Marocco - 03

Total number of words is 4587
Total number of unique words is 1810
33.3 of words are in the 2000 most common words
47.6 of words are in the 5000 most common words
56.3 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
riescire a risollevarla; e il solo pensiero del lavoro e delle cure che
m'aspettano a casa, mi stanca. Questo cielo sempre azzurro e questa
città tutta bianca sono un'immagine della pace inalterata e monotona che
diventa a poco a poco, in chi abita questo paese, il supremo desiderio
della vita. Ed ecco la cagione per cui interrompo qui le mie note. La
mollezza affricana m'ha vinto.....
--- --- --- --- ---
Tra la molta gente che ronzava intorno alla porta della Legazione v'era
un moro elegante, che fin dal primo giorno m'aveva dato nell'occhio; uno
dei più bei giovani che io abbia visto nel Marocco; alto e snello, con
due occhi neri e melanconici, e un sorriso dolcissimo; una figura da
sultano innamorato, che Danas, lo spirito maligno delle _Mille e una
notte_, avrebbe potuto mettere accanto alla principessa Badura, in vece
del principe Camaralzaman, sicuro che non si sarebbe lamentata del
cambio. Si chiamava Maometto, aveva diciotto anni ed era figliuolo d'un
moro agiato di Tangeri, protetto dalla Legazione d'Italia, un grosso ed
onesto mussulmano, che da qualche tempo, essendo minacciato di morte da
un suo nemico, veniva quasi ogni giorno, colla faccia spaurita, a
chieder aiuto al Ministro. Questo Maometto parlava un poco spagnuolo,
alla moresca, con tutti i verbi all'infinito, e così aveva potuto
stringere amicizia coi miei compagni. Era sposo da pochi giorni. L'aveva
fatto sposare suo padre, perchè mettesse giudizio, e gli aveva dato una
ragazza di quindici anni, bella come lui. Ma il matrimonio non l'aveva
molto cangiato. Egli era rimasto, come dicevamo noi, un moro
_dell'avvenire_, il che consisteva nel bere, di nascosto, qualche
bicchiere di vino, fumare qualche sigaro, annoiarsi a Tangeri, bazzicare
cogli Europei e almanaccare un viaggio in Spagna. In quei giorni però,
quello che ce lo tirava intorno, era il desiderio d'ottenere, per mezzo
nostro, il permesso d'unirsi alla carovana, e andare così a veder Fez,
la grande metropoli, la sua Roma, il sogno della sua infanzia; e a
questo fine ci prodigava inchini, sorrisi e strette di mano, con una
espansione e una grazia che avrebbe sedotto tutto l'arem
dell'Imperatore. Come quasi tutti gli altri giovani mori della sua
condizione, ammazzava il tempo trascinandosi di strada in strada, di
crocchio in crocchio, a parlare del nuovo cavallo d'un ministro, della
partenza dell'amico per Gibilterra, d'un bastimento arrivato, d'un furto
commesso, di pettegolezzi da donne; o rimanendo molte ore immobile e
taciturno in un angolo della piazzetta del mercato, colla testa chi sa
dove. A questo bellissimo ozioso si lega il ricordo della prima casa
moresca in cui misi il piede, e del primo pranzo arabo a cui arrischiai
il palato. Un giorno suo padre ci invitò a desinare. Era un desiderio
che avevamo da molto tempo. Una sera tardi, guidati da un interprete e
accompagnati da quattro servi della Legazione, s'arrivò, per alcune
stradette oscure, a una porta arabescata, che s'aperse, come per
incanto, al nostro avvicinarsi; e attraversata una stanzina bianca e
nuda, ci trovammo nel cuore della casa. La prima cosa che ci colpì fu
una gran confusione di gente, una luce strana, una pompa meravigliosa di
colori. Ci vennero incontro il padrone di casa, il figliuolo e i
parenti coronati di gran turbanti bianchi; dietro di loro, c'erano i
servi incappucciati; più in là, negli angoli oscuri, dietro gli spigoli
delle porte, faccie attonite di donne e di bambini; e malgrado tanta
gente, un silenzio profondo. Credevo d'essere in una sala: alzai gli
occhi, e vidi le stelle. Eravamo nel cortile. Quella, come tutte le
altre case moresche, era un piccolo edifizio quadrato, con un cortiletto
nel mezzo, su due lati del quale si aprivano due stanze alte e lunghe,
senza finestre, con una sola gran porta arcata, chiusa da una cortina. I
muri esterni erano bianchi come la neve, gli archi delle porte,
dentellati, i pavimenti a mosaico; qua e là una finestrina binata e una
nicchietta per le pantofole. La casa era stata addobbata. I pavimenti
coperti di tappeti; accanto alle porte dei grandi candellieri, con
candele rosse, gialle e verdi; sui tavolini, specchi e mazzi di fiori.
