Margherita Pusterla: Racconto storico - 26

sperare d'alleggerir il primo? Per cagion mia non s'è pianto assai?»
Risolveva dunque di guadagnarlo a denaro--In tal caso (pensava egli)
l'avrà voluto da sè, qualunque cosa accada. Ma ancora, e quando siano
tratti di carcere? Come camparli se di fuori nessuno mi dà mano, se
nessuno mi prepara l'occorrente alla fuga? Darmi io stesso in traccia dei
cavalli? noleggiarli io? postarli? mi darei nell'occhio: potrei essere
indicato, e mandare tutto in fumo. Ne andasse solo la mia vita, non
esiterei; ma la loro! Dunque è forza mettersi in mano di qualche altro.
Ma a chi far capo?... Non ho io già troppo caro pagata l'aver una volta
creduto ad alcuno? E poi che sozzura d'uomini non mi son veduto d'attorno?
I più vi credono pazzo se vi prendete affanni per altrui: quelli di
miglior pasta v'ajuterebbero anche, purchè ciò non ne guastasse gli
agi, non rompesse i sonni, non tardasse il pranzo, sovratutto non
disgustasse i superiori. I giovani chiamano merito il potere; i gradi, le
dovizie; e politica e sapienza il conoscere l'arte di procacciarsene; i
vecchi erigono in virtù l'impotenza dei loro desideri; i pochi generosi
giaciono sviliti, e contenti di guajolare e di bramare. O uomini! uomini!
tutti tristi, corruttibili e corrotti; nominate prudenza la scaltrezza;
virtù la dissimulazione; vizio necessario la falsità: il potere vi
sgomenta; l'astuzia vi divide; l'oro vi compra; l'aspetto dell'innocenza
non fa che allettarvi ad ingannarla!»


CAPITOLO XIX.
FUGA.

Così esclamava Alpinolo nell'amarezza del cuore, quando al suo
abbattimento trovava unico appoggio il disprezzo; ma poi a molte eccezioni
gli andava la mente, e sopratutto a una persona, sulla quale sentiva di non
poter dubitare: fratel Buonvicino. A lui avrebbe potuto aprire alla libera
il suo pensiero; a lui che, tornando, avea trovato tale appunto qual nel
fuggire lo aveva lasciato; ma qui medesimamente v'eran ostacoli,
esitazioni, paure.--Se gli spiego tutta questa matassa (egli pensava), mi
riprenderà; vorrà far prediche; troverà un mondo di ragioni da
opporre; la prudenza sarà d'impaccio al coraggio; vorrà la meta e non
la via che vi conduce; parlerà di giustizia, quasi al mondo ve ne sia
più la semenza. Sebbene... giustizia? non è egli diritto l'adoprare
ogni sorta di armi contro chi ogni sorta ne adopera a danno
dell'umanità? E che? Dunque il ribaldo perchè non teme l'inferno,
sarà tanto avvantaggiato sopra il giusto? Perdonare!... soffrire!...
Sì! sì! belle parole: ma non fanno che crescere baldanza in chi mette
il piede sul collo all'umanità. E poi alla fine, che male può
tornarne? O l'effetto mi riesce a disegno, ed ecco salvata l'innocenza,
ecco impedito un delitto, ecco lavatami dalla coscienza questa macchia,
questo verme che nè giorno nè notte riposa. Se il tentativo fallisce,
se la fortuna mi disajuta... pei Pusterla nulla è peggiorato. Non sono
essi già al colmo del pericolo e della miseria, dacchè si trovano in
tali mani? E quando pure ne accelerassi di alcuni giorni la morte, non è
acquisto il sottrarli più presto alla barbarie dei manigoldi? Quanto a
me la vita mia cessò da un pezzo di appartenermi: è appassita prima
di neppur sviluppare intero il suo fiore. Come potrei spenderla meglio che
tentando lo scampo degli innocenti? Se muojo, avrò soddisfatto in parte
al grande obbligo che mi rimane a scontare: troverò finalmente la
quiete... cesserò di fremere, di esecrare.
