Margherita Pusterla: Racconto storico - 20
la prima furia! Dimenticava perfino di avere scoperto il nascondiglio del
Pusterla, dimenticava Luchino ed i premj sperati e le giurate vendette.
Quindi, col cuore palpitante, al modo che gli aveva palpitato nelle notti
che stette appostando il drudo della Rosalia, calossi verso Pisa in mezzo a
quei buoni Lombardi, i quali, intrecciati braccia con braccia, intonavano
le canzoni della patria loro,--canzoni che per l'esule finiscono sempre in
un sospiro!
CAPITOLO XV.
PADRE E FIGLIO.
Entrando nella città, ritrovarono tesi da parete a parete drappelloni
bianchi e vermigli, e filze di verzura secondo la stagione, che ivi
chiamano _le fiorite_; dai balconi e sui muri sfoggiavansi ricchi tappeti e
arazzi portati di Levante, e stoffe di seta, che alle Corti dei re parevano
ancora un lusso esorbitante, e qui abbondavano in mano di quegli attivi
negoziatori. In alcun luogo zampillavano fontane di vino, tra un'ingorda
ciurmaglia intenta a riceverlo nelle aperte bocche, od attingerne col cavo
della mano; in altri apparivano credenze e buffetti carichi d'ogni
rarità venute dal Mar Nero, dal Golfo Arabico, dal Baltico, e serbate in
memoria delle ardite e felici navigazioni. Brigate di giovani pisani, con a
capo i loro più valenti e denarosi signori, tutti divisati ad un modo,
con vesti di colori appariscenti, e briose cavalcature, movevano incontro
ai vegnenti e salutavano i nostri Lombardi, i quali rispondevano:--Addio,
Benedetto Lanfranchi!--Bel puledro, Nieri!--Passerino si discerne sempre
alle più ricche divise!--Viva Banduccio Buonconti!--e stavano ad
osservarli, mentre, dietro a gonfaloni con varie imprese e con motti
bizzarri e ingegnosi, a suon di nacchere, di tamburi, di zuffoletti, si
tiravano appresso la turba. Meno pompose venivano poi, dirigendosi al
tempio od al ponte, le arti e le maestranze, guidate dai loro abati, tutti
vestiti a una taglia, e tutti con un tal abbandono d'allegria, che Ramengo
non potè di meno di riflettere quanto a Luchino avrebbe dato gusto
l'avere un popolo così festivo, e quindi così facile a governare e
raggirare.
Udiva intanto un gridio, un trescamento di merciajuoli, che, colla bottega
ad armacollo, gridavano, a' bei vezzi, a' bei nastri, agli abitini, alle
crocette; di montanari che, al suono di ribecchini e tamburelli, facevano
ballare i cagnuoli e le marmotte; di Lucchesi che esibivano santini di
gesso, santa Zita, loro patrona, e santa Verdiana da Firenze, che dava a
pascere ai serpenti. Altrove si faceva cerchio attorno al cerretano dai
rimedj e dai segreti, od al cantastorie il quale mostrava sur un
cartellone, il disastroso allagamento di Firenze dell'anno 33,--quando,
(diceva esso) quest'Arno che vedete tanto quieto, straripò sulla
città, portando via bestiame, case, palagi e migliaja di persone, che
pareva il finimondo. Perchè non s'è portata via del tutto quella
città, che Pisa ne sarebbe più grande e più gloriosa?»
Così il cantafavole; e il popolaccio, con villano patriottismo, ne
secondava l'imprecazione, gridando:--Mora Firenze! e viva Pisa!» nè
volevasi ricordare che il ciurmadore istesso, poco prima o poco dopo,
avrebbe in Firenze augurato col rabbioso Ghibellino che la Capraja e la
Gorgona chiudessero la foce dell'Arno, sicchè in Pisa annegasse ogni
persona.
La genìa dei cerretani, e col nome proprio e con altri più onorevoli,
non s'è ancora estirpata, come ognun vede; bensì è finita
un'altra, che avea gran corso allora. Persone non d'ingegno, ma di memoria
e di fronte vetriata, ricorrevano a quei che sapessero far versi; e parte a
prezzo, parte per misericordia, parte per importunità, ne impetravano
alcune composizioni, italiane o provenzali, che poi, con grande enfasi e
gesti smaniosi, recitavano su per le fiere e nelle sale. Il Petrarca [23]
ci ha lasciato memoria di molti fra costoro, che gli vennero innanzi poveri
in canna, od ottenuti da lui alcuni sonetti, li rivide, pochi anni dopo,
ben in arnese, ben in carne e ben al soldo, mercè le largizioni degli
ammiratori.
Il poeta era dunque miglior mestiere che non oggidì, quando di simil
arte più non avanzò se non qualche improvvisatore, da assettar
piuttosto nella riga di quelli descritti innanzi.
Ramengo, infatti, ne intese di molti, i quali, in abiti bizzarri,
accompagnandosi colla ghironda e la mandòla, gridavano stanze e sonetti
appunto del Petrarca, di Cin da Pistoja, di Guido Cavalcanti, o leggende in
cui si ricordavano le antiche vittorie dei Pisani sopra i Saracini di
Sardegna, le imprese loro alle Crociate, il valore della Cinzica de'
Sismondi, le cortesi prodezze di Uguccione della Fagiuola; senza
dimenticare il conte Ugolino, sulla cui fine versavan tanto obbrobrio,
quanta dispettosa compassione v'avea profuso l'Alighieri.
Fra il latrato, la gioja, la curiosità del popolo, che non si ricordava
come la peste già irrompesse da ogni banda nel paese; che non si
sovveniva di aver avuto fame jeri, e che l'avrebbe domani ancora,
spingevansi i nostri Lombardi verso i varj posti dove sperassero scontrare
Alpinolo, e li seguiva Ramengo, al quale il cappuccio a gote dava il modo
di celarsi, quando mai imbattesse persona che gli convenisse evitare.
L'ansietà che doveva stringergli il cuore, non tolse ch'e' restasse
compreso di maraviglia nel veder quella stupenda piazza, ove nel mezzo
sorge la maestosa cattedrale; davanti, il battistero rotondo di San
Giovanni, e la torre inclinata, tutta a colonne; da lato, il Camposanto:
storia compita e parlante delle arti belle in Italia. Byron, anche ai
nostri giorni, chiamava quella piazza un sogno orientale; qual doveva
apparire colla mobile decorazione di una folla sterminata e vivace?
Fra la quale videro guizzare un Milanese, a cui, dando la voce, il Muralto
addomandò:--Ehi, Ottorino Borro, perdio tanta premura? Sapresti dirci
ove stia Alpinolo?
--Sta in prima fila per combattere al Ponte; là sono tutti i nostri
camerata. Corro a raggiungerli»; e si perdette tra la calca.
--Ma come gli entrò il ticchio (esclamava Ramengo) di mettersi a questo
inutile sbaraglio? Combattere in frotta colle pertiche come un villano?
--Andate a dirlo a lui (gli rispondevano). È così fatto. Quando sia
da porsi in prova il coraggio, il volerlo distogliere è un buttare il
fiato».
Mentre queste parole erano fra di essi, la campana del Comune
toccò.--È il segno! è il segno!» gridarono i nostri, e accorsero,
ed a spintoni si fecero strada. Ma di arrivare fin presso al
combattimento non era speranza; onde, ficcatisi sotto un portico,
sostenuto da una colonna di porfido egiziano e da una greca scanalata,
un po' colle buone e un po' colle brusche salirono sovra certe are,
qui portate dall'Attica, e poterono dominare quella folla di teste,
parte nude, parte coperte colle più varie foggie del mondo, dal
vistoso turbante del Levantino al positivo berretto del Veneziano;
dalle ondeggianti piume del cavaliere provenzale, all'abborrita
reticella gialla dei poveri Ebrei; dal tòcco di velluto ad oro dei
baroni napoletani, al cappuccio arrovesciato dei Milanesi, che si
erano posti fra i primi per testimonj alle prodezze del loro compagno.