Ma l'effetto di tutte queste cose, in sè medesime punto strane, era
stranissimo. C'era un po' della decorazione d'una chiesa, e insieme
un'aria di teatrino, di sala da ballo, di reggia posticcia; ma piena di
gentilezza e di grazia; e nella distribuzion della luce e nella
combinazione dei colori, un effetto novo, un significato profondo, una
corrispondenza meravigliosa con tutto ciò che noi avevamo sempre pensato
e sentito, confusamente, di quel popolo; come se quella fosse la luce,
per così dire, e il colorito della sua filosofia e della sua religione,
e vedendo l'interno di quella casa, vedessimo per la prima volta dentro
all'anima della razza. Si spese qualche minuto in inchini e in vigorose
strette di mano, e poi fummo invitati a vedere la camera degli sposi. Io
cercai inutilmente, con una curiosità da sfacciato europeo, gli occhi di
Maometto: egli aveva già chinato la testa e nascosto il rossore sotto il
turbante. La camera nuziale era una sala alta, lunga e stretta, colla
porta sul cortile. Da una parte, in fondo, vi era il letto della sposa;
dalla parte opposta quello di Maometto; tutti e due decorati di ricche
stoffe, di un colore rosso carico, con sopra una trina; il pavimento
coperto di grossi tappeti di Rabat; le pareti, d'arazzi gialli e rossi;
e fra i due letti, il vestiario della sposa appeso al muro: busti,
gonnelline, calzoncini, vestitini di taglio sconosciuto, di tutti i
colori d'un giardino fiorito, di lana di seta e di velluto, gallonati e
stelleggiati d'oro e d'argento; tutto il corredo d'una bambola da
principessina; una vista da far girar la testa a un coreografo e morir
d'invidia una mima. Di là passammo nella stanza da pranzo. Anche qui
tappeti, arazzi, mazzi di fiori, grandi candellieri posati sul
pavimento, materassine e guanciali di cento colori stesi a pie' dei
muri, e due letti addobbati con gran pompa, poichè era la camera nuziale
del padrone. Vicino a uno dei letti era apparecchiata la tavola, contro
l'uso degli arabi, che mettono i piatti in terra, e mangiano senza
posate; e vi scintillava su, a dispetto del Profeta, una corona di
vecchie bottiglie, incaricate di rammentarci, in mezzo alle voluttà del
banchetto moresco, che eravamo cristiani. Prima di metterci a tavola, ci
sedemmo, a gambe incrociate, sopra i tappeti, intorno al segretario del
padrone di casa, un bel moro in turbante, il quale preparò il tè sotto i
nostri occhi e ce ne fece pigliare, secondo l'uso, tre tazze per uno,
spropositatamente inzuccherate, e profumate di menta; e tra una tazza e
l'altra accarezzammo il codino e la testina rasata d'un bel bambino di
quattr'anni, ultimo fratello di Maometto, il quale contava furtivamente
le dita delle nostre mani per assicurarsi ch'eran cinque come quelle di
tutti i maomettani. Preso il tè, sedemmo a tavola. Il padrone, pregato,
sedette anche lui, per tenerci compagnia, e cominciarono a sfilare i
piatti arabi, oggetto della nostra vivissima curiosità. Io assaggiai il
primo con grande fiducia.... Eterno Iddio! Il mio primo pensiero fu di
precipitarmi sul cuoco. Tutte le contrazioni che si possono produrre sul
viso d'un uomo all'assalto improvviso d'una colica, o alla notizia del
fallimento del suo banchiere, io credo che si sian prodotte sul mio.
Capii sul momento come una gente che mangiava a quel modo dovesse
credere in un altro Dio e pigliare in un altro senso la vita umana. Non
saprei esprimere quello ch'io sentii nella bocca fuorchè paragonandomi a
un disgraziato costretto a far colazione coi vasetti d'un parrucchiere.