Durata molti giorni la lotta coi suoi pensieri, e sempre più
riconfermandosi di tentare ad ogni costo l'impresa, deliberò di rivelare
al frate quel tanto solo che fosse indispensabile, cioè il fine, non i
modi. Un dì, tra il chiaro e il fosco, si conduce al convento di Brera;
contempla un momento quella soglia, ricordandosi con qual devota
gratitudine l'avesse baciata il giorno che vide sopra di essa salvato il
Pusterla; e al portinajo chiede di veder frà Buonvicino.
Angiolgabriello da Concorezzo, antica nostra conoscenza, nol misurò da
capo a piedi coll'occhiata scrutatrice, abituale ne' portinaj ma, tutto
dolcezza e benevolenza, rispose:--Fratel Buonvicino? Volete forse
confessarvi, signor soldato? Dio vi benedica! entrate in chiesa; lo
chiamerò. Vado e torno.
--No, non l'incomodate; se c'è, anderò io stesso alla sua cella. So
dove sta.
--Ah, siete pratico della casa? Lo conoscete quel sant'uomo?» e qui
cominciava per recitare una leggenda di sue virtù, ma come vide che
Alpinolo gli avea vôlte le spalle, badandogli come un pedante al buon
senso, gli esclamò dietro:--Passate, passate pure, che Dio vi
benedica!»
Stava frà Buonvicino nella piccola camera, le cui masserizie, secondo la
regola, si riducevan al paglione con un capezzale e due lenzuola di lana e
a un predellino di legno. Su questo sedeva il frate, inchinata la fronte,
le mani intrecciate sulle ginocchia, cogli occhi fissi sopra un qual si
fosse oggetto indifferente, e senza vederlo. Alle rughe anticipate della
sua fronte, alle guancie pallide e scarne, all'occhio affossato, ognuno
avrebbe potuto dire «Per costui il pensare è soffrire»; ma nel
dolore di esso non v'era abbattimento, e potevasi scorgervi frammista una
speranza--o forse una memoria.
Al passo incerto, all'ansioso occheggiare, al tono della voce, ben
avvisò frà Buonvicino nel soldato qualche cosa di straordinario;
onde, sorto dal meditabondo riposo, se gli fece incontro col consueto
saluto:--La pace sia con voi, o fratello».
Non rispose l'altro al benedetto augurio se non interrogando:
--Padre, siamo soli?
--Soli con Dio.
--Nessun pericolo che altri c'intenda?
--Nessuno», rispose il frate, e fissava attentamente il nuovo arrivato,
il quale, fattosegli più vicino, chiese:
--Padre, amate voi Margherita? la Pusterla?»
A una domanda così inaspettata, una domanda che egli schivava di fare a
sè stesso, per quanto la maestà della sventura avesse resa più
venerabile e santa agli occhi suoi quella che un tempo aveva amata d'amore,
tutto si risentì frà Buonvicino: rizzò la testa abbattuta, pose la
mano sulla bocca del soldato, come per imporgli silenzio, rabbattè
attentamente l'uscio e l'impannata della celletta; indi, afferrando il
braccio dell'ignoto,--Ma voi chi siete?
--Sotto le spoglie del vile prezzolato, non mi riconoscete, fratel
Buonvicino?»
Dai patimenti, dal nuovo abito e dall'arte sfigurato, tardava Buonvicino a
ravvisarlo; poi, come l'altro si nominò, anch'egli, con tono di
meraviglia e di interrogazione, ripetè:
--Alpinolo?» poi ne strinse fra le mani il capo, e,--Figliuol mio! tu
qui? Come ardisci rimanere? Perchè cotesta divisa--tu?»
Alpinolo, alla presta e con termini di viva esecrazione, senza perdonare a
sè stesso, gli espose il seguito delle sue avventure; la parte che aveva
avuta al disastro del Pusterla, il tradimento di Ramengo, che fece
raccapricciare il frate, e che gli scoperse di tratto una serie di
iniquità, quali non aveva sospettate possibili.