Allora, a suon di tromba, comparvero il gonfaloniere e gli anziani sotto un
pergolo adornato a guisa di un padiglione turco; la turba spettatrice
più sempre si accalcava, mentre i disposti al combattere fremevano
impazienti attorno alle sbarre dei due capi del Ponte, come freme un
torrente attorno alla chiusa. Poi, quando ad un nuovo segnale caddero le
sbarre, fra uno schiamazzo universale, tutti con tutti andarono ad
affrontarsi, e per quanto Ramengo guardasse, non gli apparve nella prima
mezz'ora che una procellosa mescolanza di gente che assaliva, di gente che
respingeva, che si raffagotava; noderosi randelli a furia picchiavano su
quelle povere teste, su quelle povere spalle; e gli urli di chi batteva,
gli strilli di chi era battuto, mescolavansi alle acclamazioni di:--Viva
Santa Maria! viva Sant'Antonio!»
Cresceva furore ed interesse alla scaramuccia l'esservisi, come soleva,
interessate le fazioni e i politici puntigli; e le due parti dei Raspanti e
dei Bergolini, che nei consigli e nelle frequenti baruffe per le strade
dividevano Pisa, qui avevano tolto la prima a favorire Santa Maria, l'altra
Sant'Antonio; onde il grido di guerra, le bandiere, gli applausi, gli
insulti infervoravano la rabbia, il baccano, fieri quanto si possa
immaginare.
Poi a poco a poco divenuta meno stivata la mischia pei morti, i feriti,
gl'intronati, gli stanchi, già si poteva discernere da qual parte la
fortuna piegasse; intanto si vedevan ora deporre dalle barche, intirizziti
e guazzosi, quelli raccolti dal fiume, ora i mal capitati strascinarsi da
sè, od esser portati a braccia fuori della zuffa, premendosi le mani
sulle membra fiaccate, sulle tempia sanguinanti, protestando al cielo e
alla terra di non avventurarsi mai più in quegli stolti badalucchi;--ma
quelli che guarivano, credete a me che vi saranno tornati.
Però, dinanzi a quelli della parte di Santa Maria e dei Raspanti, si
vide ben tosto sopra gli altri distinguersi uno per disperata robustezza di
colpi, pel cerchio che largamente si faceva, per la rovina che menavasi
davanti. Ramengo, alle fattezze e al grido dei compatriotti, non tardò a
riconoscere Alpinolo, nè più da esso dispiccò gli occhi, ora
inquieto del vederlo in pericolo, ora pieno di compiacenza e meraviglia a
tanto vigore, e mostrando agli altri Lombardi quei colpi, che veramente
parevano più che da uomo.
I Bergolini e Sant'Antonio non poterono a lungo stare alla prova di quella
furia; e per sottrarre le teste voltarono il dosso. Allora quelli che, come
dietro a un torrione, s'erano tenuti a riparo alle spalle di Alpinolo, con
un coraggio da non dire si precipitarono addosso ai fuggenti, per aver la
gloria, men bella forse, ma più sicura, di batterne i terghi, urlando a
tutta gola:--Viva Santa Maria!--Viva i Raspanti!--Vergogna ai
Bergolini!--Viva i Gambacurti!--Viva gli Aliati!--Abbasso Dino della
Rôcca», questi eran i nomi dei capi delle due fazioni. Alpinolo
cessò le picchiate quando cessò la resistenza, ed appoggiatosi al
riposato targone, osservava, immoto come uno scoglio fra le ondate, il
facile coraggio della vittoria.
Ad un cenno del gonfaloniere, fu di nuovo abbassata la sbarra; trombe e
chiarine diedero dentro a giubilo: Santa Maria scampanava a distesa, e i
Milanesi, fattosi largo, accostaronsi ad Alpinolo, e tripudianti
abbracciandolo, se lo tolsero sopra le braccia per recarlo a ricevere la
corona dalla Signoria, e gridavano:--Viva Alpinolo!--Viva Milano!--Viva
Sant'Ambrogio!» E poichè la folla di rado grida un _viva_ senza
aggiungere un _mora_, è probabile, quantunque la storia nol dica, che
gridassero:--Morte al Visconte!--Morte ai traditori della patria».
Il lampo di gioja che quel trionfo faceva brillar sul viso di Alpinolo,
mescevasi in modo indefinibile colla cupa costernazione che vi avevano
improntata i casi passati, e coi segni d'un dolore profondo e celato che lo
straziava. Quando Aurigino Muralto, riuscito ad accostarsegli,--Sta su
allegro (gli gridò). Buone nuove: è arrivato un Milanese.
--Un Milanese?... e chi?
--Un tuo conoscente: Lanterio da Bescapè; occhio dritto del Pusterla; e
t'ha a dire cose di gran rilievo, ma a te solo.
Un tumulto di idee scosse in quel punto la mente di Alpinolo; e Francesco,
la Margherita, fra Buonvicino, gli Aliprandi, gli amici tutti lasciati a
Milano se gli pararono innanzi, colla speranza forse di vederne alcuno,
d'averne forse un messo, certo notizie; onde, coll'impazienza più viva,
senz'altro aspettare i premj nè la corona, sviluppatosi dalle braccia
dei compatriotti, si difilava verso là dove gli avevano detto che
troverebbe quest'amico, sotto al portico dei Marmi, con una premura tale,
che guaj ai petti, alle braccia di coloro che gl'impedivano il
passo.--Eccolo! vello!» dissero i Lombardi, mostrando l'avveniticcio ad
Alpinolo, che, fissandolo, si trovò a fronte Ramengo.
Invano avea questi voluto sottrarsi all'incontro, ed avere Alpinolo da
sè a sè; invano ora accennava al garzone che tacesse, venisse, dovea
parlargli. Un padre che abbia scorto un aspide attorcigliato al collo
dell'unico suo figliuolo, non fa gli occhi così spaventati come Alpinolo
allorchè i suoi scontrarono l'esecrata faccia del traditore.
--Ramengo!» urlò con voce somigliante ai mugghi di toro ferito a
morte; e non badando agli atti che questo gli faceva, agguantar di nuovo il
randello, sua arma trionfale, e scaraventarsi alla volta di esso,
gridando:--Infame spia!» fu un batter di palpebra. I Lombardi, non
sapendo spiegare quell'ira, si ritraevano e il lasciavano fare, ma non
istette ad aspettarlo Ramengo, che, visto quel flagello, precipitossi
dietro ai marmi, ivi accumulati, ed uscendo dall'opposta parte, si ficcò
dove la calca era più serrata, e gobbo gobbo tra quel brulicame cercava
di sgattajolare. L'iracondo, con un diavolo per pelo, non lasciava però
di seguirne le vestigia, ripetendo a gran voce:--Spione! pur t'ho côlto!
Largo! guardate la vita! lasciate ch'io l'accoppi! un colpo le pagherà
tutte!» e per farsi piazza, batteva da destra, da sinistra su chiunque
pe' suoi peccati gli cascasse fra i piedi.
Il vulgo pisano, non diverso dal vulgo degli altri luoghi e degli altri
tempi, aveva già provato un poco di dispetto (chi vuole, lo chiami
nazionale) al veder che uno _straniero_ avesse riportato l'onore di quel
giorno; e, come suole, gliene volevano male i vincitori, non meno che i
vinti. Ora poi nel veder quello stesso, se non bastava mostrare di non
curarsi del premio, accendersi in ira sì rabbiosa, e senza conoscere il
perchè di quella bussa disperata, non se ne davano pace:
I più timidi levavano il volo, come colombi grulli, spaventati; i
prudenti s'addomandavano:--Con chi l'ha costui?» e facevano largo; ma
quelli di spiriti più vivi, quelli che ancora si sentivan la stizza
d'altri colpi toccati dalla mano di lui, perdettero la pazienza, e
cominciarono a voltarsegli con un viso brusco, e rompere la strada a lui ed
ai concittadini suoi, che per amor di patria, anche senza dimandarne la
cagione gli davano spalla.--Per tutti i santi del calendario! (esclamava il
popolaccio). E' pare che costui abbia bevuto sangue di drago e pasciuto
carne di cocodrillo».