Eran sapori di pomate, di cerette, di saponi, d'unguenti, di tinture, di
cosmetici, di tutto ciò che si può immaginare di meno proprio a passare
per una bocca umana. A ogni piatto ci scambiavamo degli sguardi di
meraviglia e di terrore. La materia prima doveva esser buona: era
pollame, montone, caccia, pesce; piatti enormi e di bella cera; ma tutto
nuotante in salse abbominevoli, tutto unto, profumato, impomatato, tutto
cucinato in maniera da parer più naturale di metterci dentro il pettine
che la forchetta. Pure bisognava mandar giù qualcosa, ed io mi
confortavo al sacrifizio ripetendo quei versi dell'Aleardi:
Oh nella vita
Qualche delitto incognito ne pesa!
Qualche cosa si espia!
La sola cosa mangiabile era il montone allo spiedo. Nemmeno il cuscussu,
il piatto nazionale dei mori, fatto con grano tritato della grossezza
della semola, cotto a vapore e condito con latte o brodo,--perfido
simulacro di risotto--, nemmeno questo famoso cuscussu, che piace a
molti europei, mi è riuscito d'inghiottirlo senza cangiar colore. E ci
fu qualcuno di noi che, per punto, mangiò di tutto! cosa consolante la
quale dimostra che in Italia ci sono ancora dei grandi caratteri. A ogni
boccone, il nostro ospite c'interrogava umilmente collo sguardo, e noi,
stralunando gli occhi, rispondevamo in coro:--Eccellente! Squisito!--e
buttavamo giù subito un bicchier di vino per ravvivarci gli spiriti. A
un certo punto, scoppiò nel cortiletto una musica bizzarra che ci fece
balzar tutti in piedi. Erano tre sonatori, venuti, come vuole il costume
moresco, a rallegrare il banchetto: tre arabi dai grandi occhi e dal
naso forcuto, vestiti di bianco e di rosso, uno colla tiorba, l'altro
col mandolino, il terzo col tamburello; tutti e tre seduti fuori della
porta della nostra stanza, vicino a una nicchietta dove avevano deposto
le pantofole. Tornammo a sedere e i piatti ricominciarono a sfilare
(ventitrè, comprese le frutta, se ben mi ricordo) e i nostri volti a
contorcersi e i turaccioli a saltare in aria. A poco a poco le
libazioni, l'odore dei fiori, il fumo dell'aloé che ardeva nei
profumieri cesellati di Fez, e quella bizzarra musica araba, che a
furia di ripetere il suo lamento misterioso, s'impadronisce dell'anima
con una simpatia irresistibile; ci diedero per qualche momento una
specie di ebbrezza taciturna e fantastica, durante la quale ognuno di
noi credette di sentirsi il turbante sul capo e la testa d'una sultana
sul cuore. Finito il pranzo, tutti si alzarono e si sparpagliarono per
la sala, per il cortile, per il vestibolo, a guardare e a fiutare da
ogni parte con una curiosità infantile. In ogni angolo oscuro si
rizzava, come una statua, un arabo ravvolto nella sua cappa bianca. La
porta della camera nuziale era stata chiusa colle cortine, e per lo
spiraglio si vedeva un gran movimento di teste bendate. Alle finestrine
superiori apparivano e sparivano dei lumi. Si sentivano fruscii e voci
di gente nascosta. Intorno e sopra di noi ferveva una vita invisibile,
la quale ci avvertiva che eravamo dentro le mura, ma fuori della casa;
che la bellezza, l'amore, l'anima della famiglia s'era rifugiata nei
suoi penetrali; che lo spettacolo eravamo noi e che la casa rimaneva un
mistero. A una cert'ora uscì da una porticina la governante del
Ministro, ch'era stata a veder la sposa, e passando per andarsene,
esclamò:--Ah! se vedessero, che bottone di rosa! Che creatura di
paradiso!--E intanto la musica continuava a suonare, e l'aloé
continuava ad ardere, e noi seguitavamo a girare e a fiutare, e la
fantasia lavorava, lavorava. E lavorava ancora, e più che mai, quando
usciti da quell'aria piena di luce e di profumi, infilammo una viuzza
solitaria e tenebrosa, al lume d'una lanterna, in mezzo a un silenzio
profondo.