--Ora comprendo (esclamava) perchè Ramengo è tornato sicuro, mette
casa riccamente, e si allegra, e par che dica all'anima sua, _Godi, esulta,
abbiam trovato il nostro riposo._ Ma tu, per amor del cielo, come sei tu
qui? perchè?»
E Alpinolo,--Come io sia venuto e perchè sotto queste divise, è un
segreto ch'io giurai di non manifestare: non vi riuscirà però
difficile l'apporvi.
--Sciagurato! un assassinio?...» prorompeva frà Buonvicino,
respingendolo dalle braccia tra cui lo teneva serrato a guisa di un padre
che accoglie al pentimento un traviato figliuolo.
--Padre (interrompeva quell'altro l'incominciato rimprovero) qualunque
vostra ammonizione sarebbe fuor di luogo e di tempo. Così avessi avuto
il coraggio! Ma più di quel che potreste dirmi ora a voce, mi disse e mi
dice sempre la vostra immagine, che tratto tratto mi si affaccia a ripetere
quei consigli che m'avete dati tante volte in mia fanciullezza. Ora però
non sono qui per questo. Rispondete: amate voi Margherita? il Pusterla?
--Se gli amo!» esclamò l'Umiliato, e corrugò la fronte guardando
il cielo con un sospiro.
--Ebbene, dovete darmi mano a salvarli.
--Salvarli? Oh come?» domandò con ansietà frà Buonvicino; e
come, quando nel bujo di una camera divampi il zolfanello, di subito rompe
le tenebre una gaja luce, che poi immediatamente spegnendosi, lascia di
nuovo al bujo, così nell'occhio di frà Buonvicino lampeggiò una
gioja vivissima, ma passeggiera; all'istante un melanconico velo gli
ottenebrò la fronte, e le esclamazioni di allegrezza finirono in un
doloroso ohimè. Poi soggiunse:--Ah garzone, garzone! tu sei ancora quel
desso; ancora non hai abbastanza imparato a che possa trascinarti cotesta
foga intemperata, cotesto operar sempre, e non riflettere mai. Tu precipiti
te stesso e loro.
--Padre, (replicava l'altro) il mezzo, a dirvelo, è meglio nol
conosciate; sull'esito però ho calcolato abbastanza: e, se il diavolo
non vi mette... cioè, se l'accidente... Insomma, anderà bene. Andasse
anche male, ad essi che può risultar di peggio? Quanto a me, della vita
mia non devo conto a nessuno.
--No? nemmeno a Colui che te l'ha data, e che può chiederti perchè
l'hai gettata, innanzi che egli medesimo te la ridomandasse? Non sono
davanti a lui eguali l'assassino e il suicida?»
Stette un momento sopra pensiero Alpinolo, poi, stringendo ancora la mano
al frate, ripigliava:--Vivete pur tranquillo su quanto riguarda me. Il
cuore mi dice che nessun male ne avverrà. Proprio dal cuore mi viene
questa potente ispirazione, e le ispirazioni di raro ingannano».
Tentennò il capo frà Buonvicino, e, posandogli l'altra mano
amorevolmente sulla spalla,--O figliuolo! e cotesta ispirazione da chi
l'hai tu implorata? hai tu pregato mai con fede Iddio?
--Iddio! (interrompeva il giovane) c'è egli proprio questo Dio?» E,
subito correggendosi,--Ah, sì, certo, egli vi è: vi deve essere per
aver creato la Margherita, per aver tratto con sè mia madre in paradiso.
Ma in paradiso che fa egli? perchè non reprime l'iniquità? perchè
lascia il reprobo mangiare in pace il pane delle delizie, mentre il giusto
affanna ai suoi piedi? Perchè il Pusterla è in carcere, e Ramengo fra
gli agi? Perchè voi qui a gemere sulle miserie comuni, e Luchino in
trono a moltiplicarle?
