliere Tanhäuser[112]; un diavolo, com'è del resto
assai naturale, Vulcano. Sigeberto Gemblacense ricorda che certe
bocche vulcaniche in Sicilia, le quali si credevano essere spiracoli
dell'Inferno, si chiamavano da quegli abitanti col nome di Ollae
Vulcani[113]. C'erano diavoli acquatici che si chiamavano Nettuni,
pericolosi a chi si trovava in prossimità di acque profonde, e infesti,
pare, alle donne[114]; c'erano le sirene che, come in antico, traevano
a perdizione col canto gl'incauti navigatori[115].
Demonio di molta importanza diventò Diana, certamente in grazia della
identificazione sua con Ecate e con Proserpina. Di Diana demonio si
discorre nella leggenda di S. Niccolò[116], mentre altre leggende la
designano più propriamente come il demonio meridiano[117]. In una
Vita di S. Cesario, vescovo di Arles (m. 542) si fa menzione di un
demonio chiamato Dianum dai campagnuoli[118]. Un canone, indebitamente
attribuito al sinodo di Ancira dell'anno 314, ma riportato da Reginone,
abate di Prüm (m. 915)[119], da Burcardo di Worms (m. 1024)[120], da
Graziano (m. 1204?)[121], fa menzione di donne le quali s'immaginavano
di andare in giro la notte, a cavallo di varii animali, in compagnia di
Diana e di Erodiade; e a questa stessa superstiziosa credenza alludono,
un Capitolare di Lodovico II imperatore, dell'anno 867[122], il già
citato Stefano di Borbone[123], Giovanni Herolt (m. 1418)[124], e
altri. Anzi è da notare che il nome di Diana e la credenza accennata
non sono per anche in tutto dileguati dalla memoria di alcuni popoli
cristiani[125]. Sant'Eligio, morto poco oltre il mezzo del settimo
secolo, dice in un sermone famoso, combattendo certi avanzi di credenze
pagane: _Nullus nomina daemonum, aut Neptunum, aut Orcum, aut Dianam
invocare praesumat_[126]. Il pessimo pontefice Giovanni XII fu, nel
sinodo romano del 963, accusato d'aver bevuto alla salute del diavolo,
_diaboli in amorem_, e di avere, giocando a dadi, invocato l'ajuto di
Giove, di Venere, _ceterorumque demonum_[127].
Se, dunque, le antiche divinità s'erano tramutate in demonii, era, non
pure lecito, ma necessario, porle con gli altri demonii in Inferno.
Gli autori delle _Chansons de geste_ ricordano spesso quali diavoli
Giove ed Apollo, talvolta i Nettuni rammentati di sopra e Cerbero[128].
Cerbero apparisce inoltre come cane infernale in alcun documento di
poesia medievale tedesca[129], e in molti di poesia latina[130]. Nella
Visione di Tundalo, Vulcano e i suoi ministri arroventano nel fuoco
le anime, le martellano sulle incudini[131]; nella _Kaiserchronik_ si
racconta che l'anima di Teodorico fu portata dai demonii nel monte,
a Vulcano, _in den berc ze Vulkân_[132]. Dante anche in ciò non fece
se non seguire la tradizione e il costume, salvo che egli si contentò
di porre nell'Inferno cristiano divinità pagane infernali, e lasciò
in pace Giove, Apollo e gli altri; anzi il nome di sommo Giove diede
a Cristo. Forse non gli bastò l'animo di abbassare alla condizione di
diavoli malvagi e deformi le divinità luminose di cui la fantasia di
lui doveva pure essersi innamorata leggendo Virgilio e gli altri poeti
latini[133].
Ma i diavoli mitologici dell'Inferno dantesco porgono argomento a più
altre considerazioni.