§ § § § §
Una sera si sparse la notizia, da molto tempo aspettata, che il giorno
dopo sarebbero entrati in città gli Aïssaua.
Gli Aïssaua sono una delle principali confraternite religiose del
Marocco, fondata, come le altre, per ispirazione di Dio, da un Santo
chiamato Sidì-Mohammed-ben-Aïssa, nato a Mechinez due secoli sono; la
vita del quale è una lunga e confusa leggenda di miracoli e d'avventure
favolose, variamente raccontata. Gli Aïssaua si propongono di ottenere
dal cielo una protezione speciale, pregando continuamente, esercitando
certe pratiche loro proprie, tenendo vivo nel loro cuore, piuttosto che
il sentimento della fede, un'esaltazione, una febbre religiosa, un
furore divino, che prorompe in manifestazioni stravaganti e feroci.
Hanno una grande moschea a Fez, che è come la casa centrale dell'ordine,
e di qui si spandono ogni anno a turbe, in tutte le province
dell'impero, dove raccolgono intorno a sè, per celebrare le loro feste,
i confratelli sparsi per le città e per le campagne. Il loro rito,
simile a quello dei dervis urlanti e giranti dell'Oriente, consiste in
una specie di danza sfrenata accompagnata da salti, scontorcimenti e
grida, nella quale vanno via via infuriando e inferocendosi finchè,
perduto ogni lume, stritolano legno e ferro coi denti, si brucian le
carni con carboni accesi, si straziano coi coltelli, inghiottiscono
fango e sassi, sbranano animali e li divoran vivi e grondanti di sangue,
e cadono a terra senza forze e senza ragione. A questi eccessi non
giunsero gli Aïssaua che io vidi a Tangeri, e credo che ci giungano
raramente, e assai pochi, se pure qualcuno vi giunge ancora; ma fecero
però abbastanza per lasciarmi nell'animo un'impressione incancellabile.
Il Ministro del Belgio c'invitò ad assistere allo spettacolo dal
terrazzo di casa sua, che guarda sulla strada principale di Tangeri,
dove sogliono passare gli Aïssaua per andare alla moschea. Dovevano
passare alle dieci della mattina, scendendo dalla porta del Soc di
Barra. Un'ora prima, la strada era già piena di gente e le case coronate
di donne arabe ed ebree, vestite dei loro colori vivissimi, che davano
alle terrazze bianche l'aspetto di grandi ceste di fiori. All'ora
fissata, tutti gli occhi si voltarono verso la porta, all'estremità
della strada, e pochi minuti dopo comparvero i forieri della turba. La
strada era tanto affollata, che gli Aïssaua, fin che non furono vicini,
rimasero confusi cogli spettatori. Per qualche tempo non vidi che una
massa ondeggiante di teste incappucciate, in mezzo alle quali sorgevano,
sparivano e ricomparivano alcune teste scoperte, che parevan di gente
che si picchiasse. Al di sopra delle teste s'alzavano parecchie
bandiere. Di tratto in tratto si udiva un grido simultaneo di molte
voci. La folla veniva innanzi lentamente. A poco a poco si cominciò a
notare, nel movimento di tutte quelle teste, un cert'ordine. Le prime
formavano un circolo; altre, più in là, una doppia schiera; altre più
lontane, un altro circolo; poi le prime, alla loro volta, si
schieravano, le seconde si disponevano in cerchio, e così via via. Ma
non son neanco ben sicuro di quello che dico, perchè in quella gran
curiosità che mi affannava di osservare singolarmente le persone, è
facile che la legge precisa del movimento comune mi sia sfuggita. In
capo a pochi minuti, giunsero i primi sotto il nostro terrazzo. Il mio
primo senso fu un misto di compassione e di orrore. Eran due file di
uomini, rivolti gli uni in faccia agli altri, vestiti di cappe e di
lunghissime camicie bianche, che si tenevano per le mani, per le braccia
o per le spalle, e pestavano i piedi in cadenza, dondolandosi,
rovesciando il capo avanti e indietro, e levando un mormorio sordo e
affannoso, rotto da gemiti, rantoli, soffi e interiezioni di spavento e
di rabbia. Solamente gli ossessi del Rubens, i morti risuscitati del
Goya e il moribondo magnetizzato del Pöe potrebbero dare un'idea di
quelle figure. Eran faccie livide e convulse, cogli occhi fuori
dell'orbita e la bocca schiumosa; visi di febbricitanti e di epilettici;