--Di poca fede! (replicava frà Buonvicino con un sospiro) Chi t'ha dato
il diritto di scandagliare l'inesplorabile abisso della Provvidenza? Giusto
è Dio, e i suoi giudizj sono veri e approvati per sè stessi; l'uomo
li riverisca, nè presuma comprenderli. Pure tu, sei tu entrato nel cuore
dell'empio e del savio? Hai visto quel che si nasconde sotto le bugiarde
apparenze del godimento e delle pene; dell'umiliazione e del trionfo? Che
se anche in terra questo patisce e quello esulta, forse che il regno di Dio
finisce fra gli angusti confini di questa vita? Sarà giorno, quando, in
bilancie assai diverse da quelle dell'uomo, staranno il riso e i patimenti,
le soperchierie e la pazienza: quando i fortunati udranno dirsi: la vostra
porzione di beni già l'avete tocca in terra. Frattanto ti viene lezzo
dell'iniquità che domina il mondo? della mal provvista distribuzione di
ciò che il secolo chiama beni e mali? Torci da loro, e forbendoti del
fango, solleva il pensiero sopra queste lotte terrene, e pensa a Dio, e
prega Dio».
Soprastava l'altro così un poco, siccome in meditazione, poi
ripigliava:--Pregare! Quanto tempo ch'io non prego Dio di vero cuore! Oh,
mi ricordo, allorchè fanciullo, col signor Ottorino, colla Margherita,
io veniva a questo chiostro, in questa chiesa, e il dolce nome di padre,
che non potevo dare a nessun uomo, lo davo a Quello che è nei cieli, e
pregavo, e svelavo i miei peccati, i miei pensieri a un buon sacerdote;
questo mi benediceva, sicchè, tranquillo e consolato, io me ne partiva
siccome un angioletto. Che dolcezze! che giorni! Ora sono perduti, e
irreparabilmente.
--Ma chi ti toglie (soggiungeva il frate, con premurosa amorevolezza) chi
ti toglie di far altrettanto, qualora tu il voglia, in questo medesimo
istante? Credi forse esausti i tesori della misericordia? quel Padre non
è sempre là colle braccia aperte ad aspettarti? Che non rispondi alle
sue chiamate?
--No, no, (replicava il giovane con tono deliberato) no! impossibile!
impossibile! Finchè un odio bollente, sanguinario mi parla solo di
vendetta, come potrei? come ardirei? No, no; verrà tempo: son giovane;
forse non durerà sempre a questo modo. Oh allora!... Ma adesso a quel
che importa... Io mi apersi con voi, perchè in voi solo ho fiducia. Non
venni per chiedervi parere: gli è un perder tempo il tentare di
stornarmi. Ho bisogno di voi. Rispondetemi risoluto. Se io trovo modo di
consegnare a voi il Pusterla e la sua donna, prendete sopra di voi di
ridurli a salvamento?
--Così Dio m'ajuti come il farò! me ne dovesse costare la vita! Ma...
--Ebbene, sia vostra cura che, in tutte le seguenti notti, tre cavalli di
gran lena siano lesti a quell'enorme noce, sapete? là a mezzo della
strada di Quadronno, di costa alla vigna di Susone dei Cantù. Il vulgo
racconta non so quali paurose fole di quel luogo, di quella pianta, di
streghe, di tregenda, di sabati; e però nessuno vi bazzica; onde è
opportunissima per chi non patisca di queste ubbie».
Il frate taceva, pensava, come chi è preso da un desiderio senza
speranza; e il giovane, con accorata insistenza, ripigliava:--Vi domando
pur poco! Lo farete voi? A ogni modo, se vi ricusate, non sarà che un
crescere i pericoli a me e a loro. Lo farete?»
Frà Buonvicino, deciso meno dagli argomenti del giovane che dalle
ragioni librate fra sè, sollevò la fronte depressa, e con aria di
tranquilla energia, ben diversa dalla impetuosa temerità di Alpinolo,
rispose:--Lo farò.
--Deh, siate benedetto!» esclamò Alpinolo con effusione di gioja
riconoscente, stringendogli con ambe le mani la destra, e baciandola e
ribaciandola; poi, divisati i luoghi, distintamente accordata ogni cosa,
già si avviava a partire, quando si rivolse, e, messo a terra il
ginocchio,--Un'altra grazia, o padre: beneditemi».