--Vuoi finirla una volta, ambrosiano insatanassato?
E qui tra Milanesi e Pisani cominciava quella battaglia di lingue, che suol
precedere la battaglia di mani.
--Fatevi da banda, anime di sambuco! Pisani, vitupero delle genti!»
gridavano i Lombardi guardando in cagnesco.
--Andate via, Milanesi mangiafagiuoli», rispondevano i Pisani mostrando
il pugno.
--Meglio fagiuoli che non le _cee_[24] che se ne comprano trentasei per un
pel d'asino.
--Che state dunque qua, baggiani da dodici la crazia? che mutate l'Arno
nella cantarana di Sant'Ambrogio.
--Ci stiamo perchè possiamo. E però?... spendiamo dei vostri?
Covielli, che un solo Milanese vi ha volti in fuga a diecimila?
--Odi parlare che par tedesco!
--Odi che favellando par che sgargarizzino!
--Sì--no»; le ingiurie eran più che le parole; dalle parole si fu
ai fatti:--Sono Guelfi, sono Ghibellini, sono Raspanti traditori»; una
frastagliata di minacce, poi para, picchia, martella: una soda baruffa si
impegnò, peggiore della prima e di maledetto senno, per calmar la quale
ebbero a fare e dire assai, parte i soldati, parte i prudenti e i nobili e
il gonfaloniere; più d'uno restò morto sul campo, moltissimi ebbero
di che ricordarsene per tutta la vita; ma come spesso nelle baruffe degli
innocenti profittano i ribaldi, tra quel bolli bolli potè Ramengo
pigliare il tratto innanzi, e tra il pigio della folla, andarsene a Dio ti
rivegga.
Quando Alpinolo s'accorse che il più seguirlo era un perder tempo, non
vi starò a descrivere che rumore menasse, quanto bestemmiasse quel che
si bestemmia quando altro non si sa o non si ardisce, cioè il destino,
per averglielo mostro un tratto, poi tolto di nuovo: sopratutto dava
biasimo a quei Lombardi come imprudenti, come sconsigliati, per avergli
pôrto ascolto; e che bisognava arrestarlo, e che non s'ha a prestar fede
al primo avventuriero che capita... ma tra quel rimproverare sorgeva la
voce della coscienza a dirgli: _E tu?_
Allora gli cadevano le parole di bocca e la baldanza di cuore, nè più
pensando a rimbrottare altrui, con sè solo la prendeva, tornava a
maledire sè stesso, e il dì che nacque, e chi lo generò, e la
fantasia entratagli di mettersi a combattere; la quale se non fosse stata,
avrebbe incontrato Ramengo, avrebbe fatto le vendette di sè, di
Franciscolo, di quell'angelo di Margherita, della patria, per sua cagione
perduta, dell'umanità da lui disonorata.
Io auguro che i lettori miei trovino, quantunque in tempi più fieri e
meno maliziosi, essere strano che diverse persone dessero nel calappio,
teso dal ribaldo. L'auguro per il loro meglio, giacchè questo proverebbe
che essi non hanno, ai loro giorni, avuto incontri con simile fiore di
scellerati, nè conoscono per prova con quanta sottigliezza sappiano essi
insinuarsi negli animi, colorire l'impostura, ammantare di generosità
l'infamia, di amicizia il tradimento, e col mutare voci e costumi, placidi
coi quieti, iracondi cogli stizzosi, bugiardi con tutti, acquistarsi fede
d'ogni parte. L'auguro anche in quanto sarebbe indizio che non hanno mai
provato i duri passi dell'esilio, nè quindi indovinano, quanta
consolazione rechi, a chi va profugo dalla patria, lo scontrarsi in altri,
di sorte e di pensieri conformi; quanto facile sorrida la speranza di
potere, con un modo o coll'altro, spesso coi più disastrosi, ricuperare
la terra nativa. A chi di tali cose avesse esperienza, pur troppo non
saprebbe di stravagante e di improbabile la confidenza che, al primo
incontro, posero in Ramengo quei garzoni, e che in lui collocherà un
altro nostro amico [25].
Perocchè Ramengo, appena si trovò campato dal pericolo di cadere
ammazzato dal proprio figliuolo, comincio fra sè a rammaricarsi e
indispettirsi. E abituato com era ad imputare sempre altrui le conseguenze
dei suoi proprj delitti, ed a cercare nell'ira rimedio ai rimorsi, anche
per questo accidente voleva sempre maggior male al Pusterla.--Perchè
egli m'ingannò col mostrarsene amoroso, uccisi la mia donna. Un figlio
almeno mi restava di lei, un figlio che poteva formare la mia compiacenza,
rendermi invidiato da quelli che ora mi disprezzano, ed ecco fra noi
cacciarsi di nuovo quest'infame, e per le pazze sue fantasie, padre e
figlio rimangono divisi, inimicati. Ma no; mai non desisterò finchè
io non riesca a riconciliarmi col figliuol mio. Torrò di mezzo costui
che l'affascina, allora ci ravvicineremo io ed Alpinolo; ricomparirò con
esso nella società a Milano, alla Corte. Quando io sarò salito in
grandissimo stato, oh chi mi cercherà di qual passo io vi sia giunto? Ma
tu, tu maledetto... tu che sei cagione di staccarlo da me, ora so dove ti
annidi; e non sia mai uomo se non te ne fo scontare la pena col sangue.
Allora solo le poste saranno pareggiate».
E scrisse a Luchino Visconti la lettera che abbiamo trovata in mano del
segretario, il giorno del colloquio di lui colla Margherita, nella quale
gli chiedeva l'impunità per suo figlio, ed accennava in nube d'essere
sul punto di partire per raggiunger il Pusterla. Di giorno più non
osò mostrarsi per le vie di Pisa; non tornò all'albergo presso
Acquevino, il quale teneva infamata la sua bettola per aver dato ricovero
ad un cotale, e ripeteva che di quella genia non ne fu mai stampa, nè
mai ne sarà in Toscana. Un bucuccio segnato con una frasca, e dove per
pochi soldi dormivano facchini, marinaj e male donne alla loro posta, diede
ricovero a Ramengo nei giorni seguenti, ma abbondando di denari e di
scaltrimenti, non tardò ad accontarsi con un capitano di marina, il
quale, col primo buon vento dovea mettere alla vela per Antibo, e con esso,
di fatti, tra pochi giorni abbandonò sano e salvo l'Italia.
Alpinolo, che nè dì nè notte si dava pace per trovarlo, e in tutte
le vicinanze lo appostava, e spiava ogni angolo più riposto, ogni
concorso più affollato, ebbe un bell'aspettarlo; nè più lo doveva
incontrare se non--vedrete in qual orribile luogo!
CAPITOLO XVI.
L'ESULE.
Sull'ardua montagna, d'un ultimo sguardo
Mi volgo a fissarti, bel piano lombardo;
Un bacio, un saluto, ti drizzo un sospir.
Nel perderti, oh quanto mi sembran più vaghi
L'opimo sorriso dei colli, dei laghi,
Lo smalto dei prati, del ciel lo zaffir!
Negli agili sogni degli anni felici,
Ai baldi colloqui d'intrepidi amici,
Nel gaudio sicuro, fra i baci d'amor,
Natale mia terra, mi stavi in pensiero:
Con teco, o diletta d'amore sincero,
La speme ho diviso, diviso il timor.