alcuni illuminati da sorrisi indefinibili, altri che non mostravano che
il bianco dell'occhio, altri contratti come da uno spasimo atroce, o
pallidi ed immobili come visi di cadaveri. Di tratto in tratto, facendo
gli uni agli altri un gesto strano col braccio spenzoloni, gettavano
tutti insieme un grido acuto e doloroso, come di chi riceva una
pugnalata mortale; poi andavano alcuni passi innanzi, e ricominciavano
la danza, gemendo e sbuffando; e allora si vedeva un ondeggiamento
disordinato di cappucci, di grandi maniche, di treccie, di ciuffi, di
folte capigliature spartite in lunghe ciocche ondulate, che parevano
teste anguicrinite. Alcuni, più spiritati, andavano fra una schiera e
l'altra, barcollando come ubbriachi, sbatacchiandosi contro i muri e le
porte. Altri, come rapiti in estasi, camminavano ritti, lenti, col viso
in alto, gli occhi socchiusi, le braccia abbandonate. Parecchi,
sfiniti, che non potevano più nè gridare nè reggersi, eran tenuti su
per le ascelle dai compagni, e travolti così, come corpi morti, nella
folla. La ridda si faceva di mano in mano più scomposta, e il gridìo più
assordante. Erano dondolamenti di testa da lussarsi le vertebre del
collo e rantoli da spezzarsi la cassa del petto. Da tutti quei corpi
grondanti di sudore, veniva su un puzzo nauseabondo come da un serraglio
di fiere. Ogni tanto uno di quei visi stravolti si alzava verso il
terrazzo e fissava nei miei due occhi stralunati, che mi facevano
torcere indietro la testa. Di momento in momento, dentro di me, cangiava
l'effetto di quello spettacolo. Ora mi pareva una gran mascherata, ed
ero tentato di riderne; ora ci vedevo l'immagine d'una gran baldoria di
pazzi, di malati in delirio, di galeotti ubbriachi, di condannati a
morte che volessero stordire il proprio terrore, e mi stringevano il
cuore; ora non consideravo che la bellezza selvaggia del quadro, e ci
provavo la voluttà d'un artista. Ma a poco a poco, il senso intimo di
quel rito, s'impose alla mia mente; il sentimento, che quelle smanie
traducevano, e che tutti abbiamo provato molte volte, lo spasimo
dell'anima umana che si agita sotto l'immensa pressione dell'Infinito,
si risvegliò; e senz'accorgermene, accompagnavo quel turbinìo col
linguaggio che lo spiegava:--Sì, ti sento, Potenza misteriosa e
tremenda: mi dibatto nella stretta della tua mano invisibile; il
sentimento di Te mi opprime, non ho forza di contenerlo, il mio cuore si
sgomenta, la mia ragione si perde, il mio involucro di creta si
spezza!--E continuavano a passare, fitti, pallidi, scapigliati, mettendo
voci supplichevoli, in cui pareva che esalassero la vita. Un vecchio
cadente, un'immagine di re Lear forsennato, si staccò dalla schiera e
s'avventò come per spaccarsi il cranio nel muro: i compagni lo
trattennero. Un giovane cadde di picchio in terra, fuori dei sensi. Un
altro, coi capelli sciolti giù per le spalle, la faccia nascosta nelle
mani, passò a lunghissimi passi, curvato fino a terra, come un maledetto
da Dio. Passarono beduini, mori, berberi, neri, colossi, mummie, satiri,
faccie di cannibali, di santi, d'uccelli di rapina, di sfingi, d'idoli
indiani, di furie, di fauni, di diavoli. Potevano essere un tre o
quattrocento. In meno di mezz'ora sfilarono tutti. Le ultime erano due
donne (perchè anche le donne possono appartenere all'ordine), due figure
di sepolte vive, riuscite a spezzare la bara, due scheletri animati,
vestite di bianco, coi capelli rovesciati sul viso, gli occhi sbarrati,
la bocca bianca di schiuma, sfinite di forze, ma ancora animate da un
movimento di cui non parevano aver più coscienza, che si scontorcevano,
urlavano e stramazzavano; e in mezzo a loro un vecchio gigantesco, una
figura di negromante centenario, vestito d'una camicia lunghissima, che
allungando due grandi braccia cadaveriche, posava la mano sul capo ora
all'una ora all'altra, in atto di protezione, e le aiutava a rialzarsi
da terra. Dietro a questi tre spettri si precipitò una folla di arabi
armati, di donne, di pezzenti, di bimbi; e tutta quella barbarie, tutto
quel furore, tutto quell'orrendo cumulo di miseria umana, irruppe nella
piazza e scomparve.