Il frate, commosso, posò le palme sopra il capo inchinato di Alpinolo,
e,--Dio ti benedica! voglia insinuarti uno spirito di amore, di prudenza,
che temperi cotesta impetuosa volontà...»
Nè finì, sentendosi intenerire ai singhiozzi di Alpinolo, il quale,
come rimproverandosi questa commozione, si levò, e precipitossi fuori
della cella, misurò rapidamente il corridojo, illuminato da un fioco
lampione, e, giuntone in capo, si volse, rimirò il frate, il quale
ancora dalla soglia gli accennava colla mano, e si dileguò.
Tali concerti ritornarono ad Alpinolo tutta la baldanza del pensiero, e
provò la confidenza che ispira una robusta deliberazione, tanto
somigliante alla soddisfazione di un disegno compito. La sera dopo, era
egli sciolto del servizio, onde si condusse verso Quadronno per vedere se
il frate vi stesse, secondo l'intelligenza. Scontrò un ragazzo il quale
a furia scappava, e quando vide Alpinolo,--Signor soldato, (gli gridò)
non andate in là. Al noce v'è una frotta di diavoli in forma di
cavalli»; e continuò a correre verso la città come spiritato; e
tutta la vita sua seguitò a dire a chi non credeva, che stregoni e
demonj e tregende erano cose di fatto, e che egli ne aveva l'esperienza dei
proprj sensi;--esperienza infallibile, come dicono i filosofi.
In fatto Alpinolo, accostatosi presso al noce concertato, vide tre cavalli
in ordine con un famiglio che li teneva: e se le tenebre non avessero
impedito la vista, poco quindi lontano, dietro ad una macchia, avrebbe
scorto il frate che durava in orazioni e in aspettazione. A ogni stormir di
foglia, a ogni susurrare del vento autunnale fra i pampani della vigna,
risentivasi frà Buonvicino, e guardava; poi, a ora a ora alzavasi a
mirare verso la porta Romana se alcuno arrivasse, e sempre se ne torceva
deluso. Veder una volta ancora la Margherita, vederla salvata dall'abisso
ove l'avea fatta perduta, darle la buona andata, poi tornarsene a
raccomandarla al Signore, queste erano le fantasie che lusingavano il
povero frate; e la delizia di saperla una volta contenta co' suoi cari,
tanto più cari dopo tanto vicendevole patire. Ma poi le infinite
difficoltà se gli affacciavano, e disperava, e cadeva colla fronte sulla
terra pregando e singhiozzando.
L'altro domani toccava ad Alpinolo montare la guardia; e solo allora
legò col carceriere il discorso che abbiamo riferito, per non lasciargli
tempo a riflettere, e per tenergli le mani ne' capelli. Con esso rimase
d'accordo che, quando egli, dopo la scolta che a momenti verrebbe a
rilevarlo, entrerebbe ancora in sentinella, farebbero uscire i due dalla
prigione, e per la guardina del carceriere, scendere in un cortiletto
posteriore, dov'era la porta del soccorso, non divisa dallo spianato che
per un fossatello largo un passo.
Abbiamo già fatto avvertire come la Rocchetta non fosse ridotta a
compimento; molte parti ancora imperfette di mura; non approfondita la
fossa; lavori tutti che erano stati sospesi perchè il luogo
riconoscevasi non abbastanza addatto; per la qual cosa venne poi
abbandonato, fabbricando invece il forte dall'altra banda verso San Nazaro.
Tutto ciò agevolava un'evasione.--I soldati (diceva Alpinolo) se la
dormiranno a quell'ora così tarda; benchè la luna sia nel suo pieno,
è però questa sera adombrata da nuvoloni minacciosi, talchè
l'oscurità ci darà favore. Se possiamo procedere senza rumore, niente
più facile che andar fuori.
--Come poi sarete fuori (soggiungeva Macaruffo) pensateci voi; che, quanto
a me, m'allaccio le scarpe, e la do per la campagna senza guardarmi ai
piedi, finchè non sento rumoreggiare il fiume d'Imagna».