Tra cuori conformi, nell'umil tuo seno
In calma operosa trascorrer sereno,
Fu il voto che al cielo volgeva ogni dì;
Poi, senza procelle sorgendo nel porto.
Del pianto dei buoni dormir col conforto
Nel suol che i tranquilli miei padri coprì.
Ahi! l'ira disperse l'ingenua preghiera;
Rigor non mertato di mano severa
Per bieco mi spinge ramingo sentier.
O amici, piangenti sull'ultimo addio,
O piagge irrigate dal fiume natio,
O speme blandita con lunghi pensier,
Addio!--La favella sonar più non sento
Che a me fanciulletto quetava il lamento,
Che liete promesse d'amor mi giurò.
Ignoto trascorro fra ignoti sembianti;
Invan cerco al tempio quei memori canti,
Quel rito che al core la calma tornò.
Al raggio infingardo di torbidi cieli,
All'afa sudante, fra gl'ispidi geli,
Nell'ebro tumulto di dense città,
Il rezzo fragrante d'eterni laureti,
Gli aprili danzati sui patrj vigneti;
La gioja d'autunno nel cor mi verrà.
Intento al dechino dei fiumi non miei,
Coll'eco ragiono de' giusti, de' rei,
Del vero scontato con lungo martir.
Il Sol mi rammenta gli agresti tripudj;
L'aurora, il silenzio dei vigili studj;
La luna, gli arcani del primo sospir.
Concordia ho veduto d'amici fidenti?
Tranquilla una donna tra tigli contenti?
Soave donzella beata d'amor?
Te, madre, membrando, gli amici, i fratelli,
Te, dolce compagna dei giorni più belli,
Che acerbe memorie s'affollano al cor!
Qual pianta in uggioso terreno intristita,
Si strugge in cordoglio dell'esul la vita;
Gli sdegni codardi cessate, egli muor,
Se i lumi dischiude nell'ultimo giorno,
L'amor dei congiunti non vedesi intorno,
Estrania pietade gli terge il sudor.
Al Sol che s'invola drizzò la pupilla;
Non è il Sol d'Italia che in fronte gli brilla,
Che un fior sul compianto suo fral nutrirà.
Spirando anzi tempo sull'ospite letto,
Gli amici, la patria, che troppo ha diletto,
L'estrema parola dell'esul sarà.
Così, non è molto, lamentavasi taluno, nel punto di abbandonare
l'Italia; eppure la condizione dell'esule quanto non è oggi senza
confronto migliore di allorquando la subiva il Pusterla! Agevolezza di
comunicazioni hanno oggi, sto per dire, tolte di mezzo le distanze e le
barriere fra popolo e popolo; posta di lettere, giornali, commercio,
viaggi, fecero comuni a uno le usanze, le idee di tutti; una gente conosce
l'altra, una all'altra somiglia per vestire, per costumi:--sei fuori, ma
frequente incontri tuoi concittadini, ma ogni tratto te ne giungono
ragguagli; calchi una terra forestiera, ma le simpatie di nazione, di
opinioni, di ingegno, di speranze vengono a mitigarti la durezza
dell'esilio, ti fanno trovare nuovi amici, udire in diversa lingua
l'espressione dei tuoi medesimi sentimenti, la fratellevole compassione per
le tue sventure. Allora, al contrario, da paese a paese, per quanto vicino
e confinante, correva maggior differenza, che non oggi dall'America
all'Europa; poco si conoscevano le lingue; uno Stato ignorava quel che
succedesse nel suo limitrofo; e corrieri a posta ci volevano per
trasportare lettere o notizie.
Quanto aveva dunque a dolere a Francesco il dipartirsi dalla terra natale!
e dipartirsene, non colla pace della rassegnazione, nè tampoco col
magnanimo dispetto dei forti, costretti a cedere alla prepotenza degli
eventi; ma da una parte cruciato da irrequieto desiderio di operare,
dall'altra sollecito di quel che di lui direbbe la patria, direbbero i
conoscenti, direbbe la posterità; avvegnachè non aveva egli concepito
per gli uomini quella dose di disprezzo, che si richiede in chi voglia
giovarli davvero, senza nè curarne i torti giudizj e maligni, nè
temerne l'ingratitudine.
Quando frà Buonvicino accomiatò il Pusterla, lo commise alla
fedeltà di Pedrocco da Gallarate, capo di una di quelle specie di
carovane che, due o tre volte l'anno, facevano il viaggio di Francia per
portarvi le derrate di Levante e i panni nostrali; raccattarvi lino,
canapa, lana, e trasmettere il denaro in natura, come erasi costretti a
fare prima che fossero praticati i giri di cambio.
Avea Pedrocco la persona come un facchino: faccia abbronzata
dall'avvicendarsi dei soli e dei geli, mani robuste e callose da scusare il
martello e le tanaglie; una casacca, stretta alla vita da una larga cintura
di cuojo nero, ricamata a punti rossi, gli teneva pronto un paloscio,
mentre il cappuccio tirato sugli occhi gli dava una fierezza di fisonomia,
da far credere che per ogni poco lo caccierebbe a mano. Eppure a praticarlo
era il miglior cuore del mondo: indole giuliva e tranquilla che non avrebbe
fatto male ad una mosca; e col girare perpetuo aveva acquistato quella
franchezza di trattare, quella estensione di veduta, quella spontaneità
di riflessioni, che appena un lungo studio può dare a chi non uscì
mai dal tetto paterno. Distinguiamolo bene dai cavallari d'oggidì,
poichè in fatto egli era il capitano di una banda di mulattieri, uno
spedizioniere ambulante. Da tutte le parti riceveva commissioni per vendere
e comprare, per riscuotere somme e versarne, per avviare speculazioni; onde
dovea goder reputazione di destro e di galantuomo. Ma per massima
tramandatagli dal padre e dall'avo, adempiva le incombenze affidategli
senza cercare più addentro; onde al modo stesso avrebbe portato
un'indulgenza plenaria ed una sentenza di morte; una cassa di reliquie ed
il prezzo dell'infamia e del tradimento.
Aveva ora caricato il suo convoglio di panni, usciti dalle fabbriche degli
Umiliati di Brera e della Cavedra di Varese, per recarli a Lovanio, a
Sedan, agli altri luoghi, donde ora ci arrivano se possono e quando
possono; e come Buonvicino gli ebbe raccomandato di condurre questo
amicissimo suo e di tacere, si pose la mano al cuore, esclamando:--Padre,
farò ogni mio possibile»; e con fedeltà anche maggiore del solito
assunse questo incarico, per la grande stima in che vedeva tenersi
Buonvicino.
--La si confidi a me (diceva Pedrocco al Pusterla), io la servirò di
cappa e di coltello. Anche cotesto piccolino vuoi menare in Francia? Ei
comincia presto. Ma anch'io, alla sua età, passeggiavo già le
montagne, e dopo d'allora ho girato tutta la vita come un arcolajo. E conta
vossignoria piantare negozj in Francia?»
Il Pusterla rispondeva di no, e lasciava comprendere come fuggisse la
tirannia del suo paese. Pedrocco l'interrompeva:--Di queste cose io non me
ne intendo: ma in Francia la si troverà da papa. E il papa stesso non
lasciò la sua Roma per la Francia altrui?»
Con una fila di muli si avviarono dunque per la Valgana, indi per
Marchirolo a Pontetresa, confine allora del contado rurale del Seprio, e
varcata la Tresa, costeggiarono la rupe Cislana verso Luino, finchè
voltarono nella Val Travaglia. Ma quando erano più inviluppati tra
quelle gole, ecco sbucava loro addosso una masnada di armati, che in sulle
prime fecero paventare Francesco per la vita propria e del figliuolo;
sicchè, raccolti i mulattieri, preparavasi a venderla cara. Presto
però si accorsero come quelli non attentavano alla vita: andassero pur
dove volevano, purchè lasciassero quivi le robe, o pagassero una enorme
Pusterla, dimenticava Luchino ed i premj sperati e le giurate vendette.