Dante ricorda parecchi giganti tolti al mito pagano (Efialte, Briareo,
Anteo, Tizio, Tifeo) e uno tolto al mito biblico (Nembrot): sono essi
demonii nel concetto del poeta? Credo che sieno a quel modo che i
Centauri, ed anche perchè, quelli del mito pagano almeno, sono, non
uomini, ma dei. Quanto a Nembrot si può osservare che, sonando il
corno, e poi con le inintelligibili e orrende parole, egli sembra, o
volere spaventare i poeti che si avvicinano, o avvertire Lucifero di
loro venuta[134], e così fa presso a poco ciò che già prima avevano
fatto Caronte, Minosse, Cerbero, Plutone. Perciò non si può dire che
i giganti sieno in luogo a loro non conveniente, laggiù nel pozzo
dell'ottavo cerchio. Demonii appunto erano, secondo un'antica opinione,
i giganti nati dal commercio degli angeli e delle figlie degli
uomini[135]; giganti nerissimi, trova Carlo il Grosso[136] nell'Inferno
da lui veduto, intesi ad accendere ogni maniera di fuochi[137];
nelle _Chansons de geste_ i giganti sono spesso considerati come
diavoli venuti fuor dall'Inferno, o come figli di diavoli[138], e
Tundalo vede due enormi giganti tenere aperta la voraginosa bocca
del mostro Acheronte, la quale _capere poterat novem milia hominum
armatorum_[139].
Minosse e Flegias sono due semidei, figlio di Giove l'uno, di Ares
o Marte l'altro. A prima giunta sembra che se ciò che in essi era
di divino doveva rendere possibile e provocare la trasformazione in
demonii, ciò che era di umano doveva impedirla, se non per Minosse,
il quale aveva già trovato posto, come giudice, nell'Inferno pagano,
almeno per Flegias[140]. Ma, in verità, questo impedimento non c'era.
Nei demonii Giuseppe Flavio riconosceva le anime degli uomini malvagi
(ανθρῶπων πονηρῶν πνεύματα)[141]: nelle _Chansons de geste_ appajono
spesso come demonii Nerone, Maometto, Pilato[142]; e come demonio
appare Maometto nel poema di Giacomino da Verona, _De Babilonia
civitate infernali_[143]. Dante stesso riconosce una grande affinità
fra lo spirito dell'uomo malvagio e il demonio, quando col nome di
demonio appunto chiama l'anima dannata[144], e Demonio dice Maghinardo
Pagani[145]. Come Dante di Minosse, Wolfram von Eschenbach fa un
diavolo di Radamanto[146].

III.
Dante dà un corpo ai demonii, seguendo in ciò la opinione di molti
Padri e Dottori della Chiesa e la vulgata credenza[147]; ma di che
natura è desso? Sia che il poeta non avesse in proposito concetti
ben definiti, sia che la materia del suo poema e certe convenienze
di trattazione non gli permettessero di sempre osservarli, fatto sta
che in quanto egli dice o accenna a tale riguardo si nota incertezza
e contraddizione. Le opinioni stesse dei Padri non sono troppo
concordi. Fra quella di Gregorio Magno, che voleva i diavoli al tutto
incorporei[148], e quella di Taziano, che volentieri esagerava la
materialità loro[149], alcuna ve n'è più temperata; ma si ammetteva
quasi generalmente che i demonii avessero un corpo formato d'aria o
di fuoco; anzi un corpo si attribuiva anche agli angeli, e si diceva
che, dopo la caduta, quello dei demonii era divenuto più grossolano e
più spesso. Dante ha gli angeli in conto di forme pure, di _sustanze
separate da materia_[150], e nulla dice del modo onde i demonii
acquistarono un corpo; ma forse ci può dar qualche lume in proposito,
quanto egli dice del modo che tengon le anime uscite di questa vita
nel formarsene uno d'aria condensata[151]. E badisi che qui si discorre
del corpo che i demonii hanno in proprio, e non di quello onde possono
rivestirsi accidentalmente, per loro particolari propositi.
Ho accennato a incertezze e contraddizioni di Dante in sì fatto
argomento. Il corpo di cui è provveduto il demonio Flegias è certo un
corpo sottilissimo, non più pesante dell'aria entro a cui si muove, e
in tutto simile all'ombra di Virgilio, giacchè la barca con cui egli fa
passare ai due poeti la palude degli iracondi sembra carca solo quando
Dante vi entra[152]. Il corpo di Lucifero per contro dev'essere assai
più denso e grave, non solo per quel suo essersi sprofondato sino al
punto
Al qual si traggon d'ogni parte i pesi;
e perchè la _ghiaccia_ lo stringe tutto intorno e ritiene, come
solo può fare solido con solido; ma ancora perchè i due poeti, e
specialmente Dante, che è d'ossa e di polpe, possono scendere e
arrampicarsi sopra di esso non altrimenti che se fosse una rupe[153].