Poco dopo venne un soldato a dare lo scambio ad Alpinolo; venne
sbadigliando e divincolandosi come chi allora si sdormenta, e dicendogli
con una voce sonnacchiosa:--Avevo attaccato di gusto. Te beato, o
Quattrodita, che hai dinanzi due belle ore da dormire della grossa!»
Alpinolo gli cedette il posto senza lasciare scorger nulla e si ritirò
nel camerotto; si ritirò, ma (lo crederete agevolmente) tutt'altro che a
riposo; bensì all'agitazione naturale del tempo che scorre fra la
deliberazione d'un disegno pericoloso e l'effettuarlo. Terribile tempo,
quando tutte le forze dell'anima stanno assorte in quel pensiero, in
quell'avvenire così vicino e forse così lontano; in un avvenimento,
che fu lungo tempo meditato, svolto, blandito, e che sarà condotto a
termine fra pochi istanti, o non più! Come gente che si accalchi a udire
una ambita novella, così mille idee di possibili pericoli si affollano
alla mente, e dietro a queste altrettanti spedienti per ripararvi; tutti
gli scorre l'intelletto, a nessuno s'appiglia. Ora una fidata speranza
già trasporta l'uomo al momento dopo... Gli vedresti allora l'occhio
scintillare, allungarsi le labbra ad un sorriso. Poi la riflessione slancia
attraverso all'immaginativa un cupo spavento; ostacoli insormontabili tra
il frutto e la mano, ogni cosa scoperta, sventata; allora il ciglio si
rabbuja, aggrinzasi la fronte, un ribrezzo invade la persona, i capelli
s'arricciano, il sangue rigurgita al cuore, e un freddo sudore cola giù
per le guancie.
In questo sogno immaginoso passavano Alpinolo e Macaruffo le due ore,--ore
lente come il passo della morte. Il giovane computava ormai imminente
l'istante che riscatterebbe ogni suo errore, restituirebbe alla libertà
e all'onore vittime innocenti, farebbe per astio amarissimo al tiranno
molte giornate. Gli pareva già vedere i Pusterla mettere il piede fuor
della Rocchetta;--Ecco i cavalli; si monta; si sprona.--Addio, Milano!
domattina trovano il carcere vuoto; che rodimento il signor Luchino! ha da
mettere più di sei e più di dodici capelli canuti. Invano tenta
soffocare il dispetto fra le tazze e le lascivie e il concetto di nuovi
oltraggi.--E Ramengo? vedersi sfuggire le sue vittime--mancargli sotto la
base, su cui ideava sollevare la scellerata sua grandezza--sapere liberi e
lontani quelli che alzerebbero la voce a proclamarlo infame, traditore,
spia!--Presto, cavalli su tutte le direzioni ad inseguirci.--Eh sì! noi
siamo in sicuro. Si va; si rivede il tugurio de' mugnaj che curarono la
bambina mia vita; ci tragittano; voliamo di là, troviamo i
fratelli.--Qual gioja d'essere ancora fra cuori consenzienti, poter ancora
fremere, bestemmiare!
--_L'hai tu scannato quel maledetto?_ mi domandano: _No, ma ho fatto dì
--meglio: ho strappato due vittime di bocca al biscione._--Sono conosciuti,
--festeggiati; la vista loro rinfuoca gli sdegni, rinfresca la memoria di
--quanto patì ciascuno; più non è che un fremere d'armi: ci
--uniamo: vendetta è il nostro grido; si muove sopra Milano; il popolo,
--sazio della costui tirannia, esce in folla ad ingrossare le nostre file;
--appena sa che appressiamo, la città rumoreggia: dà su e,
--_sant'Ambrogio, sant'Ambrogio!_ scannano quella sua caterva di scherani:
--e lui, quel cane... oh potess'io essere il fortunato, che, tra la mischia
--e non più da assassino lo incontrassi, lo abbattessi, gli piantassi
--questo pugnale nel cuore!»