* * * * *
Un altro bello spettacolo, che s'ebbe a Tangeri, fu quello delle feste
per la nascita di Maometto; e mi fece un'impressione anche più viva
perchè mi ci trovai dinanzi, posso dire, all'impensata.
Tornando da una passeggiata sulla riva del mare, sentii alcuni colpi di
fucile dalla parte del Soc di Barra; v'accorsi e sul primo momento non
riconobbi più il luogo. Il Soc di Barra era trasfigurato. Dalle mura
della città fino alla sommità della collina v'era formicolìo d'arabi,
una folla tutta bianca, straordinariamente animata. Saranno state
tremila persone, ma sparse e raggruppate in maniera che parevano
innumerevoli. Era un'illusione ottica singolarissima. Su tutti i rialti
del terreno, come sopra altrettante loggie, v'erano gruppi di arabe
sedute all'orientale, immobili, rivolte verso la parte bassa del Soc.
Qui, da una parte, la folla divisa in due ali lasciava libero un grande
spazio a un drappello di cavalieri che si slanciavano alla carriera,
schierati di fronte, sparando i loro fucili lunghissimi; dall'altra
parte, v'erano grandi cerchi d'arabi, uomini e donne, in mezzo ai quali
davano spettacolo giocatori di palla, tiratori di scherma, incantatori
di serpenti, ballerini, cantastorie, suonatori, soldati. Sull'alto della
collina, sotto una tenda conica, aperta sul davanti, biancheggiava
l'enorme turbante del vice-governatore di Tangeri, il quale presiedeva
alla festa, seduto in terra, in mezzo a una corona di mori. Di lassù si
vedevano giù in mezzo alla folla i soldati delle Legazioni vestiti dei
loro pomposi caffettani rossi, qualche cappello cilindrico, qualche
ombrella di consolessa, e i pittori Ussi e Biseo coll'album e la matita
in mano; di là dalla folla, Tangeri; di là da Tangeri, il mare. Lo
strepito delle fucilate, gli urli dei cavalieri, lo scampanellìo degli
acquaioli, le grida festose delle donne, il suono dei pifferi, dei
corni, dei tamburi, formavano tutt'insieme un frastuono inaudito, che
rendeva più strano ancora quello spettacolo selvaggio, irradiato dalla
luce sfolgorante del mezzogiorno.
La curiosità mi spingeva da dieci parti in un punto. Ma un grido
d'ammirazione, partito da un gruppo di donne, mi fece correr prima dai
cavalieri. Erano dodici soldati di alta statura, col fez a punta, la
cappa bianca, i caffettani aranciati, azzurrini e rossi, e fra loro un
ragazzo vestito con femminile eleganza, figlio del governatore del Rif.
Si schieravano ai piedi delle mura della città, rivolti verso la
campagna; il figlio del governatore, nel mezzo, alzava la mano, e si
slanciavano tutti insieme alla carriera. Nei primi passi v'era un po'
d'incertezza e un po' di disordine. Poi quei dodici cavalli, stretti,
sfrenati, ventre a terra, non formavano più che un solo corpo, un mostro
furioso, di dodici teste e di cento colori, che divorava la via. Allora
i cavalieri, inchiodati sulle selle, colla fronte alta, colla cappa al
vento, alzavano i fucili sopra la testa, li stringevano con un movimento
convulso contro le spalle, sparavano tutti insieme gettando un urlo di
trionfo e di rabbia, e sparivano in un nuvolo di polvere e di fumo.
Pochi momenti dopo tornavano indietro lentamente, in disordine, i
cavalli schiumosi e insanguinati, i cavalieri in atteggiamento stanco e
superbo, e in capo ad alcuni minuti ricominciavano. Ad ogni nuova
scarica, le donne arabe, come le dame dei tornei, salutavano il
drappello con un gridìo loro proprio, che è una ripetizione rapidissima
del monosillabo: _Iù_, simile a un trillo acuto di gioia infantile.