Quindi, col cuore palpitante, al modo che gli aveva palpitato nelle notti
che stette appostando il drudo della Rosalia, calossi verso Pisa in mezzo a
quei buoni Lombardi, i quali, intrecciati braccia con braccia, intonavano
le canzoni della patria loro,--canzoni che per l'esule finiscono sempre in
un sospiro!
CAPITOLO XV.
PADRE E FIGLIO.
Entrando nella città, ritrovarono tesi da parete a parete drappelloni
bianchi e vermigli, e filze di verzura secondo la stagione, che ivi
chiamano _le fiorite_; dai balconi e sui muri sfoggiavansi ricchi tappeti e
arazzi portati di Levante, e stoffe di seta, che alle Corti dei re parevano
ancora un lusso esorbitante, e qui abbondavano in mano di quegli attivi
negoziatori. In alcun luogo zampillavano fontane di vino, tra un'ingorda
ciurmaglia intenta a riceverlo nelle aperte bocche, od attingerne col cavo
della mano; in altri apparivano credenze e buffetti carichi d'ogni
rarità venute dal Mar Nero, dal Golfo Arabico, dal Baltico, e serbate in
memoria delle ardite e felici navigazioni. Brigate di giovani pisani, con a
capo i loro più valenti e denarosi signori, tutti divisati ad un modo,
con vesti di colori appariscenti, e briose cavalcature, movevano incontro
ai vegnenti e salutavano i nostri Lombardi, i quali rispondevano:--Addio,
Benedetto Lanfranchi!--Bel puledro, Nieri!--Passerino si discerne sempre
alle più ricche divise!--Viva Banduccio Buonconti!--e stavano ad
osservarli, mentre, dietro a gonfaloni con varie imprese e con motti
bizzarri e ingegnosi, a suon di nacchere, di tamburi, di zuffoletti, si
tiravano appresso la turba. Meno pompose venivano poi, dirigendosi al
tempio od al ponte, le arti e le maestranze, guidate dai loro abati, tutti
vestiti a una taglia, e tutti con un tal abbandono d'allegria, che Ramengo
non potè di meno di riflettere quanto a Luchino avrebbe dato gusto
l'avere un popolo così festivo, e quindi così facile a governare e
raggirare.
Udiva intanto un gridio, un trescamento di merciajuoli, che, colla bottega
ad armacollo, gridavano, a' bei vezzi, a' bei nastri, agli abitini, alle
crocette; di montanari che, al suono di ribecchini e tamburelli, facevano
ballare i cagnuoli e le marmotte; di Lucchesi che esibivano santini di
gesso, santa Zita, loro patrona, e santa Verdiana da Firenze, che dava a
pascere ai serpenti. Altrove si faceva cerchio attorno al cerretano dai
rimedj e dai segreti, od al cantastorie il quale mostrava sur un
cartellone, il disastroso allagamento di Firenze dell'anno 33,--quando,
(diceva esso) quest'Arno che vedete tanto quieto, straripò sulla
città, portando via bestiame, case, palagi e migliaja di persone, che
pareva il finimondo. Perchè non s'è portata via del tutto quella
città, che Pisa ne sarebbe più grande e più gloriosa?»
Così il cantafavole; e il popolaccio, con villano patriottismo, ne
secondava l'imprecazione, gridando:--Mora Firenze! e viva Pisa!» nè
volevasi ricordare che il ciurmadore istesso, poco prima o poco dopo,
avrebbe in Firenze augurato col rabbioso Ghibellino che la Capraja e la
Gorgona chiudessero la foce dell'Arno, sicchè in Pisa annegasse ogni
persona.
La genìa dei cerretani, e col nome proprio e con altri più onorevoli,
non s'è ancora estirpata, come ognun vede; bensì è finita
un'altra, che avea gran corso allora. Persone non d'ingegno, ma di memoria
e di fronte vetriata, ricorrevano a quei che sapessero far versi; e parte a
prezzo, parte per misericordia, parte per importunità, ne impetravano
alcune composizioni, italiane o provenzali, che poi, con grande enfasi e
gesti smaniosi, recitavano su per le fiere e nelle sale. Il Petrarca [23]
ci ha lasciato memoria di molti fra costoro, che gli vennero innanzi poveri
in canna, od ottenuti da lui alcuni sonetti, li rivide, pochi anni dopo,
ben in arnese, ben in carne e ben al soldo, mercè le largizioni degli
ammiratori.
Il poeta era dunque miglior mestiere che non oggidì, quando di simil
arte più non avanzò se non qualche improvvisatore, da assettar
piuttosto nella riga di quelli descritti innanzi.
Ramengo, infatti, ne intese di molti, i quali, in abiti bizzarri,
accompagnandosi colla ghironda e la mandòla, gridavano stanze e sonetti
appunto del Petrarca, di Cin da Pistoja, di Guido Cavalcanti, o leggende in
cui si ricordavano le antiche vittorie dei Pisani sopra i Saracini di
Sardegna, le imprese loro alle Crociate, il valore della Cinzica de'
Sismondi, le cortesi prodezze di Uguccione della Fagiuola; senza
dimenticare il conte Ugolino, sulla cui fine versavan tanto obbrobrio,
quanta dispettosa compassione v'avea profuso l'Alighieri.
Fra il latrato, la gioja, la curiosità del popolo, che non si ricordava
come la peste già irrompesse da ogni banda nel paese; che non si
sovveniva di aver avuto fame jeri, e che l'avrebbe domani ancora,
spingevansi i nostri Lombardi verso i varj posti dove sperassero scontrare
Alpinolo, e li seguiva Ramengo, al quale il cappuccio a gote dava il modo
di celarsi, quando mai imbattesse persona che gli convenisse evitare.
L'ansietà che doveva stringergli il cuore, non tolse ch'e' restasse
compreso di maraviglia nel veder quella stupenda piazza, ove nel mezzo
sorge la maestosa cattedrale; davanti, il battistero rotondo di San
Giovanni, e la torre inclinata, tutta a colonne; da lato, il Camposanto:
storia compita e parlante delle arti belle in Italia. Byron, anche ai
nostri giorni, chiamava quella piazza un sogno orientale; qual doveva
apparire colla mobile decorazione di una folla sterminata e vivace?
Fra la quale videro guizzare un Milanese, a cui, dando la voce, il Muralto
addomandò:--Ehi, Ottorino Borro, perdio tanta premura? Sapresti dirci
ove stia Alpinolo?
--Sta in prima fila per combattere al Ponte; là sono tutti i nostri
camerata. Corro a raggiungerli»; e si perdette tra la calca.
--Ma come gli entrò il ticchio (esclamava Ramengo) di mettersi a questo
inutile sbaraglio? Combattere in frotta colle pertiche come un villano?
--Andate a dirlo a lui (gli rispondevano). È così fatto. Quando sia
da porsi in prova il coraggio, il volerlo distogliere è un buttare il
fiato».
Mentre queste parole erano fra di essi, la campana del Comune
toccò.--È il segno! è il segno!» gridarono i nostri, e accorsero,
ed a spintoni si fecero strada. Ma di arrivare fin presso al
combattimento non era speranza; onde, ficcatisi sotto un portico,
sostenuto da una colonna di porfido egiziano e da una greca scanalata,
un po' colle buone e un po' colle brusche salirono sovra certe are,
qui portate dall'Attica, e poterono dominare quella folla di teste,
parte nude, parte coperte colle più varie foggie del mondo, dal
vistoso turbante del Levantino al positivo berretto del Veneziano;
dalle ondeggianti piume del cavaliere provenzale, all'abborrita
reticella gialla dei poveri Ebrei; dal tòcco di velluto ad oro dei
baroni napoletani, al cappuccio arrovesciato dei Milanesi, che si
erano posti fra i primi per testimonj alle prodezze del loro compagno.