Può darsi che Dante abbia con pensato proposito dato un corpo più
grossolano e più denso al più malvagio degli angeli ribelli, a colui
che è
Da tutti i pesi del mondo costretto[154];
ma vuolsi notare che qualche incertezza egli lascia scorgere anche
riguardo ai nuovi corpi rivestiti dalle anime dannate o purganti.
Nell'Antipurgatorio il poeta vuole abbracciare Casella e non può:
O ombre vane, fuor che nell'aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esse al petto[155];
e pure trova poco più oltre le anime dei superbi che si accasciano
sotto i ponderosi massi[156]. Nel terzo cerchio dell'Inferno i poeti
passano _su per l'ombre che adona la greve pioggia_, e pongono le
piante
Sopra lor vanità che par persona[157];
ma nel nono Dante _forte percote il piè nel viso ad una_ delle anime
triste dell'Antenora[158]. Virgilio non isparge ombra in terra[159]; ma
è in grado di sollevare e portar Dante[160].
Quanto alla forma e all'aspetto de' suoi demonii Dante non dice gran
che, fatta eccezion per Lucifero. Caronte è da lui dipinto[161] quale
già il dipinse Virgilio. Minosse ha più del bestiale e del diabolico:
sta orribilmente, ringhia, agita una lunga coda, con cui può cingersi
ben nove volte il corpo, quanti sono i cerchi dell'Inferno[162].
Plutone, che Virgilio chiama _maladetto lupo_, mostra altrui un volto
gonfio d'ira (_enfiata labbia_), una sembianza di _fiera crudele_, ha
la voce _chioccia_[163]. Gerione, mutato l'aspetto che già ebbe nel
mito, ha faccia d'uom giusto, il resto di serpe, due branche pelose,
coda aguzza, il dorso, il petto, le coste simbolicamente dipinti di
nodi e di rotelle[164]. Cerbero[165], le Furie[166], il Minotauro[167],
i Centauri[168], le Arpie[169], serbano invariate le forme
tradizionali; e così dicasi dei Giganti, dei quali non si descrive se
non la smisurata statura[170].
Ma non mancano nell'Inferno dantesco diavoli in cui più propriamente
si scorge l'aspetto che ai nemici dell'uman genere attribuì la turbata
fantasia dei credenti, specie nel medio evo. Questi diavoli sono neri
(_angeli neri[171], neri cherubini_)[172], quali già s'immaginavano nel
IV secolo[173], e con forma umana, la forma che in quel medesimo tempo
si attribuì loro[174]. I demonii che sferzano i mezzani nella prima
bolgia dell'ottavo cerchio, sono cornuti[175]; Ciriatto è sannuto[176];
Cagnazzo mostra, non un volto, ma un muso[177]; ed essi e i compagni
loro sono armati di artigli[178]. Il demonio che butta giù nella pegola
spessa dei barattieri _uno degli anziani di Santa Zita_ è dipinto quale
infinite opere d'arte del medio evo appunto cel mostrano:
Ahi, quanto egli era nell'aspetto fiero!
E quanto mi parea nell'atto acerbo,
Con l'ale aperte e sovra i piè leggiero!
L'omero suo, ch'era acuto e superbo,
Carcava un peccator con ambo l'anche,
E quei tenea de' piè ghermito il nerbo[179].
Se non che bisogna dire che Dante, trattenuto forse da un delicato
sentimento d'arte, non diede a nessuno dei demonii suoi, nemmeno
a Lucifero, la deformità abbominevole che spesso hanno i demonii
descritti nelle leggende, o ritratti da pittori e scultori nel medio
evo[180].
Lucifero, il principe dei demonii,
La creatura ch'ebbe il bel sembiante[181],
è da Dante rappresentato di smisurata grandezza, brutto quanto
già fu bello, e forse più, con _tre facce alla sua testa_, l'una
vermiglia, tra bianca e gialla l'altra, nera la terza, sei enormi ali
di pipistrello, corpo peloso[182]. Quelle tre facce diedero assai
da pensare ai commentatori, parecchi dei quali attribuirono loro
significati, cui non sarebbero certo andati a rintracciare, se invece
di stimarle una immaginazione propria di Dante, avessero saputo che
assai prima di Dante si trovano. I commentatori più antichi, i quali
dovevano saperlo, ne diedero, in generale, interpretazione assai più
giusta che non i moderni, e non si smarrirono dietro a sogni, come il
Lombardi, che nelle tre facce vide simboleggiate le tre parti del mondo
onde Satana ha tributo di anime, e come il Rossetti che vi riconobbe
Roma, Firenze, la Francia.