Di là passai al giuoco della palla. Erano una quindicina d'arabi,
ragazzi, uomini maturi e vecchi colla barba bianca, alcuni col fucile a
tracolla, altri colla sciabola, e giocavano con una palla di cuoio
grossa come un arancio. Uno la pigliava, la lasciava cadere e la
ributtava in alto con un colpo del piede; tutti gli altri correvano per
coglierla in aria; chi la coglieva, rifaceva l'atto del primo; e così il
gruppo dei giocatori, seguitando la palla, s'allontanava man mano, e
poi, di comune accordo, tornavano tutti insieme nel luogo di dov'eran
partiti. Ma il curioso di questo gioco stava nei movimenti delle
persone. Erano passi di ballo, gesti misurati, atteggiamenti di mimi, un
fare quasi cerimonioso, una certa apparenza di contraddanza, un non so
che di severo e di molle insieme, ed una corrispondenza di mosse e di
giri, in quell'andare e venire, di cui non mi riuscì di scoprire la
legge. Correvano e saltellavano tutti insieme in un piccolo spazio, si
serravano, si rimescolavano, e non seguiva mai un urto, nè il più
leggero scompiglio. La palla s'alzava, spariva, balzava in mezzo a
quelle gambe e al disopra di quelle teste, come se nessuno la toccasse,
e fosse rigirata in quella maniera da due venti contrarii. E tutto quel
movimento non era accompagnato nè da una parola, nè da un grido, nè da
un sorriso. Vecchi e ragazzi, eran tutti egualmente seri, silenziosi e
intenti al gioco, come a un lavoro obbligato e triste, e non si sentiva
che il suono dei respiri affannosi e il fruscìo delle pantofole.
A pochi passi di là, in mezzo a un altro circolo di spettatori,
ballavano dei neri, al suono d'un piffero e d'un piccolo tamburo di
forma conica, battuto con un pezzo di legno ritorto a mezzaluna. Erano
otto omaccioni, neri e lucidi come l'ebano, senz'altro addosso che una
lunga camicia bianchissima, stretta alla cintura da un grosso cordone
verde. Sette si tenevano per mano, disposti in cerchio, l'ottavo era in
mezzo, e ballavano tutti insieme o piuttosto accompagnavano la musica,
senza quasi cangiar di posto, con un movimento di fianchi da non
descriversi, che mi metteva un forte prurito nelle punte dei piedi, e
quel sorriso di satiri, quell'espressione di beatitudine stupida e di
voluttà bestiale, che è tutta propria della razza nera. Mentre stavo
guardando questa scena, due ragazzi di una decina d'anni ciascuno,
ch'erano fra gli spettatori, mi diedero un saggio della ferocia del
sangue arabo, che non dimenticherò per un pezzo. Improvvisamente, non
so per che ragione, si saltarono addosso, si avviticchiarono l'uno
all'altro come due tigri, e cominciarono a lacerarsi il viso e il collo
a morsi e a unghiate con una furia che metteva orrore. Due uomini
robusti, usando di tutta la loro forza, li separarono a stento, già
sgocciolanti di sangue, e dovettero trattenerli ancora perchè non
tornassero ad avvinghiarsi.
Gli schermitori facevan ridere. Eran quattro, e tiravano di bastone a
due a due. Non si può dire la stravaganza e la goffaggine di quella
_scuola;_ e la chiamo scuola perchè in altre città del Marocco vidi poi
che tiravano nella stessa maniera. Eran mosse da funamboli, salti senza
scopo, contorsioni, sgambettate, e colpi annunziati un minuto prima con
un gran giro del braccio; ogni cosa fatta con una flemma beata, che
avrebbe dato modo a un nostro tiratore di addossare a tutti quattro un
prodigioso carico di legnate senza pericolo di toccarne una sola. Gli
arabi spettatori, però, stavano là a bocca aperta, e molti di tratto in
tratto mi guardavano, come per cercare nei miei occhi l'espressione
della meraviglia. Io volli contentarli e finsi un'ammirazione benevola.