Allora, a suon di tromba, comparvero il gonfaloniere e gli anziani sotto un
pergolo adornato a guisa di un padiglione turco; la turba spettatrice
più sempre si accalcava, mentre i disposti al combattere fremevano
impazienti attorno alle sbarre dei due capi del Ponte, come freme un
torrente attorno alla chiusa. Poi, quando ad un nuovo segnale caddero le
sbarre, fra uno schiamazzo universale, tutti con tutti andarono ad
affrontarsi, e per quanto Ramengo guardasse, non gli apparve nella prima
mezz'ora che una procellosa mescolanza di gente che assaliva, di gente che
respingeva, che si raffagotava; noderosi randelli a furia picchiavano su
quelle povere teste, su quelle povere spalle; e gli urli di chi batteva,
gli strilli di chi era battuto, mescolavansi alle acclamazioni di:--Viva
Santa Maria! viva Sant'Antonio!»
Cresceva furore ed interesse alla scaramuccia l'esservisi, come soleva,
interessate le fazioni e i politici puntigli; e le due parti dei Raspanti e
dei Bergolini, che nei consigli e nelle frequenti baruffe per le strade
dividevano Pisa, qui avevano tolto la prima a favorire Santa Maria, l'altra
Sant'Antonio; onde il grido di guerra, le bandiere, gli applausi, gli
insulti infervoravano la rabbia, il baccano, fieri quanto si possa
immaginare.
Poi a poco a poco divenuta meno stivata la mischia pei morti, i feriti,
gl'intronati, gli stanchi, già si poteva discernere da qual parte la
fortuna piegasse; intanto si vedevan ora deporre dalle barche, intirizziti
e guazzosi, quelli raccolti dal fiume, ora i mal capitati strascinarsi da
sè, od esser portati a braccia fuori della zuffa, premendosi le mani
sulle membra fiaccate, sulle tempia sanguinanti, protestando al cielo e
alla terra di non avventurarsi mai più in quegli stolti badalucchi;--ma
quelli che guarivano, credete a me che vi saranno tornati.
Però, dinanzi a quelli della parte di Santa Maria e dei Raspanti, si
vide ben tosto sopra gli altri distinguersi uno per disperata robustezza di
colpi, pel cerchio che largamente si faceva, per la rovina che menavasi
davanti. Ramengo, alle fattezze e al grido dei compatriotti, non tardò a
riconoscere Alpinolo, nè più da esso dispiccò gli occhi, ora
inquieto del vederlo in pericolo, ora pieno di compiacenza e meraviglia a
tanto vigore, e mostrando agli altri Lombardi quei colpi, che veramente
parevano più che da uomo.
I Bergolini e Sant'Antonio non poterono a lungo stare alla prova di quella
furia; e per sottrarre le teste voltarono il dosso. Allora quelli che, come
dietro a un torrione, s'erano tenuti a riparo alle spalle di Alpinolo, con
un coraggio da non dire si precipitarono addosso ai fuggenti, per aver la
gloria, men bella forse, ma più sicura, di batterne i terghi, urlando a
tutta gola:--Viva Santa Maria!--Viva i Raspanti!--Vergogna ai
Bergolini!--Viva i Gambacurti!--Viva gli Aliati!--Abbasso Dino della
Rôcca», questi eran i nomi dei capi delle due fazioni. Alpinolo
cessò le picchiate quando cessò la resistenza, ed appoggiatosi al
riposato targone, osservava, immoto come uno scoglio fra le ondate, il
facile coraggio della vittoria.
Ad un cenno del gonfaloniere, fu di nuovo abbassata la sbarra; trombe e
chiarine diedero dentro a giubilo: Santa Maria scampanava a distesa, e i
Milanesi, fattosi largo, accostaronsi ad Alpinolo, e tripudianti
abbracciandolo, se lo tolsero sopra le braccia per recarlo a ricevere la
corona dalla Signoria, e gridavano:--Viva Alpinolo!--Viva Milano!--Viva
Sant'Ambrogio!» E poichè la folla di rado grida un _viva_ senza
aggiungere un _mora_, è probabile, quantunque la storia nol dica, che
gridassero:--Morte al Visconte!--Morte ai traditori della patria».
Il lampo di gioja che quel trionfo faceva brillar sul viso di Alpinolo,
mescevasi in modo indefinibile colla cupa costernazione che vi avevano
improntata i casi passati, e coi segni d'un dolore profondo e celato che lo
straziava. Quando Aurigino Muralto, riuscito ad accostarsegli,--Sta su
allegro (gli gridò). Buone nuove: è arrivato un Milanese.
--Un Milanese?... e chi?
--Un tuo conoscente: Lanterio da Bescapè; occhio dritto del Pusterla; e
t'ha a dire cose di gran rilievo, ma a te solo.
Un tumulto di idee scosse in quel punto la mente di Alpinolo; e Francesco,
la Margherita, fra Buonvicino, gli Aliprandi, gli amici tutti lasciati a
Milano se gli pararono innanzi, colla speranza forse di vederne alcuno,
d'averne forse un messo, certo notizie; onde, coll'impazienza più viva,
senz'altro aspettare i premj nè la corona, sviluppatosi dalle braccia
dei compatriotti, si difilava verso là dove gli avevano detto che
troverebbe quest'amico, sotto al portico dei Marmi, con una premura tale,
che guaj ai petti, alle braccia di coloro che gl'impedivano il
passo.--Eccolo! vello!» dissero i Lombardi, mostrando l'avveniticcio ad
Alpinolo, che, fissandolo, si trovò a fronte Ramengo.
Invano avea questi voluto sottrarsi all'incontro, ed avere Alpinolo da
sè a sè; invano ora accennava al garzone che tacesse, venisse, dovea
parlargli. Un padre che abbia scorto un aspide attorcigliato al collo
dell'unico suo figliuolo, non fa gli occhi così spaventati come Alpinolo
allorchè i suoi scontrarono l'esecrata faccia del traditore.
--Ramengo!» urlò con voce somigliante ai mugghi di toro ferito a
morte; e non badando agli atti che questo gli faceva, agguantar di nuovo il
randello, sua arma trionfale, e scaraventarsi alla volta di esso,
gridando:--Infame spia!» fu un batter di palpebra. I Lombardi, non
sapendo spiegare quell'ira, si ritraevano e il lasciavano fare, ma non
istette ad aspettarlo Ramengo, che, visto quel flagello, precipitossi
dietro ai marmi, ivi accumulati, ed uscendo dall'opposta parte, si ficcò
dove la calca era più serrata, e gobbo gobbo tra quel brulicame cercava
di sgattajolare. L'iracondo, con un diavolo per pelo, non lasciava però
di seguirne le vestigia, ripetendo a gran voce:--Spione! pur t'ho côlto!
Largo! guardate la vita! lasciate ch'io l'accoppi! un colpo le pagherà
tutte!» e per farsi piazza, batteva da destra, da sinistra su chiunque
pe' suoi peccati gli cascasse fra i piedi.
Il vulgo pisano, non diverso dal vulgo degli altri luoghi e degli altri
tempi, aveva già provato un poco di dispetto (chi vuole, lo chiami
nazionale) al veder che uno _straniero_ avesse riportato l'onore di quel
giorno; e, come suole, gliene volevano male i vincitori, non meno che i
vinti. Ora poi nel veder quello stesso, se non bastava mostrare di non
curarsi del premio, accendersi in ira sì rabbiosa, e senza conoscere il
perchè di quella bussa disperata, non se ne davano pace:
I più timidi levavano il volo, come colombi grulli, spaventati; i
prudenti s'addomandavano:--Con chi l'ha costui?» e facevano largo; ma
quelli di spiriti più vivi, quelli che ancora si sentivan la stizza
d'altri colpi toccati dalla mano di lui, perdettero la pazienza, e
cominciarono a voltarsegli con un viso brusco, e rompere la strada a lui ed
ai concittadini suoi, che per amor di patria, anche senza dimandarne la
cagione gli davano spalla.--Per tutti i santi del calendario! (esclamava il
popolaccio). E' pare che costui abbia bevuto sangue di drago e pasciuto
carne di cocodrillo».