Questo Lucifero con tre facce non balza fuori per la prima volta
dall'accesa fantasia di Dante; già innanzi la coscienza religiosa
l'aveva immaginato e scorto, già le arti l'avevano raffigurato. Esso
è come l'antitesi della Trinità, o come il suo rovescio. La Trinità
fu qualche volta nel medio evo rappresentata sotto specie di un uomo
con tre volti; e poichè il concetto della Trinità divina suggerisce
il concetto di una Trinità diabolica, e poichè inoltre nello spirito
del male si supponeva essere tre facoltà o attributi opposti e
contraddicenti a quelli che si spartiscono fra le tre persone divine,
così era naturale che si ricorresse per rappresentare il principe de'
demonii a una figurazione atta a far riscontro a quella con che si
rappresentava il Dio uno e trino. Lucifero appare con tre facce in
iscolture, in pitture su vetro, in miniature di manoscritti, quando
cinto il capo di corona, quando sormontato di corna, tenente fra
le mani talvolta uno scettro, talvolta una spada, o anche due[183].
Quanto tal figurazione sia antica è difficile dire. Un manoscritto
anglo-sassone del Museo Britannico, appartenente alla prima metà del
secolo XI, reca una immagine di Satana, nella quale si vede, dietro
l'orecchio sinistro (la figura è di profilo), spuntare di traverso
una seconda faccia[184]. Più tardi il corpo dei demonii ebbe spesso a
coprirsi di facce, significative di malvagi istinti. Senza dubbio Dante
volle con le tre che dà al suo Lucifero, conformemente a una usanza
già antica, rappresentare gli attributi diabolici opposti ai divini; e
poichè, per lo stesso Dante, come per S. Tommaso, il Padre è potestà,
il Figliuolo è sapienza, lo Spirito Santo è amore[185], le tre facce
non possono simboleggiare se non impotenza, ignoranza, odio, come
rettamente giudicarono alcuni dei commentatori più antichi.
Non solo Dante non immaginò, egli primo, il Lucifero con tre facce;
ma nemmen primo immaginò di porre in ciascuna delle tre bocche immani
un peccatore non degno di minor pena. Nella chiesa di Sant'Angelo in
Formis, presso Capua, una grande pittura, stimata opera del secolo XI,
rappresenta Lucifero in atto di maciullar Giuda[186]. Nella chiesa
di S. Basilio, in Étampes, una scultura del XII rappresenta appunto
Lucifero che maciulla tre peccatori, e rappresentazioni sì fatte erano,
sembra, frequenti in Francia[187]. Il Boccaccio ricorda il Lucifero da
San Gallo[188], e il Sansovino dice che nella chiesa di San Gallo, in
Firenze, era dipinto un diavolo con più bocche[189].
Dante parla del terror che lo colse alla vista di Lucifero:
Com'io divenni allor gelato e fioco,
Nol dimandar, lettor, ch'io non lo scrivo,
Però ch'ogni parlar sarebbe poco.
Io non morii e non rimasi vivo.
Pensa oramai per te, s'hai fior d'ingegno,
Qual io divenni d'uno e d'altro privo[190].
Non è forse da tacere, a tale proposito, che la vista del diavolo si
credeva potesse essere perniciosa e letale. Cesario di Heisterbach
narra di due giovani che languirono gran tempo per aver veduto il
diavolo in forma di donna[191]; Tommaso Cantipratense dice che la vista
del diavolo fa ammutolire[192].
Dante non dice nulla delle forme varie che i demonii possono assumere
a lor piacimento. Egli fa ricordo di _cagne bramose e correnti_ che
lacerano i violenti contro a se stessi[193]; di serpenti che tormentano
i ladri[194]; di un drago, che stando sulle spalle di Caco, _affoca
qualunque s'intoppa_[195]; ma non dice che sieno demonii, e noi non
possiamo indovinare con sicurezza il pensier suo a tale riguardo.
Animali diabolici s'incontrano nelle Visioni: in quella di Alberico
si fa espressa menzione di due demonii che hanno forma, l'uno di cane,
l'altro di leone[196]; ma, da altra banda è da ricordare che serpenti e
scorpioni smisurati e lupi e leoni sono nell'Inferno di Maometto, e che
molte fiere selvagge e voraci sono nell'Inferno indiano[197].