Gli brillava dentro il coraggio, e con un moto macchinale che preveniva la
volontà, brandiva di fatti il pugnale in atto di chi mena un mandritto;
e soffiando, si sentiva andar tutto in sudore. Trasse di capo il morione;
colla palma terse la fronte, e anch'egli si pose a sedere sul pancone,
sopra il quale tranquillamente sdrajati russavano due dei suoi commilitoni.
Tenne il guardo biecamente fisso su loro:--Anime vendute! ministri della
prepotenza! Ancor due ore, ed avrò gettata di dosso l'infame vostra
assisa. Ancor due ore, e poi... E poi? forse da qui a due ore essi saranno
levati contro di me, addosso a me. Se si destassero? se udissero?--Ch'io
gli ammazzi?--Ma altre guardie vegliano là abbasso.--No; non ci voglio
pensare. Frà Buonvicino prega».
E cacciava quest'apprensione come un maligno fantasma; e quasi per
istordirsi diceva:--Che temere? dormono sodo. Importa assai a que' ghiotti
se stia per cadere il tiranno che ne ha comprato il valore! D'altri suoi
pari sono piene le città d'Italia, non mancherà chi li tolga a
stipendio per sicurezza de' suoi delitti e per isgomento della virtù
generosa».
Quindi, per far inganno a sè stesso, e mostrarsi ai proprj occhi
spensierato e sicuro, piegava il capo, e quasi si trattasse di deludere
altrui, fingeva addormentarsi.--Sì, addormentarsi! La coscienza d'un
gran pericolo, e non solamente suo, lo scoteva in fiero soprassalto;
acceleravano il battito le arterie: chi l'avesse esaminato, ne avrebbe
scorto il viso pallido, scontrafatto come il cadavere d'uomo violentemente
soffogato. Sentendosi mancar il respiro, si alzò: chiotto chiotto
affacciossi ad un finestrone alto e stretto, s'abbracciò ad un'esile
colonnina, posta a sorreggere due archetti acuminati che facevano il
vôlto; e sporto il capo fra lo stipite e quella, stette osservando la
cupa maestà della natura, addormentata nel fondo della mezza notte. Il
cielo era ingombro di nuvoloni, pregni di pioggia e di tempesta, che rapidi
pel fosco silenzio camminavano, cozzavano, accavalciavansi, come i pensieri
nel capo di esso.
--Oh, versassero almeno torrenti di acqua! rumoreggiasse il tuono,
sicchè, fra il crosciare della pioggia e lo schianto dei fulmini,
andasse inascoltato ogni rumore de' passi nostri! Perchè... già
un passo basta a risvegliare questi mastini.--E allora?... Oh ma no:
tutto è silenzio, il tuono li desterebbe: meglio così. E la luna
sia velata, almeno sinchè abbiam valicato quel fossatello. Allora,
giù pei campi... il desiderio di libertà impenna l'ale a
quegl'infelici.--Quanti ringraziamenti! quanto ben me ne
vogliono!--No, no; ora non è tempo di parole, di ringraziamenti;
lesti al noce; colà sono i cavalli...»
E l'occhio di lui correva via via per la pianura, colla celerità che
augurava possibile ai passi fuggitivi. La campagna era posseduta dalla
sorda bonaccia che suole precedere lo scoppio della tempesta.--Fra poco
(rifletteva Alpinolo) quella quiete sarà rotta dallo scalpitare de' tre
cavalli che ci porteranno lontani da questa maledetta Milano».
E spiegando verso la città il pugno, in atto di chi slancia un sasso,
rizzavasi, e incrociate le braccia sul petto anelante, si poneva a
riguardarla.
--Anche colà tutto dorme. Dorme il povero, trovando nel sonno tregua
alla fame, mal saziata col tozzo che o un ostinato lavoro o la superba
carità del dovizioso gli procacciarono; dorme il ricco, smaltendo la
sovrabbondante cena; dormono i forti concordi e i disuniti oppressi: dorme
il tiranno... Possibile che dorma esso, mentre tante voci gridano contro di
lui vendetta in cielo? mentre qua vegliano tanti per sua cagione, per
ordine suo, nel dolore beffato? mentre per lui son io tempestato così?