--Vuoi finirla una volta, ambrosiano insatanassato?
E qui tra Milanesi e Pisani cominciava quella battaglia di lingue, che suol
precedere la battaglia di mani.
--Fatevi da banda, anime di sambuco! Pisani, vitupero delle genti!»
gridavano i Lombardi guardando in cagnesco.
--Andate via, Milanesi mangiafagiuoli», rispondevano i Pisani mostrando
il pugno.
--Meglio fagiuoli che non le _cee_[24] che se ne comprano trentasei per un
pel d'asino.
--Che state dunque qua, baggiani da dodici la crazia? che mutate l'Arno
nella cantarana di Sant'Ambrogio.
--Ci stiamo perchè possiamo. E però?... spendiamo dei vostri?
Covielli, che un solo Milanese vi ha volti in fuga a diecimila?
--Odi parlare che par tedesco!
--Odi che favellando par che sgargarizzino!
--Sì--no»; le ingiurie eran più che le parole; dalle parole si fu
ai fatti:--Sono Guelfi, sono Ghibellini, sono Raspanti traditori»; una
frastagliata di minacce, poi para, picchia, martella: una soda baruffa si
impegnò, peggiore della prima e di maledetto senno, per calmar la quale
ebbero a fare e dire assai, parte i soldati, parte i prudenti e i nobili e
il gonfaloniere; più d'uno restò morto sul campo, moltissimi ebbero
di che ricordarsene per tutta la vita; ma come spesso nelle baruffe degli
innocenti profittano i ribaldi, tra quel bolli bolli potè Ramengo
pigliare il tratto innanzi, e tra il pigio della folla, andarsene a Dio ti
rivegga.
Quando Alpinolo s'accorse che il più seguirlo era un perder tempo, non
vi starò a descrivere che rumore menasse, quanto bestemmiasse quel che
si bestemmia quando altro non si sa o non si ardisce, cioè il destino,
per averglielo mostro un tratto, poi tolto di nuovo: sopratutto dava
biasimo a quei Lombardi come imprudenti, come sconsigliati, per avergli
pôrto ascolto; e che bisognava arrestarlo, e che non s'ha a prestar fede
al primo avventuriero che capita... ma tra quel rimproverare sorgeva la
voce della coscienza a dirgli: _E tu?_
Allora gli cadevano le parole di bocca e la baldanza di cuore, nè più
pensando a rimbrottare altrui, con sè solo la prendeva, tornava a
maledire sè stesso, e il dì che nacque, e chi lo generò, e la
fantasia entratagli di mettersi a combattere; la quale se non fosse stata,
avrebbe incontrato Ramengo, avrebbe fatto le vendette di sè, di
Franciscolo, di quell'angelo di Margherita, della patria, per sua cagione
perduta, dell'umanità da lui disonorata.
Io auguro che i lettori miei trovino, quantunque in tempi più fieri e
meno maliziosi, essere strano che diverse persone dessero nel calappio,
teso dal ribaldo. L'auguro per il loro meglio, giacchè questo proverebbe
che essi non hanno, ai loro giorni, avuto incontri con simile fiore di
scellerati, nè conoscono per prova con quanta sottigliezza sappiano essi
insinuarsi negli animi, colorire l'impostura, ammantare di generosità
l'infamia, di amicizia il tradimento, e col mutare voci e costumi, placidi
coi quieti, iracondi cogli stizzosi, bugiardi con tutti, acquistarsi fede
d'ogni parte. L'auguro anche in quanto sarebbe indizio che non hanno mai
provato i duri passi dell'esilio, nè quindi indovinano, quanta
consolazione rechi, a chi va profugo dalla patria, lo scontrarsi in altri,
di sorte e di pensieri conformi; quanto facile sorrida la speranza di
potere, con un modo o coll'altro, spesso coi più disastrosi, ricuperare
la terra nativa. A chi di tali cose avesse esperienza, pur troppo non
saprebbe di stravagante e di improbabile la confidenza che, al primo
incontro, posero in Ramengo quei garzoni, e che in lui collocherà un
altro nostro amico [25].
Perocchè Ramengo, appena si trovò campato dal pericolo di cadere
ammazzato dal proprio figliuolo, comincio fra sè a rammaricarsi e
indispettirsi. E abituato com era ad imputare sempre altrui le conseguenze
dei suoi proprj delitti, ed a cercare nell'ira rimedio ai rimorsi, anche
per questo accidente voleva sempre maggior male al Pusterla.--Perchè
egli m'ingannò col mostrarsene amoroso, uccisi la mia donna. Un figlio
almeno mi restava di lei, un figlio che poteva formare la mia compiacenza,
rendermi invidiato da quelli che ora mi disprezzano, ed ecco fra noi
cacciarsi di nuovo quest'infame, e per le pazze sue fantasie, padre e
figlio rimangono divisi, inimicati. Ma no; mai non desisterò finchè
io non riesca a riconciliarmi col figliuol mio. Torrò di mezzo costui
che l'affascina, allora ci ravvicineremo io ed Alpinolo; ricomparirò con
esso nella società a Milano, alla Corte. Quando io sarò salito in
grandissimo stato, oh chi mi cercherà di qual passo io vi sia giunto? Ma
tu, tu maledetto... tu che sei cagione di staccarlo da me, ora so dove ti
annidi; e non sia mai uomo se non te ne fo scontare la pena col sangue.
Allora solo le poste saranno pareggiate».
E scrisse a Luchino Visconti la lettera che abbiamo trovata in mano del
segretario, il giorno del colloquio di lui colla Margherita, nella quale
gli chiedeva l'impunità per suo figlio, ed accennava in nube d'essere
sul punto di partire per raggiunger il Pusterla. Di giorno più non
osò mostrarsi per le vie di Pisa; non tornò all'albergo presso
Acquevino, il quale teneva infamata la sua bettola per aver dato ricovero
ad un cotale, e ripeteva che di quella genia non ne fu mai stampa, nè
mai ne sarà in Toscana. Un bucuccio segnato con una frasca, e dove per
pochi soldi dormivano facchini, marinaj e male donne alla loro posta, diede
ricovero a Ramengo nei giorni seguenti, ma abbondando di denari e di
scaltrimenti, non tardò ad accontarsi con un capitano di marina, il
quale, col primo buon vento dovea mettere alla vela per Antibo, e con esso,
di fatti, tra pochi giorni abbandonò sano e salvo l'Italia.
Alpinolo, che nè dì nè notte si dava pace per trovarlo, e in tutte
le vicinanze lo appostava, e spiava ogni angolo più riposto, ogni
concorso più affollato, ebbe un bell'aspettarlo; nè più lo doveva
incontrare se non--vedrete in qual orribile luogo!
CAPITOLO XVI.
L'ESULE.
Sull'ardua montagna, d'un ultimo sguardo
Mi volgo a fissarti, bel piano lombardo;
Un bacio, un saluto, ti drizzo un sospir.
Nel perderti, oh quanto mi sembran più vaghi
L'opimo sorriso dei colli, dei laghi,
Lo smalto dei prati, del ciel lo zaffir!
Negli agili sogni degli anni felici,
Ai baldi colloqui d'intrepidi amici,
Nel gaudio sicuro, fra i baci d'amor,
Natale mia terra, mi stavi in pensiero:
Con teco, o diletta d'amore sincero,
La speme ho diviso, diviso il timor.