IV.
Circa la natura morale dei demonii Dante non ha, e non poteva avere
cose nuove da dire: conosciuti erano gli atti e portamenti loro; la
loro riputazione era fatta.
Lucifero fu creato più nobile d'ogni altra creatura[198]; ma il
peccato, il _superbo strupo_[199], cancellò in lui, come ne' seguaci
suoi, ogni natia nobiltà. La superbia fu il suo primo peccato[200]; fu
il secondo l'invidia, e questa trasse a perdizione i primi parenti,
e con essi tutto il genere umano[201]. Egli è il nemico antico ed
implacabile dell'umana prosperità[202], l'_antico avversaro_[203] di
tutti gli uomini, ma più di quelli che non vanno per le sue vie, e
cui egli tenta trarre a peccato e a ruina; il _vermo reo che il mondo
fora_[204]. Perciò egli con amo invescato attira le anime[205], e tenta
insidiarle persino in Purgatorio, donde lo cacciano gli angeli[206].
Egli, _il perverso_[207] κατ’ ἐξοχήν, _è bugiardo e padre di
menzogna_[208]. _Il mal voler, che pur mal chiede_[209], è fatto natura
sua e degli angeli suoi: Dante, con tutti i teologi del suo tempo,
rifiuta e condanna la opinion di Origene e di alcuni seguaci di lui,
che i demonii possano ravvedersi e trovar grazia. L'ira e la rabbia
sono passioni principali dei _maledetti_[210]. Caronte parla iracondo,
si cruccia, batte col remo qualunque anima si adagia[211]; Minosse si
morde per gran rabbia la coda[212]; Plutone _consuma dentro_ sè con
la sua _rabbia_[213]; Flegias, conosciuto il proprio inganno, se ne
rammarca _nell'ira accolta_[214]; i demonii che stanno a custodia della
città di Dite parlan tra loro _stizzosamente_[215], il Minotauro morde
se stesso,
Sì come quei cui l'ira dentro fiacca[216];
e non parliam delle Furie e d'altri demonii che con atti o con parole
fan manifesta la rabbia che li divora. Quelli della quinta bolgia
dell'ottavo cerchio digrignano i denti e _con le ciglia minaccian
duoli_[217]. Opportuna perciò la comparazione che più di una volta
Dante fa de' suoi demonii con mastini sciolti, con cani furibondi e
crudeli[218]. Se Rubicante è pazzo, come Malacoda lo chiama[219], la
sua è certo pazzia furiosa.
I demonii sono gelosi del loro regno, e malvolentieri vedono altri
penetrarvi e aggirarvisi, se non è condotto da loro e in lor servitù.
Come già si opposero alla discesa di Cristo[220], così si oppongono
al viaggio di Dante. Caronte, Minosse, Cerbero, Plutone, i demonii
della città di Dite, le Furie, forse anche Nembrot, cercano in varii
modi e con varii argomenti di farlo retrocedere[221]. Allo stesso
modo, nella leggenda del Pozzo di S. Patrizio, i demonii tentano
ripetutamente di far tornare addietro il cavaliere Owen. La tracotanza
e l'insolenza sono proprie qualità dei superbi caduti, a umiliare le
quali è talvolta necessario l'intervento divino[222]. E anche quando
sanno non essere senza l'espresso volere di Dio l'andata dei due poeti,
i demonii più protervi si studiano di nuocer loro, minaccian Dante coi
raffii[223], ingannano Virgilio con false informazioni[224], inseguono
l'uno e l'altro per prenderli, dopo averli lasciati andare[225]. Nella
Visione di Carlo il Grosso appaiono _nigerrimi demones advolantes cum
uncis igneis_, i quali tentano di uncinare Carlo, e ne sono impediti
dall'angelo che lo guida[226]; nella Visione di un uomo di Nortumbria,
narrata da Beda, demonii minacciano di afferrare con ignee tenaglie
l'intruso[227]; anche Alberico è minacciato da un diavolo e difeso da
S. Pietro[228]. Giunto in prossimità dell'Inferno, il Mandeville si
vide contrastare il passo da un nugolo d'avversarii, ed ebbe da uno di
loro una mala percossa, di cui portò il segno per ben diciott'anni.