Eppure sì, dorme certo: non l'ho visto io dormire nel parco di
Belgiojoso? Che fa a lui il duolo, il pianto dei miseri, se quel duolo,
quel pianto ne assodano il potere?
--Ma i cittadini?... Dormono anch'essi. Oh, se non vegliarono mai neppure
di giorno! Se, cullati dalla pace tra le oziose braccia, hanno sempre gli
occhi chiusi ai torti, onde vengono oppressi ogni ora, ogni momento?
Vigliacchi! hanno veduto la rovina di tante persone lor care, e tacquero.
Che fa a loro il soffrire degli altri? E quand'anche toccano una nuova
sferzata dall'oppressore, si risentono un tratto, danno una volta stizzosa
pel letto gridando, _Come si sta male!_ poi rattaccano più sodo. Se
alcuno alza la testa, vede gli altri che dormono, e non l'odono o non gli
badano; onde per lo meglio tace, si adatta, e l'_ahi_ che preparava,
finisce in un _va bene_. Quando verremo a liberarli, non ci cureranno:
staranno forse contro di noi. Vigliacchi! Eppure tanti ne
conobb'io--generosi, pronti a versare il sangue per l'utile comune. Or dove
sono? Dove son più quei giorni? Ecco! appena diciannov'anni io conto, e
già rimpiango il passato come un vecchio che gemette sulla tomba di
tutti i suoi conoscenti!»
Lievemente ondeggiando il capo, cogli occhi aggravati da una spasmodica
veglia e colla bocca socchiusa, stava incantato a riguardare quei tetti,
quelle torri, su cui tratto tratto qualche nuvola squarciandosi versava un
raggio di luce, tanto chiaro quanto fugace. Adesso erano immagini lontane,
ch'egli cercava nelle proprie rimembranze; la fanciullezza sua, gli
spensierati trastulli, rive tranquille dove era destinato a trascorrere sua
vita, ignorando le iniquità degli uomini; accudendo un mulino,
insidiando ai pesci, ed imbandendoli la sera sulla mensa frugale, pari a
tutti gli altri mugnaj.
--Eppure no: chè essi hanno padre, madre, fratelli; io no, io nessuno!
io germogliato come il grano di segale che il vento trasportò in cima di
questa torre. Oh potessi almeno rimembrare di mia madre! potessi
richiamarmi i sorrisi, i vezzi onde m'avrà vagheggiato appena io nacqui,
e in quella sua terribile corsa giù pel fiume!»
Osservava in dito l'anello, il baciava e ribaciava.
--Avevo giurato di non ispiccarmelo se non morendo. Ora lo butterò in
gola all'avaro carceriere. Che importa! Trattasi di compire una buona
azione. Tu ne sei contenta, o madre: non è vero? Tu sei santa lassù,
e ti piace ch'io salvi quest'altra santa in terra».
E raddoppiava i baci intenerito.
--Ma mio padre? dov'è egli? perchè non lo conosco? Oh se lo sapessi!
se il rivedessi! una parola di lui basterebbe a formare la dolcezza di
tutta la mia vita; un suo consiglio temprerebbe questa foga rovinosa.
Vederlo, trovarlo ed esser beato--beato come nel paradiso!»
Nè con minore sospensione d'animo passava quel tempo Macaruffo. Seduto
per terra con una gamba distesa e coll'altra piegata in modo, che colle
giunte mani la reggeva al ginocchio, inchinato il capo sicchè tutta la
faccia rimaneva adombrata, guardava egli sottecchi dietro dietro al soldato
che sbadatamente passeggiava. L'aria fiera di quel soldato, la partigiana
che quegli recavasi in mano, e il cui ferro luccicante riverberava a
momenti la fievole luce del lampione, mettevano i brividi a Macaruffo.
Già gli pare d'essere scoperto, e vedersi quel guerriero venire incontro
a ferirlo; già sentesi il gelo di quell'arma in mezzo al ventre...