Tra cuori conformi, nell'umil tuo seno
In calma operosa trascorrer sereno,
Fu il voto che al cielo volgeva ogni dì;
Poi, senza procelle sorgendo nel porto.
Del pianto dei buoni dormir col conforto
Nel suol che i tranquilli miei padri coprì.
Ahi! l'ira disperse l'ingenua preghiera;
Rigor non mertato di mano severa
Per bieco mi spinge ramingo sentier.
O amici, piangenti sull'ultimo addio,
O piagge irrigate dal fiume natio,
O speme blandita con lunghi pensier,
Addio!--La favella sonar più non sento
Che a me fanciulletto quetava il lamento,
Che liete promesse d'amor mi giurò.
Ignoto trascorro fra ignoti sembianti;
Invan cerco al tempio quei memori canti,
Quel rito che al core la calma tornò.
Al raggio infingardo di torbidi cieli,
All'afa sudante, fra gl'ispidi geli,
Nell'ebro tumulto di dense città,
Il rezzo fragrante d'eterni laureti,
Gli aprili danzati sui patrj vigneti;
La gioja d'autunno nel cor mi verrà.
Intento al dechino dei fiumi non miei,
Coll'eco ragiono de' giusti, de' rei,
Del vero scontato con lungo martir.
Il Sol mi rammenta gli agresti tripudj;
L'aurora, il silenzio dei vigili studj;
La luna, gli arcani del primo sospir.
Concordia ho veduto d'amici fidenti?
Tranquilla una donna tra tigli contenti?
Soave donzella beata d'amor?
Te, madre, membrando, gli amici, i fratelli,
Te, dolce compagna dei giorni più belli,
Che acerbe memorie s'affollano al cor!
Qual pianta in uggioso terreno intristita,
Si strugge in cordoglio dell'esul la vita;
Gli sdegni codardi cessate, egli muor,
Se i lumi dischiude nell'ultimo giorno,
L'amor dei congiunti non vedesi intorno,
Estrania pietade gli terge il sudor.
Al Sol che s'invola drizzò la pupilla;
Non è il Sol d'Italia che in fronte gli brilla,
Che un fior sul compianto suo fral nutrirà.
Spirando anzi tempo sull'ospite letto,
Gli amici, la patria, che troppo ha diletto,
L'estrema parola dell'esul sarà.
Così, non è molto, lamentavasi taluno, nel punto di abbandonare
l'Italia; eppure la condizione dell'esule quanto non è oggi senza
confronto migliore di allorquando la subiva il Pusterla! Agevolezza di
comunicazioni hanno oggi, sto per dire, tolte di mezzo le distanze e le
barriere fra popolo e popolo; posta di lettere, giornali, commercio,
viaggi, fecero comuni a uno le usanze, le idee di tutti; una gente conosce
l'altra, una all'altra somiglia per vestire, per costumi:--sei fuori, ma
frequente incontri tuoi concittadini, ma ogni tratto te ne giungono
ragguagli; calchi una terra forestiera, ma le simpatie di nazione, di
opinioni, di ingegno, di speranze vengono a mitigarti la durezza
dell'esilio, ti fanno trovare nuovi amici, udire in diversa lingua
l'espressione dei tuoi medesimi sentimenti, la fratellevole compassione per
le tue sventure. Allora, al contrario, da paese a paese, per quanto vicino
e confinante, correva maggior differenza, che non oggi dall'America
all'Europa; poco si conoscevano le lingue; uno Stato ignorava quel che
succedesse nel suo limitrofo; e corrieri a posta ci volevano per
trasportare lettere o notizie.
Quanto aveva dunque a dolere a Francesco il dipartirsi dalla terra natale!
e dipartirsene, non colla pace della rassegnazione, nè tampoco col
magnanimo dispetto dei forti, costretti a cedere alla prepotenza degli
eventi; ma da una parte cruciato da irrequieto desiderio di operare,
dall'altra sollecito di quel che di lui direbbe la patria, direbbero i
conoscenti, direbbe la posterità; avvegnachè non aveva egli concepito
per gli uomini quella dose di disprezzo, che si richiede in chi voglia
giovarli davvero, senza nè curarne i torti giudizj e maligni, nè
temerne l'ingratitudine.
Quando frà Buonvicino accomiatò il Pusterla, lo commise alla
fedeltà di Pedrocco da Gallarate, capo di una di quelle specie di
carovane che, due o tre volte l'anno, facevano il viaggio di Francia per
portarvi le derrate di Levante e i panni nostrali; raccattarvi lino,
canapa, lana, e trasmettere il denaro in natura, come erasi costretti a
fare prima che fossero praticati i giri di cambio.
Avea Pedrocco la persona come un facchino: faccia abbronzata
dall'avvicendarsi dei soli e dei geli, mani robuste e callose da scusare il
martello e le tanaglie; una casacca, stretta alla vita da una larga cintura
di cuojo nero, ricamata a punti rossi, gli teneva pronto un paloscio,
mentre il cappuccio tirato sugli occhi gli dava una fierezza di fisonomia,
da far credere che per ogni poco lo caccierebbe a mano. Eppure a praticarlo
era il miglior cuore del mondo: indole giuliva e tranquilla che non avrebbe
fatto male ad una mosca; e col girare perpetuo aveva acquistato quella
franchezza di trattare, quella estensione di veduta, quella spontaneità
di riflessioni, che appena un lungo studio può dare a chi non uscì
mai dal tetto paterno. Distinguiamolo bene dai cavallari d'oggidì,
poichè in fatto egli era il capitano di una banda di mulattieri, uno
spedizioniere ambulante. Da tutte le parti riceveva commissioni per vendere
e comprare, per riscuotere somme e versarne, per avviare speculazioni; onde
dovea goder reputazione di destro e di galantuomo. Ma per massima
tramandatagli dal padre e dall'avo, adempiva le incombenze affidategli
senza cercare più addentro; onde al modo stesso avrebbe portato
un'indulgenza plenaria ed una sentenza di morte; una cassa di reliquie ed
il prezzo dell'infamia e del tradimento.
Aveva ora caricato il suo convoglio di panni, usciti dalle fabbriche degli
Umiliati di Brera e della Cavedra di Varese, per recarli a Lovanio, a
Sedan, agli altri luoghi, donde ora ci arrivano se possono e quando
possono; e come Buonvicino gli ebbe raccomandato di condurre questo
amicissimo suo e di tacere, si pose la mano al cuore, esclamando:--Padre,
farò ogni mio possibile»; e con fedeltà anche maggiore del solito
assunse questo incarico, per la grande stima in che vedeva tenersi
Buonvicino.
--La si confidi a me (diceva Pedrocco al Pusterla), io la servirò di
cappa e di coltello. Anche cotesto piccolino vuoi menare in Francia? Ei
comincia presto. Ma anch'io, alla sua età, passeggiavo già le
montagne, e dopo d'allora ho girato tutta la vita come un arcolajo. E conta
vossignoria piantare negozj in Francia?»
Il Pusterla rispondeva di no, e lasciava comprendere come fuggisse la
tirannia del suo paese. Pedrocco l'interrompeva:--Di queste cose io non me
ne intendo: ma in Francia la si troverà da papa. E il papa stesso non
lasciò la sua Roma per la Francia altrui?»
Con una fila di muli si avviarono dunque per la Valgana, indi per
Marchirolo a Pontetresa, confine allora del contado rurale del Seprio, e
varcata la Tresa, costeggiarono la rupe Cislana verso Luino, finchè
voltarono nella Val Travaglia. Ma quando erano più inviluppati tra
quelle gole, ecco sbucava loro addosso una masnada di armati, che in sulle
prime fecero paventare Francesco per la vita propria e del figliuolo;
sicchè, raccolti i mulattieri, preparavasi a venderla cara. Presto
però si accorsero come quelli non attentavano alla vita: andassero pur
dove volevano, purchè lasciassero quivi le robe, o pagassero una enorme
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