Che con un naturale sì fatto i diavoli non possano amarsi tra loro
s'intende facilmente. Come Alichino e Calcabrina fanno, là, nella
bolgia dei barattieri[229], così debbono gli altri azzuffarsi quando
l'occasione se ne porga. Vero è che Barbariccia, co' suoi, tiran poi
fuori del _bollente stagno_, in cui eran caduti, i due combattenti.
Quest'opera di fraterno soccorso ci lascia pensare che anche nei
diavoli possa talvolta essere alcun che di men tristo. Minosse, il
_conoscitor delle peccata_, ha da avere, se non altro, un sicuro
sentimento di giustizia, senza di che non potrebbe assegnare a ciascun
peccatore la pena che gli si conviene. Chirone dà una _scorta fida_
ai poeti[230]; Gerione concede loro il suo dorso[231]; Anteo li posa
sull'ultimo fondo d'inferno[232].
È opinione comune dei teologi che l'intelletto dei demonii siasi
ottenebrato dopo la caduta, di maniera che, se vince ancora, e di
molto, l'umano, è di gran lunga inferiore all'angelico. Essi non
conoscono il futuro se non in quanto Dio lo fa loro palese, o in quanto
possono argomentarlo da indizii e da fenomeni naturali; similmente
non penetrano l'animo umano, ma da segni esteriori argomentano ciò
che in esso si muove[233]. Dante non pare abbia pensato altrimenti,
sebbene, sul conto del saper loro, mostri di essere incorso in qualche
contraddizione. A suo giudizio i demonii non possono filosofare,
_perocchè amore è in loro del tutto spento, e a filosofare..... è
necessario amore_[234]; ciò nondimeno, il demonio che se ne porta
l'anima di Guido da Montefeltro può vantarsi d'esser _loico_, e de'
buoni[235]. Caronte conosce essere Dante un'anima buona[236]: da che?
non sappiamo. Flegias, per contro, crede vedere in Virgilio un'anima
rea[237]. Del resto nè Caronte, nè Minosse, nè Plutone, nè i demonii
della città di Dite, sanno la ragione del viaggio di Dante e il divino
patrocinio sotto cui esso si compie, e Virgilio a più riprese deve
far ciò manifesto. Ora tale ignoranza può parere un po' strana, se si
pensa che Dante stesso afferma non avere i demonii bisogno della parola
per conoscere l'uno i pensamenti dell'altro[238]. Dato dunque, che non
potessero penetrare nella mente di Virgilio e di Dante, essi avrebbero
dovuto aver cognizione del fatto come prima uno dei loro l'avesse
avuta. Ma i demonii, che Dante trova in Inferno, usano della parola
anche quando conversan tra loro[239].
Della potenza diabolica Dante non dice gran che; ma si conforma in
tutto alla comune opinione quando attribuisce ai demonii potestà sugli
elementi, e narra della procella da essi suscitata, che travolse con le
sue acque il corpo di Buonconte da Montefeltro[240].
Il demonio può invadere il corpo umano e produrre in esso turbazioni
simili a quelle che arrecano certi morbi[241]; può inoltre animare
i corpi morti e dar loro tutte le apparenze e gli atti della vita. I
traditori della Tolomea hanno, secondo dice frate Alberigo a Dante,
questa sorte, che l'anima loro piomba in Inferno e pena, mentre il
corpo, governato da un demonio, si rimane, in apparenza ancor vivo, nel
mondo:
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
Che spesse volte l'anima ci cade
Innanzi ch'Atropós mossa le dea.
E perchè tu più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto,
Sappi che tosto che l'anima trade,
Come fec'io, il corpo suo l'è tolto
Da un dimonio, che poscia il governa
Mentre che il tempo suo tutto sia vôlto[242].
Nella medesima condizione si trovano Branca d'Oria, che
In anima in Cocito già si bagna,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra,
ed un suo _prossimano_[243].