Allora qualcuno si scansò perchè potessi spingermi un po' più avanti, ed
io mi trovai circondato, stretto da ogni parte dagli arabi, e potei
soddisfare il mio desiderio di studiare un po' quella gente nel suo
odore, nei movimenti appena percettibili delle narici, delle labbra e
delle palpebre, nei segni della pelle, in tutto ciò che sfugge
all'osservatore che passa, e serve nonostante a far capir molte cose. Un
soldato della Legazione italiana mi vide da lontano in quella stretta, e
credendo che fossi prigioniero involontario, venne a liberarmi, mio
malgrado, a suon di gomitate e di pugni.
Il cerchio del contastorie era il più piccolo, ma il più bello. Ci
arrivai giusto nel momento in cui, avendo terminato la solita preghiera
inaugurale, cominciava il racconto. Era un uomo d'una cinquantina
d'anni, quasi nero, con una barba nerissima e due grandi occhi
scintillanti, ravvolto, come tutti gli altri raccontatori del Marocco,
in un amplissimo panno bianco stretto intorno al capo da una corda di
pelo di cammello, che gli dava la maestà d'un sacerdote antico. Parlava
a voce alta e lenta, ritto in mezzo al circolo degli uditori,
accompagnato sommessamente da due suonatori di chiarina e di tamburo.
Raccontava forse una storia d'amore, le avventure d'un bandito famoso,
le vicende d'un sultano. Io non ne capivo una parola. Ma il suo gesto
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Marocco - 04
  • Parts
  • Marocco - 01
    Total number of words is 4452
    Total number of unique words is 1839
    33.2 of words are in the 2000 most common words
    48.9 of words are in the 5000 most common words
    56.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 02
    Total number of words is 4471
    Total number of unique words is 1879
    32.3 of words are in the 2000 most common words
    47.4 of words are in the 5000 most common words
    55.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 03
    Total number of words is 4587
    Total number of unique words is 1810
    33.3 of words are in the 2000 most common words
    47.6 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 04
    Total number of words is 4474
    Total number of unique words is 1853
    34.6 of words are in the 2000 most common words
    49.7 of words are in the 5000 most common words
    57.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 05
    Total number of words is 4316
    Total number of unique words is 1711
    33.8 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    56.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 06
    Total number of words is 4461
    Total number of unique words is 1744
    33.4 of words are in the 2000 most common words
    48.4 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 07
    Total number of words is 4355
    Total number of unique words is 1834
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    48.3 of words are in the 5000 most common words
    55.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 08
    Total number of words is 4364
    Total number of unique words is 1807
    32.5 of words are in the 2000 most common words
    47.7 of words are in the 5000 most common words
    55.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 09
    Total number of words is 4469
    Total number of unique words is 1809
    32.0 of words are in the 2000 most common words
    47.5 of words are in the 5000 most common words
    53.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 10
    Total number of words is 4581
    Total number of unique words is 1822
    33.5 of words are in the 2000 most common words
    50.5 of words are in the 5000 most common words
    58.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 11
    Total number of words is 4489
    Total number of unique words is 1824
    33.1 of words are in the 2000 most common words
    47.0 of words are in the 5000 most common words
    54.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 12
    Total number of words is 4496
    Total number of unique words is 1772
    31.6 of words are in the 2000 most common words
    46.8 of words are in the 5000 most common words
    54.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 13
    Total number of words is 4460
    Total number of unique words is 1795
    35.6 of words are in the 2000 most common words
    49.8 of words are in the 5000 most common words
    57.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 14
    Total number of words is 4446
    Total number of unique words is 1773
    34.5 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    57.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 15
    Total number of words is 4463
    Total number of unique words is 1854
    34.0 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    56.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 16
    Total number of words is 4494
    Total number of unique words is 1872
    35.3 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    59.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 17
    Total number of words is 4449
    Total number of unique words is 1884
    34.5 of words are in the 2000 most common words
    50.1 of words are in the 5000 most common words
    57.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 18
    Total number of words is 4565
    Total number of unique words is 1814
    36.0 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    58.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 19
    Total number of words is 4492
    Total number of unique words is 1820
    35.0 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    58.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 20
    Total number of words is 4452
    Total number of unique words is 1777
    34.2 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    56.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Marocco - 21
    Total number of words is 3884
    Total number of unique words is 1577
    37.7 of words are in the 2000 most common words
    52.3 of words are in the 5000 most common words
    60.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.