Ora questa _ingegnosa invenzione_ non è, come sembra allo
Scartazzini[244], una invenzione di Dante, suggerita da quanto
nell'Evangelo di Giovanni (XIII, 27) si dice di Giuda: _Et
post bucellam introivit in eum Satanas_; perchè con tali parole
l'Evangelista non vuole dir altro se non che da indi in poi Giuda fu
in potestà di Satana, e come invasato del maligno spirito. In fatti
Giuda non muore allora, ma, dopo consumato il tradimento, da se stesso
si uccide. La invenzione, o, meglio, la immaginazione, Dante la trovò
già bella e formata, e le citate parole dell'Evangelista poterono tutto
il più suggerirgli l'idea di applicarla a pessimi peccatori, traditori
come Giuda. Cesario di Heisterbach racconta la storia di un chierico
_cuius corpus diabolus loco animae vegetabat_. Questo chierico cantava
con voce soavissima e incomparabile; ma un bel giorno un sant'uomo
uditolo, disse: Questa non è voce d'uomo, anzi è di demonio; e fatti
suoi esorcismi costrinse il diavolo a venir fuori, e il cadavere
cadde a terra[245]. Tommaso Cantipratense racconta come un diavolo
entrò nel corpo di un morto, che era deposto in una chiesa, e tentò di
spaventare una santa vergine che pregava; ma la santa vergine, datogli
un buon picchio sul capo, lo fece chetare[246]. Di un diavolo, che,
per tentare un recluso, assunse il corpo di una donna morta, narra
Giacomo da Voragine[247]. Ma la immaginazione è assai più antica. Di un
diavolo, che, entrato nel corpo di un dannato, traghettava a un fiume i
viandanti, con isperanza di poter loro nuocere, si legge nella Vita di
San Gilduino[248]; di un altro, che teneva vivo il corpo di un malvagio
uomo, si legge nella Vita di Sant'Odrano[249]. Se e come in quei corpi
dei traditori animati dai demonii si compiessero le funzioni vitali,
Dante non dice: la opinione che non si compiessero se non in apparenza
doveva essere la più diffusa. Nei racconti testè citati di Cesario
e di Giacomo, i cadaveri, appena abbandonati dagli spiriti maligni,
presentano tutti i caratteri di una inoltrata putrefazione, e ciò
conformemente ad altre opinioni e credenze, delle quali non mi dilungo
a discorrere.

V.
I demonii avevano due sedi, l'Inferno, per punizione loro e dei
dannati, e l'aria, per esercitazione degli uomini, sino al dì del
Giudizio[250]. Della sede aerea Dante non dice nulla di proposito; ma
la suppone evidentemente quando accenna a tentazioni diaboliche, quando
parla della potestà che hanno i demonii di suscitar procelle, o di
demonii che contendono agli angeli le anime dei morti.
In Purgatorio Dante non pone demonii: l'antico avversario tenta di
penetrarvi in forma di biscia,
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro;
ma gli angeli, _gli astor celestïali_, lo volgono in fuga[251]. I
teologi sono comunemente d'accordo nel ritenere che in Purgatorio
non ci siano demonii a tormentare le anime; ma moltissime Visioni
rappresentano il Purgatorio pieno anch'esso di diavoli, intesi a farvi
il consueto officio di tormentatori. La Chiesa, che solo nel 1439, nel
concilio di Firenze, fermò il dogma del Purgatorio, la cui dottrina era
stata innanzi svolta da S. Gregorio e da S. Tommaso, non si pronunziò
sopra questo punto particolare[252]. Dante, che, quanto alla situazione
e alla struttura del Purgatorio ha immaginazioni e concetti proprii,
quanto alla relazion di esso coi demonii tiene la opinion dei teologi,
rifiutando quella dei mistici.
Della situazione dell'Inferno, erano state, ed erano tuttavia, molte
svariate opinioni[253]; la più accreditata e diffusa lo poneva nel
centro della terra, e questa è appunto l'opinione seguita da Dante.
Nell'Inferno dantesco i demonii sono variamente distribuiti, conforme
al concetto che il poeta s'era formato della gravità delle colpe e
della conseguente gravità dei castighi. Che demonii non debbano essere
nel limbo, dove sono gli spiriti magni, solo esclusi dal cielo _perchè
non ebber battesmo_, e i fanciulli morti prima di averlo, s'intende
facilmente; e mezzi demonii si possono dire quelli che nel vestibolo
scontano lor pena insieme con gli _sciaurati che mai non fur vivi_. Il
primo vero demonio che Dante incontri è Caronte, ed è strano abbastanza
che egli non ne abbia posto alcuno a guardia della porta su cui sono
le parole di colore oscuro, e che, forzata da Cristo, trovasi ancora,
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